QUESTO CAPITOLO
E’
STATO UN PARTO.
Lo ho riscritto tre volte ed ha fatto schifo una peggio
dell’altra. Nonostante
tutto c’era un pezzo che volevo scrivere da moltissimo tempo
e sono contenta
tutto sommato di come sia uscito (aka: il finale). Tutto il pezzo di
Carter e
Drew non mi piace, ma perché fosse per me, i personaggi non
dovrebbero
interagire, empatizzare e tenersi tutto il loro dolore dentro fino ad
esplodere.
Ma poi la storia non procederebbe.
Comunque ho pensato a lungo se rivelare, o meno, una certa cosa.
Essendo Drew
un narratore “fantoccio” ho deciso di non tenere
troppo sulle spine le sue
questioni.
Rigrazio
chiunque
si fustighi per leggere questo orrore (in particolare Edoardo811) e
chiunque
segua/preferisca/ricorda.
Vi voglio bene.
Buona Lettura
RLandH
(Ah, si avevo detto che avrei cominciato a revisionare, si?
Succederà prima o poi)
Questa
cosa del
parlare delle proprie emozioni e dei propri traumi potrebbe non essere
una
cattiva idea
Drew
II
Yellowstone.
L’ultima
volta che Drew era stato al Parco Nazionale di Yellowstone aveva
dodici anni, era stato con suo padre, la sua matrigna e sua sorella.
I
mezzosangue non andavano in vacanze di piacere, ma la loro famiglia non
era
mai stata tradizionale. I Reed erano stati membri del Senato di Nuova
Roma da
quando Andrew Reed, mortale ma con il brillante dono della Vista, aveva
incontrato Elizabeth McCurry, figlia di Marte, centurione della terza
coorte,
durante la guerra di secessione.
Drew
era un lascito di Marte, ma non si era mai sentito tale.
Il
sangue del dio della guerra nelle sue vene era ormai completamente
annacquato e lui era un figlio di Cura. Quello sì, quello lo
sentiva.
Non
indugiare in questi pensieri, devi vendicarti, ricordare
il tempo
andato non lo renderà di nuovo presente. Lasciarci bene il
Suo sangue, però
renderebbe tutto meno doloroso, ancora una
volta Assetata aveva parlato
nella sua testa con la voce grondante di rabbia e dolore di una donna.
Drew
non si sentiva mai sollevato, l’angoscia permeava ogni
singolo aspetto
della sua vita ed il dolore premeva sempre sul suo petto, ma la
presenza della
spada aveva reso più difficile ogni cosa.
Era
stato rischiarante, per un po’, non averla con se, chiusa nel
bagagliaio
dell’auto.
Ma,
lì, a Yellowstone, l’aveva dovuta riprendere.
Con
la sete di vedetta della spada e la sua natura così
melanconica, i cattivi
pensieri, in un luogo così impregnato del suo passato,
sentiva che tenere il
controllo della sua mente era impossibile.
Se tu
compissi la tua vendetta, noi ti allieteremmo del tuo cuore gravoso.
UccidiLo è tutto andrà meglio. UccidiLo
è anche tuo padre non avrà più
vergogna
di te.
Ed
era un disastro perché quanto detto da Carter, addirittura
consigliato
dal Divino Apollo, avevano bisogno di essere razionali per ottenere
l’Astrolabio.
A
Drew faceva ridere, di rabbia e rancore, ovviamente, pensare al divino
Apollo.
Carter,
come lui, era un’esule, era lì sempre a lamentarsi
di suo padre … che
lo aveva aiutato senza condizione, aveva dato loro consigli, anche
sulle
divinità norrene, stando al suo racconto, aveva offerto a
Carter anche la
possibilità di tornare a casa, di vivere.
Drew
con suo padre, il suo padre umano, non parlava da un anno, neanche con
la
sua matrigna, Angelica, e Cura, ovviamente, non si era degnata di
palesarsi una
volta.
La
sua divina madre per Drew era un enigma, l’aveva incontrata
una sola volta,
a Roma, sulla riva del Piccolo Tevere.
Drew
si era aspettato una qualche frase mistica misteriosa, non era quello
che
facevano gli Dei? Regalavano perle non richieste sul futuro, criptiche,
o roba
del genere? Certo, Drew in quel momento non sarebbe stato nello stato
adatto
per affrontare un aforisma divino, ma Cura era rimasta in silenzio,
fissandolo
con i suoi grandi occhi neri, come buchi nella terra, profondi e senza
fondo.
Lei
non aveva niente da dire. Ti stava giudicando, perché hai
permesso a
quell’infame di
camminare via. Perché sei stato zitto e perché
sei debole.
Ma noi non lo siamo, Druso Reed, e noi ti renderemo forte.
Assetata
aveva vibrato nella sua mano.
“La
tua spada
abominevole dice altro?” aveva interrotto il filo dei suoi
pensieri il mostro
nordico,
“La mia spada
abbominevole non sta
mai zitta” aveva
risposto Drew, sfiorando con le dita il pomello tondo, sulla cima
dell’elsa.
L’Empusa
aveva cercato di praticare un incantesimo sopra per mitigarne gli
effetti, ma la magia della stirpe di Ecate sembrava un misero castello
di
sabbia contro le onde del mare in tempesta che era Assetata. Chiunque
l’avesse
maledetta, la Donna scommetteva, quella che tra tutte le anime della
spada
aveva sempre più voce, era molto più potente di
Grace.
E
con molta più volontà.
Era
la volontà che faceva girare il mondo.
“Una
delle anime rimaste intrappolate nella spada ha raccontato che
l’ultima
menzione nota dell’oggetto è stato qui, poco meno
di trent’anni fa. Era un
mezzosangue di nuova Roma, Kenny Dantelion, è morto
combattendo contro un … cartaginese?”
aveva provato.
Qualcuno
a Nuova Roma diceva che esisteva una Nuova Cartagine, ma era
più un
sentito dire, una voce, che un vero e proprio fatto. Anche se quasi due
anni e
mezzo prima, Jason Grace, all’ora centurione della quinta
coorte, aveva giurato
di aver incrociato la lama con una ragazzina che si professava
originaria di
quella mitica terra. “Comunque era venuto a recuperare
l’Astrolabio” aveva
dichiarato, “Dantelion, intendo, non il
cartaginese”.
Se
degli annali riportavano di questa missione, lui non ne aveva saputo
niente,
ma Drew non era mai stato molto sul pezzo, aveva militato nella terza
coorte,
con un certo disinteresse, perché
doveva. L’unico
slancio politico che
aveva avuto era stato orientato verso l’idea di intraprendere
il cursus
per divenire Flamen
Dialis, il
sacerdote di Giove.
Così
avrebbe potuto partecipare alle riunioni del senato, avrebbe reso
orgoglioso la sua famiglia. Era quasi nostalgico immaginarsi seduto
sulla sedia
crurale mentre osservava Drusilla sua sorella, sarebbero stati un
sacerdote ed
un pretore. Questo era il loro sogno, più il sogno di lei,
che di lui, ma a
Drew piaceva, non aveva mai perso troppo interesse a riflettere su cosa
volesse
– finché
era felice Drusilla andava bene.
Però
Nuova Roma aveva scelto Reyna Arellano.
“Non sono
arrabbiata, lei è fantastica ed io ho ancora tempo. Adam
vuole
ritirarsi tanto. Io sarò pretore di Roma”
aveva dichiarato Drusilla con un
sorriso che non poteva essere mitigato dalla sconfitta.
Erano
stati gemelli, figli del ventre dell’angoscia, ma sua sorella
rifulgeva
del potere di Marte, con occhi lucenti e fiammeggianti di fiducia, di
forza,
orgoglio e con un’allegria di ferro.
Drusilla
Reed, lascito di Marte, figlia di Cura, centurione di Roma.
Che
non sarebbe mai stata Pretore.
E di
chi è la colpa, Druso?
Si
era accorto che tutti lo stavano fissando.
“Dovremmo
saperlo noi?” aveva chiesto retorico il figlio di Apollo,
ammiccando
alla faccenda dei cartaginesi. Carter aveva un modo di guardare la
gente, in
particolare lui, che rendeva a Drew estremamente difficile parlargli;
aveva il
modo di porsi di un vecchio, di chi aveva vissuto, aveva sofferto e si
erigeva
sull’altare dei savi, di chi pensava di aver compreso tutto e
rivolgeva agli
uomini lo sguardo giudicante di un Dio stanco.
Inoltre,
Carter poteva offrire un bel paio di occhi scuri, perforanti,
incastonati su un viso carino, degno della progenie di Apollo, cosa che
rendeva
a Drew ancora più difficoltoso intervenire con lui.
Stranamente, grazie al
contributo di Assetata, offenderlo, sputando veleno e rabbiosa
verità sembrava
uscire molto più naturale.
“Sì. Comunque, era
qui per recuperare l’Astrolabio di Leone, pensava potesse
essere utile per la
faccenda dell’Alas-Lasciamo perdere.
Dovrebbe essere qui” aveva
deliberato.
“Sto per dire una di quelle cose poco carine: dovremmo
dividerci, per coprire
più spazio” aveva proposto Grace con un sorriso
nervoso sulle labbra, da quando
erano stati ad Ironwood il suo buon umore si era fatto più
finto della pazienza
di Drew, “Se c’è un artefatto magico lo
troveremo subito, di solito sono
calamite per la sventura” aveva dichiarato, tirando i capelli
scuri dietro
l’orecchio.
“La mia vita
somiglia un po’ ad un film horror, rispettiamo tutti i
cliché” aveva dichiarato
Carter con un tono lugubre, “Come ci dividiamo?”
aveva chiesto.
“Io adoro spendere il mio tempo con te Gratia, ma sono un
lupo solitario” aveva
scherzato Eirik, aggiustandosi il colletto del suo smanicato di
pelliccia; dopo
averlo detto si era allontanato da loro di qualche passo, aveva
incatenato i
suoi occhi grigissimi su quelli dell’Empusa, aveva sciolto le
spalle e poi
senza alcun preavviso Drew aveva assistito ad uno spettacolo
raccapricciante.
Gli arti di Eirik si erano allungati, le unghia delle mani si erano
fatte nero,
lunghe e spesse, così come
la mascella,
il naso e la mandibola si erano modificate come se fossero state di
argilla
morbida, era crollato a quattro zampe e la pelliccia della giacca aveva
ricoperto il corpo.
“Raccapricciante” era stato
Ceneo a dirlo, in inglese, per una volta
Drew concordava con il lapita.
Dove prima c’era stato un ragazzo, dal sorriso sghembo,
invece appariva un
gigantesco lupo, due volte la taglia uno normale, con occhi grigissimi,
luminosi come lune, il pelo era folto, lucido e di un colore scuro
cenerino.
Grace si era sporta per accarezzare il lupo sulla testa, prima di
grattargli
dietro l’orecchio, in maniera amorevole.
Situazione bislacca, aveva pensato.
Stucchevole, aveva commentato Assetata.
Ceneo aveva detto
qualcosa, Drew aveva decifrato solamente due parole: Achei e
Romaioi
– che ricordava fosse il termine greco per i Romani.
Reminiscenze di Storia
Bizantina a Nuova Roma, un periodo storico in cui la differenza tra
Greci e
Romani era così flebile da essere divenuti praticamente un
unico popolo.
Forse sarebbe successo di nuovo, se Gea non avesse vinto, ovviamente.
“Potrebbe andare” aveva valutato Carter,
“Mi traducete?” aveva chiesto Drew
leggermente spazientito, “Ceneo ha proposto di dividerci tra
Romani e Greci, ma
forse è meglio mischiare un po’” aveva
spiegato Grace, “Io vado con Ceneo e tu
con Carter” aveva proposto.
Il figlio di Apollo l’aveva guardata interrogativo, Grace
aveva inclinato il
capo ed aveva annuito, di rimando Carter aveva sollevato un
sopracciglio e
l’empusa aveva sorriso accomodante.
“State facendo una conversazione telepatica?
Potete?” aveva indagato
spazientito Drew, “No, perché non ci stiamo
evidentemente capendo” era stata la
pigra e frustrata risposta del semidio.
Grace lo aveva preso in disparte e si erano allontanati appena.
Ceneo aveva detto qualcosa, “Almeno sforzati un
po’” aveva sibilato Drew, che
di quella storia del greco antico iniziava ad essere terribilmente
infastidito.
Eirik aveva inclinato la sua testa, era piuttosto buffo, vederlo
così.
Aveva sempre desiderato un cane da bambino, ma suo padre lo aveva
sempre
tacciato di essere lui, Drew, troppo piccolo per occuparsene e lui, suo
padre,
troppo impegnato. “Stanno parlando del tuo stato mentale
alterato” aveva
dichiarato il lupo.
“Tu … parole!” aveva esclamato Ceneo,
sconvolto, anticipando Drew, circa.
“Faticoso” aveva dichiarato solamente il lupo
facendo scivolare a penzoloni la
lingua dalle fauci.
Qualsiasi cosa avesse detto Grace aveva ottenuto alla fine un cenno
d’assenso
di Carter.
“Cosa
hai deciso
sul mio stato mentale?” aveva domandato Drew.
Che
ti importa di questo bimbo piangente, dobbiamo vendicarci, troviamo
l’Astrolabio e troviamo Lui.
“So ammansire le bestie, con la musica, e so
curare” aveva asserito Carter, “Così se
do di matto tu puoi gestirmi meglio
della strega” aveva considerato lui.
Se
Carter fosse stata una persona diversa forse avrebbe manifestato
dell’imbarazzo, ma la sua espressione era rimasta ieratica e
si era limitato ad
annuire, “Credo che Grace fosse più preoccupata a
cosa avrebbe dovuto fare per
gestirti” aveva commentato Carter.
“Lo
preferisco” aveva dichiarato Drew, non aveva niente di
specifico contro i
suoi altri tre compagni di avventura – okay, forse contro
Ceneo sì, ma solo
perché continuava a parlare quella lingua maledetta
– ma doveva ammettere di
sentirsi più a suo aggio con Carter, nonostante fosse greco;
forse era perché fossero
due semidei. Ceneo era un guerriero vecchio tremila anni che non
parlava la sua
lingua, Grace era un’empusa di duemila anni ed Eirik
… non era neanche del suo
pantheon. “Non è facile fidarti dei
mostri quando passi tutta la vita a difenderti da loro” aveva
commentato il
semidio greco, cogliendo i suoi pensieri.
“Tu
come fai?” aveva domandato alla fine Drew.
“Non
lo faccio. Grace è diversa ed Eirik vuole essere dal suo
lato buono” aveva
risposto solamente.
Drew
aveva annuito, accettando la risposta.
“Come
ci sei finito con lei?” aveva indagato, “Sei
chiacchierone oggi” era
stata la lapidaria risposta di Carter, “Se sono distratto non
penso e se non
penso lei non può insidiarmi” aveva dichiarato
frustrato, tenendo una mano
sull’elsa della spada.
L’altro
aveva annuito, lanciandoli però uno dei suoi sguardi, come
se in Drew
vedesse un piccolo umano fragile che andava compatito, questo faceva
montare in
lui la rabbia che Assetata incrementava, nutrendosi di ogni suo mal
pensiero.
Spacca
la faccia a quest’immondo abominio, figlio del male!
Oh
il caro Flegias.
Carter
aveva soffiato, “Qualche anno fa ho deciso di seguire un mio
amico
in un’impresa piuttosto folle, eravamo animati da buone
intenzioni, ma come si
dice spesso, la strada per l’Inferno ne è
lastricata” aveva dichiarato, “Non
che creda all’inferno, cioè credevo nel Tartaro ma
visto questa storia dei
diversi pantheon, mi sento aperto a diverse
possibilità”.
Drew
aveva aggrottato le sopracciglia, decidendo di ignorare la seconda
parte
del racconto, Carter aveva ripreso: “In
breve? Abbiamo dichiarato guerra agli dèi. Ora lui
è morto ed io sono bloccato
qui, esiliato”
aveva spiegato in maniera più cristallino, “O
almeno era
così fino a qualche giorno fa” aveva dichiarato,
“Differentemente da te, ho
scelto io però la mia miseria” – Carter
aveva fatto una pausa – “Oh, be, Apollo
ha avuto il suo bel ruolo”.
Per
un secondo Drew non aveva avuto la più pallida idea di cosa
stesse
parlando, fino a che non aveva ricordato la loro conversazione alla
Fontana di
Salmace dove aveva raccontato che Cura era nemica sia di Giove sia di
Gaia.
“Non
è proprio così” aveva ammesso alla fine
Drew, “Essere figlio di mia madre
mi ha sempre fatto sentire di troppo a casa mia, Nuova Roma, e quando
me ne
sono andato essere figlio di mia madre mi ha reso sgradito a
Gaia” aveva
raccontato poi, “Quindi anche tu potresti tornare a
casa?” aveva indagato
Carter, “Adesso sei tu quello chiacchierone” aveva
replicato.
“Siamo
letteralmente nel mezzo del parco di Yellowstone, fa un freddo del
cazzo
nonostante sia primavera, non c’è un anima in
giro, tranne qualche orso che
probabilmente si paleserà per mangiarci e noi stiamo dando
retta ad una Spada
Maledetta” aveva borbottato Carter. “Touché”
aveva replicato Drew,
sorridendo sottilmente. “Comunque, no, tecnicamente non posso
tornare, non sono
stato formalmente bandito ma ho disertato. Se
tornassi a Nuova Roma
dovrei nutrirmi di Orzo per il resto della vita, oppure essere percosso
o la
morte[1],
immagino dall’umore di Reyna o di Jason[2],
i Pretori” aveva riferito Drew.
Carter
lo aveva guardato con una certa intensità, Drew aveva
riconosciuto sul
viso quella tacita domanda: ‘Perché te ne sei
andato?’ ma il figlio di Apollo
non l’aveva chiesto, così come Drew non aveva
indagato sulle ragioni che lo
avevano spinto a dichiarare guerra agli Dei.
“Perché
tua madre non piace a Giove e Gaia?” aveva chiesto invece
Carter. “Oh,
be, è una storia buffa” aveva risposto Carter,
“Tutti e tre reclamavano il
dominio sulla stessa cosa” aveva cominciato,
“L’argilla?” aveva domandato
l’altro
interrompendolo.
“Lo
so che sembra che mia madre sia la dea dell’Argilla, ma
è solo un’altra
cosa. Grace lo ha detto, l’altra volta. Comunque tutti e tre
reclamavano il
dominio sulla creazione degli Umani”
aveva risposto Drew.
Carter
aveva schiuso le labbra, poi aveva ridacchiando, “Scusami ma
tra Zeus
che non si frega di nessuno e Gea che ci vuole morti, mi sembra quasi
surreale”
aveva detto. C’era simpatia nella sua voce, una simpatia un
po’ isterica.
Drew
aveva annuito, prima di cominciare la sua narrazione, che ormai
conosceva
a menadito. “Pare che mia madre, la Dea Cura, un giorno
camminando vicino ad un
fiume, abbia beccato questo terreno argilloso sull’ansa e si
sia messa a
modellare questa forma che poi è saltata fuori fosse un
uomo. Lei era così
contenta della sua creazione; Dei mi spieghino perché, che
ha convinto il
divino Giove ha dargli il soffio della vita e … TAC! Noi siamo
nati”
aveva aggiunto.
“Quindi
tua madre è tecnicamente la madre di tutti noi?”
aveva chiesto l’altro.
“Si,
circa” aveva annuito Drew, inclinando il capo,
“Comunque, gli umani sono
piaciuti a tutti, dovevamo essere proprio piacevoli ai tempi,
così mia madre ha
cominciato a rivendicarne la creazione perché li aveva
modellati lei. Poi visto
che Giove è uno che non può fare a meno di essere
il centro dell’universo,
vedendo come tutti lodavano Cura, ha cominciato a pretendere lui la
rivendicazione
perché aveva messo il soffio vitale” Drew aveva
fatto una pausa, guardando il
cielo.
Era
plumbeo, nascosto dietro grossi nuvoloni ed il clima freddo.
“Non credo ci
stia ascoltando” aveva valutato Carter, che come lui lo aveva
imitato, facendo
schioccare le labbra, “I vantaggi di essere schifato da
tutti” aveva concesso
Drew.
“Poi
si è intromessa Gaia, lungi da me sapere perché,
pretendendo la
rivendicazione poiché l’argilla era stata
gentilmente offerta da lei” aveva
raccontato.
“E
chi la ha spuntata?” aveva chiesto Carter, sembrava
sinceramente
interessato. Drew aveva sorriso, “Mia madre”
aveva risposto, “Circa.
Credo che per gli Dei sia impossibile concepire una vittoria
onesta” aveva
ammesso, finendo per raccontare il resto della storia: “Il
corpo sarebbe
tornato alla terra, e l’anima sarebbe ascesa al cielo da
Giove – sai, ecco,
credo che Giove aveva ancora affidato il regno dei morti a
Plutone” aveva fatto
una pausa. “A Cura sarebbero appartenuti gli uomini per tutta
la durata della
loro vita” aveva concluso per lui, di getto, Carter;
estremamente capace ed
intuitivo. “Sì. L’angoscia che
domina
ogni uomo” aveva confermato Drew.
Tutte
queste sono sciocchezze per ragazzini, noi abbiamo sete e tu
hai giurato di dissetarci.
Drew
aveva soffocato quella voce fastidiosa con tutte le sue forze,
“Non
migliora?” aveva chiesto Carter, lui aveva scosso il capo.
Il
figlio di Apollo aveva fatto un passo verso di lui ed aveva sollevato
una
mano, per sfiorarli una guancia, fino a risalire sulla tempia, la
temperatura
delle sue dita era alta, però era stata lenitiva.
“Stai
facendo quello che Eirik chiama Arte-Femminile? Ammansisci le
bestie?”
aveva chiesto retorico Drew, anche se si sentiva incredibilmente meglio.
Carter
aveva sorriso in maniera quasi spontanea, qualcosa che non si sposava
molto bene con la sua espressione funerea, che sembrava permeare sul
suo viso
sempre.
“Che
ci posso fare se quello è un rozzo vichingo, le arti greche
funzionano così” si era difeso bonariamente
Carter, poi. “Scusa Nuova Roma è
ancora ferma alla forma dei due pretori[3],
non siamo ancora neanche al governo dei due consoli, praticamente non
siamo
ancora entrati nella pubertà, quindi, mi spiace, abbasso le
molli arti greche e
viva il Mors
Maiorum e le
spaventose discipline etrusche” aveva risposto
Drew, facendosi cogliere da una risata.
I
due ragazzi si erano guardati in faccia, cercando di mantenere delle
espressioni
serie sul viso, che però erano finite sopperite da una
risata incredibilmente
frusciante.
Non
era neanche divertente, il loro scambio di battute era stato pessimo e
fiacco, ma era bastato poco, perché si ritrovassero a ridere.
Carter
si teneva la pancia, mentre Drew si lasciato cadere sull’erba
del parco,
ancora fremente dal riso.
Non
era divertente, ma ne avevano bisogno loro, di aggrapparsi
all’ultima perla
di allegrezza che potevano avere.
Smettetela!
Guardati ragazzino scemo, che sei qui a rotolarti sull’erba
ebro
come una ragazzina, mentre noi agonizziamo per un solo goccio
d’acqua!
“Fottuta
spada stai zitta” aveva urlato Drew, sfilando dal fodero la
lama e
guardandola con nervosismo, lo notava il suo potere, lo percepiva nelle
ossa,
nelle mani, in se stesso, era così forte da crepare
l’argilla molle di cui ogni
tanto la sua pelle si fondeva. “Trattala bene, che ci deve
dire dove è
l’Astrolabio” lo aveva ammansito Carter, con la sua
voce morbida e musicale,
proprio da figlio di Apollo, che a lui piacesse o meno.
Drew
aveva annuito, “Troveremo tua sorella” aveva detto
poi.
Una
parte grande, grandissima, della sua mente era focalizzato su altro,
alimentata dalla spasmodica fame di Assetata, una parte di se a cui non
importava niente di Carter Gale e la sua sorella moribonda a cui
importava solo
di Lui e della sua vendetta.
Una
parte che diceva: Prendi l’Astrolabio e scappa.
Somigliava
alla voce di Assetata quando la sentiva, ma lo sapeva che non era
quella della maledizione della spada, ma bastava concentrarsi un
po’ sulle
motivazioni che lo muovevano.
Vendetta!
Vendetta!
Ed
improvvisamente la sorella di Carter capeggiava nella sua
immaginazione, non
conosceva Heather Shine, non sapeva come fosse, se somigliasse al greco
o fosse
il suo complementare, nella sua mente somigliava a Drusilla, sua
sorella.
La
sua meravigliosa sorella.
“E
la salverai” aveva detto ad alta voce Drew, aveva sentito
qualcos’altro
muoversi in lui, rabbia sì, rancore, ma anche
volontà.
Non
ci sarebbe stata nessun’altra
Drusilla, se lui
l’avesse potuto
impedire.
Carter
si era morso il labbro, aveva smesso di ridere, gli occhi a mandorla si
erano fatti di nuovo ombrosi, “Il tuo … affare”
aveva provato, “È una
vendetta, vero?” aveva chiesto alla fine il figlio di Apollo,
“Non lo stai
facendo per tua madre” aveva dichiarato Carter.
Era
bravo.
Drew
aveva sorriso con amarezza, tirandosi su, per poter guardare nuovamente
Carter in viso, “Lo faccio per mia sorella” aveva
dichiarato alla fine, “La
vendetta è sacra, non adempierla è una vergogna
per l’onore, così come lo è
sigillare una promessa che non si rispetterà.
L’onore è tutto per un Romano e
mia sorella era tutto per me” aveva dichiarato con sicurezza.
Lui
e Drusilla erano figli di Cura, signora dell’Angoscia. Erano
fatti di carne,
sangue ed argilla, avevano diviso lo stesso ventre divino ed avevano
condiviso
lo stesso fiato nello stesso momento.
Se
non avesse finito il suo dovere, sarebbe stato una delusione di romano,
di
uomo e di fratello.
Sì!
Dovresti vivere così, con queste emozioni! Sì!
Nutriti del tuo dolore,
si e lasciaci nutrire!
Aveva
strillato Assetata.
Carter
lo aveva guardato con attenzione, come se lo stesse sondando, ogni
centimetro della sua pelle, ogni centimetro della sua anima, poi aveva
parlato.
“Noi
mezzosangue moriamo tutti o quasi giovani, ci fai il callo, come
pensiero,
che magari a sedici anni ci rimarrai secco, mangiato da un drakon,
mentre vai a
prendere delle mele d’oro o una stronzata simile”
aveva dichiarato Drew, Carter
aveva annuito.
“Ma
mia sorella non è morta così, se fosse morta
così, io lo accetterei se
fosse morta così, avrebbe voluto dire che è morta
alle sue condizioni. Però
Drusilla non è morta così, in missione, da eroe,
la hanno uccisa e a nessuno e fregato
nulla” era riuscito a vuotare quel tumulto Drew.
Probabilmente
era stata la più lunga combinazione di parole che diceva a
qualcuno da tanto – tantissimo – tempo su sua
sorella.
Dopo
la sua ultima frase era sceso un silenzio denso. Ma Drew sollevato gli
occhi aveva trovato lo sguardo di Carter ad accoglierlo.
Non
possedeva quel taglio duro e giudicante che aveva sempre, ne
però era
morbido ed accondiscendente, però sì,
c’era qualcosa di caldo, di buono, che
Drew poteva tradurre in una sola maniera, che non era né
pena ne
commiserazione, ma comprensione.
L’altro
lo capiva.
In
una maniera intima in cui Drew Reed non si era mai sentito capito.
“Si
chiamava Joelle” aveva detto alla fine Carter.
“Pensavo
Heather” aveva commentato Drew, incerto. Il figlio di Apollo
aveva
usato il passato.
Il
greco aveva scosso il capo, “No. Joelle è
morta” aveva specificato, poi
aveva stretto le labbra, lo sguardo scuro si era fatto distante, come
se
improvvisamente non fosse stato più lì, ma
altrove, con gli occhi vedeva cose
distanti.
Drew
riconosceva quell’espressione, perché era stato
certo di averla già vista
su se stesso.
Carter
aveva sbattuto le palpebre, uno squarcio di dolore aveva attraversato
il
suo viso, distorcendo l’espressione in una maschera funebre,
poi aveva
recuperato la sua compostezza.
“Non
lo avevi mai detto ad alta voce, vero?” aveva chiesto
titubante.
“No”
aveva confermato Carter, “Non così
almeno” aveva ammesso.
Realizzazione.
“Era
una tua sorella?” aveva domandato titubante, Apollo aveva
molti figli, che
lui ricordasse. Carter aveva scosso il capo, “No, lei era
… una mia amica.
Penso … avessi una cotta per lei” aveva aggiunto
insicuro, sigillando poi le
labbra.
Era
caduto tra loro il silenzio.
In
quel momento Drew lo stava guardando con quel medesimo occhio di
comprensione e con quel sentimento nel petto aveva deciso di non
insistere.
Carter
voleva parlare, lo vedeva quasi dal tremolare del suo labbro indeciso
se
schiudersi o meno, ma forse non era ancora pronto. Non in quel momento.
Oh,
che commovente scena, stupidi ragazzini, noi abbiamo fame. Dissetateci!
“Ti va se proviamo a far collaborare Assetata?”
aveva chiesto Drew, ondeggiando
la spada maledetta, “Magari Dandelion ha voglia di
chiacchierare del suo
omicidio” aveva provato, riferendosi all’anima del
Romano prigioniero nella
spada.
Come Flegias.
Carter aveva annuito. Era un pensiero strano per il figlio di Cura, da
quando
aveva lasciato Nuova Roma, era la prima volta che riusciva a trovare
sintonia
con qualcuno, probabilmente anche da prima, se si escludeva sua sorella.
Dandelion aveva
avuto voglia di chiacchierare.
“Che ha detto?”
aveva chiesto Carter apprensivo, “Ecco si, ad ucciderlo
è stato l’ultimo
proprietario della Spada Elyas Phoenix, quello che ha dato via Assetata
dopo
essersi innamorato di – e citerò le parole precise
di Assetata – una
Gran Frigida” aveva cominciato a
spiegare lui.
“Utilissimo” era stata la sarcastica risposta del
figlio di Apollo.
“Oh, be, Dandelion mi ha, circa, detto anche i suoi indizi,
in cambio della
promessa che la prima persona che cercheremo è …
quella che serve a me” aveva
dichiarato.
“Che coincidenza” aveva replicato Carter, ma nel
suo tono c’era una sfumatura
piuttosto divertita, “È una millenaria spada
animata dal desiderio di vendetta,
sa come fare il suo lavoro” aveva ripiegato Drew, strizzando
l’occhio al suo
amico.
Così si erano ritrovati a seguire il volere della lama
malefica, per il parco.
“Bene, Dandelion
si ferma qui. L’Astrolabio doveva essere là. Il
nostro amico non ha potuto
provarlo, è morto lì, in quel punto, in effetti
chiede anche se possiamo dissotterrarlo
e bruciarlo con almeno un asse” aveva raccontato Drew, che
aveva seguito per
filo e per segno l’istruzione della spada. Indicando poi il
luogo incriminato.
“Nel lago?” aveva domandato Carter osservando
l’acqua. “No in quel punto lì”
aveva rettificato Drew, pensando di essere stato chiaro.
Il figlio di Apollo lo aveva guardato con una certa
criticità, “Parlavo
dell’Astrolabio”
aveva chiarito Carter, che probabilmente non doveva essere molto
interessato a
morti romani.
Drew si era sentito pieno di vergogna, ma aveva annuito, dedicando
anche lui lo
sguardo alla superficie del lago, se così poteva essere
chiamato.
C’era stato tra loro un silenzio piuttosto pregno, poi Carter
lo aveva stupito:
“Spettacolare” era stato il commento che si era
lasciato sfuggire, strabiliato.
Era
il Grand Prismatic Spring, sorgeva
in una zona non boschiva, anzi quasi desertica, le piante la
circondavano
lasciando una lunga zona di terra dura. La fonte d’acqua era
di un’estensione
piuttosto imponente, di un colore di un blu così vibrante da
sembrare
temperata, sui bordi il colore prendeva prima sfumature verdastre,
così come il
tappeto dell’ansa sfumava dal giallo, passando per
l’arancio e infilandosi poi
in una terra di un marrone severo.
Ciò che più attirava lo sguardo, subito dopo i
colori, però era il fumo che si
levava dalle acque.
“Sì, lo è” aveva concordato
Drew.
Il Grand Prismatic Spring era davvero spettacolare,
ricordava di averlo
visto anche da bambino, suo padre lo aveva guardato affascinato, aveva
detto
alla sua matrigna ‘Peccato’
– Drew si chiedeva se per caso suo padre
avesse saputo ciò che Dellinger aveva scoperto – di rimando quella poverina
non aveva potuto
dare a quelle parole molta importanza.
Sia la donna, sia Drew, avevano dato la loro priorità nel
fermare Drusilla,
intenzionata a voler nuotare in quel lago azzurrissimo.
“Fermati, leonessa, non vorrai scottarti,
vero? Se entri in quell’acqua
esci più cotta della pasta!” aveva ridacchiato la
sua matrigna, con tanto
divertimento.
Drew si era riscaldato con quel ricordo.
Si, giovane Druso, goditi questi ricordi, crogiolati e
ricordati perché la
vendetta è l’unica strada. Ricorda quel che hai
perso. Vivi di questo rancore.
Aveva vibrato Assetata.
“Quello è il Grand Prismatic Spring,
è la terza sorgente calda più
grande al mondo ed ha la temperatura di settanta gradi celsius
… circa
centosessanta[4]
fahrenheit” aveva raccontato Drew, ricordando le nozioni che
aveva conosciuto
da bambino.
Carter aveva imprecato in greco antico, “Chiaramente nessun
umano può entrarci”
aveva stabilito, “Se non vuole essere lessato no”
aveva confermato Drew,
“Chiunque lo abbia lasciato lì, probabilmente non
voleva capitasse in mano di
nessun mortale, casualmente. Magari esiste qualche armatura magica
super
fantastica nella mitologia da trovare” aveva provato Carter,
mordendosi un labbro,
pensieroso, “Forse la magia di Gracie può fare
qualcosa, forse come figlio di
Apollo posso regolare il mio calore del mio corpo, forse la pelle di
Eirik è
resistente a tutto questo, dovrebbe essere tipo un gigante di ghiaccio
o una
roba simile. Magari è come un ciclope” si era
lasciato in elucubrazioni Carter.
Entra tu!
Aveva ruggito Assetata.
“Come?” aveva domandato Drew confuso.
Carter aveva ripreso il suo discorso, “No, aspetta
… ehm, parlavo con la spada”
aveva detto imbarazzato lui.
Ragazzino, mi pare evidente che i tuoi poteri ti permettano di
sopportare
quelle acque. Non sei forse tu fatto d’argilla?
aveva risposto la spada, era una voce femminile, ma era diversa da
quelle che
aveva udito fino a quel momento, era comunque carica di rabbia, ma
sembrava
anche più stanca.
“Sì, giusto. La ceramica, cioè
l’argilla, cuoce intorno ai trecento gradi.”
aveva dichiarato Drew, dandosi un colpo sulla fronte, come se si fosse
immediatamente illuminato.
“Tu puoi entrare?” aveva chiesto Carter con genuina
curiosità.
“Oh, be, se mantenessi il mio corpo fatto di argilla,
qualcosa di molto, molto,
faticoso per me, potrei resistere senza finire come un aragosta e
trovare
l’astrolabio. Come ho detto l’argilla si solidifica
a temperature molto più
alte, mentre bagnata resta malleabile, perciò
finché sono d’argilla, sono salvo”
aveva ponderato Drew.
“O potremmo cercare Grace” aveva proposto Carter.
“Magari facciamo ambedue le cose, la superficie della fonte
è piuttosto vasta”
aveva dichiarato Drew, mentre sfilava al cintura a cui aveva legato il
fodero
della spada, “Tuo padre ha detto mente lucida, si?”
aveva dichiarato, anticipando
la muta domanda di Carter.
Il figlio di Apollo aveva raccolto Assetata, facendo attenzione nel
prenderla
dalla cintola del fodero, quasi timoroso la lama fosse incandescente.
“Come respirerai?” aveva chiesto Carter.
Drew aveva preso un respiro, si sentiva più leggero, senza
la spada, ma anche
più debole.
Anche solo sfiorare il pomello di Assetata lo faceva sentire
più saldo, duro e
forte.
Aveva fatto saltare le converse e poi aveva tirato via i calzini
zappettando,
in maniera poco virile, aveva calato i pantaloni restando con le gambe
nude
come zampe di pollo ed i boxer ed aveva preso l’aria fredda
dell’ultimo inverso
sulla pelle non coperta dalla canottiera quando aveva tirato via la
felpa. Si
era sforzato di non guardare Carter, realizzando di non poter gestire
bene il
suo corpo così secco, specie in confronto al figlio di
Apollo con la sua
notevole croce di spalle ed indovinava il fisico tonico.
Drusilla diceva che lui pareva un chiodo con dei fili di spago legati
– anche
Ceneo lo aveva detto, in effetti.
“Quando sono in quello stato io … non ho bisogno
di niente. Sono argilla!”
aveva dichiarato Drew.
Era un essere materiale, inorganico, mosso da una mente e preda
dell’angoscia …
sperava che la sua lucidità restasse stabile.
Probabilmente il divino Apollo aveva prefigurato proprio quello
scenario.
Dei immortali, quanto erano messi male.
“Che
Tyche ti protegga” aveva detto Carter, il suo tono di voce,
non era
asciutto, ma carico di preoccupazione, era quasi rassicurante avere
qualcuno
che si preoccupasse ancora per lui, “Che Vica Pota mi
assista” aveva
corretto Drew, dea della
vittoria e della conquista; poi si
era messo a
correre.
Si
era sforzata, con fatica e concentrazione di trasformare tutto se
stesso in
argilla.
Non
lo aveva mai fatto, non completamente.
Solo
poche parti, solo poco porzioni.
Non
conosceva nessun altro figlio di Cura, oltre Drusilla, nessuno con cui
esercitarsi, nessuno che potesse spiegargli.
Esistevano
ragazzi capaci di modellare cose, ricordava che Jason Grace aveva
provato ad aiutarlo a dominare l’argilla, come lui faceva con
l’aria, aveva
funzionato per un po’, ma Jason Grace non diventava aria, non
come Drew
diventava argilla.
Drusilla
riusciva a dominare l’aria, era una mastra vasaia anche
più brava di
quanto non fosse una combattente, ma non riusciva a modellare se
stessa, non
bene come Drew, era una donna tutta d’un pezzo diceva sempre
la sua matrigna,
preferiva combattere alla renziana ed usare l’argilla con
dolosità, quindi sì,
neanche Drusilla era stata una compagna.
L’argilla
erano qualcosa solo tra Drew e sua madre – per quanto Cura
non fosse
mai stata una presenza ingombrante nella sua vita.
Però
doveva farcela – ne sarebbe andato della sua
sanità mentale, della sua
vendetta e per Heather figlia di Apollo.
Diventare
argilla era come smettere di esistere.
Tutto
si allontanava, ogni sensazione, ogni calore, contatto, ciò
che sentiva,
ciò che percepiva, diventava ovattato, come il primo tuffo
nell’acqua, con le
orecchie ancora frastornate del fischio ed il corpo avvolto nella
dolcezza di
un brodo primordiale, con il nero delle palpebre serrate e
l’aria inaccessibile
da ogni via.
Nessun
rumore.
Nessun
odore.
Nessuna
vista.
Tatto.
Be
… si, anche nessun sapore.
Per
un momento … per un lungo momento … poi
cominciava la sensazione di cadere
a pezzi, di squagliarsi, di sciogliersi, di perdersi e disseminarsi.
Ritornava
corpo … ma non più solido …
Aveva intravisto
la linea azzurra dell’acqua come qualcosa di fievole, appena
percepibile,
dietro il grigio, dietro un mantello di grigio e si era lanciato,
incerto verso
il dove, non comprendendo neanche dove iniziasse lui e finisse la terra.
E poi l’acqua.
Per un secondo solo l’aveva sentita, bollente, ustionante, ma
poi era tornato
in se, lucido, il dolore, la bruciatura lo aveva distratto per un
secondo, per
un momento era stato di nuovo umano, ma poi era tornato materiale.
Ed era in acqua, senza indugio.
Non sapeva come si stesse muovendo, ogni tanto percepiva qualcosa, con
gli
occhi, non abbastanza umani, vedeva liane di terra lucida molle, come
sabbia
bagnata, grigiastra muoversi al suo fianco.
Informe.
Trovare
l’Astrolabio non era stato facile come aveva pensato.
La fonte aveva una profondità ed un’estensione
notevole e i sensi di Drew erano
annacquati dal suo nuovo corpo, quando provava a concentrarsi su
qualcosa,
acuire la sua vista, parte della sua fisicità si manifestava
di nuovo in forma
umana, assieme al bruciore dato dall’acqua bollente ed era
costretta a
ritornare nei meandri della sua coscienza, a diventare di nuovo informe.
E non era facile restare in quello stato, restare in pace, non con gli
acuti
dolori delle bruciature che lo avevano segnato ne dalla preoccupazione
di non
resistere, la sua stessa forma, di tanto in tanto si solidificava, non
abituato
a quello stesso indefinito.
La sua strategia si era rivelata pessima.
Sperava che Carter trovasse Grace ed il suo fidanzato gigante in fretta.
… L’Empusa aveva detto che avrebbero dovuto
percepire l’Astrolabio, era un
oggetto magico, oltre che probabilmente attira guai.
Ecco! Si disse, su quello poteva lavorare.
La percezione della nebbia prescindeva i sensi mortali, non erano
influenzati
dal suo corpo.
Non sapeva come, ma doveva, in qualche maniera.
“Bravo Druso!” sentì
una voce, un eco lontano, per un secondo pensò che
fosse Assetata, ma non aveva la spada con sé.
Così si era
concentrato nel percepire qualcosa, otturando tutti i sensi al massimo.
Inesistente, sospeso ed in cerca di qualcosa nella calma.
Una vibrazione, appena una, aveva percepito e da essa era stato guidato.
Finché non era stata più forte, come onde che si
infrangevano su una banchina e
poi altre ed altre ancora.
Aveva dovuto forzare gli occhi, un poco, dietro una tenda grigio
levigato aveva
visto qualcosa d’orato, brillante, adagiato sul fondo, tondo
ed indefinibile.
Aveva allungato qualcosa di se, coni d’argilla morbida ma lo
aveva saputo dal
primo momento che avrebbe avuto bisogno di arti veri per prenderlo.
Non c’era successo senza fatica e non vi era fatica senza
sofferenza. Una volta
lo aveva detto la sua matrigna, Aurelia Reed figlia di Vica Pota.
Aveva recuperato
il suo braccio ed il dolore dell’ustione dell’acqua
bollente, ma con fatica,
isolando il dolore, estraniando il dolore, aveva raggiunto con le dita
l’oggetto.
L’oro era freddo. Innaturalmente freddo, rispetto la
brodaglia incandescente.
Il contatto lo aveva spezzato, dissociato.
Il dolore si era fatto insostenibile ma poi era tutto cessato.
tutto.
Buio.
E poi luce.
Lei sedeva su una … sedia, una bellissima sedia di legno
lucido, ma una
semplice sedia, quasi da tavola calda.
Una donna, con una lunga tunica bianca, dalle maniche amplissime con
ricami
dorati sugli orli, e laticlavi verticali porpora, sopra
indossava una clamide di un blu pavone,
fermata alla spalla con una fibula tonda a due pendenti di perle.
Il viso era ieratico come quello delle statue della Minerva che aveva
visto a
Nuova Roma, aveva gli occhi erano di un grigio inteso come il mercurio
liquido,
dalla forma allungata, ed i riccioli biondi raccolti in uno chignon
poco
severo. L’incarnato era di un colore olivastro.
Bella! Primo triviale pensiero.
“Benvenuto giovane semidio!” aveva detto con
serietà lei, un viso ieratico come
una statua e nessun accenno di sorriso nelle labbra sottili.
“Divina Minerva?” aveva provato,
nell’immaginarla con le fattezze di una statua
non avrebbe potuto associarla ad alcuna altra dea, certo manca
l’elmo e la
collaretta con i serpenti intrecciati … o lo scudo
… oh.
“Succede ogni volta, incredibile? Forse neanche
così tanto! Infondo è mia
madre!” aveva dichiarato la donna, “No, no, giovane
mezzosangue io sono Ipazia
di Alessandria, sì quella Ipazia, o almeno ero. Credo di
essere morta no, sono
una specie di spettro” aveva dichiarato, “Un
memento, ecco” aveva spiegato.
“Cosa?” aveva domandato Drew, mentre si guardava
intorno, era in una stanza,
composta da scaffali altissimi, ripieni fino agli orli di fitti rotoli
e
volumi, quasi sul punto di straripare.
“Ipazia, io, Ipazia lei … ho costruito l’Astrolabium
Ueritatis[5]
ho impresso una parte di me in esso, per testare
l’utilizzatore, non volevo che
una mia creazione fosse usata impropriamente, ai miei tempi uomini
avidi si
nascondevano dietro grandi simboli per sfruttare le anime
ignoranti” aveva
chiarito subito lo spettro.
“Hai fatto come Sauron con l’Unico
Anello?” aveva chiesto confuso Drew.
“Oh, be, lui tecnicamente lascia solo i suoi
poteri” aveva risposto pratica
Ipazia – Okay, Drew non era certo di voler sapere
perché una filosofa morta
quasi mille e seicento anni prima in Egitto sapesse qualcosa del
Signore degli
Anelli.
“Più come fanno gli armaioli creando armi
senzienti, come immagino tu ben
saprai, ti leggo dentro, Druso Reed” lo aveva anticipato
Ipazia, “Io ho
lasciato un po’ di me, per il futuro” aveva
dichiarato orgogliosa del suo
lavoro.
Drew aveva sospirato.
Ovviamente.
“Quindi ora che succede, reverentissima?” aveva
chiesto, mentre si alzava dal
pavimento e si accomodava su una sedia crurale che aveva trovato
lì disponibile
– dava un po’ di brividi e alla testa, erano sedie
da senatore infondo!
Ipazia aveva sorriso – forse – sembrava che le
labbra non si appuntissero mai
molto.
“Ho detto che ti vedo dentro, ma non è del tutto
vero, ti percepisco, ma devo
testarti, vedere se sei degno della Verità” aveva
dichiarato lo spirito.
“Probabilmente no” aveva dichiarato Drew.
Ipazia lo aveva guardato con accondiscendenza, “Dai, dai, non
ti buttare giù,
sei figlio di angoscia ma non è necessario seguirla
così pedissequamente” aveva
dichiarato Ipazia.
Drew aveva sorriso, stanco, ma aveva sorriso.
“Una domanda” aveva ripreso la dea, “Una
sola domanda e potrai uscire da qui”
aveva dichiarato Ipazia, “Se non fallirò
chiaramente” aveva commentato Drew.
“Ma che sciocchezza! Uscirai da qui ugualmente, non sono
crudele ne ho
interesse nel tenere qualcuno legato a me, il mondo è vasto,
ampio e pieno di
mistero per passarlo confinati in un ricordo, no?” aveva
dichiarato quella, con
un sorriso – sì, in quel momento stava sorridendo.
Drew aveva sentito quelle parole pesanti come macigni posarsi sulla sua
schiena.
Probabilmente la mente lucida non era servita per la traversata in
acqua ma per
quel confronto lì. “Se tu fallissi la prova,
giovane semidio, non potresti
usare l’Astrolabio e nessuno dei tuoi amici anche”
aveva spiegato Ipazia,
“Sarebbe solo un intoppo sulla tua strada, ovviamente,
troveresti un altro modo
per risolvere le cose … è una caratteristica
squisita del genere umano questo!”
aveva dichiarato la donna.
Drew non aveva mai visto la dea Minerva, ma aveva idea che dovesse
essere così,
voleva che fosse così, una donna dall’aspetto
austero e ieratico come chi
dispendioso di saggezza dovesse essere, ma con la mente giovane e
vivace di chi
era ancora pronto ad aprirsi al mondo.
“Va bene” aveva dichiarato.
“Prima che scoprissero
l’Australia quale era l’Isola più
Grande del mondo?” aveva chiesto Ipazia a
bruciapelo.
Non era quello che si aspettava.
“Come sa cos’è l’Aus-lasciamo
perdere che è meglio” aveva dichiarato
Drew. Conosceva Tolkien, perché non l’Australia?
“Pensaci attentamente Druso” lo aveva rimproverato
Ipazia.
“Uhm … l’Africa, conta? O non conta
perché è un continente? In quel caso non
dovrebbe contare neanche l’Australia” aveva chiesto.
“Non conta perché non è
un’isola e l’Australia non è un
continente, fa parte
dell’Oceania, che lo è” aveva detto
leggermente frustrata la donna, cercando di
mantenersi rilassata, “Insisto: pensaci bene” lo
aveva rimproverato di nuovo.
Pensarci bene …
Allora l’Australia era l’isola
più grande del mondo … buona a sapersi.
I continenti non dovevano contare, perciò doveva falciare i
grandi nomi.
Le isole dell’arcipelago non dovevano essere un
granché in grandezza.
Probabilmente in gara restavano solo Groenlandia, Giappone e
Inghilterra. Si
sentiva di escludere la terra del sollevante, era lunga ma stretta.
L’Isola più grande …
Questi pensieri continuavano a frullare nella sua testa.
Eppure trovava quella domanda strana ugualmente.
Non poteva essere nozionistica quella che chiedeva Ipazia, non aveva
alcun
senso, era una studiosa di geografia, di stelle, ma anche una filosofa.
Se avesse avuto con sé Assetata … ma
l’aveva lasciata per avere la mente
sciolta, libera, non imbrigliata a nulla, per essere calma.
Lo sapeva, sotto.
Drew lo sapeva che doveva esserci qualcosa di più
… uhm … difficile sotto.
Prima che scoprissero l’Australia quale era
l’Isola più Grande del mondo?
Prima che scoprissero l’Australia quale era l’Isola
più Grande del mondo?
Prima che scoprissero l’Australia quale era l’Isola
più Grande del mondo?
Prima che scoprissero … Sì!
Era nella lingua!
“L’Australia” aveva risposto Drew.
Ipazia aveva schiuso le labbra, “Ne sei sicuro?”
aveva chiesto, per insinuarli
il dubbio.
Drew aveva annuito, “Era nella lingua, l’intoppo
intendo. Lei non mi ha
chiesto quale fosse l’isola che ritenevano più
grande ma quale lo fosse” aveva
chiarito il figlio di Cura.
“Perciò sempre l’Australia anche se non
era stata scoperta” aveva dichiarato
con sicurezza.
“Risposta definitiva?” aveva chiesto Ipazia.
“Sì e non siamo su chi vuol essere
milionario” aveva dichiarato Drew.
“Bravo, Druso Reed figlio di Cura, la risposta era
l’Australia” aveva stabilito
Ipazia.
Ancora troppo facile …
“Procediamo” aveva parlato allora lo spirito,
“Perché pensi ti abbia chiesto
questa domanda?” aveva chiesto allora Ipazia.
Bene, aveva pensato Drew, questo somigliava a qualcosa di
più sensato.
“Sicuramente non per testare le mie conoscenze di geografia,
forse per la
logica?” aveva proposto. Non sapeva se poteva proporre
qualcosa o dovesse dare
risposte nette.
Ipazia aveva inclinato il capo, “Allora perché non
darti una sequenza
numerica?” aveva chiesto.
“Perché non le piacciono solo i freddi
numeri” aveva risposto secco lui.
“Sono una matematica, Druso, adoro i freddi numeri”
aveva dichiarato Ipazia.
“Mia sorella avrebbe saputo la risposta” Drew lo
aveva detto di getto, “Dici?”
aveva chiesto.
“Certo faceva cruciverba tutti i giorni, studiava
l’etrusco e si dilettava
negli indovinelli, diceva che tenevano il cervello sveglio. Mens
sana in
corpore sano” aveva dichiarato lui.
Probabilmente Carter e Grace avrebbero risolto tutto in poco tempo.
“Ammirevole, ovviamente io questo non lo posso
sapere” aveva detto Ipazia,
combinazione strana di parole, ma dal sorriso complice che stava
mandando,
doveva aver pronunciato qualcosa di importante.
“E non potrai saperlo, è morta” aveva
risposto Drew, “Però sicuramente avrebbe
trovato la tua risposta, lei le trovava sempre” aveva
dichiarato.
Perché era brillante, intelligente e caparbia.
“Insisto: io non posso saperlo! Indipendentemente che io
possa un giorno
scoprirlo” aveva dichiarato nuovamente Ipazia.
“Be, fidati, sarebbe stato vero …” aveva
detto lui, sconsolato.
Ipazia aveva sorriso, proprio un bel sorriso soddisfatto.
“Oh!” aveva esclamato lui, schiudendo le labbra,
“Me lo hai chiesto perché
anche se non conosciamo una cosa non implica che questa non solo non
sia vera
ma che non sia già successa” aveva proposto.
“Esatto. Come dice Huxley: I fatti non cessano di
esistere solo perché sono
ignorati”
aveva esclamato Ipazia soddisfatta, prima di parlare:
“Inoltre?”
lo aveva invitato.
“Inoltre?”
aveva
provato Drew.
Ipazia
aveva sollevato una mano per invitarlo, come se nel suo palmo ci fosse
tutta la conoscenza del mondo. “Si, applica anche ai
problemi” aveva concesso
Drew.
Ipazia
lo stava guardando con la stessa espressione soddisfatta e compiaciuta
della sua matrigna la prima volta che Drusilla era tornata soddisfatta
dopo
aver vinto una corsa di bighe, Drew l’aveva seguita con le
gambe di cera molle
– letteralmente – ancora sbattuto.
“So
di avere un problema” aveva ammesso alla fine il figlio di
Cura, ne aveva
parecchi di problemi.
Sua
sorella. La vendetta. La spada.
“Certo
che hai un problema. Ma quale?” aveva chiesto con gentilezza
Ipazia.
Drew
aveva schiuso le labbra.
Ho
lasciato casa mia.
Mia sorella è morta.
Ho una spada che mi avvelena la mente.
Non ho un posto da chiamare via.
Mia sorella è morta.
Sono un fallimento.
Sono debole e strano.
“Mia
sorella è morta” aveva risposto esausto. Ipazia
aveva annuito, “Ti manca
molto” non era una domanda.
“Lei
era la parte migliore di me” aveva ammesso Drew, la donna
aveva scosso il
capo, “Che sciocchezza. Posso concordare con ciò
che diceva Platone che gli
esseri umani sono incompleti, ma non ho mai creduto che
nessun’altra persona
potesse essere il nostro complementare. Nessuno è la tua
altra parte, figurarsi
una migliore” aveva dichiarato Ipazia con calma.
Drew
aveva sorriso mesto, “Però mi manca lo
stesso” aveva detto. “Il fatto che
non sia la parte migliore di te, non vuol dire che tu
l’amassi meno” aveva
chiarito Ipazia, “Questo luogo è una piccola
stanzina del Museo di Alessandria,
mio padre ne era il rettore, o almeno
è la sua ombra, e io
venivo a
studiare qui, con mio fratello Epifanio – lo so, non lo hai
mai sentito
nominare – lui aveva per me questa venerazione” la
donna aveva fatto una pausa.
“Ha
vissuto tutta la sua vita nella mia ombra ed anche dopo la mia morte
non ha
mai avuto il coraggio di uscirne mai fuori, però era bravo,
intelligente e
passionale, non sto dicendo che dovesse diventare l’uomo
più famoso del suo
tempo, specie dopo la mia finaccia, ma speravo che riuscisse a vivere,
almeno
per se stesso” aveva dichiarato la donna.
Ipazia gli
stava dicendo di lasciare il ricordo di Drusilla alle spalle?
“Non sapevo avesse
un fratello, sì” aveva concordato Drew
perché non sapeva cosa dire, Ipazia
aveva annuito, “Nel film non c’era” aveva
aggiunto lui.
Lei aveva sollevato un sopracciglio, “Si, ehm, a proposito di
quello. Molto
bello, credo mi abbiano fatto più intelligente di quanto non
fossi[6]
e … tra me e te, mi sarei fatta tranquillamente Max
Minghella e Oscar Isaac!”
aveva dichiarato sfacciata.
Drew era scoppiato a ridere, inaspettatamente.
Decisamente diversa da Minerva, doveva dire.
“Hai una risata molto bella Druso Reed, musicale,
io non ne priverei il
mondo” aveva dichiarato la donna, quasi materna.
Era la seconda volta in un pomeriggio che rideva così
spensieratamente.
Poi erano rimasti in
silenzio, a fissarsi, l’uno verso l’altro.
“Io … ehm … ho passato il
test?” aveva chiesto poi Drew.
“Non lo so, lo hai passato?” aveva chiesto di
rimando Ipazia, giocherellando
con le dita su un ginocchio, con un sorriso soddisfatto da gatto del
Cheshire.
Drew si era morso un labbro.
Anche quello pareva l’ennesimo test.
“Si” aveva risposto.
“Oh, be, chi sono io per contradire un giovane semidio che ha
affrontato
impervie angustie per raggiungere il suo premio”
aveva dichiarato
orgogliosa.
Drew ebbe l’impressione che Ipazia non stesse facendo
riferimento al bagno
infuocato a cui si era sottoposto, così come il premio non
fosse l’Astrolabio.
Solo un altro intoppo. Solo un’altra tappa nel lungo viaggio.
“Ricordati Druso Reed, l’Astrolabium
Ueritatis non è la Bussola di Jack
Sparrow ne Alietrometro di Lyra Linguargentina[7]”
aveva cominciato Ipazia.
Okay, Drew era davvero curioso di come lo spettro di
una donna morta da
più di mille anni, usata come antifurto di un oggetto nel
fondo di un lago, da
almeno vent’anni fosse così aggiornata sulla
cultura nerd.
“Indovino solo una mente tranquilla può
utilizzarlo” aveva proposto Drew.
“Oh, per la gloria di Serapide, no! Una mente tranquilla
è così noiosa, solo
una mente vivace può usarlo, ma razionalmente. Nessun
meccanismo magico,
nessun: seguo gli impulsi. Solo risolutezza: l’Astrolabio ti
condurrà dove vuoi
o meglio dove sai di volere” aveva detto
calma lei.
“Non lo potrai avere se permetterai ai sentimenti di
avere ragione sulla
mente” aveva decantato Drew, erano le parole che
Apollo aveva detto a
Carter nel suo sogno.
“Non è mai stato recuperarlo vero, è
sempre stato il consiglio per utilizzarlo”
aveva soppesato quasi tra sé e sé.
Ipazia aveva un sorriso calmo e sincero, poi aveva detto a Drew,
qualcosa che
lui stesso non si era aspettato: “Se mi è concesso
darti un consiglio Druso
Reed, figlio dell’Angoscia, uccidere Bryce Lawrence non ti
ridarà tua sorella.”
Ipazia era
lì e
l’attimo dopo gli occhi di Drew era rivolti ad un cielo tinto
di rosso e
bluette. Stava tramontando il sole, lasciandolo esposto ad una notte
fredda.
Il
secondo, ancora più rapido pensiero, fu che era tornato di
carne, umana
carne, perché aveva sentito dolore come di migliaia di aghi
infilzati nella sua
pelle.
Era
steso sulla nuda terra, sull’ansa del lago bollente, si era
tirato su a
fatica, non lontano dai suoi piedi scintillava dorato
l’astrolabio, grande come
il piatto di una batteria.
Ma
l’unico pensiero di Drew era al suo braccio.
La
carne era rossa putrida, gonfia, piena di pus.
Si
era ustionato.
Aveva
cominciato ad urlare, cercando di trasformare di nuovo l’arto
in argilla
per … per staccarselo e ricrearne uno nuovo, da convertire
in cera.
“Oh ma
guarda che bel bocconcino, chi se lo aspettava un altro!”
aveva
sentito ghignare alle sue spalle.
La
voce non era rassicurante.
Di
Carter non c’era l’ombra.
E
non aveva Assetata.
Stercore!
[1]
Per la
disertazione i Romani erano piuttosto creativi, le punizioni andavano
dalle
vergate, al mangiare solo orzo o anche ad essere costretti a vestirsi
come
donne, pure la morte. Cioè un po’ a seconda delle
circostanze sia della
diserzione sia del periodo storico.
[2]
A questo
punto della narrazione Jason non è più pretore di
Roma, lo è Percy
tecnicamente, comunque il ruolo starà per essere di Frank e
Reyna sta per
commettere lo stesso reato di Drew, però il nostro romano
sfigato è lontano da
Nuova Roma da abbastanza tempo da non avere idea della missione dei
Sette e che
Jason non è più pretore.
[3]
Sono
passati un po’ d’anni dalle mie ultime lezioni di
Storia Romana Repubblicana
(VIVA L’IMPEROOOO) e l’idea di una forma di governo
con due pretori, prima di
quella con i due consoli, era solo teorizzata, comunque apparteneva ad
una fase
precedente rispetto la più nota con i due consoli. Giuro
è una teoria valida e
seria che ha innumerevoli prove e che sicuramente sarebbe interessante
da
argomentare, Riordan comunque, con la divisione del potere militare nei
due
pretori (ho sempre pensato che questa divisione fosse solo per i
ragazzi,
confesso) sembra sostenerla, da lì il discorso di Drew.
Oltre questo, Cicerone,
riporta ad un certo punto dei suoi duemila scritti che “i
fanciulli imparano il
greco come un tempo facevano con l’etrusco”
(semicit.-) intendendo che un tempo
non si guardava alle “molli arti” greche ma a
quelle etrusche (se poi pensiamo
che tre dei sette re di Roma erano etruschi, si ipotizza che sia
esistita una
“dominazione” etrusca nell’ultimo periodo
monarchico romano, ma questa è
un’altra storia), che erano un popolo carino-carino con usi
molto simpatici.
[4]
In
realtà è 158° F, circa. Non so mi piaceva
che Drew usasse i gradi C, però poi
ricorda che Carter è americano.
[5]
Astrolabio della Verità, ho preferito usare il latino che il
greco (nonostante
Ipazia parlasse greco) perché A) so il latino e non il
greco, B) Tecnicamente
Ipazia è vissuta tra la fine del 300/inizio 400 ovvero nel
momento in cui i due
imperi si erano divisi (o poco prima) quindi il latino poteva essere
ancora la
prima lingua dell’impero.
Inoltre, ho utilizzato la parola Ueritatis al posto di Veritatis,
perché il
simbolo V è stato inventato circa nel rinascimento, ora la
cosa non ha senso
perché Ipazia sta parlando in inglese, però, nel
senso, ho preferito darla la
pronuncia Restituita che la pronuncia Scolastica perché
Ipazia è donna di
cultura (E perché a me piace di più *lalala*).
Insomma, beghe a caso.
[6]
Il film
a cui faccio riferimento è Agora (vedetelo pls); ad un certo
punto fa un volo
pindarico bello peso su Ipazia e sul modello solare e
l’orbita ellittica, che
non ha fatti storici a supportarlo. Comunque, se non ricordo male gli
autori lo
hanno fatto con “consapevolezza” per tirare una
certa frecciatina, credo.
[7]
La Bussola
di Jack Sparrow (Pirati dei Caraibi) indicava ciò che si
desiderava di più,
mentre Alietrometro di Lyra (His dark materials) rispondeva a tutte le
domande.
Si, il mio Astrolabio di Leone (che in realtà sarebbe di
Ipazia lol) è
chiaramente ispirato a questi due oggetti ma … ecco, non
è un oggetto così di
‘pancia’ nella mia ottica.