Capitolo
3
John (A)
L’uomo ferito se ne era
andato, borbottando un grazie. John lo aveva quasi ignorato, preferendo
dedicarsi alla bottiglia di whiskey, abbandonata sul divano.
La valutò con sguardo
critico. Era rimasto solo un terzo del liquido ambrato, quindi non sufficiente
a ottenebrare la coscienza. Cercò di fare mente locale, per ricordare se in
casa vi fossero altre bottiglie, anche di alcool puro, ma la sua mente non
voleva collaborare.
Con un ringhio
rabbioso, John iniziò ad aprire i pochi sportelli dell’angolo cottura, quelli
del mobile in salotto e, per ogni evenienza, quelli della camera da letto.
Nulla.
Non una goccia di
alcool in più, rispetto a quel misero terzo.
Ricordava che lì vicino
c’era un negozio di liquori e afferrò la giacca, per andare a fare un po’ di
scorta.
‘Hai sempre criticato tua sorella, perché annegava i suoi problemi
nell’alcool e ora tu fai lo stesso?’ Lo apostrofò Sherlock,
in tono risentito.
John si voltò verso il
fantasma dell’amico, furioso: “Zitto, tu! Non hai diritto di giudicare. Lo hai
perso quando ti sei lanciato dal cornicione del Bart’s, senza darmi la
possibilità di salvarti. Se tu hai deciso che l’unica soluzione al tuo problema
era ucciderti, perché io non posso fare la stessa cosa? Lasciami in pace e torna
da dove sei venuto. Non ho bisogno di te. E tu hai chiaramente dimostrato al
mondo intero che non avevi bisogno di me. E che non ti fidavi di me.”
Girò la schiena
all’amico e uscì dalla porta a passo di marcia.
Tornò poco meno di
mezz’ora dopo, con quattro bottiglie di whiskey e nulla da mangiare.
L’appartamento, però,
non era vuoto.
Un uomo di circa
quaranta anni, con una leggera barba rossiccia e profondi occhi verdi, era
comodamente seduto sul divano. Indossava un paio di jeans blu, una maglia
azzurra e una giacca nera un po’ imbottita.
John lo guardò appena,
appoggiando la sporta sul tavolo e riponendo le bottiglie al loro posto.
“Non mi sembra di
conoscerla. Se anche la conosco, non ho voglia di compagnia. Sa dove sia la
porta. Se ne vada,” ringhiò.
“Dottor John H. Watson,
ex capitano del 5th Northumberland Fusiliers Regiment. Congedato dall’esercito
con tutti gli onori a causa di una grave ferita di guerra. Ha collaborato con
Scotland Yard, insieme a Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo
esistente al mondo, in questo momento caduto in disgrazia, in ogni senso in cui
uno voglia utilizzare il termine, in quanto accusato di essere un imbroglione e
un millantatore. Lei scriveva un blog, raccontando le vostre avventure…”
“Senta, se è venuto qui
per raccontarmi la mia vita, se lo risparmi. La conosco bene. Si tolga dai
piedi, prima che mi venga voglia di sbatterla fuori, non sono dell’umore giusto
per avere ospiti,” lo interruppe John.
L’uomo non si scompose,
anzi, sorrise: “Capirà la mia sorpresa, quando uno dei miei uomini mi ha
riferito che lei lo ha ricucito, dopo che era stato ferito in un… incidente.”
“Ah. La ferita da arma
da fuoco di stanotte. Niente di che. Non volevo che sporcasse tutto il
corridoio di sangue. Non è facile da pulire e non mi sembra che qui le pulizie
siano troppo approfondite.”
“Vorrei pagarla, per il
suo lavoro.”
****
John (B)
Matthew Randall si
svegliò in un letto sconosciuto e impiegò qualche secondo per riordinare le
idee. Non era certo la prima volta che gli capitava, ma quando ricordò con chi
avesse trascorso la notte, emise un gemito di rimorso e nascose il viso nel
cuscino.
John non era
accanto a lui. Si doveva essere alzato molto presto, perché la sveglia segnava
le 7:02 e l’altra metà del letto era fredda.
Sempre con il viso
nascosto nel cuscino, Matt ricordò il periodo che John e lui avevano trascorso
in Afghanistan. Aveva sempre ammirato John, ma Tre Continenti Watson aveva
messo ben in chiaro fin dall’inizio a. di non essere gay e b. di adorare le
donne.
Quindi, per Matt
era terra inospitale. Erano amici, certo. Si raccontavano le reciproche
conquiste, ovvio. Però, fra loro, non avrebbe mai potuto esserci nulla.
Allora, che cosa
accidenti era accaduto la notte precedente?
Avevano bevuto.
Tanto. Soprattutto John. Eppure… eppure John Watson era sembrato tutto fuorché
eterosessuale.
Con un grugnito,
Matt si mise a sedere sul letto. Su una sedia lì accanto, c’erano i suoi abiti,
ben piegati, e un paio di asciugamani puliti.
“Ho davvero il
sonno pesante, per non essermi accorto di quello che ha fatto John, mentre
dormivo,” brontolò.
Era inutile
rimandare. Tanto valeva alzarsi, fare una doccia e andare da John, a supplicare
il suo perdono in ginocchio. Per quanto fossero anni che non si vedevano, non
voleva rinunciare alla loro amicizia.
A costo di
cospargersi il capo di cenere.
****
John (A)
John fissò l’uomo come
se fosse pazzo, poi scoppiò in una risata amara: “Lei mi vuole pagare?” Ripeté,
incredulo.
“Non solo. Potrei avere
bisogno altre volte dei suoi servizi. E potrei procurarle altri clienti. Sa,
nel mio campo di lavoro capitano spesso degli incidenti e non sempre negli
ospedali sono comprensivi.”
John si appoggiò al
tavolo, incrociando le braccia sul petto. Osservò l’uomo per un lungo momento,
mordicchiandosi il labbro inferiore: “Ha detto lei stesso che ho collaborato
con Scotland Yard. – riprese, parlando in modo lento – Se qualcuno ha bisogno
di cure mediche, ma non può rivolgersi a un ospedale, è perché ha fatto o sta
facendo qualcosa di illegale. Che cosa le fa credere che io non denunci lei e
il suo uomo, appena esce di qui?”
L’uomo appoggiò i
gomiti alle ginocchia e si sporse in avanti, ricambiando lo sguardo intenso di
John: “Mi dica, dottor Watson, ha informato il suo amico Gregory Lestrade del
lavoretto che ha fatto stanotte?”
“Potrei dirle di no e
averlo fatto,” John scrollò le spalle.
“Sappiamo entrambi che
non ha chiamato nessuno.”
“Potrei sempre farlo
più tardi,” insisté John.
“Io credo proprio che
non lo farà. Credo che lei si senta tradito dalla polizia, per il modo in cui
hanno trattato lei e il suo amico, dopo tutto quello che avete fatto per loro…”
“Lei non crede che
Sherlock fosse un imbroglione? Eppure lo dicono tutti i giornali.” Lo
interruppe John, in tono brusco.
“Non lo credo. Nessuno
nel mio campo crede che Sherlock Holmes fosse una frode. I poliziotti lo
pensano perché lui gli ha fatto fare la figura degli idioti troppe volte. Però,
non è questo il punto. Che cosa vuole fare della sua vita, ora, dottore? Non
credo che a Scotland Yard siano molto interessati a continuare la vostra
collaborazione. So che ha trovato lavoro part time in una clinica, ma non è uno
stipendio molto alto. Io le sto offrendo un lavoro. Ben pagato. E con il
brivido del proibito. I miei uomini non sono assassini o criminali violenti,
dottore. Ladri. Truffatori. Niente protettori né spacciatori né omicidi. Che
cosa mi dice, dottore?”
‘John! Non lo fare! Tu sei un uomo onesto, un uomo buono!’ Lo supplicò il fantasma di Sherlock.
John gli lanciò
un’occhiata torva, poi si voltò verso l’uomo reale seduto sul divano. “Accetto.
Devo mantenere il lavoro alla clinica. Per le apparenze. Il materiale medico me
lo deve procurare lei. Voglio un telefono irrintracciabile, con cui tenere i
contatti.”
L’uomo si alzò,
sorridendo soddisfatto e allungando una mano: “Affare fatto. Sarà un piacere
lavorare con lei, dottor Watson. Ho sempre amato il suo blog. Ah, mi chiamo
Robert Campbell.”
John prese la mano e la
strinse.
Il fantasma di Sherlock
lo fissava con biasimo, ma a John non importava.
****
John (B)
Matt fu attirato in
cucina dal profumo di tè. Vi arrivò titubante, non sapendo bene che cosa
aspettarsi.
John era seduto al
tavolo e stava leggendo il giornale. Davanti a lui c’erano due tazze, una
teiera, una zuccheriera, un brik per il latte e un piatto con dei croissant.
John era persino
uscito a fare la spesa e Matt non si era accorto di nulla.
‘Per fortuna non siamo in Afghanistan o a quest’ora potrei
essere morto senza nemmeno saperlo.’ Pensò Matt.
“Buongiorno?”
Salutò, esitante.
John piegò il
giornale e gli sorrise: “Buongiorno. Siediti. Sarai affamato.”
Matt si sedette di
fronte a John: “Sono confuso,” confessò, versandosi del tè.
“Ti aspettavi di
essere preso a pugni?” Ribatté John, divertito.
“Forse.”
“In realtà, mi hai
dato modo di pensare a tante cose.”
Matt prese un
croissant e lo spezzò a metà, guardando John negli occhi: “Puoi dirmi come hai
fatto a fare tante cose in così poco tempo? Se non ricordo male, eri piuttosto
ubriaco anche tu…”
“Non so. Mi sono
svegliato presto e mi sono messo a riflettere su ciò che era accaduto.”
Matt si agitò sulla
sedia, a disagio: “A proposito di quello, John…”
“Non è stata colpa
tua. Io lo ho voluto quanto te, anche se, scusa se te lo dico, non pensavo di
stare facendo l’amore con te.”
“Me ne sono reso
conto, anche se un po’ in ritardo.”
“Ho riflettuto
molto anche su quello.”
“Senti, John, so
che non sei gay, quindi…”
“Sai perché ho
sempre professato ad alta voce di non essere gay? Quando Harry, la mia sorella
maggiore, ha confessato di essere lesbica, in famiglia è stata una tragedia.
Mio padre era furioso e mia madre piangeva tutto il giorno, supplicandomi di
essere normale. Ed io lo feci. Cominciai a dire a tutti che io non ero gay.
Divenne la mia frase preferita. Il mio mantra. Lo ho ripetuto così tanto, che
ho convinto persino me stesso di non essere gay.”
Matt si strozzò con
un pezzo di croissant e iniziò a tossire furiosamente. John lo fissò, un po’
preoccupato, ma si rese subito conto che non era nulla di grave.
“Stai dicendo… –
tossì – stai dicendo di essere gay? Perché, amico, se tu sei gay, lo nascondi
molto bene.”
“No no. Non sono
gay. A me piace molto fare sesso con le donne. Però non disdegno neppure guardare
gli uomini. Sono molto attratto da un certo tipo di uomo ed ero molto curioso
di fare sesso con il mio tipo ideale. In realtà, sono sempre stato sicuro di
essere bisessuale, però capisci…”
“Se tu lo avessi
confessato ai tuoi genitori, ne sarebbe nata un’altra tragedia. Non mi sembrano
tipi progressisti.”
John annuì:
“Esatto.”
“Però, scusa, John,
i tuoi genitori sono morti. Tua sorella non ti biasimerebbe di certo, se tu
stessi con un uomo, quindi…”
“Ti ho detto che mi
piace solo un certo tipo di uomo.”
Rimarcò John.
“Uno come me?”
Sorrise Matt, accattivante.
“O come Sherlock.
Avete diversi tratti in comune.” Confermò John.
“Allora, tu e il
tuo amico…”
“Nulla. Non è mai
successo nulla, fra Sherlock e me. Io mi sono subito sentito attratto da lui,
ma Sherlock ha messo ben in chiaro fin dal nostro primo incontro che era
sposato con il suo lavoro e per nulla interessato a impelagarsi in relazioni
sentimentali, con uomini o donne, che fossero. Tenevo troppo al nostro
rapporto, per correre il rischio di perderlo solo per un po’ di sesso, così ho
represso i miei sentimenti. La frase ‘non sono gay’ è tornata a essere il mio
mantra esistenziale. Mi serviva per ricordarmi che non avrei mai potuto avere
Sherlock e che dovevo accontentarmi della nostra straordinaria amicizia, oltre
che proteggerla dalle stupide insinuazioni che tutti facevano sul nostro
rapporto. Il suo suicidio ha riportato a galla i miei sentimenti repressi. Se
mi fossi dichiarato, se gli avessi rivelato ciò che provavo…”
John si interruppe.
Chiuse gli occhi e scosse la testa. Matt allungò una mano e prese una di quelle
di John, stringendola con tenerezza: “Che cosa pensi che sarebbe accaduto, se
tu ti fossi fatto avanti?”
Il dottore riaprì
gli occhi, velati da una profonda tristezza: “Stavo per dire che forse ora lui sarebbe
ancora vivo ed io non sarei un morto che cammina. Però so che non è vero. È più
probabile che Sherlock mi avrebbe allontanato ed io non avrei mai potuto
trascorrere questi meravigliosi anni insieme a lui.”
Un silenzio carico di
dolore cadde nella cucina. Matt sapeva che era troppo presto, però ora sperava
di avere di una possibilità.
“Possiamo rimanere
amici e uscire insieme, qualche volta?” Chiese, pieno di speranza.
“Certo. Solo amici,
però. Ti sono grato per stanotte, perché avevo davvero bisogno di sentirmi
desiderato. Però, non sono pronto per una relazione sentimentale, né con un
uomo né con una donna. È troppo presto, capisci?”
Matt allungò la
mano, rincuorato e felice: “Amici.”
‘Per ora.’ Non aggiunse a voce alta.
John prese la mano
e la strinse con calore: “Amici.”
Un raggio di sole
filtrò dalla finestra della cucina. Forse il futuro di John aveva ancora la
possibilità di non essere così grigio come lui aveva pensato dall’istante in
cui Sherlock si era lanciato dal cornicione del Bart’s.
Piccolo angolo dell’autrice
I
due John hanno davvero preso strade completamente diverse. Uno è talmente
arrabbiato da non avere scrupoli a lavorare per un criminale, l’altro ha
davanti a sé un futuro che sembra più roseo, avendo trovato un amico che nulla
ha in comune con il suo passato con Sherlock.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto e a Himeko82 per la recensione.
A
domenica prossima.
Ciao
ciao.