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Autore: Carme93    08/08/2021    0 recensioni
I nati del 1998 sono figli della guerra e della vittoria su Lord Voldemort.
La loro nascita ha simboleggiato nuova luce nel buio delle tenebre e gioia e speranza in un mondo in macerie da ricostruire. Un chiaroscuro insito nella vita di ognuno di loro.
La generazione figlia della guerra arriva a Hogwarts.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo sedicesimo




 
 
 
Natale in famiglia
 
 




Mark rabbrividì per il freddo e sospirò: tutte le finestre della casa erano spalancate e le sue mani bagnate erano intirizzite. Per fortuna, aveva ormai finito di pulire i vetri – con l’unica eccezione della camera di Jay, ma quella era totalmente off-limits: il fratello stava giocando alla play, probabilmente intenzionato a recuperare in poche ore il tempo perso a Hogwarts.
Sembrava che suo padre non avesse pulito nemmeno una volta da quando erano partiti; non faceva fatica a immaginare le sue giornate: usciva presto, poco dopo il suono della sveglia ˗ il tempo di lavarsi e vestirsi per lo più, la mattina non faceva nemmeno colazione ˗, rientrava a casa la sera giusto per buttarsi sul divano, bere qualche birra e mangiucchiare qualcosa di dubbia salubrità, per poi trascinarsi a letto.
Quella sera, però, sarebbero venuti a cena i nonni e avrebbero dato di matto se avessero trovato la casa in quelle condizioni; perciò il padre aveva loro ordinato di rimettere tutto in ordine entro il pomeriggio. Peccato che, appena l’uomo aveva usato il camino per andare al Ministero, Alexis era corsa a prepararsi perché le amiche la aspettavano a Diagon Alley e Jay si era chiuso in camera a giocare. E naturalmente era toccato a lui tutto il lavoro.
La consapevolezza che sarebbe stato meglio rimanere a Hogwarts era sempre più forte.
Ormai era fatta. Con un sospiro si rimise a lavoro. Nel pomeriggio l’intera casa brillava ˗ tranne la camera di Jay, naturalmente ˗ e Alexis era tornata bramosa di rivedere i nonni dopo tanto tempo. A Mark non erano mancati per nulla.
Il ragazzino ebbe appena il tempo di andare al piano di sopra a cambiarsi ˗ con i vestiti smessi di Jay sembrava sempre un sacco di patate ˗, prima che suonassero alla porta.
«Apri» gli gridò Alexis, che stava finendo di truccarsi. Jay non diede segni di aver sentito, ma d’altronde da quella mattina aveva aperto bocca solo per chiedergli di portargli altre patatine e schifezze varie.
Mark avrebbe preferito rintanarsi in camera sua piuttosto che incontrare i nonni, ma, dopo aver preso un bel respiro, aprì la porta e se li ritrovò davanti.
Suo nonno era alto e imponente, ancora abbastanza in forma nonostante l’età, quel giorno indossava il suo impermeabile grigio, che lo faceva assomigliare tanto agli investigatori di Scotland Yard della televisione. La nonna, accanto al marito, aveva assunto una strana smorfia vedendolo – come chi ha appena ingerito un limone particolarmente acido ˗, quella che assumeva sempre guardandolo. «Buon pomeriggio» mormorò, spostandosi di lato per fargli passare.
«Ciao!» strillò Alexis scendendo di corsa le scale.
Le espressioni dei due anziani cambiarono all’istante ed entrambi abbracciarono calorosamente la nipote. Mark non aveva ricevuto nemmeno un ‘ciao’ in risposta. Lanciò un’occhiata ai due trolley lasciati sulla soglia e li trascinò all’interno, prima che gli venisse chiesto.
«Mark, prepara il tè» gli ordinò Alexis.
Il ragazzino annuì e si mise al lavoro. Jay sopraggiunse quando stava per servire il tè, così aggiunse una tazza per lui. Appoggiò il vassoio sul tavolo e solo a quel punto sua sorella fece caso a lui. «Porta di sopra i bagagli dei nonni».
Ancora una volta assentì senza protestare, almeno aveva una scusa per allontanarsi. Alla cena avrebbe pensato la nonna e di certo non l’avrebbe voluto tra i piedi. In più Alexis era sempre felice di aiutarla.
«Si vede che ci sei tu nonno» commentò all’improvviso la ragazza. Mark stava già cercando di trascinare il trolley su per le scale. Ma che ci aveva messo dentro? Piombo? Effettivamente al nonno piaceva il tiro al piattello. Sperò che non si fosse portato l’attrezzatura e soprattutto il fucile. Anni prima aveva provato a insegnare qualcosa a Jay, ma il ragazzo si era sempre mostrato restio a qualsiasi tipo di sport.
«Perché, tesoro?».
«Mark, obbedisce all’istante».
Il ragazzino serrò la mascella e si affrettò, ma il trolley pesava troppo e sarebbe dovuto tornare indietro a prendere l’altro.
«Vostro padre è troppo buono, ve lo dico io. Se abitassimo ancora insieme…».
Mark deglutì per la minaccia sottesa e compì l’ultimo sforzo, poi rapidamente tirò fuori le ruote e lo trascinò nella sua camera – che sarebbe stata dei nonni per i prossimi giorni. Qui si prese un momento per calmarsi e passarsi una mano sugli occhi pieni di lacrime. Nessuno doveva vederlo piangere o sarebbero stati guai. Infine, tornò giù e prese anche il secondo trolley.
Guardò la stanza perfettamente in ordine e spinse il suo baule in un angolo, poi si rintanò nella camera del padre: i suoi nonni, dopo il tè, sicuramente sarebbero saliti a sistemarsi e lui non aveva voglia di occupare lo stesso spazio. Aveva recuperato il libro di Trasfigurazione, pergamene e qualche piuma e, a quel punto, si posizionò allo scrittoio paterno. Enan, Charlie e Zoey si sarebbero sentiti male al solo pensiero che lui stesse studiando la Vigilia di Natale. Teddy e Charis, invece, avrebbero capito, ne era sicuro: alle volte era molto meglio studiare e non pensare. Fortunatamente nessuno lo disturbò finché non rientrò suo padre da lavoro. Erano a malapena le sei, ma sicuramente non voleva fare cattiva figura con i suoceri.
«Tu qui sei?».
Mark, concentrato, non l’aveva sentito. Sobbalzò e sbavò leggermente la pergamena. Meno male che era solo la brutta copia, in caso contrario chi l’avrebbe sentita la McKlin?
«Sì, ho lasciato la stanza ai nonni come mi hai chiesto».
«Mmm» replicò lui recuperando alcuni indumenti dai cassetti, probabilmente intenzionato a farsi la doccia.
«Posso rimanere qui un altro po’?» mormorò il ragazzino incerto. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che avessero parlato faccia a faccia. Dopo la strillettera, mai. Deglutì. Non aveva alcuna voglia di riprendere l’argomento.
«Fai quello che vuoi» disse suo padre lasciando la camera.
Mark riprese fiato e si dedicò alla conclusione del tema. Quando suo padre tornò alla ricerca di una veste elegante per la serata, il ragazzino sollevò a malapena lo sguardo dal manuale di Trasfigurazione che stava rileggendo. Perse, però, completamente la concentrazione. Il suo cuore aveva cominciato a battere più rapidamente e un senso di soffocamento si fece largo in lui: aveva paura.
Aveva paura di suo padre, che era sempre stato distante, ma lo stava diventando sempre di più; aveva paura dei nonni che avevano praticamente conquistato il resto della casa. Voleva tornare a Hogwarts.
Si mordicchiò le labbra per non scoppiare a piangere.
«Mark!».
Si voltò di scatto verso il padre, che forse l’aveva chiamato più volte.
«Alexis dice che è pronto. Vatti a lavare le mani, è possibile che tu non sappia ancora usare la piuma?».
Il ragazzino mormorò delle scuse e si defilò. Raggiunse la cucina, proprio mentre tutti stavano per prendere posto. I nonni lo notarono e gli riservarono una delle loro occhiatacce. Perché suo padre gli aveva detto di andare a cenare? Se fosse rimasto in camera, sarebbero stati tutti più contenti. Comunque, per gran parte della cena, nessuno fece caso a lui tanto che la nonna si ‘dimenticò’ persino di servirlo e fu costretto a far da solo.
Si accorsero di lui solo quando accidentalmente urtò il bicchiere di Jay, nel quale il nonno aveva versato del vino. Sulla tovaglia bianca si allargò una chiazza rossa. Gli insulti strillati di Alexis e dei nonni si mescolarono, ma Mark se ne fece un’idea. Suo padre riportò l’ordine dandogli uno scappellotto e affermando che avrebbe rassettato lui la cucina. Mark strinse i denti, ma questa volta sentì una vampata di rabbia: se non lo volevano, perché lo tenevano lì? Se avesse scelto di rimanere a Hogwarts per le vacanze nessuno l’avrebbe cacciato.
Rassettare fu un tormento: di solito i piatti erano pochissimi, perché nessuno di loro aveva particolare desiderio di cucinare, quella sera invece sembravano infiniti. Per un attimo Mark ebbe il timore che Alexis li avesse incantati, ma, fortunatamente, riuscì a terminare. A quel punto, stanco com’era avrebbe voluto soltanto andarsene a letto, ma non poteva: il suo letto era il divano e tutti erano lì seduti intenti a festeggiare. Stanco e nervoso si ritirò nuovamente nella camera del padre e crollò quasi subito in un sonno profondo. A un certo punto, però, venne scosso da qualcuno. Infreddolito, si rese conto che era proprio il padre.
«Puoi andare giù, ora. I nonni sono saliti».
Non lo guardava nemmeno. Strinse i denti ancora una volta e obbedì, avrebbe perso tempo a chiedergli di dormire lì con lui.
Aveva sempre saputo di non essere come i suoi fratelli, anzi lui aveva una colpa che non avrebbe mai potuto espiare veramente; eppure ora gli risultava tutto intollerabile. Perché? Che cos’era cambiato?
Si trascinò per le scale e si buttò sul divano, rendendosi conto di essersi dimenticato le coperte, ma lasciò perdere e cercò di scaldarsi alla brace rimasta nel camino e stringendosi le braccia. Probabilmente si assopì per un po’, perché un rumore lo fece sobbalzare all’improvviso. Con il cuore in gola si voltò verso le scale: forse suo nonno voleva dargli quella lezione che, a suo dire, suo padre non era in grado di dargli. Non c’era nessuno. Il rumore, però, era persistente. Deglutì e si voltò verso la finestra ancora scura. Si spaventò, ma dopo qualche minuto si rese conto che erano due gufi. Si alzò di scatto e spalancò le ante.
Un gufo bellissimo e imponente teneva per le zampe un lembo di un sacco di medie dimensioni, l’altro era sostenuto da un gufetto più piccolo, che riconobbe come quello di Charis. Con il cuore in gola tese le orecchie, ma dal piano di sopra non proveniva alcun rumore. Un fiotto di felicità l’aveva investito all’improvviso e accarezzò i due gufi. Quello più grande si ritrasse e volò via appena libero, quello di Charis invece sembrò contento delle attenzioni e finì per addormentarsi. Con le mani tremanti Mark aprì il sacco e scrutò all’interno: c’erano diversi pacchetti colorati. Sorrise sempre più felice. Non aveva mai avuto tanti regali! Tirò fuori il primo pacco con una carta blu notte e con delle stelline in movimento. All’interno c’era una bellissima scatola di legno con vari intarsi era piatta e quadrata, insieme scivolò fuori una busta bianca che stranamente tintinnò sul pavimento. La prese e lesse:
 
Ciao Mark!
Spero che il regalo ti piaccia. L’ha scelto Willy. Dopotutto tra secchioni ci si capisce, no? Io comunque nella busta ho aggiunto dei soldi. Puoi usarli prendere il Nottetempo, se non vuoi stare più lì. Nell’altro bigliettino ti spiego come si fa. Me l’ha detto Cris, quindi puoi stare tranquillo.
Buon Natale!
Charlie
 
Con il cuore in gola, per il suggerimento sottinteso dell’amica, mise la busta da parte e aprì la scatola. Il suo cuore fece un salto: era una scacchiera in legno! Doveva essere costata una fortuna! Charlie era pazza. Anche i pezzi erano intarsiati e molto belli. Finalmente erano tutti suoi e non si sarebbero ribellati a ogni suo comando, come quelli di Charis o di Teddy.
Estrasse un altro pacchetto, questa volta una bustina colorata e morbida. Anche in questo caso il biglietto era all’interno.
 
Caro Mark,
avrei voluto consegnarti questo pacchetto sul treno o alla stazione, ma non avevo considerato la presenza dei tuoi fratelli. Così ho chiesto a Lupin e lui ha detto che stavano già pensando come farti avere i loro, così gli ho affidato il mio. Spero che tu stia bene.
Un abbraccio,
Elly.
Buon Natale!
 
Mark si strinse al petto la lettera, desiderando che Elly fosse lì con lui. Le voleva così bene! Si concentrò sul regalo e sorrise: guanti, cappello e sciarpa, rigorosamente giallo-neri. Li provò subito e fu felice di avere qualcosa della taglia giusta. Tolse i guanti, perché non gli impedissero i movimenti, e il cappello, ma tenne la sciarpa intorno al collo. Faceva sempre più freddo, anche se eccitato a malapena lo percepiva.
Prese un altro pacchetto, questa volta più pesante e solido. Che cosa poteva essere? In questo caso c’era un adesivo colorato: Per Mark da Zoey. Buon Natale. Lo scartò e si ritrovò di fronte a una scatola di cartone, la aprì e sorpreso costatò che erano un paio di scarpe. Bellissime! Le provò e si rese conto che gli stavano. Zoey aveva davvero buon gusto.
Cominciò però a sentirsi in colpa: i suoi amici gli avevano fatto dei regali, per giunta costosissimi! E lui non ci aveva nemmeno pensato.
Tese l’orecchio, ma non sentì nulla. Prese un altro pacchetto. Quello di Teddy. C’era un biglietto colorato d’auguri appiccicato fuori. Rimase a bocca aperta: erano delle piume, semplici ma autoinchiostranti, di diversi colori. E poi un maglione strano. Teddy aveva scritto che glielo mandava sua nonna Molly: era stato realizzato a mano, era giallo con dei libri sul davanti. Era proprio carino.
Il successivo regalo era rettangolare e di medie dimensioni. Ipotizzò che fosse un libro, ma quando lo scartò, scoprì che era un diario. Molto bello. Così avrebbe smesso di scrivere i compiti sui foglietti. Charis era sempre così gentile e premurosa.
L’ultimo pacchetto era di Enan: un sacchetto di gobbiglie! Tutto per lui! In più c’era una lettera in cui oltre agli auguri, si lamentava per la sua situazione.
Era troppo contento. Sorrise. Ma poi si chiese che cosa avrebbero fatto Alexis e i nonni se avessero visto tutti quei regali. Deglutì. Avrebbero potuto prenderglieli, ma non lo avrebbe sopportato. Ma come avrebbe dovuto nasconderli? Li rimise tutti nel sacco, temendo di rompere qualcosa. Poi prese dei pezzetti di pergamena e ringraziò uno per uno gli amici. Avrebbe voluto ricambiare i loro regali, ma, a parte i soldi che gli aveva mandato Charlie, non aveva nemmeno uno zellino.
Alla fine decise di nascondere il sacco nel piccolo bagno di servizio: non funzionava bene e non ci andava quasi nessuno.


 
 
*
 



Teddy si svegliò di soprassalto e per un attimo si guardò intorno smarrito. Era sicuro di aver sentito qualcosa. Si mise a sedere, ma nel farlo sfiorò qualcosa con il braccio. Strillò e, per la fretta, cadde a sedere sul pavimento.
«Buon Natale!» gridò una specie di gnomo saltando fuori dalle sue coperte.
Il ragazzino impiegò qualche secondo a riconoscere James Sirius Potter con un cappellino a sonagli rosso degno di Pix, il poltergeist della Scuola.
«Che succede?». Una bambina fece capolino nella stanza mostrando un’espressione incuriosita.
«Niente di nuovo, Vic» borbottò Teddy ignorando le grida del piccolo che alzava la voce per farsi sentire.
«Oh, quello è uno dei regali di zio George. Secondo lui gli dona. Freddie e Lucy ne hanno uno uguale. Zio Percy, però, non è contento: avrebbe voluto vestirla da angioletto».
Victoire aveva parlato senza nemmeno riprendere fiato. Teddy era convinto che volesse approfittare di quei pochi giorni di vacanza per raccontargli per filo e per segno tutto quello che era accaduto da settembre. Già gli doleva la testa.
«Ci scommetto» replicò rialzandosi e andando a fare il solletico a Jamie, che gridò ancora più forte. Vic si aggiunse divertita.
Quando Jamie urlò che si arrendeva, Teddy lo mandò via insieme a Vic, così da potersi cambiare. Possibile che fosse l’ultimo ad alzarsi?
Sceso al piano di sotto e si rese conto che lo stavano aspettando tutti eccitati all’idea di scartare i regali. L’albero, che troneggiava in un angolo del piccolo soggiorno della Tana, era strapieno. Era tradizione che li scartassero tutti insieme la mattina di Natale.
Teddy augurò buon Natale a tutti i presenti e fu stritolato in un abbraccio da nonna Molly. Gli altri abbracci degli altri parenti in confronto furono molto più sobri, ma ottenne un’enorme tazza di cioccolata calda e marshmallows.
A quel punto si unì agli altri bambini che lo attendevano con ansia seduti sul tappeto davanti al fuoco.
I grandi si avvicinarono per scartarli insieme a loro e aiutare i più piccoli che avevano ancora qualche difficoltà.
Teddy iniziò da quello di nonna Andromeda: una veste elegante. La ringraziò e scacciò dalla mente il momento in cui avrebbe dovuto indossarla a una delle cene del professor Lumacorno. Sentì Harry ridacchiare in sottofondo. In seguito, aprì il regalo del suo padrino e impiegò qualche secondo a comprendere cosa fosse.
«È un portabacchette di pelle di drago» spiegò Harry. «Aspetta, ti mostro come si usa». Gli spostò la manica del pigiama, scoprendo il braccio e lentamente legò i lacci intorno al polso e all’avambraccio. «Vanno di moda adesso. Così non si rischia di perderla negli zaini o che…».
«…che incendino i didietro…» soggiunse zio Ron.
«Impossibile» decretò la piccola Molly fissandolo con tanto d’occhi.
«Fidati, è vero» replicò Ron facendole l’occhiolino.
«Ron, non raccontare panzane ai bambini» intervenne zio Percy pomposamente.
Gli adulti cominciarono a battibeccare e Teddy decise di tornare ai suoi regali. Nel mucchio scovò quello di zio Bill: una cravatta dai colori accessi. Strabuzzò gli occhi: sicuramente l’aveva scelta zia Fleur. Si guardò intorno e vide che anche gli altri l’avevano ricevuta, o meglio i più piccoli avevano un farfallino. Ad Al qualcuno l’aveva messo e sembrava adorabile. James se lo era messo in testa facendo ridere tutti.
«Teddy, apri il mio».
Il ragazzino fissò Vic, che indossava un vestitino di lana rosso, molto simile a quello di Dominique e Molly. Ma a lei stava meglio, forse perché più grande.
«Certo. Aspetta, però». Si avvicinò al mucchio e dopo aver rovistato un po’ trovò il suo per Vic. «Tieni».
Il volto della bambina si illuminò.
Teddy scartò trovandovi un braccialetto: una striscia di pelle con sopra dei tassi un po’ sgorbi, degli anelli spessi e gialli e un tasso argentato.
«L’ho fatto io» mormorò Vic che pendeva dalle sue labbra. «Nonna mi ha aiutato a incidere i tassi, ma non sono stata molto brava… lei ha detto che tu avresti apprezzato… io volevo che li facesse tutti lei…».
«Grazie» Teddy le diede un bacio sulla guancia e la zittì. «Il mio ti piace?».
«Sì, tantissimo» dandogli un bacio a sua volta.
«Così nei prossimi mesi ti sentirai meno sola».
Vic s’intristì leggermente al pensiero che le vacanze prima o poi sarebbero finite e Teddy sarebbe tornato a Hogwarts, ma annuì.
Il ragazzino le aveva regalato un album di fotografie dedicato a loro e ai cugini.
Da nonna Molly aveva ricevuto il tradizionale maglione. Jamie, Al e Lily gli avevano regalato un pacco pieno di dolci per Hogwarts. Si sarebbero fatti una scorpacciata in Dormitorio. Zio George, invece, una scatola di prodotti Tiri Vispi Weasley, che evitò di pubblicizzare troppo. Zia Hermione un libro. Zio Charlie una scatola intarsiata di legno con al centro un Dorsorugoso di Norvegia.
Charlie gli aveva regalato “Come non diventare un noioso Prefetto”. Se ne impossessò subito George che cercò di declamare alcuni passi a Percy. Zoey una felpa blu, carina. Enan un drago in miniatura che ruggiva, che subito attirò l’attenzione dei più piccoli. Charis un libro di Trasfigurazione sui Metamorphomagus. Infine, Diana un romanzo e Laurence un gioco da tavola.
Una volta scartati tutti i regali, i bambini uscirono nel giardino innevato per sfidarsi in una battaglia di palle di neve in attesa dell’ora di pranzo. Harry, zio George, zio Ron e zio Bill si aggiunsero a loro. A un certo punto, zio George, Freddie e Roxi usarono la magia così gli altri risposero al fuoco. Finirono per causare una piccola tormenta. Fu divertente vedere nonna Molly sgridare Harry e i figli ormai adulti.
I bambini, però, discussero per un po’ tra loro su chi avesse vinto.
Nonna Molly aveva preparato, come di consueto, un pranzo molto abbondante e non permise a nessuno dei convitati di alzarsi da tavola finché non si fosse servito almeno un paio di volte di tutte le portate. Appena liberi i bambini corsero di nuovo in giardino, ma appena fece buio furono costretti a rientrare.  Non fu un problema, perché si radunarono tutti intorno al camino pronti ad ascoltare le storie di nonno Arthur e a provare i nuovi giochi che avevano ricevuto.
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 


Enan si passò una mano tra i capelli, tentando di sistemarli al meglio. Ormai aveva imparato che i film erano solo film e la realtà diversa: era stata una pessima idea scambiarsi. Aveva provato a scrivere a Mulciber, ma non gli aveva risposto. Si guardò allo specchio e sospirò: sua madre sarebbe stata felicissima di vederlo in quel modo, i suoi cugini l’avrebbero preso in giro per sempre. Era proprio un damerino. E non poteva nemmeno lamentarsi: la zia Amelia era stata gentilissima con lui, anche se quei modi gli avevano provocato una maggiore nostalgia di casa. Perché Mulciber gli aveva descritto i suoi zii come insopportabili? Lo zio lo metteva un po’ in soggezione, specialmente dopo gli avvertimenti della prima sera, ma era sempre stato molto gioviale e l’aveva visto giocare spesso con Michelle e Benjamin. Personalmente, Enan manteneva un po’ le distanze ben conscio che Michelle non accettava la sua presenza.
Gli zii gli avevano fatto ben due regali, tra l’altro molto costosi: un mantello di lana con la fodera di seta, verde smeraldo (qui era stato molto bravo a trattenere i conati di vomito, ma fortunatamente non c’erano serpenti ricamati) e una mazza da battitore da professionisti. A quanto pare Mulciber la desiderava. Suo zio gli aveva raccomandato di prendersene cura, perché non era un giocattolo. Non c’erano problemi per Enan: l’aveva messa sullo scaffale della libreria in bella mostra e non aveva alcuna intenzione di usarla. Il Quidditch era uno sport interessante ed emozionante, ma preferiva giocare a calcio con i bambini babbani dell’isola. Non gli sembrava di avere un equilibrio tale che gli permettesse di volare e tirare una palla allo stesso tempo.
Sospirò di nuovo e si tirò un po’ la cravatta blu, aveva evitato quella verde: per fortuna la zia lo lasciava abbastanza libero di vestirsi.
La sera prima avevano cenato presso i genitori della zia, ma, a quanto gli era sembrato, loro non lo vedevano di buon occhio. Aveva cercato di essere cordiale, ma poi un’assurda timidezza si era impadronita insolitamente di lui ed era stato taciturno per tutta la sera. Atteggiamento che aveva in parte mantenuto quella mattina quando avevano scartato i regali. Era stato in disparte, mentre Michelle e Benji giocavano. Pur di fare qualcosa si era subito proposto quando la zia aveva chiesto un aiuto per apparecchiare la tavola. Non l’aveva mai fatto a dire la verità, a casa sua c’erano un’infinità di donne tra la nonna, le zie e le cugine e non avevano mai bisogno di aiuto. Solo Blair stava con loro perché non sopportava gli animali, quindi collaborava in casa. La zia Amelia, però, era stata molto paziente e gli aveva spiegato come fare. Enan aveva apprezzato la sua gentilezza, dopotutto le aveva fatto perdere molto tempo. Altro che aiutarla! Una volta concluso, l’aveva mandato a cambiarsi prima che arrivassero i parenti.
«Thomas». La zia fece capolino dalla porta. «Tutto bene?». Sembrava preoccupata.
«Sì, grazie» si affrettò a rispondere. Si sentiva sempre più a disagio in quella casa che non era sua e nella quale si era introdotto con l’inganno.
«Sicuro? È da quando sei tornato che sei strano». La donna gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla fronte. «Sembri un po’ caldo, forse hai qualche linea di febbre».
Enan vide uno spiraglio: se avesse avuto la febbre magari non l’avrebbe costretto a incontrare tutti i parenti e gli avrebbe permesso di rimanere in camera. Ma che cosa sarebbe cambiato? Quella non era la sua stanza. Voleva rinchiudersi in quelle quattro mura fino al sei gennaio? Che grande soluzione! In più non aveva ancora avuto la possibilità di cercare i documenti che gli servivano. Gli zii, però, erano sempre stati in casa.
«Forse un po’» decise di approfittarne, ma se ne pentì quasi subito: la zia era una medimaga e, naturalmente, gli misurò la temperatura.
«No, è perfetta. Ti fa male la gola?».
«No» si affrettò a rispondere, non era il caso di fingere di star male.
«E allora che hai?».
«Niente» rispose stringendosi nelle spalle. «Andiamo?».
La zia gli riservò un’occhiata indagatrice, poi annuì.
Erano già arrivati tutti e si sforzò di essere cortese, ma senza particolare entusiasmo. Non era la sua famiglia quella.
 
 
*
 
 


«Zoey, sei pronta?» chiamò il signor Turner dal salotto.
La ragazzina si diede un’ultima occhiata allo specchio e lo raggiunse correndo. «Sì, eccomi». Sorrise e girò su sé stessa in modo che il padre potesse ammirarla.
«Sei bellissima, come sempre».
Zoey gli diede un bacio sulla guancia e si accorse che era nervoso. «Tutto bene?».
«Sì, certo».
Gli rivolse un’espressione scettica. «Sul serio, che problema c’è?» chiese con apprensione. Avevano invitato Charlie e la sua famiglia a prendere il tè e Zoey non stava più nella pelle. Non voleva che nulla rovinasse quel momento. Il suo tentativo di ricucire con le amiche era fallito, ma lei non aveva ancora intenzione di arrendersi: un’amicizia, durata per anni come la loro, poteva veramente finire così?
«Oh, Zoey. Verranno dei maghi qui! Certo che sono nervoso!» sbottò suo padre.
«Ma hai detto che potevo invitarli».
«Sì!» replicò lui cominciando a camminare avanti e indietro. «Io e tua madre vogliamo conoscere le persone con cui hai vissuto per mesi e continuerai a farlo!».
«Allora qual è il problema?» insisté non riuscendo a capire.
«Nessuno» sbuffò il signor Turner. «Sono solo preoccupato».
«Ragazzi, siete pronti?» chiese la signora Turner entrando in cucina. «Oh, che siete eleganti!».
A Zoey era sempre piaciuto essere elegante, ma non voleva esagerare con Charlie che adorava le tute da Quidditch.
«Zoey, vuoi venire a vedere quello che ho preparato insieme al tè? Ma sei sicura che il tè va bene? Forse i Krueger avrebbero preferito qualcos’altro».
Zoey si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. «I maghi bevono il tè come tutti gli inglesi». Era il colmo che sua madre volesse la sua approvazione, quando aveva preparato miliardi di tè per amici e parenti! «Va tutto bene» si costrinse ad aggiungere, «dovete comportarvi come sempre».
I due adulti annuirono, sebbene ancora non sembrassero convintissimi. Non per nulla, al suono del campanello, sobbalzarono entrambi neanche fosse stato un colpo di pistola.
«Apro io» mormorò la signora Turner.
Zoey alzò gli occhi al cielo e la seguì.
«Charlie!» gridò quasi coprendo i saluti tra gli adulti. Abbracciò l’amica: le era mancata tantissimo!
«Ehi, ehi, non ci vediamo da un paio di giorni soltanto!» disse Charlie, che non amava le smancerie.
«Sì, infatti, non so come farò d’estate».
«Come vuoi fare?» replicò l’altra pratica, mentre entrava in casa. «Ci organizziamo e ci vediamo. Potresti venire da me, abbiamo una bellissima villa in Cornovaglia».
«Sarebbe bello!» assentì Zoey. «Comunque di solito i miei organizzano qualche viaggio, magari potresti venire con noi».
«Viaggi dove?».
«L’anno scorso siamo andati a Mosca. Non mi è piaciuta, faceva freddo come qui. Anzi di più. Così poi siamo andati dai miei nonni che abitano vicino al mare. Ho detto ai miei che quest’anno voglio assolutamente abbronzarmi di più. Odio essere così pallida».
«Potrebbe essere divertente».
Zoey sorrise e andò a salutare i signori Krueger augurando loro buon Natale. Poi si scambiò i regali con la sua amica.  I suoi genitori avevano insistito per prendere un pensierino anche a Willy e James e lei aveva accettato per quieto vivere: come spiegare ai grandi che James era un insopportabile Caposcuola petulante e spione? Meglio prendergli un libro a caso.
Trascinò Charlie nella sua camera per mostrargliela e qui si confidò con lei sul comportamento delle amiche. Ancora non riusciva a dire ex. Le si strinse il cuore al pensiero che quel Natale sarebbe stato completamente diverso dai precedenti: solitamente il pomeriggio si riunivano a casa di una di loro, per lo più a casa di Zoey, e giocavano insieme dopo essersi scambiate i regali. Quell’anno non le avevano nemmeno fatto gli auguri. Aveva comprato dei regali per loro, ma giacevano sulla scrivania in attesa di una decisione.
«Portiamoglieli».
«Cosa?».
«Le situazioni si affrontano di petto».
«Lo so» sbuffò Zoey. «Sono andata da loro, ma non mi vogliono nemmeno ascoltare».
«Beh, faremo in modo che lo facciano. E senza buone maniere».
«Tu dici?».
«Sì. Quanto vuoi soffrire ancora per loro?».
Zoey assentì: non voleva tornare a Hogwarts con quel peso. «I tuoi ti faranno venire?».
«Portiamo Willy con noi. Al massimo ci aspetta fuori. Così non protesteranno molto».
Intanto, in salotto gli adulti avevano cominciato a prendere il tè. Il signor Krueger, accompagnato come sempre da Cris, discuteva amabilmente con il signor Turner e James, che doveva sempre comportarsi da grande, di legge. Alle due ragazzine sembrò che stessero confrontando la giurisprudenza magica e quella babbana. Si scambiarono un’occhiata annoiata.
Le signore, invece, discutevano di moda. Zoey sorrise: lo sapeva che si sarebbero subito trovati in sintonia. Lei e Charlie si batterono il cinque, prima di raggiungere Willy che sbocconcellava qualche pasticcino con aria profondamente annoiata.
«Se per voi va bene, porto Charlie e Willy a vedere il quartiere» esordì Zoey.
«Ma è buio» protestò subito il signor Turner.
Zoey si morse la lingua e non rispose che avevano inventato l’elettricità, non sarebbe valso a proprio favore.
«Non stiamo via molto. Voglio presentare a Charlie Sam e alle altre».
Alla fine i genitori capitolarono e loro corsero via prima che potessero cambiare idea.
«Allora, da chi iniziamo?» chiese Charlie.
«Io che c’entro?» domandò invece Willy infreddolito.
«Figurati se mi avrebbero lasciato uscire sola» rispose sua sorella.
«Da Samantha» rispose Zoey. «Siamo amiche dall’asilo. Con Dalila e Caroline siamo diventate amiche alle elementari».
«E la quinta?».
«Chris? Lei è figlia della migliore amica di mia madre, quindi siamo state quasi costrette a fare amicizia».
«Che vuol dire? Anche mia madre avrebbe voluto che fossi amica di Matilde Gould. Ma mi ci vedi?».
«Non è la stessa cosa» replicò Zoey. «La Gould è antipatica. Chris è molto dolce e brava. Sai quanti compiti mi ha fatto e mi ha passato?».
«Sì, però, è la figlia della migliore amica di tua madre! Tua madre non ha detto niente per questo suo comportamento?».
Zoey si strinse nelle spalle. «Lei mi ha detto che si sono parlate, ma si sente in colpa per non poterle raccontare della magia… Comunque con Chris non ho parlato, perché era già dai nonni, ma dovrebbe essere tornata».
Charlie fece una smorfia, ma non replicò.
«Sam ti piacerà. Ama lo sport proprio come te. Amerebbe il Quidditch».
Charlie, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era un po’ gelosa di queste amiche babbane di Zoey. Lei non aveva mai avuto vere amiche prima di Hogwarts, perché aveva sempre snobbato le figlie delle amiche di sua madre. Per lo più il suo compagno di giochi era stato Willy e poi Cris, quando il fratello era partito per Hogwarts.
La villetta di Sam era poco distante, per cui non impiegarono nemmeno dieci minuti a raggiungerla. Zoey, forte della presenza di Charlie al suo fianco, suonò il campanello e augurò immediatamente buon Natale alla madre dell’amica.
«Ciao, Zoey» disse distrattamente la donna. «Perché sei qui?».
Non era mai stata troppo ospitale o affettuosa, perciò la ragazzina non si fece impressionare. «Vorrei parlare con Sam, per favore».
«Samantha è a casa di Caroline, non lo sai?».
«No, grazie».
Si congedarono e tornarono sul marciapiede innevato.
«Caroline abita molto distante da qui?» chiese Charlie.
«No» si limitò a rispondere Zoey. Si erano riunite senza di lei! Perché non le avevano detto nulla? Perché non avevano tentato di far pace? L’avevano esclusa e basta.
La villetta di Caroline era tutta illuminata da piccole luci colorate che si accendevano a intermittenza e, sul tetto, c’era un enorme Babbo Natale con la sua slitta. Zoey sbirciò dall’ampia finestra, che sapeva dare sul soggiorno, e vide le sue amiche riunite intorno a un basso tavolino intente a giocare insieme. Deglutì.
«Dai» le sussurrò Charlie.
Zoey strinse i denti e suonò il campanello, sperando che questa fosse la volta buona. Venne ad aprire la domestica, era nuova e non la riconobbe. «Buonasera, sono un’amica di Caroline. Posso entrare?».
«Aspettare un attimo» disse ella con un forte accento straniero e, dopo aver squadrato i tre ragazzi, chiuse la porta.
Zoey sentì una stretta al cuore: per anni era entrata in quella casa senza formalità.
La domestica ritornò dopo qualche minuto. «La signorina non conosce lei».
«Non è vero. È una bugiarda!» sbottò Zoey. «Esci fuori e affrontami» gridò verso l’interno, ma la donna la bloccò con il suo corpo e non per permise di compiere un solo passo.
A quel punto, Zoey comprese che era finita: non avrebbe supplicato la loro amicizia. Prima di scoppiare in lacrime, prese i pacchetti destinati alle ex amiche e li consegnò alla domestica.
Cominciò a camminare a passo svelto sulla neve, rischiando di scivolare diverse volte. I fratelli Krueger la seguirono in silenzio. Impiegò un po’ di tempo a calmarsi. Alla fine, Charlie le chiese: «Vuoi tentare con l’altra?».
«Chi?».
«Chris».
La cameriera non aveva voluto il regalo di Chris, perché la signorina non c’era.
Zoey si strinse nelle spalle. Aveva senso ormai?
«Proviamo» la sollecitò Charlie.
Zoey sospirò e annuì. Proseguirono in silenzio. Willy e Charlie commentavano le luminarie del quartiere, ma a Zoey non sembrava neanche Natale. Per la terza volta quella sera suonò il campanello di una delle villette che l’avevano vista crescere. Quella addirittura muovere i primi passi. Sperò di non pentirsene.
Aprì un signore alto e distinto. «Zoey! Che piacere vederti! Ma sei cresciuta!».
La ragazzina sorrise timidamente: non era sua abitudine, ma in quei mesi trascorsi al castello, tutto sembrava essere cambiato.
Il padre dell’amica, però, l’abbracciò e sorrise agli altri due ragazzi, poi li invitò a entrare in casa. La madre di Chris li raggiunse subito e anche lei si mostrò calorosa come sempre.
«Io ho portato un regalo a Chris».
«Ma che gentile!» disse la signora. «Chris è in camera. Perché non salite voi?».
Conosceva bene quella casa, ma sulla soglia della stanza dell’amica si fermò incerta. «Ciao» mormorò.
Chris, intenta a leggere, sobbalzò e la fissò sgranando gli occhi.
«Se vuoi me ne vado» disse Zoey sulla difensiva.
«No» si affrettò a rispondere lei, riponendo il libro e alzandosi dal letto. «Ciao».
Zoey le presentò Charlie e Willy.
«Pensavo di trovarti da Caroline» buttò lì, tanto valeva saper subito che intenzioni avesse Chris.
Sorprendentemente la ragazzina assunse un’aria corrucciata e si spostò nervosamente gli occhiali sul naso. «Sono tornata da casa dei nonni solo da qualche ora».
Zoey non comprendeva il problema: era sempre stato così, semplicemente Chris si aggiungeva a loro più tardi. «Quindi tra poco vai?». Chris non era mai stata troppo attenta alla moda, doveva sempre occuparsi Zoey di lei.
Chris sospirò e scosse la testa. «Senti, Zoey, in questi mesi sono cambiate un po’ di cose».
«L’avevo capito. Quello che non capisco è che cosa».
«La scuola media è diversa».
«Immagino. E allora?» le chiese impaziente.
«All’inizio ce l’avevano tutte con te… anch’io, perché mi sentivo abbandonata… Le altre mi hanno sempre accettata solo perché c’eri tu…». Zoey non la interruppe, ben sapendo che era vero. «Poi le altre hanno cominciato a fare amicizia… e non mi piacciono alcune ragazze che frequentano… diciamo che ci siamo allontanate…».
«Mi dispiace».
Chris si strinse nelle spalle.
Zoey era sicura che non le stesse raccontando tutto, ma non era sicura di essere pronta.
«Stasera ceniamo a casa vostra, lo sai?» chiese timorosa Chris.
«No, mia madre si sarà dimenticata». La paura di avere dei maghi per il tè doveva aver avuto il sopravvento anche sulla mente più organizzata. «Allora il regalo te lo do dopo?».
«Sì, ok» sorrise Chris.
«Allora a dopo».
I tre tornarono a casa solo un po’ più leggeri. Prima di salutarsi Charlie tirò Zoey da parte: «Seriamente, non ti meritano. L’amicizia non finisce così facilmente».
Zoey sapeva che aveva ragione, ma ci sarebbe voluto un po’ prima che il dolore, seppur nascosto dietro la rabbia, scomparisse.
 
 



 
*
 
 



«Buon Natale» augurò timidamente Charis. Suo zio le aveva dato il permesso di andare da Shawn il pomeriggio di Natale e lei ne era molto contenta.
«Ciao, Charis. Tanti auguri anche a te!» ricambiò il Grifondoro con la consueta gentilezza. «Accomodati».
La villetta in cui abitava la famiglia Lattes era identica a tutte le altre della via, con l’unica enorme differenza, naturalmente, che lì vivevano dei maghi. Shawn assomigliava molto a sua madre, fu quello il primo pensiero di Charis.
«È un piacere conoscerti, tesoro. Shawn ci ha parlato molto di te».
«È un piacere anche per me, signora» mormorò la ragazzina, tentando di ricordarsi quanto le aveva insegnato miss Shafiq per non fare cattiva figura.
Il signor Lattes, impegnato in una partita a carte con alcuni amici, si alzò per darle la mano e il benvenuto, dopodiché la lasciò nelle mani della moglie.
Shawn le mostrò tutta la casa, piccola ma accogliente. Austin, il fratello maggiore dell’amico, era uscito con degli amici per cui non ebbe modo di ricontrarlo.
«Allora, Shawn» disse la signora Lattes, «io sto uscendo. Austin tornerà per cena, tuo padre è in salotto con gli amici. La sala da pranzo è tutta vostra, ma mi raccomando: comportatevi bene e mettete tutto in ordine quando finite».
«Sì, signora» borbottò Shawn con l’aria di chi aveva già sentito quelle raccomandazioni un milione di volte.
Charis salutò la signora e si rivolse all’amico: «Ma non hai paura di invitare gli altri a casa tua? Insomma sono babbani». Se lo chiedeva da quando Shawn le aveva detto che si sarebbero visti a casa sua per giocare tutti insieme.
«No, tranquilla. Non vedi? Qui non c’è nulla di magico. I miei hanno scelto di integrarsi perfettamente. Le cose magiche le teniamo nelle nostre stanze, infatti i miei non vogliono che portiamo nessuno di sopra».
«Ma tu mi hai mostrato tutta la casa».
Shawn scoppiò a ridere. «Charis, ricordi di essere una strega?».
La ragazzina annuì e si diede della stupida. In quel momento suonò il campanello. «Ecco gli altri».
Charis lo seguì in corridoi e si emozionò a rivedere i ragazzini con cui aveva giocato in estate. Qualcuno sembrava un po’ più alto, ma per lo più erano sempre gli stessi.
Alexis Green l’abbracciò di slancio. «Come stai?».
Charis pigolò una risposta. Alexis era la più grande delle ragazze, aveva tredici anni. Sembrava sapere sempre tutto e questo metteva Charis in soggezione.
Poi salutò Eleanor Chase che fu altrettanto affettuosa. Eleanor aveva la sua stessa età, così come Erika Stills con la quale però aveva legato di meno.
Karl Harris e Henry Braians avevano entrambi tredici anni e a Charis parvero ancora più alti di quell’estate.
Shawn li guidò nella sala da pranzo e, da perfetto padrone di casa, offrì loro della cioccolata calda, biscotti al cioccolato e pasticcini vari. La merenda fu accompagnata dalle chiacchiere entusiaste dei ragazzi.
«Sono entrata nella squadra di calcio» annunciò tutta contenta Alexis. «Nel vostro collegio c’è una squadra di calcio femminile?».
Charis la fissò sorpresa e si rivolse a Shawn in cerca d’aiuto.
«È complicato» rispose il ragazzo. «Ve l’ho detto tante volte. Charis poi ha appena iniziato, quindi deve capire come funzionano mille cose».
Avere Shawn accanto era bello, lui fu in grado di mostrarle come si poteva parlare di tutto senza dire che Hogwarts era una scuola di magia. Era anche divertente: la McKlin divenne un’insopportabile professoressa di matematica, mentre madama Bumb di ginnastica.
In seguito occuparono l’intero pomeriggio dedicandosi a diversi giochi da tavola, che Charis non aveva mai visto e non conosceva e, fortunatamente, le domande su Hogwarts diminuirono.
Fu una serata molto strana, ma divertente.
   
 
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