I was broken from a young age
Taking my sulking to the masses
Writing my poems for the few
That looked at me took to me, shook to me,
feeling me
Singing from heart ache from the pain
Take up my message from the veins
Speaking my lesson from the brain
Seeing the beauty through the…
Believer
La
vita sull’Isola aveva ripreso a scorrere serena, dopo la riunione del Consiglio
Generale. Io ero sempre un po’ timoroso che per Sherlock fosse anche troppo
tranquilla, per non dire banale o noiosa. A volte lo sorprendevo a osservare
l’orizzonte, quasi cercasse di capire che cosa accadesse al di là della Barriera,
che proteggeva l’Isola. Non volevo che rimpiangesse la sua vita nel Mondo
Esterno. Capivo che potessero mancargli le grandi città, con le loro luci e i
grandi palazzi, il vociare della gente, le attività che vi si svolgevano quotidianamente
o la tecnologia. Per non parlare di parenti e amici.
Una
notte decisi di affrontare l’argomento. Eravamo sposati. Se lui si sentiva
triste o malinconico o se avesse avuto nostalgia della sua vita precedente,
doveva sapere che lo capivo. E che avrei fatto di tutto pur di vederlo felice.
Anche lasciarlo andare.
La
luna splendeva in cielo, enorme e piena. Una leggera brezza faceva muovere le
leggere tende bianche della finestra della nostra camera da letto. I bambini si
erano addormentati. Potevo percepirne il leggero respiro attraverso il silenzio
della casa.
Mi
spostai verso mio marito, circondandogli il busto con le braccia e appoggiando
la testa vicino al suo cuore. Lo sentii irrigidirsi leggermente, come se avesse
compreso che avevo bisogno di parlargli di una cosa importante.
“Che
cosa c’è che non va?”
“Volevo
chiederlo io a te. Ormai sei sull’Isola da tanto tempo. Posso capire che ti
manchi il Mondo Esterno. Soprattutto la tua famiglia.”
Sentii
il petto di Sherlock sollevarsi per un paio di volte, mentre ridacchiava
divertito: “Se c’è qualcosa che non mi manca è proprio la mia famiglia. Noi non
siamo molto uniti. Certo non come lo siete tu e la tua famiglia. Sicuramente
non siamo nemmeno una tipica famiglia del Mondo Esterno. I miei genitori
potrebbero quasi non essersi accorti del fatto che sono sparito. Sono così
impegnati nei loro studi, che non fanno caso al tempo che passa. E Mycroft…”
“Ti
vuole bene. Come tu ne vuoi a lui,” affermai, in tono dolce.
Sherlock
non ribatté subito. Sentivo che stava riflettendo, che voleva essere onesto con
me: “So che Mycroft mi vuole bene, ma lo ammetterò solo qui e ora. Non ripeterò
questa frase nemmeno sotto tortura.”
“E
anche i tuoi genitori ti amano. Staranno sentendo la tua mancanza.”
Sherlock
sospirò: “John, perché vuoi parlare di questo?”
Mi
sollevai, per poterlo vedere in viso: “Io so che cosa tu abbia lasciato
indietro. Hai rinunciato alla tua vita, per stare con me.”
“Non
avevo tutta questa vita, prima di incontrare te. Non mi piace fare il
melodrammatico…”
“Davvero?”
sogghignai.
“Fin
da bambino mi sono sentito respinto dagli altri. Secondo Mycroft, ero troppo
intelligente per loro e questo li spaventava, spingendoli a prendermi in giro.”
“Mi
dispiace molto. I bambini possono essere crudeli, a volte, ma questo non vuole
dire che tu non possa sentire la mancanza del Mondo Esterno.”
“John,
io sono felice, qui. Ci sei tu. Ci sono i nostri figli. Nel mondo dal quale
provengo, io mi sono sempre sentito incompleto. Fuori posto. Mi mancava
qualcosa e nulla riusciva a riempire quel vuoto. Poi, sei arrivato tu e
quell’abisso è svanito. Non tornerei alla mia vecchia vita per niente al
mondo.”
Gli
sorrisi. Ero felice del fatto che lui stesse bene sull’Isola. Che fosse
appagato dalla vita che conducevamo insieme: “Semmai dovesse arrivare il giorno
in cui sentirai la mancanza del Mondo Esterno, tu me lo dirai, vero?”
“John…”
Gli
misi un dito sulle labbra: “Ho capito che ora
stai bene, ma non è detto che sarà così per sempre. Siamo sposati, Sherlock.
Dobbiamo condividere e affrontare qualsiasi cosa accada insieme. Se ci
dovessero essere dei problemi, non voglio che tu ti tenga tutto dentro. Devi
promettermi che me ne parlerai. Va bene?”
Sherlock
mi sorrise: “Come lei comanda, mio signore.” Sussurrò con voce bassa. Un lampo
divertito attraversò i suoi occhi chiarissimi, illuminati da un raggio di luna.
Mi girò sul schiena, mettendosi a cavalcioni sopra di me. Sentivo il suo membro
già semi duro premere contro il mio. Si abbassò su di me, appropriandosi delle
mie labbra. Ogni discorso sul Mondo Esterno fu cancellato dalla mia mente. Non
rimase altro che Sherlock. E il suo corpo.
La
pace, però, non durò a lungo. Trascorsero solo alcune settimane. Un pomeriggio,
Sherlock stava facendo i compiti con Mycroft e Greg, mentre io stavo dando la
merenda a Will, quando sentimmo bussare alla porta. Sherlock ed io ci
scambiammo uno sguardo interrogativo. Non stavamo attendendo nessuno.
“Avanti,”
dissi, in direzione della porta.
Con
nostra sorpresa, fece il suo ingresso Ron Lovegood, il segretario personale di
Severus McGranitt. Basso e magrissimo, con capelli color cenere tagliati
cortissimi e piccoli occhi cangianti fra il verde e l’azzurro. Salutò con un
cenno del capo Sherlock e si diresse verso me. Il vecchio mago continuava a
provare una certa diffidenza nei confronti di mio marito, perché suo figlio era
uno degli Omega morti a causa di Charles Augustus Magnussen. Per quanto
Sherlock avesse tentato di aiutarmi a fermare Magnussen, Ron associava il suo
essere un Alfa con la morte del figlio.
“Benvenuto,
Ron. Posso aiutarti in qualche modo?” Chiesi, con un sorriso.
“Siete
stati convocati al cospetto del Presidente del Consiglio degli Anziani, il
magnifico Severus McGranitt,” rispose Ron, pomposamente.
“Entrambi?”
Domandai, senza riuscire a nascondere la sorpresa. Era già insolito che fossi
chiamato io, ma la richiesta della presenza di Sherlock poteva essere
considerata quasi straordinaria.
“È
ciò che ho detto,” ribatté Ron, con un puntiglio leggermente irritato.
“Il
tempo di portare i bambini da mio padre e saremo da Severus,” confermai, prima
che Sherlock potesse intervenire e offendere il molto suscettibile Ron.
Con
un altro cenno del capo, l’uomo se ne andò, chiudendosi dietro la porta. Sherlock
ed io ci scambiammo uno sguardo sorpreso e curioso.
Nel
giro di neanche mezz’ora, eravamo nella sala d’attesa dell’ufficio di Severus. La
porta si aprì e ne uscirono Alastor e Cornelius Diggory, con un’espressione
addolorata sul viso. I due uomini erano più o meno coetanei di mio padre. Ci
salutammo in tono dimesso. Immaginavo che cosa potesse essere accaduto e mi
dispiaceva per loro.
“Entrate
pure,” ci invitò la voce cordiale di Severus.
Entrammo
nello studio dell’anziano mago, che si alzò per stringerci la mano: “Grazie per
essere venuti con così poco preavviso,” ci salutò McGranitt, con un sorriso
cordiale.
“Siamo
molti curiosi di sapere in che cosa possiamo esserti utili. Nella sala d’attesa
abbiamo incrociato i Diggory. Horace è morto?”
Severus
sospirò: “Sì, si è spendo stanotte. Ora è in pace.”
“Mi
dispiace per la perdita dei Diggory. Sono simpatici. Non ricordo di avere
conosciuto questo Horace. Era molto anziano?” Intervenne Sherlock.
“Direi
proprio di sì. Con i suoi 362 anni, era l’Omega più anziano del’Isola,” rispose
Severus.
Sherlock
lo fissò a bocca aperta, incredulo: “362… anni?”
McGranitt
inclinò la testa canuta, mentre un sorriso divertito gli allungava le labbra:
“Lo sai che l’incantesimo che protegge l’Isola ha come effetto collaterale la
dilatazione del tempo. Contiamo gli anni con l’alternarsi delle stagioni, ma quando qui
sono passate tutte e quattro, da voi si sono alternate per almeno tre volte.”
“Quanti
anni hai?” Mi domandò Sherlock a
bruciapelo.
Io
alzai gli occhi al soffitto ed evitai di rispondere: “In che cosa possiamo
essere utili?” Chiesi di nuovo, ignorando la domanda di mio marito.
“Vuoi
dire che mi sono sposato con un vecchio? – insistette Sherlock – non sei più
vecchio di Mycroft, vero?
“Ho
bisogno che andiate in missione nel Mondo Esterno,” si intromise Severus.
Le
sue parole distolsero Sherlock dal suo interesse sulla mia età. Entrambi fissammo
McGranitt sorpresi. Tutto ci saremmo aspettati, tranne che ci chiedesse di
lasciare la sicurezza dell’Isola. Un brivido gelido mi percorse la schiena.
L’incubo si ripresentò nella mia mente con tutta la sua forza devastante.
“Perché?”
Domandò Sherlock, in tono teso.
“Abbiamo
perso i contatti con Sebastian Moran.”
“Avete
mandato Moran nel Mondo Esterno, dopo quello che è accaduto durante la seduta
del Consiglio Generale? Non avete capito che qualcuno, sicuramente un
pericoloso Alfa, lo stava manipolando? Siete così incoscienti di vostro o
desiderate tanto essere scoperti e imprigionati?” Sbottò Sherlock, furioso.
Io
non riuscii a intervenire. Non andava bene che mio marito si rivolgesse
all’Omega più importante e potente dell’Isola usando quel tono, ma non potevo
dargli tutti i torti. Inoltre, non riuscivo a controllare la paura che mi aveva
attanagliato il cuore.
‘Fai che non sia una premonizione,’
pregai silenziosamente.
“Capisco
il tuo punto di vista e lo condividerei pure, se avessimo qualche altra
possibilità di scelta. Hai notato in quanti siamo, Sherlock? Siamo appena sopra
la soglia dell’estinzione. Se rinunciamo ad avere altri bambini, dovremo
davvero palesarci al Mondo Esterno. È stato un rischio calcolato.”
“Calcolato
male!” Sibilò Sherlock.
Gli
afferrai un braccio. Dovevo essere pallidissimo, perché notai subito
l’espressione preoccupata con cui mi scrutò: “Ora basta. È tardi per
recriminare. L’Isola è in pericolo. Perché hai pensato a noi due?” Domandai,
riuscendo controllare la voce, affinché non tremasse.
“Sebastian
si dovrebbe trovare a Londra. È un luogo che voi due conoscete molto bene, nel
quale potrete muovervi con facilità. Inoltre, potreste contare sull’aiuto dei
vostri amici. Dovete trovare Sebastian e riportarlo all’Isola, sperando che non
abbia fatto qualcosa di cui dovremo pentirci.”
Annuii.
Sherlock aveva ignorato le parole di Severus, troppo preoccupato per me,
persino per continuare a insultare il vecchio mago: “Stai bene?”
“Hai
avuto un’altra premonizione, vero?” Mi domandò Severus, con dolcezza.
“John
non ha delle premonizioni,” ribatté Sherlock, stizzito.
“Di
solito no. Ne ho avuta solo una, in vita mia. Riguardava il nostro incontro e
lo scontro con Magnussen.”
“Sembra
che l’Isola comunichi con te, quando si sente in pericolo,” constatò McGranitt,
con un sospiro.
“Andremo…”
“John!
Non siamo obbligati…”
“Sì
che lo siamo. – interruppi Sherlock con forza – Dobbiamo impedire agli Alfa di
trovare l’Isola. Anche se temo che, stavolta, sarà molto più complicato
proteggere il nostro segreto. L’altra volta si trattava di un singolo Alfa. Se
davvero Sebastian è stato convinto a tradire il nostro segreto, il nostro
intervento potrebbe essere del tutto inutile.”
“Speriamo
di no, John. – sussurrò Severus, in tono grave – Speriamo di non esserci mossi
troppo tardi. Speriamo di riuscire a proteggere i nostri figli dagli Alfa, fino
al giorno in cui capiremo che possiamo fidarci di loro.”
Non
c’era molto che potessimo aggiungere. Non aveva senso recriminare. Dovevamo di
nuovo avventurarci nel Mondo Esterno, sperare di trovare il nostro nemico e di
riuscire a sconfiggerlo.
Con
un immenso peso sul cuore, Sherlock ed io tornammo a casa, per prepararci alla
missione. Non assistemmo alle esequie di Horace Diggory. Il giorno dopo, Londra
ci accolse, con la sua umida nebbia, che nascondeva alla vista le persone e gli
edifici.
Angolo dell’autrice
Così
John e Sherlock lasciano l’Isola, per andare alla ricerca di Sebastian Moran.
Nel prossimo capitolo faranno la loro comparsa Mycroft e Greg, gli unici
alleati su cui i nostri potranno contare.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto.
A
giovedì prossimo.
Ciao.