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Autore: heliodor    01/08/2021    2 recensioni
Dopo essere stata costretta a lasciare il suo villaggio, Ryhana viene accolta dai ribelli di Malag come una di loro, trova un posto sicuro in cui stare, degli amici e persino l’amore di Kaleena. Ma l’arrivo di un pericoloso monaco eretico e a causa di un antico e misterioso rituale, la sua vita cambia in modo irrimediabile. Costretta ad allearsi agli spietati Vigilanti, diventerà l’arma decisiva in un conflitto tra forze oscure che dura da millenni e dovrà decidere da che parte schierarsi in questo scontro.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Punto d’inizio

“Resta giù” disse la voce con tono perentorio. “Non muoverti.”
Non aveva alcuna intenzione di farlo. Nemmeno sapeva come era arrivata lì, in quel buio che sembrava aver divorato il mondo.
Esiste un mondo? Si chiese. Esisto io?
Qualche attimo prima aveva fluttuato in un mare privo di sensazioni, come un naufrago alla deriva che lottava contro i flutti che volevano ingoiarlo.
Aveva lottato contro le onde del risentimento, gli spruzzi del dolore e dell’abbandono le avevano inumidito gli occhi, facendola lacrimare.
Lacrime, si disse. Posso piangere?
“Mi senti?” le chiese la voce di prima. “Puoi aprire gli occhi?”
“Sì” rispose con voce arrochita.
Il mondo prese forma in un guazzabuglio di ombre, sprazzi di luce e fontane di colore che si intersecavano tra di loro. Tutto sembrava rovesciarsi di continuo mentre cercava un senso in quello che vedeva. L’alto divenne il basso e la destra passò a sinistra prima di tornare al suo posto.
Lottò contro un conato di vomito, la gola inasprita dalla sete.
“Dove?” chiese con tono incerto, come se stesse saggiando ogni singola sillaba.
“Vicino al santuario” rispose la voce.
Stavolta qualcosa la costrinse a girare la testa verso sinistra. Quel movimento le costò una fitta di dolore al collo.
È una cosa buona, si disse divertita. Se posso sentire dolore vuol dire che sono ancora viva e ho un collo.
Quel pensiero le strappò un timido sorriso rivolto all’ombra che era accovacciata vicino al suo viso.
“I miei fiori” disse, la mente attraversata dallo sprazzo di un ricordo, una fugace visione di un cespuglio solitario ai piedi di un albero, insieme a una risata allegra e alla sensazione di pace e…
“Torna da me” disse la voce. “Non te ne andare di nuovo.”
Scosse la testa.
Altra fitta di dolore, stavolta meno intensa.
“Che cosa ci facevi qui sotto?” le chiese la voce. “Puoi dirmelo?”
Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la figura. Il viso di un uomo sui quarant’anni prese forma. Mento pronunciato, naso piccolo, occhi ravvicinati, guance appena velate da una barba rossiccia, la fronte solcata da profonde rughe d’espressione.
“Chi sei?” gli chiese.
“Grenn” rispose il ragazzo. “Il tuo nome?”
“Nome?” chiese a sua volta.
“Come ti chiami?” fece lui con gentilezza.
Scosse la testa. “Non lo so, non ricordo.”
Grenn annuì serio. “È normale. Hai battuto la testa quando c’è stata l’esplosione.”
“Esplosione?” chiese allarmata.
Grenn annuì di nuovo. “E poi c’è stato un crollo. Noi siamo arrivati subito dopo, quando tutto era già accaduto.”
“Che cosa è crollato? Qualcuno si è fatto male?” chiese allarmata. “Kaleena?”
Grenn si accigliò. “È una tua amica?”
Sbatté le palpebre. “Non so. Non ricordo.”
“Come sta? Si è ripresa?” chiese una seconda voce femminile.
Grenn alzò la testa. “Sta meglio. È solo confusa.”
Lei cercò di guardare dalla stessa parte e vide una figura alta e slanciata, il seno generoso e i capelli lunghi e neri che incorniciavano un viso tondo dai lineamenti delicati.
In quel momento la donna stava guardando altrove. “Portiamola via da qui. La volta potrebbe crollare e seppellirci tutti.”
Grenn si girò verso di lei. “Ce la fai ad alzarti?”
“Posso provare.”
Lui le porse entrambe le braccia e lei le afferrò. Aveva le mani coperte di vesciche e piccole ferite, come se qualcuno si fosse divertito a colpirla con un coltello minuscolo.
Alzandosi venne colta da un capogiro e dovette appoggiarsi alla spalla di Grenn. Lui le passò un braccio attorno alla vita.
“Su, forza” disse. “Sofesia ha ragione. Il santuario potrebbe crollarci addosso se non usciamo subito.”
Lei rispose con un grugnito e si lasciò condurre dal ragazzo. Barcollarono attraverso un condotto fatto di oscurità che sembrava solida e sul punto di chiudersi sopra di loro. Il senso di oppressione che avverti la costrinse a chiudere gli occhi.
“Ti senti bene?” le chiese Grenn.
“No” rispose.
“Vuoi riposare?”
Voglio uscire di qui, si disse.
“No, ce la faccio” rispose.
Grenn la sospinse per centinaia di passi, non sapeva dire quanti di preciso, fino a che non sentì il vento fresco accarezzarle le guance e l’odore di erba bagnata pervase l’aria.
Aprì gli occhi e lasciò vagare sguardo per la spianata, cercando di riconoscere il carro che sostava sul lato del sentiero e i cavalli che giacevano morti nelle pozze d’acqua.
Due figure si muovevano vicino al carro e una vagava tra i resti degli animali.
“Devono aver cercato di fuggire” stava dicendo mentre era china su di un cavallo. “Questo ha il collo spezzato.”
Una delle due che si trovava vicino al carro si voltò di scatto. “Non toccarlo” disse con tono apprensivo.
La ragazza fece un leggero balzo di lato, come se un insetto l’avesse attaccata.
“Non sai di che cosa è morto” proseguì la figura vicina al carro. “Potrebbe uccidere anche te.”
La ragazza fece una smorfia di disgusto. “Potevi anche dirmelo prima, Hargart.”
“Te lo sta dicendo adesso” disse l’altra figura. Alzò la testa e sgranò gli occhi. “Grenn” esclamò. “Chi è quella?”
La ragazza marciò decisa verso di loro. “L’hai trovata lì sotto?”
Grenn annuì. “Dammi una mano. Si regge in piedi a stento.”
Con l’aiuto dei due venne portata fino a una pietra di forma piatta e la fecero sedere.
Le due figure vicino al carro li raggiunsero.
“Sofesia ti ha detto di portarla fuori?”
Grenn annuì deciso. “Il santuario potrebbe crollare.”
“Allora dovresti rimetterla lì dentro” disse l’uomo. “È quella la punizione che si merita questa rinnegata.”
La ragazza gli scoccò un’occhiataccia. “Dici sul serio, Varkarl? Tu lo faresti?”
L’uomo annuì facendo ondeggiare il mantello nero che indossava sopra la tunica grigia e marrone. “Le farei anche di peggio, ma sarebbe potere sprecato.”
“Nessuno la toccherà” disse Sofesia avvicinandosi. “Almeno finché non avremo saputo da lei tutto ciò che ci serve.”
Varkarl la guardò accigliato. “E poi?”
“La porteremo da Ilyana. Lei vorrà di sicuro interrogarla di persona.”
L’uomo scosse la testa. “È una perdita di tempo.”
“Non sei tu a decidere” lo ammonì Sofesia. Le rivolse un’occhiata intensa. “Chi sei? E che cosa ci facevi qui?”
La guardò accigliata.
“Capisci quello che dico?”
Annuì.
“Allora rispondi” la esortò.
“Non ricordo” disse.
Sofesia guardò Hargart.
Il ragazzo indossava un mantello rosso e bianco. Aveva l’aspetto gracile e delicato e un viso grazioso con occhi e capelli scuri. “Può aver preso una botta molto forte” disse. “La memoria potrebbe non tornare prima di qualche giornata. Se tornerà.”
“L’ho detto che è inutile” disse Varkarl.
“Stai iniziando a stancarmi” disse Sofesia. “Khefra.”
La ragazza fece scattare la testa come se l’avessero punta di nuovo.
“Controlla il perimetro. Se trovi qualcuno lancia l’allarme.”
“Sì” rispose Khefra prima di andare via.
“Grenn” riprese la donna. “Tu che cosa ne pensi?”
“Non penso proprio niente” rispose.
“Che cosa stavano facendo qui?”
“Niente di buono” disse con tono cupo.
“Allora è necessario che la prigioniera ricordi ciò che ha visto e sentito.”
Prigioniera? Si chiese. Perché dovrei essere prigioniera? Che cosa ho fatto di male?
Sofesia tornò a guardarla. “Sei proprio sicura di non ricordare almeno come ti chiami? Se collabori potremmo essere clementi con te.”
Cercò di ricordare il suo nome e anche se lo sforzo le provocò un mal di testa, quella parola non riaffiorò dal mare torbido che erano i suoi ricordi.
Scosse la testa con vigore. “Non lo ricordo. Non ricordo niente di quello che è successo qui. Se lo sapessi vi aiuterei di certo.”
Sofesia la fissò in silenzio per qualche istante, poi disse: “Abbiamo ancora tempo e può darsi che il santuario non crolli subito. Ci prenderemo mezza giornata per riposare e darti il tempo di ricordare. Se per il tramonto non saprai darmi qualche risposta, ti assicuro che il tuo viaggio verso Nelnis non sarà affatto piacevole.”
Sofesia andò via senza darle la possibilità di risponderle. Voleva dirle che stava provando a ricordare ma che non le riusciva.
Era successo qualcosa di terribile e stavano incolpando lei.
Ma io non ho fatto niente, si disse. E di sicuro non ho fatto del male a qualcuno. È stato un incidente e se Kaleena fosse qui potrebbe spiegare tutto a quella donna.
Kaleena.
Era la seconda volta che quel nome riaffiorava nella sua mente.
È il mio nome? Si chiese. È così che mi chiamo?
Sentiva che quello non era il suo nome, ma poteva usarlo come appiglio per ricordare tutto il resto. La persona che lo portava doveva essere stata importante per lei al punto di aver dimenticato il proprio ma non il suo.
Kaleena.
Hana.
Quel nome riecheggiò nella sua mente e si sovrappose all’altro.
Hana e Kaleena.
Quella associazione le provocò un senso di vuoto e di sollievo al tempo stesso.
Vuoto perché quella persona non era lì con lei.
Sollievo per lo stesso motivo.
Grenn si sporse verso di lei. “Stai ricordando qualcosa?”
Annuì.
Lui si accigliò.
“Hana” disse. “Ryhana” aggiunse con più sicurezza, il ricordo che riaffiorava nella sua mente.
“È il tuo nome?” le chiese.
“Credo di sì” disse incerta. “Sì.”
“E Kaleena?”
Scosse la testa.
“Va bene, è già qualcosa. Che altro ricordi?”
“Fiori” disse. “Un cespuglio pieno di fiori rossi.”
“E poi?”
“Una mela.”
Grenn sospirò. “Non riesci a ricordare qualcosa di più specifico, che riguarda il santuario? Ci sarebbe davvero utile saperne di più.”
Ryhana guardò il pozzo dal quale erano risaliti. “Che cos’è?”
“Speravamo che ce lo dicessi tu” disse Grenn deluso. “Quella è l’entrata.”
“Del santuario?”
“Sì.”
“Chi ci viveva?”
Per qualche motivo sapeva che quel luogo era abitato. O che lo era stato in un tempo lontano. Così remoto da far sembrare insignificante l’esistenza degli imperi stessi.
Si stupì di aver pensato quella frase.
Sono sicura di non averla detta io, si disse. Devo averla sentita da qualcun altro, ma da chi? Non certo da Kaleena.
Non riusciva ad associare ricordi spiacevoli a quel nome.
Grenn sembrò sollevato di poterne parlare. “Ci abitava un mago, penso. Hargart saprebbe spiegarti meglio, ma non ha molta pazienza. Ha studiato per anni con gli eruditi di Nazdur e se ne vanta tutte le volte che può.”
Quell’ultima frase sembrò una lamentela più che una constatazione.
Proprio Hargart sopraggiunse con aria annoiata. “Penso” disse con tono saccente. “Che dovresti lasciarla riposare un poco. Potrebbe ricordare meglio, dopo.”
“E se non ricordasse?” domandò Grenn.
L’altro scrollò le spalle. “È solo un consiglio. Lianus di Berger in uno dei suoi saggi consiglia di far riposare chi ha problemi a ricordare dopo una botta violenta alla testa. Nei suoi testi cita almeno una trentina di casi simili.”
“Ho capito, ho capito” disse Grenn. Prese una coperta di lana dalla sacca a tracolla e gliela porse.
Ryhana la guardò accigliata.
“È per te” disse l’uomo. “Così non patirai il freddo.”
“Grazie” disse prendendola dopo un attimo di esitazione. “E tu come farai?”
“Prenderò una che apparteneva ai morti.”
Ryhana deglutì a vuoto. “Ce ne sono parecchi nel santuario?”
Grenn annuì.
“Quanti?”
“Trentasei” disse.
“È sbagliato” rispose. Un ricordo riaffiorò con violenza nella sua mente.
Grenn la guardò perplesso. “Tu sai quanti si trovavano qui prima dell’incidente?”
Annuì con vigore. “Cinquantadue” disse. “Otto mantelli, ventidue soldati, quattro inservienti, due guaritori. E sedici prigionieri.” Serrò la mascella. “Cinquantadue” aggiunse subito dopo.
“C’era qualcun altro oltre a voi?”
Annuì di nuovo.
“Ricordi almeno uno di quei nomi?”
“Sanzir” disse sicura. “Ricordo il suo nome.”
Grenn sgranò gli occhi. “Sofesia” chiamò a gran voce. “Sofesia. Vieni qui subito.” Guardò Ryhana. “Ricordi altro?” le chiese.
Gli occhi di Ryhana si riempirono di lacrime. “Sì” disse. “Sto iniziando a ricordare tutto.”

Note
Ryhana fa parte della serie di Anaterra ma come le altre storie è autonoma e non dovete aver letto ciò che ho scritto in precedenza
  
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