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Autore: Urban BlackWolf    22/07/2021    2 recensioni
Possono i desideri personali, l’ambizione insita in ognuno di noi, la latente frustrazione che comporta il ritrovarsi a tirare parzialmente le somme della propria vita vedendo quanto si è dovuto rinunciare per aver fatto scelte diverse, oscurare l’amore che fino a pochi istanti prima si considerava il punto di forza di tutta la propria esistenza?
Questo Michiru non lo sa, ma lo scoprirà presto.
Sequel dei racconti:
”l'Atto più grande”
“Il viaggio di una sirena”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Amori a confronto

 

 

Il cielo si era presentato splendido sin dalle prime luci dell’alba, rafforzando quella particolare punta d’azzurro tipica dei mesi estivi man mano che il sole saliva ad inondare la spianata dove si stava svolgendo il mercato del l’Historischer Gummi. Suddiviso teutonicamente in sezioni tematiche, i banchi formavano come una specie di cittadella dalle coperture di cerata bianca servita da corsie dalle indicazioni ben curate scritte in triplice lingua e dove ogni tanto qualche grosso albero regalava ombra e refrigerio. Ai quattro angoli di quella sorta di rettangolo allungato, si trovavano i punti ristoro con annessi servizi igienici e tutto era ordinato e composto grazie ad un continuo servizio di pulizia.

Nonostante l’ovvio caldo e il gran via vai di persone ad Haruka quel posto aveva dato sin da subito un senso di tranquillità tanto che camminando pian piano fra i suoi stand, era in parte riuscita a razionalizzare la discussione che la sera precedente aveva avuto con Michiru. Già, Kaiou e la sua colossale sfuriata che aveva imprescindibilmente messo a cuccia il nervosismo di una bionda che a distanza di anni, ancora non riusciva a capire il perché la compagna non riuscisse mai a portarsi dietro una power bank. Da che si trovava in una posizione di vantaggio, Tenou era incredibilmente finita con lo stringere il coltello dalla parte della lama.

Per reazione alla mancata telefonata con Michiru, la bionda aveva infatti invitato Martah Holland a cena e fino qui non v’era stato nulla di male; serata piacevole, buon cibo e compagnia rilassante, tanto che l’arrabbiatura verso Kaiou era andata scemando man mano che i minuti passavano e la conoscenza tra le due donne cresceva. L’ungi dunque pensare che al suo ritorno al b and b avrebbe dovuto difendersi dall’ira funesta di una erinni inferocita.

“Ma si può sapere perché diamine non hai risposto ai miei messaggi? Ero preoccupata da morire!” Le aveva inveito contro quando finalmente, accortasi della sfilza di vocali e di ben due chiamate perse, una bionda appena rientrata si era degnata di telefonarle.

“Scusa Michiru, ma non le ho proprio viste.” Aveva risposto preannunciando l’ennesimo scambio di ruoli che da li a qualche secondo l’avrebbe portata dalla ragione al torto marcio.

“Me ne sono accorta! Ho anche chiamato tua sorella! Perché non mi hai detto che saresti rimasta a Sion!”

“Non eri raggiungibile, Kaiou! Altrimenti ti avrei detto che pernottavo qui.”

“Mi si è scaricata la batteria. Non l’ho certo fatto apposta.”

Un appiglio che Haruka aveva afferrato con tutte le sue forze. Togliendosi le scarpe facendole volare per la stanza, aveva contrattaccando riesumando la solita manfrina sul perché non girasse mai con una power bank nella borsa.

“Sbaglio o non è la prima volta che ti dimentichi di mettere in carica il cellulare?!”

“Vuoi veramente discutere su questo?!”

“Ok, abbiamo avuto entrambe una svista.”

“Si, ma la differenza sta nel fatto che eri TU a dover tornare a casa in moto, non IO. Già ti vedevo caduta chissà dove!”

“O Dio, Kaiou! Sempre questa storia! Saprò guidare una moto dato che per vivere faccio anche questo.” Aveva svicolato sapendo quanto fosse in difetto, non tanto per il tragitto sulla sua Ducati, quanto per il fatto che ritrovandosi a cena in un posto chiassoso ed in buonissima compagnia, non aveva ne sentito il cellulare, ne pensato ad usarlo per provare a ricontattarla.

“Perfetto! Allora visto che stai bene posso tornare al tavolo!” E il tono della voce di Kaiou era stato talmente freddo da raggiungere la schiena della bionda in una frazione di secondo.

Guardando l’ora sul quadrante del suo orologio da polso, Haruka aveva aggrottato la fronte domandandole dove fosse e alla risposta, ad una cena di lavoro, non aveva potuto fare altro che chinare la testa attendendo che la compagna la salutasse frettolosamente. “Buonanotte Haruka.”

“Buonanotte Michi.” Ma nulla, al diminutivo con il quale la chiamava nei momenti più dolci, Kaiou aveva reagito attaccandole senza aggiungere altro.

Mani in tasca a camminare lentamente con lo sguardo leggermente insofferente, la bionda incassò le spalle procedendo per uno dei tanti corridoi. Anche Michiru la sera precedente era andata a cena con gente nuova e conoscendola, sicuramente si era appassionata nel parlare ed ascoltare di arte, proprio come aveva fatto lei con Martah portando avanti discorsi sui motori fino a tarda sera. Sospirando Haruka si fermò davanti ad un banco guardando svogliatamente delle foto di auto customizzate. Si sentiva triste. Lo era stata per tutta la notte, affrontata arrabbiata e passata anche peggio. Lei e Michiru erano ancora legate, questo era un fatto, altrimenti nessuna delle due si sarebbe imbestialita con l’altra per una semplice telefonata mancata. Qualcosa però non andava per il verso giusto. Possibile che il loro amore non bastasse più a smorzare le loro passioni tanto diverse? Caratterialmente avevano ormai trovato un punto d’incontro, ma i loro interessi sarebbero risultati sempre incompatibili.

E se prendessi il primo aereo e la raggiungessi a Stoccolma? Si era detta durante il corso di quelle interminabili ore notturne. Così come ho fatto per Atene.

Ma in cuor suo Haruka sapeva che questa volta sarebbe stata un’azione inutile e forse anche controproducente. Michiru non era scappata per risolvere chissà quale problema, stava semplicemente cercando di realizzare un sogno che anche se complicato la bionda non poteva far altro che appoggiare. Tutto sommato avrebbe potuto resistere qualche settimana senza Kaiou a gironzolarle intorno pronta a derubarla dei suoi franchi con l’ausilio di un fottutissimo barattolo di vetro, ma dopo? Cosa sarebbe successo se avesse ingranato la marcia giusta verso la via del successo o più semplicemente si fosse lasciata ammaliare da un ambiente molto più simile a quelli che l’avevano vista crescere, piuttosto che a quello che la vedeva attualmente vivere in una modesta città di provincia? Era una domanda questa che Haruka non poteva non porsi, soprattutto alla luce di tutti i compromessi che la compagna aveva fatto da quando stavano insieme.

Rimuginando, Haruka non si accorse dell’arrivo di Martah. Con un colpo di palmo alla spalla destra l’altra si spostò rapidamente alla sua sinistra lasciandola a guardarsi intorno spaesata.

“Hei! Ti stai divertendo?” Chiese la donna più giovane venendosi finalmente inquadrata.

“Ciao. Si.”

“Ma non hai ancora trovato niente, giusto?”

Arpionandosi i fianchi Haruka chinò la testa da un lato sorridendo furbescamente. “Non eri tu che dovevi farmi da Cicerone?”

“Hai ragione, scusa. Ma con papà ci siamo fermati a comprare qualche pezzo interessante. Ti posso però dire di aver visto quelle persone delle quali ti ho parlato ieri.”

“Davvero?”

“Si! Dai, ti ci porto.” Disse afferrandole d’impulso la mano destra.

A quel tepore dato dalle prime ore passate sotto al sole, Tenou non si ritrasse, anzi lo accettò contraccambiando lievemente la stretta. Non era mai stata un tipo da complicità fisica, abbracci o coccole, persino con sua madre, quando da ragazzina la vedeva avvicinarsi per abbracciarla e baciarla sulla fronte o con una sorella italiana appiccicosa piombatale tra capo e collo un’estate di qualche anno prima. Solo verso Michiru sentiva il continuo e fortissimo desiderio di contatto, anche veloce, dato di sfuggita sull’uscio di casa prima di salutarsi per andare al lavoro.

Per non parlare del fatto che a parte la sua prima relazione, dove l’ovvia incertezza sul come approcciarsi ad un sentimento come il desiderio l’aveva relegata al ruolo di novellina con una ragazza più grande e matura, era sempre stata lei a prendere l’iniziativa. Era questa la sua natura e non aveva mai avuto problemi nel seguirla.

Guardando i capelli castani di Martah ondeggiarle sulle spalle fasciate da una semplice canottiera blu con sulla schiena una grande H come logo della famiglia Holland, la bionda serrò la mascella spostando lo sguardo alle loro mani unite. Cosa mi prende? Si domandò quasi con stizza.

Haruka non sopportava il non riuscire ad arrivare velocemente alla risoluzione di un problema. La sua mente matematica era sempre stata in grado di aiutarla, anche in campo affettivo. Questa volta invece, sembrava averla totalmente abbandonata.

“Guarda…, sono a quel banco.” La richiamò l’altra fermandosi di colpo per indicare con la mano libera lo stand dei suoi conoscenti.

Non avendo ancora capito se quella stretta le piacesse o la stesse semplicemente mettendo in difficoltà, Haruka ne approfittò per scioglierla.

“Va bene. - Disse laconica tanto da far corrugare la fronte dell’altra. - Andiamo?” E senza pensarci su si fiondò verso i banchi lasciando Martah qualche metro indietro.

 

 

Percorrendo con il blu profondo del suo sguardo il perimetro della sala che avrebbe accolto le sue opere, Michiru ebbe un fremito di pura soddisfazione. La sezione a lei dedicata era ancora solo una fantasia, ma almeno dopo giorni d’inutile ozio stava finalmente riuscendo a concentrarsi tanto da riuscire a vedere con la mente come sarebbe potuto diventare quello spazio una volta arricchito con i suoi quadri. Bello, bellissimo. Colorato, coloratissimo. Sobria danza del suo essere tra luci ed ombre sapientemente studiate. Avendo parlato molto con Philip, era riuscita a capire tante cose del suo modo di lavorare e pur se diversi nell’approcciarsi ad un allestimento, era sicura che il collega avrebbe svolto un ottimo lavoro. Dalla sensibilità fuori dal comune, l’uomo sarebbe sicuramente riuscito ad esaltare opere che con la tematica della temporanea non c’entravano praticamente nulla o quasi. E questo la rassicurava.

Facendo risuonare i tacchi delle sue scarpe sul marmo chiero della sala, Michiru ricordò la cena della sera precedente ed i discorsi ascoltati con avida curiosità sulle ultime esperienze di Kristen e del maestro Marinof. Quei due avevano talmente dato tanto al mondo dell’arte contemporanea e lei così poco, che si sentiva un cucciolo in balia degli elementi. Ma era ovvio e lei lo sapeva. La cosa che però ancora non riusciva a capire era un’altra, sicuramente più semplice, ma allo stesso tempo fondamentale per l’ottima riuscita di una temporanea come quella. Ovvero lo stile.

Tralasciando la carriera ed i successi, le sue opere erano strutturalmente talmente diverse da quelle degli altri due, che se fosse stata lei l’allestitrice, sarebbe andata incontro ad una marea di problemi. Le mostre moderne, quelle perciò nate nel nuovo millennio, avevano sempre un filo conduttore che legava le opere al loro interno. Lo si faceva per aiutare i visitatori nella loro comprensione, per gli artisti e per cento altre cose non meno importanti delle prime due. Per Kristen era l’essere stata allieva di Gustaf ed avere perciò improntato tutta la sua carriera sulla stessa corrente artistica dell’uomo, aver lavorato in posti simili e l’usare alcuni materiali in comune, soprattutto per le sculture. Ma per Kaiou? Come avrebbe fatto Marson a collegarla alla mostra non avendo nulla a che fare con gli altri due? Questo quesito, sorto proprio perché curatrice lei stessa, le stava dando da pensare.

La gentilezza di Kristen nel volerla coinvolgere in quel progetto esulava sia un’amicizia, comunque ancora non matura, che la pura corrente artistica. Anzi, spesso in quei giorni, la sua freddezza e le continue paturnie perfezioniste del maestro le avevano dato come l’idea che la sua presenza fosse un po’ forzata e più Michiru cercava di scacciare quella che per lei sarebbe stato un colossale avvilimento e più questa le martellava le tempie costringendola a rimuginarci su.

Uscendo dalla sala per entrare nell’ultima assegnata a Kristen, vide Philip ben ritto in piedi prendere delle misure stringendo un piccolo puntatore laser nella mano destra e sorridendo le venne in mente Giovanna.

“Vuoi una mano?” Chiese avvicinandosi mentre lui non staccando gli occhi dal display, scuoteva leggermente la testa in senso di diniego.

“Generalmente gli artisti non danno una mano al curatore.” Articolò con una matita ben serrata tra le labbra.

“Vero, ma alla bisogna...” Insistette sbirciando il block notes che aveva momentaneamente bloccato sotto l’ascella.

“Non mi dire che in quel di Castel Grande, la Dottoressa Kaiou si fa aiutare.”

“Assolutamente si. Lavoro con un’amica e mi piace molto. - Ammise afferrando il blocco tra pollice ed indice. - Posso?”

Continuando a guardare il rilevatore metrico lui rilassò la spalla. “Prego.”

“Non è per impicciarmi, ma per me è tutta esperienza.”

“Lo so e ti ammiro per questo.”

Accettando il complimento Michiru iniziò ad analizzare gli schizzi del collega entrando in modalità studio. Tralasciando un’ovvia diversità di stile nel disegnare, la donna notò subito con quanta meticolosità Philip riportasse al lato dei fogli le idee più disparate e questo la stupì, perché in nessun altro collega uomo aveva mai trovati una cosa così tipicamente femminile.

“Sembrano i miei appunti.” Se ne uscì passando lo sguardo dal blocco alla schiena di lui.

“Ne sono lusingato.”

“A che punto sei?”

“Ho appena iniziato. Visto l’estrema confusione mentale del signor Marinof, ho deciso di partire con le sale della signora Kocc. A proposito; abitando nella stessa città qualche volta abbiamo avuto modo d’incontrarci nei circoli culturali, ma lavorativamente parlando com’è?”

“Molto particolare.”

“Ho capito… Sarà dura anche con lei.” Lamentò continuando a guardare alternativamente il display dell’apparecchio e il muro bianco a qualche metro da loro.

“Ti posso consigliare di evitare il numero sette e di non eccedere mai con le lusinghe o l’entusiasmo. Non ama che si alzi la voce o ci si agiti per nulla. Per il resto… lascia abbastanza liberi.” Disse ricordando che proprio quello stesso collega che adesso le stava chiedendo delle informazioni, un paio di giorni prima aveva asserito tronfio di saper trattare con ogni tipologia di artista.

E’ una parte del mio carattere; aspetto sul greto il così detto cadavere e li lascio sfogare. Allora sarò io ad avere l’ultima parola. E’ sempre così con questa gente, aveva tagliato ferale lasciandola di malumore.

Questo non è il tuo carattere Philip, è paura. E ce l’abbiamo tutti, pensò Michiru provando tenerezza.

“Tu hai risolto con l’amministrazione?” Le chiese allungando la mano per riavere il blocco.

“Non ancora. E’ abbastanza frustrante gironzolare senza meta aspettando di poter firmare un contratto per inviare i miei quadri.”

Voltando leggermente la testa verso la donna, Philip sorrise forzatamente polverizzando all’istante l’enorme spocchia che l’aveva accompagnato da quando si erano conosciuti. “Allora se vuoi aiutarmi…”

Vedendosi allungato nuovamente il blocco, Michiru s’illuminò. “Ti ringrazio. Odio sentirmi come un pesce in un acquario.” Se ne uscì tanto spontaneamente che l’uomo finalmente si decise a darle gli occhi.

Quello che Kaiou vide la fece trasalire.

 

 

Verso l’ora di pranzo si recarono alla caffetteria del museo per mettere un boccone sotto i denti. Avevano lavorato bene insieme, concentrati ed efficienti, come se fosse una quotidiana normalità. Scambiandosi idee e godendo della reciproca affinità, erano riusciti a buttar giù parecchie idee che grazie all’esperienza di Michiru con Kristen, all’artista sarebbero sicuramente piaciute. E tutto nel continuo via vai di pallet carichi e facchini estremamente rumorosi.

Quando il viso di Philip aveva rivelato un grosso ematoma bluastro all’altezza della palpebra destra, Michiru non aveva battuto ciglio. Intuendo cosa potesse essere successo, socchiudendo gli occhi si era limitata ad incrociare quelli estremamente titubanti di lui, non ritenendo però quello il luogo più adatto per chiedergli qualcosa. Così aveva semplicemente fatto finta di nulla provando a stemperare con il lavoro il profondo imbarazzo che quella tumefazione aveva provocato ad entrambi.

Ora però, passate tre ore abbondanti e seduti in un posto grazioso e discreto, la donna non poté esimersi dal non chiedere.

“Non ci crederai mai! Ieri sera di ritorno verso casa, la ruota anteriore del mio monopattino ha preso una buca e mi sono ritrovato a terra come un idiota! Avessi visto la scena.” E giù una risata quasi isterica che a Michiru sembrò talmente costruita da essere grottesca.

“Mi dispiace…”

“O non devi. La colpa è mia che sono un distratto cronico.” Disse Philip afferrando il sandwich che aveva deciso di consumare assieme ad un buon picchiere di sidro.

“Ho capito. - Rispose imitandolo. - Per fortuna che questa volta avevi i guanti half finger, altrimenti nella caduta ti saresti rovinato le mani.”

Un attimo e portando lo sguardo dal panino alle nocche, il collega si bloccò permettendole di continuare.

“Ho visto che non li usi e se fossi veramente caduto su uno dei selciati cittadini, nell’impatto ti saresti certamente scorticato le dita. - Ammise rivelando l’estrema facilità che aveva nel sapere analizzare gli avvenimenti. - Scusa se mi permetto, ma purtroppo ho una certa esperienza con questo tipo di segni e questo..., ha poco a che vedere con una caduta.”

Portando l’indice della mano sinistra verso lo zigomo dell’uomo, strinse le labbra non arrivando però a toccarglielo. “Lo so che non ci conosciamo e sono la prima a pretendere dagli altri la stessa privacy che in genere do, ma so anche come spesso con un estraneo ci si senta più liberi di parlare dei propri problemi.”

“Problemi!? - Esclamò lui scoppiando in una sguaiata risata di conferma. - O su dottoressa… , non guardi là dove non c’è nulla.”

“Del lei?” Chiese iniziando a mangiare non scomponendosi neanche un po’.

Questo ebbe il potere di sciogliere la cortina difensiva umanamente messa su dall’uomo che posando il panino sul piatto si ritrovò a sospirare pesantemente. “Che pessima impressione di me ti sto dando.”

“Perché sei umano? No guarda, non sono il tipo di persona che ne giudica un’altra solo per un momento di fragilità.”

Un secondo sospiro e Philip tornò a guardare Michiru dritta negli occhi.”Non è colpa sua. Non era così quando ci siamo conosciuti.” Disse perdendo le iridi castane alle vetrate poco oltre, dove gli alberi del giardino interno stavano ospitando sotto le loro chiome una lezione ludica.

“Certe volte vorrei tornare un ragazzino. Tu?”

“No. Ho molta più libertà ora di quando avevo quindici o vent’anni.”

“E’ vero, ma le cose erano più semplici.”

“Forse si, ma quello che ho adesso non lo scambierei per nessuna regressione temporale.” E sicura tornò a fissarlo con intensità.

“Io invece sono arrivato a pensare che se potessi…, percorrerei strade totalmente diverse.”

Philip aveva gli occhi stanchi, come uno che ha saltato a piè pari una buona notte di sonno e leggeri sprazzi di barba suggerivano che non si era preso neanche la briga di curarsi il viso come invece gli aveva sempre visto fare in quei pochi giorni di conoscenza. Il sorriso tronfio e lo sguardo sicuro erano stati soppiantati da una specie di tristezza che Michiru riuscì a focalizzare solo quando l’altro iniziò a raccontare di se.

“Non era così all’inizio e non avrei mai pensato che la nostra storia si sarebbe tramutata in un incubo …” Ammise.

“Viviamo insieme da tre anni in una casa molto carina vicino al porto. Ci piaceva tanto svegliarci con il fischio delle navi in lontananza, i gabbiani e le onde del mare infrante sugli scogli. Lo trovavamo romantico. Siamo andati a vivere li proprio per questo, pur essendo una zona lontana dai nostri amici e dai circoli culturali che frequentavamo. A pensarci bene, forse quello di staccarci da tutto e da tutti è stato il nostro primo errore. Ma volevamo vivere la nostra favola e tutto il resto ci sembrava superfluo.”

Incatenando il suo sguardo a quello di Michiru cercò conferme che però la donna non riuscì a dargli. Lei ed Haruka non si erano mai rinchiuse in una bolla lasciando il mondo fuori, neanche i primi tempi della loro relazione, anzi, a parte gli ovvi momenti privati, avevano sempre cercato di conoscere cose nuove e mantenere per quanto possibile i rapporti con tutte le loro vecchie conoscenze.

“Simon ha un carattere eclettico e curioso. E’ uno scrittore, sai?! Vedessi com’era orgoglioso dopo la pubblicazione del suo primo libro. I suoi genitori non hanno mai accettato la nostra storia e riuscire in quel romanzo ha rappresentato una rivincita per il suo animo. Era tutto fantastico. Lui era fantastico. Forte, intelligente, così bello e aitante da far tremare i polsi di uomini e donne. Biondo, alto, con gli occhi chiari di un dio nordico. Ero totalmente preso d’accettare addirittura di lasciare la pittura per restargli accanto e sostenerlo.”

“In questi giorni mi sono spesso chiesta come potessi esserti avvicinato al mondo dell’arte.”

“Dipingevo, si. Quando ci siamo incontrati anche la mia carriera stava per decollare, ma Simon non riusciva a concentrarsi nel sapermi in procinto di esporre e così ho deciso di mollare tutto.”

Corrugando la fronte, Michiru non volendo iniziò a sovrapporre la storia di Philip con la sua. Scansando le similitudini fisiche che la sua bionda compagna poteva avere con Simon, Haruka non l’aveva mai messa di fronte ad una scelta, ne quando si era ammalata e ne avrebbe avuto tutti i diritti, ne quando Kaiou si era sentita costretta ad abbandonarla per andare ad Atene, ne tanto meno ora, in quella folle avventura nata per riavviare la sua carriera di pittrice.

“Dopo la mia scelta, per i primi tempi è andato tutto bene; il mio nuovo lavoro come curatore e la sua scrittura. Ma alle prime critiche sul suo secondo romanzo, Simon è cambiato. Ha iniziato a frequentare il giro dei naith diventando non soltanto schiavo dell’alcool, ma anche delle droghe. E quando non è più in grado di ragionare…” Con la voce colta da un fremito, Philip s’interruppe di colpo abbassando la testa.

“… diventa violento?” Chiese Michiru sapendo già la risposta che le arrivò grazie ad un impercettibile assenso.

Ecco spiegato il mistero dell’occhio. “Non lo fa apposta! Lui è dolcissimo quando è sobrio o non si riempie il corpo con quelle porcherie. Lo sa che sbaglia ed è per questo che dopo avermi chiesto perdono prova sempre ad uscirne. Mi puoi capire?”

Michiru ci rifletté un attimo per poi scuotere dolente la testa. “Purtroppo no, Philip. Il mondo delle droghe mi ha sempre spaventata, così come il non poter essere in grado di mantenere il controllo e non riuscirei mai a stare con una persona che ne fa uso. Vedi, non parlo solo per partito preso, ma per esperienza. Inoltre… - Provando le parole più adeguate iniziò a far tintinnare un unghia sul vetro del suo bicchiere. - … Inoltre a differenza di quanto fatto dal tuo Simon, la persona con cui attualmente ho una storia mi ha sempre incoraggiata nell’intraprendere questa strada. Non che non abbia paura che il distacco possa mettere alla prova la nostra relazione o che non smani per la mia mancanza, ma si forza. Un po’ come cerco di farlo io ogni volta che la so lanciata a trecento all’ora su una moto da collaudare. - Stringendo le labbra Kaiou storpiò il viso desolata. - Anche se devo ammettere di non riuscirci molto bene.”

Staccando il contatto con il freddo del bicchiere, Michiru tornò a concentrarsi sul problema dell’altro. “Ma non è questo il punto! Quello che vorrei farti capire è che in un rapporto non dovrebbero mai esserci degli ultimatum.”

“Evidentemente hai trovato un uomo capace di assecondarti.” Rispose lui grattando la voce.

“Forse è proprio perché non sto con un uomo che la questione è più semplice. Lasciatelo dire, ma alle volte siete un po’ egoisti.”

Lui la guardò come se non credesse alla sua omosessualità e Kaiou si sentì in dovere di continuare. “Haruka è una donna testarda e volesse il cielo se alcune volte riesco a capire cosa diamine le passa per la testa, ma ci amiamo e pur essendo tutto il mio mondo ed io il suo, non ci siamo mai ostacolate nel portare avanti i nostri rispettivi interessi. Ma qui non si sta parlando di noi, ma di voi. Cosa credi che succederà la prossima volta che Simon perderà il controllo?” Chiese ferale schiacciando la schiena alla traversa della sedia GIA che stava occupando dall’inizio del pranzo.

Lui non rispose subito. Cercando di mantenere saldi gli occhi tornò a mangiare. Non poteva controbattere nulla, perché quella donna aveva ragione come lo avevano tutti gli amici con cui nel tempo aveva discusso nel vano tentativo di difendere l’indifendibile. Rimanere accanto ad un uomo fortemente instabile era diventata una sfida quotidiana ormai improponibile e da persona intelligente se ne rendeva perfettamente conto.

“Non so che fare Michiru…”

“In realtà non è vero.”

Alzando di scatto il viso la guardò quasi con cattiveria. “Dovrei forse lasciarlo?”

“Non ho detto questo e francamente non saprei come uscirne neanche io, ma una cosa la so… , avete bisogno d’aiuto, perché rimanendo in stallo rischi solo di farti trascinare giù con lui.”

“Non ho intenzione di attaccarmi ad una bottiglia, se è quello che pensi!”

“No…, non lo penso affatto Philip, ma oggi è solo un occhio, domani potrebbe essere un braccio o qualcosa di peggio. - Posando i gomiti sul vetro del tavolinetto che stavano occupando iniziò a far ruotare la fede che aveva all’anulare sinistro. - Vedi… basta un attimo perché i tuoi sogni s’infrangano e tu sei una persona troppo talentuosa ed intelligente per lasciare che questo accada.”

Ma lui quell’ultima frase non la capì e come avrebbe potuto non conoscendo affatto la storia personale della donna che gli stava sedendo davanti? Non comprese, anzi per togliersi dall’empasse di quel discorso scomodo, desinò il più velocemente possibile finendo molto prima di lei e quando una volta pulitosi la bocca stava per aprirla e congedarsi, la figura di Kristen apparve alle sue spalle.

“Philip! - Chiamò freddamente fissandogli la testa castana. - E’ il caso che tu vada alla prima sala. Il maestro vuole parlarti.”

Fu un’apparizione talmente improvvisa e quell’ordine tanto perentorio che il curatore non poté far altro che alzarsi, salutare una più che stupita Michiru e dileguarsi verso l’ala delle temporanee quasi correndo. Sbattendo le palpebre un paio di volte Kaiou lo guardò sparire come inseguito da una folgore alata.

“Kaiou-san… - E una lama avrebbe tagliato meno. - … ti consiglio di non farti coinvolgere. Tra non molto il tuo contratto sarà pronto e non c’è alcun bisogno di perdere energie dietro alle cause perse.”

Più che per il consiglio non richiesto, Michiru rimase abbastanza interdetta per il soggetto. Allora Kristen sapeva di Philip e della sua storia travagliata con il compagno. Forse ha solo notato l’occhio e proprio come ho fatto io ha tirato le somme, si disse vedendola allontanarsi senza aggiungere altro, ho forse lo sa perché si conoscono.

Di getto tirò fuori il cellulare desiderosa di mandare un messaggio ad Haruka. Tutto il discorso imbastito dal collega sulle varie rinunce affrontate per amore del suo compagno le avevano gettato addosso una strana sensazione di tristezza e gratitudine. Voleva dire alla sua bionda quanto le mancasse e quanto l’amava. Compose così uno dei suoi pragmatici messaggi tornando poi al suo frugale pranzo.

Poggiata con la schiena al tronco di un albero che si ergeva ad un lato della spianata del l’Historischer Gummi, Haruka scattò il collo all’indietro improvvisamente ritornata in se. Dopo qualche istante il suono di una notifica la fece voltare verso il suo fianco destro. Posando la mano sulla spalla della donna davanti a lei l’allontanò un poco in maniera dolce, ma ferma, permettendo così al suo viso di liberarsi dal calore di quello dell’altra.

“Aspetta Martah… Non è il caso.” Disse toccando con le dita il cellulare dimenticato nella tasca posteriore dei suoi jeans.

   
 
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