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Autore: Katekat    26/07/2021    0 recensioni
Nulla ci rende così soli come i nostri segreti.
Paul Tournier

[Un giorno come tanti in casa Black]
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Druella Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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The Kids are doing fine
 
 
 
 
 
1.

The Atom will implode
 the fragile Kingdom fall   

[Andromeda, Bellatrix]
 
 
 
Caro Teddy,
questo conto alla rovescia mi sta logorando. Essere costretta a stare qui, con la mia famiglia – con Bellatrix – mi risucchia qualsiasi energia. L’unico pensiero che mi risolleva un po’ l’animo è l’imminenza della nostra fuga… Non vedo l’ora di poterti riabbracciare e di allontanarmi per sempre, al tuo fianco, da tutto ciò che sono costretta a sopportare qui… Con quello che mi hanno dato gli zii per Natale, ho messo da parte un bel po’ di Galeoni e qualche Zellino. Non so se basteranno; lo spero. Nessuno sospetta nulla. È sembrato solo un po’ strano che quest’anno abbia insistito per utilizzare il vecchio calderone e tutto l’occorrente per Pozioni di Bellatrix; finora avevo sempre voluto roba di prima mano, dai libri alle piume. Solo Sirius lo sa, ma Sirius è persona fidata, non aprirà bocca con nessuno. Mi fido di lui più di qualsiasi-

– A chi stai scrivendo?

La testa ricciuta di Andromeda sussultò, sollevandosi di scatto dalla pergamena sulla quale l’inchiostro color lapislazzulo si stava lentamente assorbendo. Dalla soglia, una spalla abbandonata contro lo stipite, Bellatrix la osservava con sguardo ferino attraverso le palpebre socchiuse. Nonostante le temperature quasi estive, era avvolta dalle consuete lunghe vesti nere.

Non sono affari tuoi, avrebbe voluto sbottare Andromeda; si morse la lingua. 

– A Madama Pince; mi servono in prestito nuovi libri di Divinazione.

Una smorfia storse le labbra pallide di Bellatrix. Scoppiò in una risata beffarda, rovesciando indietro la testa. Andromeda approfittò di quell’attimo di distrazione per far scivolare molto cautamente la pergamena giù dal ripiano della scrivania, lontano dalla sua vista.

– La solita secchiona… Sei in vacanza, per Salazar! O speri di diventare abbastanza intelligente così che quel piccolo bastardo di Sirius si accorga di te?

Andromeda arrossì furiosamente. Bellatrix si staccò dalla soglia e in poche lunghe falcate coprì la distanza che la separava dalla sorella minore. Le fece sventolare una mano quasi sotto il naso, palmo verso l’alto. – Dà qua, fammi vedere.

Andromeda fissò la mano, instupidita; pulsava di rabbia ed umiliazione.

Bellatrix scoppiò di nuovo a ridere.

– Ma guardati. Sembri un povero pesciolino appena pescato. – Aprì e chiuse la bocca più volte senza parlare, in una perfetta quanto crudele imitazione di agonia silenziosa. – Un piccolo, stupido pesce. Dammela!

Si protese in avanti con uno scatto ferino, strappando la pergamena che Andromeda teneva in grembo prima che lei potesse anche solo accennare una difesa. Poi balzò di nuovo via con un ululato di vittoria.

– Restituiscimela subito, non sono affari tuoi! – urlò Andromeda, saltellandole intorno con le mani protese verso l’alto, cercando di riappropriarsi della lettera. Ma Bellatrix, che era più grande e più alta, la teneva senza sforzo ben al di fuori della sua portata, ridendo. A un certo punto Bellatrix le premette un gomito sulla gola, inchiodandola contro la parete.

Da quando sua sorella era diventata così veloce e così forte? Non ebbe il tempo di chiederselo. Continuando a tenerla ferma, Bellatrix si scosse i lunghi capelli, si schiarì sonoramente la voce e spiegò la lettera davanti a sé con entrambe le mani per poter legger meglio, ignorando il gorgoglio di disperazione che proruppe dalla gola irrigidita di Andromeda.

Le pupille divorarono le prime righe e, man mano che scorrevano verso il basso, l’espressione sul suo volto si tramutò: da trionfo in disappunto e, infine, disgusto.

Lanciò uno sguardo fiammeggiante alla sorella, le sopracciglia sollevate, e ripetè ad alta voce:

“… è fantastica questa storia degli atomi! Nessuno mi aveva mai detto che siamo fatti noi tutti – io, ma anche il Platano Picchiatore, e le case, e Mrs Purr e il cielo e le stelle, e chissà se il fantasma di Tosca Tassorosso perfino! – di tante minuscole, invisibili particelle che si chiamano atomi… Ed è affascinante che il loro nome significhi “indivisibile”. Lo trovo… romantico…”

Bellatrix si interruppe, evidentemente troppo disgustata per continuare.

- Questa sarebbe la tua richiesta per i libri di Divinazione? – la schernì. – Cosa c’entra questa roba con Divinazione? Dove ti sei riempita la testa di queste baggianate? Non sono cose che mamma e papà ti hanno sicuramente insegnato, e neppure a Storia della Magia o a Trasfigurazione ne ho mai sentito parlare. Stai troppo tempo con quei tuoi amichetti Babbani, saranno stati loro a raccontarti queste frottole… Bah!

Accartocciò in una mano la pergamena e la scagliò contro Andromeda, colpendola su una guancia.

– Mi annoio. Voglio andare al lago. Vuoi venire?

Andromeda scosse la testa senza dire nulla, trattenendo lacrime di rabbia e terrore. Bellatrix sbuffò contrariata, roteando teatralmente gli occhi. Solo allora la lasciò andare. Le voltò le spalle e marciò fuori dalla stanza senza aggiungere altro. Andromeda staccò il dorso e si lasciò scivolare lentamente sul tappeto, abbracciandosi le ginocchia come una bambina.

Rimase così a lungo, la fronte reclinata sulle cosce. Quando fu sicura che Bellatrix non sarebbe tornata, raccolse lentamente il foglio che lei aveva indegnamente sfatto e lo dispiegò sul pavimento. Prese una piuma, intinse la punta nell’inchiostro e, ancora tremante di spavento e rabbia, aggiunse in fondo:

E comunque… l’atomo imploderà, prima o poi. Il fragile regno della materia cadrà. Tutto andrà in fumo.”

Mentre incideva con astio queste parole sul foglio, lasciò scivolare l’altra mano in tasca. Un fuggevole sorriso di vittoria le sfiorò le labbra.

Lì custodiva, accartocciata ma salva, la lettera per Teddy.
 
 
 
2. 

And as the two of us rebel
 damn you all to hell…
I wonder is that's all there is

[Sirius, Andromeda]
 
 
 
Faceva davvero caldo quel giorno. Nonostante fosse appena l’inizio di aprile, sembrava quasi di essere in piena estate. La collina sulla quale, quasi un secolo prima, era stata edificata la residenza estiva dei Black, appariva strinata dai raggi impietosi del sole di mezzogiorno; gli alti steli d’erba frinivano di uno sciame invisibile di piccoli insetti, le cui carcasse rinsecchite restavano a marcire negli anfratti dei tronchi d’ulivo e sotto le rocce. L’unica nota di colore a interrompere il verde stinto dell’erba era il laghetto incastonato alle pendici del versante sud della collinetta; l’azzurro di quella losanga smussata rifletteva la danza impercettibile delle nuvole in cielo, movimentata talvolta solo da qualche volo rapido di uccelli.

Dall’alto della sua postazione, occhi socchiusi, braccia incrociate mollemente dietro la nuca, Sirius osservava la superficie lontana dell’acqua; i riflessi del sole sulle foglie d’ulivo su cui era appollaiato piroettavano sul suo corpo come una pioggia di monetine. Si era tolto la camicia, rimanendo in calzoncini Babbani – di quelli che sua madre detestava, regalo di James. Nulla in lui avrebbe potuto tradire l’aristocratico giovane Mago di una delle più nobili Casate – a parte forse quel nonsoché di beffardamente altero intorno alle narici e alla piega delle labbra che sua cugina Andromeda, affettuosamente, amava rinfacciargli. Per il resto, avrebbe potuto benissimo essere scambiato per un qualsiasi scontroso adolescente Babbano mortalmente annoiato.

Stava per arrotolarsi una sigaretta – tabacco Babbano, anche quello prezioso omaggio del Signor Potter – quando sentì delle voci avvicinarsi sull’onda della brezza.

– Posso venire a fare il bagno con te, Bellatrix?

Tese l’orecchio; aveva riconosciuto la vocetta stridula di suo fratello Regulus. Il suo tono implorante gli strappò un ghigno. Leccò la carta della sigaretta prima di sigillare bene il piccolo cilindro compatto, dopodiché la accese e se la infilò tra le labbra. La prima boccata era sempre la migliore, riflettè, abbandonandosi di schiena nell’incavo a forma di fionda in cui divergevano i due grossi tronchi del mite ulivo che gli faceva da culla. Sentì qualche insetto formicolargli su un piede.

Le voci si avvicinarono.

– Non sai nemmeno nuotare, nanerottolo. Mi saresti solo d’intralcio. Sparisci.

Una flebile protesta si levò ancora da parte di Regulus.

Sirius ruotò la testa di centottanta gradi, sbirciando tra il fogliame. Nell’erba comparve la chioma arruffata di Bellatrix, vestita come sempre di nero. Fendeva l’erba con rabbia annoiata, come una bestia in gabbia ansiosa di trovare un diversivo su cui sfogare la sua frustrazione. Dietro di lei, a qualche metro di distanza, arrancava Regulus. Era sempre stato di corporatura esile per la sua età; quasi spariva tra i cespugli più alti. Il soprannome “nanerottolo” – per quanto, come qualsiasi cosa detta da Bellatrix, fosse dettata da un malvagio sarcasmo – doveva ammettere essere abbastanza azzeccato per quel suo ossuto, cocciuto fratello.

Per un istante Sirius fu tentato di gettare via la sigaretta e balzare giù dal suo nascondiglio. Godette nell’immaginare l’espressione sorpresa – e, si augurava, spaventata – della cugina nel vederselo piombare davanti senza preavviso. Gli occhi dilatarsi dalla paura e dallo sgomento – e tornare, subito dopo, a restringersi in sguardo di odio e disprezzo. Sarebbe stata un’ottima scusa per attaccar briga; d’altronde, l’ultimo litigio lo avevano avuto appena la sera precedente, a cena, e non gli aveva dato la soddisfazione che meritava. Bellatrix era un osso duro; zia Druella aveva dovuto sequestrar loro le bacchette per impedire di incendiar casa, o peggio.

Fu solo una frazione di secondo. Sirius non si mosse, e Bellatrix passò ignara sotto il suo nascondiglio, diretta evidentemente verso il lago. Si chiese distrattamente se indossasse già il costume o se avesse intenzione di fare il bagno vestita, dato che ultimamente sembrava essersi particolarmente affezionata a quella mise inquietante e funesta. Regulus le teneva dietro come poteva, ignorato ma non sconfitto. Nessuno dei due si accorse del ragazzo seminudo, dai piedi scalzi e sporchi, curvo come un’amaca qualche metro sopra le loro teste. Chiuse di nuovo gli occhi, beandosi della tranquillità ritrovata una volta che le voci si furono spente giù lungo il pendio. Non chiedeva niente di meglio che restare lì, nella sua beata solitudine, a fumare e lasciar vagare lontano i pensieri, così lontano che poi era difficile riacchiapparli, bestioline indomite.  Era l’unico modo che conosceva per sopravvivere alle vacanze a casa degli zii.

Rimase ad osservare un lombrico accartocciarsi mollemente su un ginocchio ossuto. Avrebbe dato di tutto per essere in qualsiasi altro posto, lontano da lì. Con James, con Remus. Per essere loro. Invece, tutto ciò che era concesso a Sirius Black era correre a nascondersi non appena gli interminabili pasti nel Salone Grande erano finiti, lontano da occhi, bocche, veleno e sangue della sua famiglia. Nascondersi… come un lombrico. Mentre pensava queste cose, non si rese conto che aveva stritolato l’animaletto tra le dita. Il sangue color mattone pastoso gli impiastricciava i polpastrelli. Se li fissò; non provava nulla.

Lo riscosse il rumore di un altro passo che sventagliava l’erba. Per un attimo pensò fosse Bellatrix che tornava dal lago. Invece i passi si dirigevano in quella direzione e, dopo qualche minuto, riconobbe i capelli castani di Andromeda in avvicinamento. Bastò quello a riscuoterlo dalla trance malefica in cui era piombato. Con un sorrisetto spostò la cicca quasi spenta all’angolo della bocca e si rivoltò sul ramo, assumendo la posizione accovacciata di un cacciatore in agguato. Attese il momento propizio e si lasciò cadere giù con un ululato cannibalesco.

Andromeda cadde a terra gridando, nell’impaccio delle vesti. Si ravviò i capelli lontano dalla faccia, arrossata, ansante, fulminandolo con lo sguardo quando lo riconobbe.

– Sir, sei un cretino! Mi hai fatto prendere un colpo!

Sirius rise e le porse una mano per aiutarla a tirarsi su.

– Scusa. – Sorrise, scrollò le spalle e si infilò le mani nelle tasche. – E comunque… ti si son viste le mutande, sai.

Andromeda divenne ancora più paonazza, mentre lui si sbellicava.

–  Mi chiedevo dove fossi finito, sei sparito dalla circolazione da ieri sera… 

– Le prediche di zia Druella a colazione mi risultano particolarmente indigeste. Non sono propriamente dell’umore, stamattina, per sopportarla. – Sirius tolse dalla tasca la borsa del tabacco; la guardò strizzandole un occhio. – Ne vuoi una?  

Andromeda finse di alzare lo sguardo al cielo.  – Devi proprio fumare anche mentre sei in vacanza, Sir?

– Le vacanze son fatte per fumare, Meda, andiamo!

Sirius arrotolò due sigarette Babbane e ne porse una ad Andromeda che, dopo l’iniziale riluttanza, la accettò volentieri. Andarono a rifugiarsi dietro il tronco del grosso ulivo, ben nascosti alla vista della casa e anche del sole impietoso, grazie all’ombra del gigante secolare. Sirius appoggiò la schiena al tronco nodoso e distese una gamba davanti a sé, flettendo l’altra. I suoi occhi luccicavano tra una spirale e l’altra del fumo che aspirava in avide boccate.

– Cosa hai fatto tutta la mattina senza di me? – scherzò. – Scommetto che te ne sei stata rintanata nella tua stanza a compilare Carte Astrali.

– Ho letto un po’… – si schermì Andromeda. – Ed ho scritto una lettera a Ted.

Sirius emise un fischio. Andromeda finse di colpirlo.

– E come sta il nostro Babbanuccio preferito?

– Smettila di fare lo stronzo.

Sirius alzò le mani a metà tra il gesto di scusa e di difesa, sorridendo.

Andromeda chinò il capo per prendere un tiro dalla sigaretta e lo lasciò andare lentamente dalle narici. Sentì su di sé lo sguardo soddisfatto del cugino.

– Vedo che hai imparato come si fa, brava.

– Ho avuto un buon maestro. E poi… è più difficile Trasfigurare un pollo in un vasetto da frutta.

Sirius rise. – Stai diventando una di noi, sono fiero di te.

Le strizzò l’occhio. Andromeda non chiese chi intendesse con quel “noi”. Si stiracchiò anche lei contro il tronco; le asperità del legno si conficcavano nelle sue vertebre. Si sentì diventare quasi parte integrante di esso.

– Bellatrix stava per scoprirmi. C’è mancato un pelo.

Sirius storse la bocca. – Ho avuto il dispiacere di intravederla, poco prima. Andava verso il lago con mio fratello.

Andromeda lasciò andare la testa sulla spalla del cugino. Aggrottò la fronte.

– Forse è il caso di andare a dare un’occhiata. Druella mi ha ordinato di farlo.

– Non sapevo facessi anche da balia a Regulus, ora.

– Non gli faccio da balia, Sir. Ma Regulus ha solo dieci anni, ed è ingenuo. E di Bellatrix non mi fido.

Sirius scrollò le spalle, per nulla impensierito. – Lui stravede per lei, è la sua cugina preferita. Lasciagli questo momento di gloria. – Spense la sigaretta nella terra accanto a sè; Andromeda notò quello strano rosso che gli macchiava pollice ed indice, ma non fece domande.

– Sai invece chi è la mia cugina preferita? – chiese all’improvviso Sirius, scrollandosi il ciuffo dalla fronte con un gesto brusco del capo. Sorrideva, senza malizia stavolta. 

Andromeda ricambiò il sorriso. – Fammi indovinare… Cissy?

Lui rise. – Narcissa è ancora troppo piccola per capire se è dalla parte giusta oppure no. Fintanto che penserà solo alle bambole e alle scarpe di vernice non andremo molto d’accordo, temo. A proposito, come sta?

– Ha ancora trentanove di febbre. La mamma dice che è un’influenza stagionale.

– Scommetto che la tiene ancora ben chiusa al buio nella sua stanza con impacchi di verbena sugli occhi, povera piccola…

Sirius scosse la testa con disapprovazione.

– Non riesci proprio a farti piacere Druella, eh?

La guardò rabbuiato. – Lei e Bellatrix mi rendono la vita impossibile. L’unico motivo per cui accetto di passare ancora le estati qui sei tu, Andromeda.

Andromeda arrossì, presa alla sprovvista da quell’inattesa confessione. Per fortuna Sirius, come suo solito, cambiò bruscamente l’argomento del discorso.  

– Faccio il tifo per voi, Meda – disse serio. – Per te e per Ted. Spero proprio che ce la facciate.

– Grazie, Sir. E’ tutto pronto.

– Sarà alla tua festa di compleanno, allora?

– Sì. Saranno tutti troppo presi dai preparativi per tenermi d’occhio come al solito.

Sirius annuì, sovrappensiero. Poi un sorriso gli attraversò il volto. – So già che regalo ti farò, Meda.

– Non dirmi nulla, non voglio saperlo.

Si sporse in avanti e la baciò su una guancia, ritraendosi subito dopo. Si rimise in piedi, pulendosi le mani sui pantaloni.

– Non vieni al lago, allora? – tentò timidamente Andromeda, affrettandosi a liberarsi anche lei della cicca e rialzandosi.

– Più tardi, forse. Ho delle cose da fare, prima.

Andromeda annuì; ancora una volta, non gli chiese cosa lo trattenesse. Si spazzò le vesti dai fili d’erba che erano rimasti impigliati; riportò i capelli dietro le orecchie.

– Allora ci vediamo dopo. Grazie per la sigaretta.

Sirius le fece un cenno, senza dire nulla. Era chiaro che voleva essere lasciato solo. Andromeda gli voltò le spalle ed iniziò la sua discesa verso il lago. Rivoletti di sudore le colavano sulla schiena; attraverso i vestiti sentiva il sole scottare.  
 
 
 
3.

The sound of silence grows
 as the spider’s kiss is laid
the tumor becomes malign

[Druella, Narcissa]
 


La fronte di Narcissa bolliva, imperlata di una sottile patina di sudore.

Druella ascoltò il respiro di sua figlia sollevarle pesantemente la fragile cassa toracica e spezzarsi in un rantolo. Sostituì gli impacchi di ghiaccio sulle tempie e le avvicinò alle labbra socchiuse la Pozione Sfebbrante preparata con le sue mani che avrebbe dovuto fare effetto a breve su quel corpicino debilitato. Narcissa sorseggiò, poi si abbandonò di nuovo esausta sul cuscino.

Nella stanza della bambina, tutte le tende erano tirate. L’ambiente era completamente sprofondato nel buio e nel silenzio – gli ingredienti segreti di ogni guarigione, secondo Druella. In quel momento il silenzio fu interrotto da un trapestio improvviso in corridoio.

– …il solito cagasotto, proprio come tuo fratello… Attaccato alle gonne di mammina.

– Ma è vero che non so nuotare! Se la mamma lo viene a sapere…

– Ehi, voi! Io e Reggie-reggie andiamo a fare il bagno! Ci avete sentito tutti? Ecco, così non devi più preoccuparti di tua madre, nanerottolo.

Lanciando un’occhiata al volto pallido di Narcissa, Druella si alzò dal suo letto schiumante di rabbia ed attraversò la stanza per spalancare di scatto la porta. Quel comportamento era inaccettabile; quei due villani meritavano una punizione esemplare.

– Cos’è questo baccano infernale? – sibilò, livida in volto. – Ora vi insegno io come ci si comporta! Bellatrix, torna subito qui!

Ma la ragazza era già corsa via, sparendo prudentemente alla vista. Il povero Regulus fu fulminato dallo sguardo fiammeggiante della zia e si affrettò a sparire alle calcagna della cugina con uno squittio di terrore, evitando una lunga mano unghiuta pronta ad afferrarlo per la collottola.

– Razza di selvaggi! Bellatrix, con te facciamo i conti più tardi!

Le mascelle di Druella si contrassero, mentre i tonfi di due paia di piedi rotolavano giù per le scale dell’ingresso, fuori dalla sua portata. Prese un profondo respiro per calmarsi; si portò una mano al petto, sotto il severo corsetto che la stringeva impietosamente e si raddrizzò. Un ultimo sguardo furente al corridoio ormai vuoto e tornò dentro. Per fortuna, Narcissa sembrava non essersi accorta minimamente del rumore; il suo dormiveglia non ne era stato disturbato.

Druella avvicinò la punta della bacchetta a una guancia della bambina per misurarle la temperatura. Aggrottò la fronte: era ancora alta e non accennava a diminuire. Forse era il caso di chiamare un Medimago, o di portare Narcissa direttamente al San Mungo. I suoi impacchi di verbena e la cura di buio e silenzio non sembravano funzionare a dovere. Se continuava così…

Il suo udito ipersensibile captò, al di sopra del respiro spezzato di Narcissa, un fruscio felpato di passi oltre la porta. Un attimo dopo entrò Andromeda, esitante, in punta di piedi.

– Madre?...

– Shh, non svegliarla! – la zittì aspramente Druella, gettandole un’occhiataccia. Lisciò il copriletto sul torace di Narcissa, scostandole i boccoli ai lati della testa.

– Come sta?

– Ancora male, non lo vedi da te?

Andromeda non disse nulla. Fece qualche passo verso il letto; si era tolta le scarpe per non far rumore e le teneva in mano, i lacci penduli. Le sclere di sua madre mandavano riflessi metallici nel buio. Sua madre, con le ampie gonne afflosciate intorno al busto scarno: una grossa tarantola accampata sulla sua preda. Scacciò quell’immagine dalla mente, sicuramente dettata dal rancore e dal disappunto del recente litigio con Bellatrix. Ovviamente, non ne fece parola con sua madre: sarebbe stato completamente inutile.

– Regulus è andato al lago con tua sorella – disse freddamente Druella. – Tuo cugino non sa nuotare, e se gli succede qualche disgrazia non voglio altre storie con Walburga. Quell’arpia non aspetta che una scusa per saltarmi alla gola… Vai a cercarlo e riportalo immediatamente qui, per favore.

Andromeda annuì in silenzio ed uscì il più velocemente possibile dalla stanza, lasciandosi alle spalle il lezzo di chiuso e Pozioni andate a male.

Ma no, d’altronde la situazione non era così critica, riflettè Druella mentre tornava a prendere posto sul letto di Narcissa. Il suo polso batteva flebile sotto le dita. La bambina sarebbe guarita da sola, a casa; non c’era alcun bisogno di sballottarla in giro, tantomeno in un Ospedale pieno di Filobabbani e Maghi di basso rango. Un Black non poteva mischiarsi a una tale feccia… E poi lei, Druella, non si fidava per nulla dei Medimaghi.

– Ciarlatani della peggior specie – borbottò tra sé. E aggiunse un altro po’ di verbena alla Pozione che si raffreddava sul comodino.
 
 
 
4.

The tremor becomes a quake
and there's a body in the lake

[Sirius, Druella]


 
Sirius guardò Andromeda filare giù lungo la collina, diretta al lago. Si scostò per l’ennesima volta i capelli dagli occhi e, a piedi nudi, girò sui tacchi e prese a risalire in direzione opposta verso la casa.

C’era una cosa che doveva fare, il prima possibile. Quella chiacchierata con sua cugina non aveva fatto altro che accendere l’ultima miccia alla soluzione definitiva, come la chiamava nella sua mente.

Non si curò di rivestirsi o rimettersi le scarpe mentre varcava l’ampio ingresso spalancato sul prato assolato, lasciandosi risucchiare dal buio fresco e odoroso di vecchio dell’interno. Era pronto a sfidare ancora sua zia e le sue ridicole norme di etichetta e buona educazione – tanto quella prigionia sarebbe durata ancora per poco.

La camera di Sirius, che divideva con Regulus, a differenza di quella delle sue cugine era al piano terra, dietro la cucina dove dormivano gli Elfi Domestici. Come se avessero voluto tenerlo lontano il più possibile, sorrise amaramente Sirius. Non che questo gli dispiacesse, anzi: aveva avuto modo di rifinire il suo piano in tutta calma senza che nessuno venisse a ficcare il naso.

Sgattaiolò dentro. Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, si accese una sigaretta. Gli sembrò di sentire la voce di James redarguirlo all’orecchio: Stai fumando troppo, vecchio mio. Datti una calmata, e la ignorò. Non gli restava molto da fare lì, se non quello. E litigare con Bellatrix, ovviamente.

Cautamente tirò la valigia fuori da sotto il letto. Non l’aveva quasi disfatta da quando sua madre aveva spedito lui e Regulus lì per le vacanze di Pasqua, una settimana prima. Una delle settimane peggiori della sua vita. In quel frangente, il non aver ceduto al suo solito disordine gli tornava utile: ci avrebbe impiegato meno di un minuto per ributtare dentro i pochi oggetti personali in giro per la stanza che aveva usato; per l’ora di cena sarebbe stato sicuramente pronto.   

Aveva mentito ad Andromeda, prima. Non ci sarebbe stato per il suo compleanno. Con un pizzico di fortuna, tra due settimane sarebbe stato già molto lontano da qualsiasi membro della famiglia Black perché potessero riacciuffarlo. Pianificava quella fuga in ogni dettaglio, da mesi – da sempre.

James lo avrebbe aiutato. Lo avrebbe nascosto e protetto a casa sua.

Non hai neppure quattordici anni, Sirius Black, dove diavolo credi di andare?

Ignorò la voce, quella della paura. Non era il momento di tergiversare.  

Non glielo aveva detto, ma era stata proprio Andromeda a consolidare in lui l’idea della fuga. Mentre distrattamente l’ascoltava dilungarsi sul suo Ted e sui loro fantastici progetti d’amore, l’altro progetto si era andato delineando nella sua testa, parallelamente a ogni singola parola pronunciata dalla cugina innamorata. In quelle lunghe ore in cui lei forse si illudeva di aver trovato chi accogliesse i suoi sfoghi amorosi, la sua mente aveva messo a punto tutto quello che gli serviva perché quel piano non fallisse.

Voleva bene ad Andromeda, ma detestava di più quella prigione. Era diventata ancora più stretta da quando Regulus era entrato a Hogwarts. Il suo fratellino, come ogni previsione, era stato smistato in Serpeverde, e Sirius aveva dovuto sopportare dal primo giorno i monologhi astiosi di suo padre, le frecciate velenose di sua madre su quanto lui avesse svergognato la famiglia facendosi invece assegnare a Grifondoro. Reggie… lui sì che è il degno erede di questa casata.

Ormai, sentiva di non avere più nulla da spartire con nessuno di loro. Gli tenevano gli occhi incollati alla nuca, questo sì – subodoravano qualcosa da parte sua. Era per questo che aveva stretto i denti e acconsentito – per l’ultima volta nella sua vita, si augurava – ad andare per le vacanze dagli zii, anche se avrebbe preferito essere da tutt’altra parte, anche nel più schifoso degli sgabuzzini di Hogwarts a pulire merda di troll per tutta l’estate. A differenza dei suoi genitori, che lo tormentavano incessantemente per ogni cosa, per i suoi zii lui non esisteva – a meno che non si comportasse deliberatamente in modo sfrontato e provocatorio – e questo, appunto, gli era tornato utile per i suoi scopi.

Mi spiace, cara Andromeda, se ti ho rubato il colpo di scena.

Non poteva aspettare il compleanno di Andromeda, tra due settimane. Soprattutto, non poteva lasciare che la sua graziosa cuginetta spiccasse il volo dalle grinfie dei suoi genitori; a quel punto, la morsa dei Black si sarebbe serrata sui rampolli di famiglia e sarebbe stato praticamente impossibile che un secondo tentativo di fuga riuscisse. Bisognava contare sull’effetto sorpresa, fintanto che nessuno si aspettava una cosa del genere. Per quanto ne sapesse lui, mai nessun ragazzino della famiglia Black aveva tentato la sortita. A lui sarebbe spettato il primato.

E se solo uno poteva fuggire dalla Prigione Black, quell’uno sarebbe stato lui. Sarebbe fuggito quella sera stessa.

Mentre raccoglieva i vestiti, le piume e qualche libro e li riponeva in valigia, ripensò con una stretta al cuore ad Andromeda. Così ingenua, così innamorata.

Ma quella era un’occasione che capitava una sola volta nella vita. Mors tua vita mea. Era una frase che gli aveva insegnato James, in quella buffa lingua regale parlata da un antico popolo morto molto tempo prima. La rimuginò tra sé e sé. Chiuse la valigia con un colpo secco e si lasciò cadere pesantemente sul letto con un sospiro.

In quel momento la porta si spalancò.

– Regulus?

Druella Black mise piede nella stanza. Sirius non fu abbastanza veloce da nascondere il mozzicone fumante tra le dita. D’altronde, l’odore nella stanza era più che eloquente.

Druella assottigliò pericolosamente lo sguardo.

– Metti immediatamente via quel veleno Babbano! – sibilò, stringendo così forte la mano sulla maniglia da sbiancare le nocche. – Come osi farlo in questa casa…

Con aria scanzonata e molto lentamente, senza staccare lo sguardo da lei, Sirius gettò la cicca a terra – Druella represse un brivido nel vederla macchiare l’assito di legno polito – e la schiacciò sotto il tacco.

– Contenta, zietta?

Druella ansava per la collera. – Se non impari a comportarti ti rispedisco dai tuoi genitori, piccolo incivile!

– Posso andarmene via anche adesso, se vuoi – ridacchiò Sirius, dando un colpettino innocente alla  valigia chiusa di fianco a sé.

Druella, ignara, non gli diede peso. Si erse minacciosa sulla soglia, stizzita dall’impudenza di quel nipote che si faceva forte della consapevolezza che tanto non sarebbe stato punito a dovere. Perché alzare la bacchetta su di lui, come su Regulus, avrebbe significato scendere in guerra contro Walburga. Come ogni gentildonna di vecchio stampo, anche Walburga voleva essere l’unica detentrice dell’indubbio piacere di castigare i suoi figlioli, lei e nessun altro. Per cui, quel piccolo delinquente di suo nipote l’avrebbe fatta franca anche stavolta.

Forse non un Incantesimo, ma un ceffone ben assestato… quello almeno avrebbe potuto permetterselo. Pur di cancellargli quel sorrisetto vittorioso dalla faccia, così simile a quello di Bellatrix. Era davvero andato qualcosa storto con i primogeniti di famiglia, a quanto pareva.

Quando il palmo magro della zia gli si abbattè sulla guancia, Sirius non reagì. Per un lungo attimo, fu come se non fosse successo nulla. Poi la rabbia lo divorò in un sol boccone. Si alzò in piedi, puntando le mani sul materasso. Alla sua età era già più alto di lei, e Druella se ne accorse – glielo lesse nel lampo che le venò per un attimo lo sguardo.

Poi il mondo esplose.

Ci fu un boato terribile. L’aria divenne spessa e torbida come sabbia. La terra fu percorsa da un tremito.

Sirius ricadde a peso morto sul materasso; ebbe appena la prontezza di sollevare le braccia per proteggersi da pezzi di intonaco che staccandosi dal soffitto cominciarono a grandinare su di lui. Druella vacillò all’indietro, cercando lo stipite della porta contro cui si accasciò, urlando qualcosa che andò completamente perso nel trambusto. L’intera casa si scuoteva violentemente come un cane bagnato, come a volersi sradicare dalle sue stesse fondamenta. La finestra aperta della stanza si imbiancò di una caligine eterea, poi sfumò in un ritaglio di grigio, infine impallidì mentre le scosse cessavano, assorbendosi nel suolo martoriato.

Tutto finì improvvisamente come era iniziato. Le cime degli alberi, che prima un vento feroce aveva spinto con forza in un’unica direzione, costringendole a chinarsi fin quasi al suolo con i rami più alti, tornarono nella loro posizione, seppur scarmigliate e spezzate. Il rombo come di tuono che si era srotolato nell’aria all’inizio del cataclisma si andò arrotondando in un pallido brontolio fino a svanire. Nel cielo schiaritosi tornò a soffiare una brezza leggera di soffioni decapitati.

Sirius riemerse dai calcinacci che lo ricoprivano, fortunatamente illeso. Il suo primo sguardo corse alla porta: gli stipiti e l’architrave erano miracolosamente in piedi; Druella vi si abbrancava furiosamente come un amante alla sua croce. A parte un brutto graffio sullo zigomo acuto, e l’essere completamente imbiancata di polvere e intonaco, sembrava tutta intera.

Si scambiarono uno sguardo ancora sotto shock, zia e nipote. Non ebbero il tempo di dire alcunché né di constatare i danni che un urlo, venuto dabbasso, torse loro le viscere. Sirius riconobbe la voce di Andromeda e senza pensarci un secondo scansò sua zia dalla porta, avanzando in corridoio senza sapere bene dove mettere i piedi. Le grosse mattonelle di alabastro erano crepate; uno dei tre lampadari era crollato al suolo spargendo cocci di vetro e gocce di candele dappertutto. Una ragnatela di crepe si dipanava sulle pareti, staccando gli arazzi, i quadri, i candelabri.

– Andromeda! – Sirius si affacciò dalla balconata che dava sull’ingresso, da dove gli sembrava provenisse la voce. Lo scalone di marmo era diviso quasi esattamente in due da una fenditura profonda diversi metri che spariva nelle fondamenta della terra. Druella, il respiro sibilante per lo sforzo e la polvere inalata, lo seguiva a breve.

Una figura color cenere apparve ai piedi dello scalone, barcollando su se stessa. Come in sogno Sirius registrò che si trattava di Andromeda. E che, sotto la polvere che la copriva interamente come un velo di cipria, era bagnata, bagnata fradicia, dalla testa ai piedi.

– Stai bene?

La ragazza alzò lo sguardo. Sbattè le palpebre per metterlo a fuoco, come non riconoscendolo.

In quel momento si levò l’urlo di Druella, fino a quel momento rimasta immobile nelle retrovie a cercare di riprender fiato.

– Per Salazar… Narcissa!

Con un grido di orrore, fece immediatamente dietro-front, slittando sui tacchi rovinati delle scarpe e, inciampando nell’orlo sbrindellato della veste, ripercorse il corridoio all’indietro dirigendosi verso la camera della figlia minore.

Sirius, interdetto, dilaniato, tornò a rivolgere la sua attenzione ad Andromeda.

– Sei ferita? Hai qualcosa di rotto?

La figura tremante di Andromeda ondeggiò ancora, come la fiammella di una candela, stagliandosi contro la soglia sulla quale  uno dei due battenti del portone pendeva divelto dall’unico cardine rimasto integro. Sembrava una figura dell’Apocalisse, una di quelle che aveva visto su degli strani libri di James…  

– Andromeda!

Andromeda taceva. Goccioloni d’acqua continuavano a raccogliersi intorno ai suoi piedi, mescolandosi con la polvere finissima in cui si erano sbriciolate le pareti.

– C’è un corpo… – sussurrò infine. – C’è un corpo nel lago.
 
 
 
5.

Time will help you through but it doesn't have the time
 to give you all the answers to the never-ending why

[Regulus, Bellatrix]


 
– Datti una mossa, nanerottolo! Non ho tutta la giornata…

Regulus sbuffò, accelerando ulteriormente l’andatura. Sentiva il cuore battergli fortissimo tra le costole e spilli piantarsi nei suoi polmoni ad ogni respiro. Aveva già ripetuto due volte a sua cugina di rallentare, che non riusciva a starle dietro, ma Bellatrix per tutta risposta aveva preso ad andare ancora più veloce, lasciandolo inesorabilmente indietro.

– Aspettami! – urlò, cercando di farsi strada nell’erba. Il sole gli scottava la testa come se i suoi capelli stessero andando a fuoco. Alzò per un attimo gli occhi verso il disco infuocato che brillava a picco sopra il suo capo e gocce di sudore gli scivolarono negli occhi facendoglieli bruciare.

Era stanco morto quando oltre gli ultimi cespugli comparvero finalmente le sponde del lago. Una lingua di sabbia fine e scura separava l’erba dalla liscia superficie azzurra di vetro smaltato. Come il dorso di un grosso animale marino, rabbrividiva appena sotto la carezza della brezza. Un pulviscolo dorato di polline e polvere galleggiava nei raggi di sole. 

Bellatrix, immersa fino alle ginocchia, guardava il lago voltandogli le spalle.

– Sei stato veloce… Anche una Pluffa ci avrebbe messo meno tempo!

Regulus non ribattè. Si lasciò cadere con le ginocchia nelle sabbia per riprendere fiato. Con una mano si spostò il ciuffo dalla fronte sudata, disegnandosi uno sbaffo color dorato appena sotto l’attaccatura dei capelli.

Bellatrix, ignorandolo completamente, iniziò a sfilarsi con eccessiva cautela i vestiti, rimanendo in costume, sempre senza voltarsi verso di lui.

Regulus avvampò e distolse lo sguardo. Sentì lo splash e immaginò l’arco elegante che il corpo di sua cugina aveva disegnato nell’aria mentre entrava in acqua con un tuffo. Tornò a voltarsi verso il lago. La guardò con invidia tracciare lunghe bracciate sinuose, apparentemente prive di sforzo, spingendosi sempre più lontano, prima di rivoltarsi pancia in su facendo il morto. La vide sputare uno zampillo d’acqua verso l’alto, e poi tornare a immergersi con tutta la testa.

Regulus rimase fermo, incerto sul da farsi. Bellatrix era ormai sparita all’orizzonte e il sole picchiava più che mai. Iniziava a mancargli il respiro per l’afa e i nugoli di insetti che gli assediavano la testa. Lentamente cominciò a liberarsi dei vestiti, uno alla volta, con precisione insolita per un bambino della sua età. Quando Bellatrix gli aveva proposto di andare al lago, non gli aveva neppure dato il tempo di correre a indossare il costume da bagno ed ora si ritrovò a fissarsi le mutande, vergognandosi come un ladro. Avrebbe potuto dirle di aspettarlo mentre andava ad indossare qualcosa di più consono, ma Bellatrix non lo avrebbe mai aspettato. E poi lui odiava far aspettare Bellatrix. O contraddire Bellatrix. Anche se spesso lei lo trattava male senza che avesse fatto nulla per meritarselo.

Perché faceva così? Se lo chiedeva spesso.

Perché è una svitata”, aveva detto una volta Sirius; era arrabbiatissimo perché Bellatrix era andata a spifferare a sua madre che faceva collezione di chewing-gum Babbane e Walburga, un giorno che lui non c’era, le aveva sostituite con Api Frizzole costringendolo a mangiarle tutte fino a vomitare.

Regulus non sapeva cosa significasse quella parola – “svitata” – ma il tono furioso e, ancor di più, l’espressione omicida di Sirius gli suggerivano che non poteva essere nulla di buono. Per questo aveva cercato di rimuovere quella parola dalla mente, terrorizzato che Bellatrix, in qualche modo, potesse leggergliela dentro – in quell’oscuro, indicibile modo con cui Bellatrix veniva a sapere sempre tutto. Tuttavia, più cercava di togliersela dalla testa, più quella restava appiccicata, un’etichetta che mai più avrebbe potuto staccare.

Tremando – non per il freddo – Regulus in mutande avanzò timidamente verso la sponda. Si fermò non appena l’acqua gli solleticò le punte degli alluci. Attese, trattenendo il respiro. Alzò lo sguardo a scrutare la superficie del lago; di Bellatrix continuava a non esserci traccia, tuttavia il cuore continuava a battergli come un uccello in gabbia.

Non aveva molta voglia di fare il bagno – a dire la verità, non ne aveva nessuna. Allora perché diavolo aveva insistito così tanto per accompagnare sua cugina al lago?

O era stata lei a insistere perché lui la accompagnasse, pur se non sapeva nuotare?

Regulus non se lo ricordava più.

Prese un lungo respiro e avanzò ancora. L’acqua gli si richiuse sopra le caviglie, avvolgendole in un fresco abbraccio. Si tenne le mutande un po’ sollevate sulle cosce per ripararsi dagli schizzi. Ad ogni passo il fondo inaspettatamente melmoso del lago sprofondava un po’ di più sotto le sue piante.

Che figura ci avrebbe fatto con Bellatrix se non avesse messo neppure un piede in acqua? Già c’era Sirius che lo prendeva in giro per qualsiasi cosa, non avrebbe sopportato che anche sua cugina si unisse al coro del suo fallimento…

Ormai l’acqua gli arrivava alla pancia. Brividi lo scuotevano in tutto il corpo. Aveva le mutande completamente zuppe e un terrore folle di perderle in acqua.

Si fermò quando gli salì alla gola. La paura era diventata troppo forte per poter continuare. Mosse le dita dei piedi per liberarle dalla trappola del fondale. Sentì qualcosa strisciargli lungo la gamba – si augurò fosse un’alga. Tutto, purchè non fosse un Avvincino. Detestava gli Avvicini, anche se li aveva visti solo una volta e di nascosto, sulle pagine di un Atlante che Sirius teneva in camera.

– Bellatrix… non ci sono gli Avvincini in questo lago, vero? – urlò al nulla.

Arrossì della propria vocetta affannosa; non avrebbe voluto suonare così spaventato e preoccupato.

Abbassò lo sguardo, cercando di penetrare i flutti torbidi che nascondevano il suo corpo dal collo in giù. Sentì di nuovo qualcosa lambirgli la pelle, stavolta sulla schiena.

Si girò, tastandosi freneticamente in quel punto. Fu in quel momento che una morsa lo imprigionò, immobilizzandogli una mano dietro la schiena e l’altra davanti, lungo il fianco. Si trovò sollevato dal fondale, a sgambettare nell’acqua, il collo inarcato per tenere il mento fuori dagli spruzzi che si sollevavano tutt’intorno insieme alle sue grida…

Qualcosa di solido e bagnato lo teneva prigioniero, legato, impedendogli di muoversi… Un Avvicino gigante, pensò, e quasi perse i sensi dalla paura figurandosi l’immenso mostro acquatico pronto a trascinarlo negli abissi con sé.

Ma poi una risata gorgogliò al suo orecchio; sentì un respiro – un respiro umano, caldo e umido – sfiorargli la guancia.

– Reggie-reggie, ci sono i mostri in questo lago, non lo sapevi?

La morsa si allentò di poco, consentendogli di poter liberare il braccio imprigionato dietro la schiena. Ma Bellatrix continuò a tenerlo stretto, restando alle sue spalle a farsi beffe di lui.

– Lasciami andare, Bellatrix…

La ragazza rise di nuovo. – Hai avuto paura, nanerottolo?

Regulus non poteva girarsi a guardarla, né liberarsi, nonostante i suoi fievoli tentativi. Pelle bagnata scivolava contro pelle bagnata; non riusciva a far presa da nessuna parte. Abbassando lo sguardo vide le lunghe unghie pallide di sua cugina affondate nella sua carne, a tenerlo ben stretto. Erano quasi livide, eppure Bellatrix era entrata in acqua solo poco prima di lui.

Poi vide un’altra cosa, che sul momento non capì. C’era un disegno strano sull’interno del braccio sinistro di lei, poco più sotto della piega tenera del gomito. Sembrava un tatuaggio – sapeva che si chiamavano così quei disegni sulla pelle perché una volta Sirius aveva detto che, appena maggiorenne, se ne sarebbe fatto uno di Godric Grifondoro sulla schiena. Come un vero Babbano.

Ma com’era possibile che proprio lei, Bellatrix, avesse una cosa Babbana su di sé? Lei che li disprezzava tanto, così fiera, così convinta delle sue idee… No, doveva per forza trattarsi d’altro. Regulus non lo sapeva decifrare; gli pareva fosse uno strumento musicale, tipo un violino, anche se un po’ distorto…

Bellatrix smise di ridere all’improvviso. Regulus sentì il ritmo del suo respiro sulla nuca bagnata cambiare, mentre sua cugina si irrigidiva, ed ebbe improvvisamente paura.

– Cosa stai guardando, nanerottolo?

– Niente – si affrettò a rispondere il bambino, ma sapeva che non gli avrebbe creduto. Non si poteva mentire a Bellatrix; lei sapeva sempre tutto.

– Hai visto il Marchio? – sussurrò Bellatrix, quasi a se stessa. Quella parola – era la prima volta che Regulus la udiva – gli risuonò nelle orecchie con un fragore sinistro, spettrale. Soprattutto perché fu accompagnata da un lungo tremito, di Bellatrix stavolta.

Regulus non disse nulla.

– Avrei dovuto pensarci prima di fare il bagno… – continuò Bellatrix, piano. – Che sciocca, tutti questi mesi di segreti e bugie e poi… – Si interruppe improvvisamente. – Ma tu non dirai cos’hai visto, vero, Reggie-reggie?

Regulus scosse vigorosamente la testa due, tre volte. Bellatrix lo strinse più forte.

– N-no – assicurò il bambino, sentendosi soffocare. Tentò ancora di liberarsi, ma non c’era veramente verso.

– Non ne farai parola con nessuno.

Regulus fece di sì ripetutamente. Approfittò di un istante in cui la stretta si era allentata per aggiungere: – Non dirò a zia Druella del tuo disegno, non lo dirò a nessuno.

Avrebbe voluto dire Marchio, ma non gli era venuta fuori quella parola nuova e terribile. Gli sembrava avesse un sapore cattivo, come certi cibi che sua madre lo costringeva a mangiare quand’era in castigo.

Bellatrix rimase in silenzio a riflettere per lunghi istanti. Regulus sapeva che avrebbe dovuto fare del suo meglio per convincerla in qualche modo a farsi liberare.

Improvvisamente, le braccia di sua cugina sparirono; la tenaglia in cui lo avviluppavano si dileguò, lasciandolo finalmente libero di respirare. Con una mano Bellatrix lo fece roteare su se stesso, costringendolo a fronteggiarla. Regulus si trovò davanti il volto di sua cugina: Bellatrix lo fissò attentamente, con  sguardo indagatore, freddo e vitreo come quello di…

Un serpente.

Fu in quel momento che riconobbe lo strano disegno che per un attimo aveva intravisto, intriso col sangue nella pelle diafana di sua cugina. Era un serpente. Che fuoriusciva dalla bocca di un teschio. Allora capì perché Bellatrix indossasse vesti a maniche lunghe da marzo nonostante il caldo, tra la diffidente soddisfazione di Druella e gli sghignazzi di suo fratello Sirius.

Bellatrix lo lasciò andare. Gli occhi brillavano.

 – Hai paura, nanerottolo?

Regulus agitò i piedi, ma i suoi piedi non trovarono il fondo.

Vide la testa di Bellatrix allontanarsi lentamente a pelo d’acqua, continuando a fissarlo.

Sprofondò.

 
*

 
Quando sentì la terra tremare, Andromeda pensò alle letture di scienze che le aveva prestato Ted. Il fragore nel cielo le sembrò il suono della Terra stessa che si strappa e lacera. Un’ondata di superstizione si abbattè su di lei, nello spazio di quei pochi convulsi secondi: forse davvero era accaduto quello che stupidamente aveva invocato sulla scia della rabbia per Bellatrix – forse gli atomi della materia vivente stavano implodendo su se stessi; tutto si sarebbe dissolto, distrutto, e Ted…

No, non era il momento di pensare a Ted.

Regulus.

 
 *

 
Narcissa si svegliò di colpo dal suo sonno catatonico, febbricitante.

Le sembrava di essere in una barca in alto mare. Il lampadario di cristallo sopra la sua testa si agitava come preso a randellate; l’argenteria si frantumava nelle credenze. La stanza buia in cui era rinchiusa si illuminò improvvisamente quando un vento fortissimo spalancò tutte le finestre, lacerando le tende accostate, fracassando i vetri.

Una luce opalescente, densa come nebbia, invase la stanza oscillante; crepe serpeggiarono su per i muri come lingue saettanti, e sul pavimento verso l’enorme letto a baldacchino, pronte a inghiottirla.

Pensò di chiamare sua madre, invece urlò il nome di Andromeda.

Il suo grido rimase inascoltato.

Druella non c’era, Andromeda neppure.

La casa tremava.

Il tetto crollò.

 
*

 
– Ha tentato di uccidere Regulus! Lo ha quasi annegato!

– Ti ho già detto di non alzare la voce con me, ragazzino!

– Sapeva che ha paura dell’acqua, che non sa nuotare! L’ha fatto apposta! E’ una svitata, dovrebbe stare rinchiusa da qualche parte…

– Ora basta, non ti permetto di parlare così di mia figlia! Se non la pianti con queste fandonie, dirò a Walburga cosa ti ho trovato a fare nella tua stanza. Non uscirai di casa per i prossimi mesi ed è quello che ti meriti.

– Invece di mettere il naso nei miei affari dovresti stare più attenta a ciò che accade sotto il tuo, Druella…

– Sirius!

– Di cosa sta parlando questo invasato?

– Sirius! Avevi promesso!

– Andromeda, mi dispiace…

 
*

 
Regulus sollevò a fatica le palpebre. Aveva la sensazione di uscire da un brutto sogno; non riusciva né a muoversi né a parlare. La gola gli faceva male.

Una mano calda lo sfiorò. Nel buio riconobbe Narcissa, accoccolata sul copriletto, quasi sopra il suo stomaco. L’ultima volta che l’aveva vista era esanime in un letto. Con una mano gli tastava la fronte, con l’altra la propria.

Quando si accorse che aveva aperto gli occhi, Narcissa sorrise e abbassò il palmo.

– Hai la febbre anche tu, Reg. Adesso non sarò più sola a stare chiusa al buio.

 
*

 
Cara Walburga,

ti ringrazio per il cortese interessamento. Il terremoto ha fatto danni anche qui, ma nulla che un buon tocco di bacchetta non possa rimettere a posto in qualche giorno. Cygnus è già all’opera. Per quanto riguarda Narcissa, si è ripresa, per fortuna; adesso sta abbastanza bene, pur rimanendo, come ben sai, cagionevole di salute. Il peggio sembra finalmente passato. Colgo l’occasione per invitare te e Orion ufficialmente alla festa di compleanno di Andromeda che si terrà tra esattamente due settimane. Sirius e Regulus sono già stati informati, naturalmente. Riguardo la tua ultima preoccupazione sul fatto che avrebbero potuto darmi qualche grattacapo (soprattutto Sirius), vorrei tranquillizzarti: non stanno dando problemi, non più del solito, almeno. I ragazzi stanno bene.

Druella Black 
 
 
 
Fine
 
 
 
Nota: tutta la fic è ispirata alla canzone The never-ending why dei Placebo, comprese le strofe ad inizio paragrafo.
  
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