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Autore: RLandH    13/08/2021    1 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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QUESTO CAPITOLO E’ STATO UN PARTO.
Lo ho riscritto tre volte ed ha fatto schifo una peggio dell’altra. Nonostante tutto c’era un pezzo che volevo scrivere da moltissimo tempo e sono contenta tutto sommato di come sia uscito (aka: il finale). Tutto il pezzo di Carter e Drew non mi piace, ma perché fosse per me, i personaggi non dovrebbero interagire, empatizzare e tenersi tutto il loro dolore dentro fino ad esplodere.
Ma poi la storia non procederebbe.
Comunque ho pensato a lungo se rivelare, o meno, una certa cosa. Essendo Drew un narratore “fantoccio” ho deciso di non tenere troppo sulle spine le sue questioni.

Rigrazio chiunque si fustighi per leggere questo orrore (in particolare Edoardo811) e chiunque segua/preferisca/ricorda.
Vi voglio bene.
Buona Lettura
RLandH
(Ah, si avevo detto che avrei cominciato a revisionare, si? Succederà prima o poi)


Questa cosa del parlare delle proprie emozioni e dei propri traumi potrebbe non essere una cattiva idea

Drew II

Yellowstone.
L’ultima volta che Drew era stato al Parco Nazionale di Yellowstone aveva dodici anni, era stato con suo padre, la sua matrigna e sua sorella.
I mezzosangue non andavano in vacanze di piacere, ma la loro famiglia non era mai stata tradizionale. I Reed erano stati membri del Senato di Nuova Roma da quando Andrew Reed, mortale ma con il brillante dono della Vista, aveva incontrato Elizabeth McCurry, figlia di Marte, centurione della terza coorte, durante la guerra di secessione.
Drew era un lascito di Marte, ma non si era mai sentito tale.
Il sangue del dio della guerra nelle sue vene era ormai completamente annacquato e lui era un figlio di Cura. Quello sì, quello lo sentiva.
Non indugiare in questi pensieri, devi vendicarti, ricordare il tempo andato non lo renderà di nuovo presente. Lasciarci bene il Suo sangue, però renderebbe tutto meno doloroso, ancora una volta Assetata aveva parlato nella sua testa con la voce grondante di rabbia e dolore di una donna.
Drew non si sentiva mai sollevato, l’angoscia permeava ogni singolo aspetto della sua vita ed il dolore premeva sempre sul suo petto, ma la presenza della spada aveva reso più difficile ogni cosa.
Era stato rischiarante, per un po’, non averla con se, chiusa nel bagagliaio dell’auto.
Ma, lì, a Yellowstone, l’aveva dovuta riprendere.
Con la sete di vedetta della spada e la sua natura così melanconica, i cattivi pensieri, in un luogo così impregnato del suo passato, sentiva che tenere il controllo della sua mente era impossibile.
Se tu compissi la tua vendetta, noi ti allieteremmo del tuo cuore gravoso. UccidiLo è tutto andrà meglio. UccidiLo è anche tuo padre non avrà più vergogna di te.
Ed era un disastro perché quanto detto da Carter, addirittura consigliato dal Divino Apollo, avevano bisogno di essere razionali per ottenere l’Astrolabio.
A Drew faceva ridere, di rabbia e rancore, ovviamente, pensare al divino Apollo.
Carter, come lui, era un’esule, era lì sempre a lamentarsi di suo padre … che lo aveva aiutato senza condizione, aveva dato loro consigli, anche sulle divinità norrene, stando al suo racconto, aveva offerto a Carter anche la possibilità di tornare a casa, di vivere.
Drew con suo padre, il suo padre umano, non parlava da un anno, neanche con la sua matrigna, Angelica, e Cura, ovviamente, non si era degnata di palesarsi una volta.
La sua divina madre per Drew era un enigma, l’aveva incontrata una sola volta, a Roma, sulla riva del Piccolo Tevere.
Drew si era aspettato una qualche frase mistica misteriosa, non era quello che facevano gli Dei? Regalavano perle non richieste sul futuro, criptiche, o roba del genere? Certo, Drew in quel momento non sarebbe stato nello stato adatto per affrontare un aforisma divino, ma Cura era rimasta in silenzio, fissandolo con i suoi grandi occhi neri, come buchi nella terra, profondi e senza fondo.

Lei non aveva niente da dire. Ti stava giudicando, perché hai permesso a quell’infame di camminare via. Perché sei stato zitto e perché sei debole. Ma noi non lo siamo, Druso Reed, e noi ti renderemo forte.
Assetata aveva vibrato nella sua mano.

“La tua spada abominevole dice altro?” aveva interrotto il filo dei suoi pensieri il mostro nordico, “La mia spada abbominevole non sta mai zitta” aveva risposto Drew, sfiorando con le dita il pomello tondo, sulla cima dell’elsa.
L’Empusa aveva cercato di praticare un incantesimo sopra per mitigarne gli effetti, ma la magia della stirpe di Ecate sembrava un misero castello di sabbia contro le onde del mare in tempesta che era Assetata. Chiunque l’avesse maledetta, la Donna scommetteva, quella che tra tutte le anime della spada aveva sempre più voce, era molto più potente di Grace.
E con molta più volontà.
Era la volontà che faceva girare il mondo.
“Una delle anime rimaste intrappolate nella spada ha raccontato che l’ultima menzione nota dell’oggetto è stato qui, poco meno di trent’anni fa. Era un mezzosangue di nuova Roma, Kenny Dantelion, è morto combattendo contro un … cartaginese?” aveva provato.
Qualcuno a Nuova Roma diceva che esisteva una Nuova Cartagine, ma era più un sentito dire, una voce, che un vero e proprio fatto. Anche se quasi due anni e mezzo prima, Jason Grace, all’ora centurione della quinta coorte, aveva giurato di aver incrociato la lama con una ragazzina che si professava originaria di quella mitica terra. “Comunque era venuto a recuperare l’Astrolabio” aveva dichiarato, “Dantelion, intendo, non il cartaginese”.
Se degli annali riportavano di questa missione, lui non ne aveva saputo niente, ma Drew non era mai stato molto sul pezzo, aveva militato nella terza coorte, con un certo disinteresse, perché doveva. L’unico slancio politico che aveva avuto era stato orientato verso l’idea di intraprendere il cursus per divenire Flamen Dialis, il sacerdote di Giove.
Così avrebbe potuto partecipare alle riunioni del senato, avrebbe reso orgoglioso la sua famiglia. Era quasi nostalgico immaginarsi seduto sulla sedia crurale mentre osservava Drusilla sua sorella, sarebbero stati un sacerdote ed un pretore. Questo era il loro sogno, più il sogno di lei, che di lui, ma a Drew piaceva, non aveva mai perso troppo interesse a riflettere su cosa volesse – finché era felice Drusilla andava bene.
Però Nuova Roma aveva scelto Reyna Arellano.
Non sono arrabbiata, lei è fantastica ed io ho ancora tempo. Adam vuole ritirarsi tanto. Io sarò pretore di Roma” aveva dichiarato Drusilla con un sorriso che non poteva essere mitigato dalla sconfitta.
Erano stati gemelli, figli del ventre dell’angoscia, ma sua sorella rifulgeva del potere di Marte, con occhi lucenti e fiammeggianti di fiducia, di forza, orgoglio e con un’allegria di ferro.
Drusilla Reed, lascito di Marte, figlia di Cura, centurione di Roma.
Che non sarebbe mai stata Pretore.
E di chi è la colpa, Druso?


Si era accorto che tutti lo stavano fissando.
“Dovremmo saperlo noi?” aveva chiesto retorico il figlio di Apollo, ammiccando alla faccenda dei cartaginesi. Carter aveva un modo di guardare la gente, in particolare lui, che rendeva a Drew estremamente difficile parlargli; aveva il modo di porsi di un vecchio, di chi aveva vissuto, aveva sofferto e si erigeva sull’altare dei savi, di chi pensava di aver compreso tutto e rivolgeva agli uomini lo sguardo giudicante di un Dio stanco.
Inoltre, Carter poteva offrire un bel paio di occhi scuri, perforanti, incastonati su un viso carino, degno della progenie di Apollo, cosa che rendeva a Drew ancora più difficoltoso intervenire con lui. Stranamente, grazie al contributo di Assetata, offenderlo, sputando veleno e rabbiosa verità sembrava uscire molto più naturale.

“Sì. Comunque, era qui per recuperare l’Astrolabio di Leone, pensava potesse essere utile per la faccenda dell’Alas-Lasciamo perdere. Dovrebbe essere qui” aveva deliberato.
“Sto per dire una di quelle cose poco carine: dovremmo dividerci, per coprire più spazio” aveva proposto Grace con un sorriso nervoso sulle labbra, da quando erano stati ad Ironwood il suo buon umore si era fatto più finto della pazienza di Drew, “Se c’è un artefatto magico lo troveremo subito, di solito sono calamite per la sventura” aveva dichiarato, tirando i capelli scuri dietro l’orecchio.

“La mia vita somiglia un po’ ad un film horror, rispettiamo tutti i cliché” aveva dichiarato Carter con un tono lugubre, “Come ci dividiamo?” aveva chiesto.
“Io adoro spendere il mio tempo con te Gratia, ma sono un lupo solitario” aveva scherzato Eirik, aggiustandosi il colletto del suo smanicato di pelliccia; dopo averlo detto si era allontanato da loro di qualche passo, aveva incatenato i suoi occhi grigissimi su quelli dell’Empusa, aveva sciolto le spalle e poi senza alcun preavviso Drew aveva assistito ad uno spettacolo raccapricciante.
Gli arti di Eirik si erano allungati, le unghia delle mani si erano fatte nero, lunghe e spesse, così come  la mascella, il naso e la mandibola si erano modificate come se fossero state di argilla morbida, era crollato a quattro zampe e la pelliccia della giacca aveva ricoperto il corpo.
Raccapricciante” era stato Ceneo a dirlo, in inglese, per una volta Drew concordava con il lapita.
Dove prima c’era stato un ragazzo, dal sorriso sghembo, invece appariva un gigantesco lupo, due volte la taglia uno normale, con occhi grigissimi, luminosi come lune, il pelo era folto, lucido e di un colore scuro cenerino.
Grace si era sporta per accarezzare il lupo sulla testa, prima di grattargli dietro l’orecchio, in maniera amorevole.
Situazione bislacca, aveva pensato.
Stucchevole, aveva commentato Assetata. 

Ceneo aveva detto qualcosa, Drew aveva decifrato solamente due parole: Achei e Romaioi – che ricordava fosse il termine greco per i Romani. Reminiscenze di Storia Bizantina a Nuova Roma, un periodo storico in cui la differenza tra Greci e Romani era così flebile da essere divenuti praticamente un unico popolo.
Forse sarebbe successo di nuovo, se Gea non avesse vinto, ovviamente.
“Potrebbe andare” aveva valutato Carter, “Mi traducete?” aveva chiesto Drew leggermente spazientito, “Ceneo ha proposto di dividerci tra Romani e Greci, ma forse è meglio mischiare un po’” aveva spiegato Grace, “Io vado con Ceneo e tu con Carter” aveva proposto.
Il figlio di Apollo l’aveva guardata interrogativo, Grace aveva inclinato il capo ed aveva annuito, di rimando Carter aveva sollevato un sopracciglio e l’empusa aveva sorriso accomodante.
“State facendo una conversazione telepatica? Potete?” aveva indagato spazientito Drew, “No, perché non ci stiamo evidentemente capendo” era stata la pigra e frustrata risposta del semidio.
Grace lo aveva preso in disparte e si erano allontanati appena.
Ceneo aveva detto qualcosa, “Almeno sforzati un po’” aveva sibilato Drew, che di quella storia del greco antico iniziava ad essere terribilmente infastidito. Eirik aveva inclinato la sua testa, era piuttosto buffo, vederlo così.
Aveva sempre desiderato un cane da bambino, ma suo padre lo aveva sempre tacciato di essere lui, Drew, troppo piccolo per occuparsene e lui, suo padre, troppo impegnato. “Stanno parlando del tuo stato mentale alterato” aveva dichiarato il lupo.
“Tu … parole!” aveva esclamato Ceneo, sconvolto, anticipando Drew, circa. “Faticoso” aveva dichiarato solamente il lupo facendo scivolare a penzoloni la lingua dalle fauci.
Qualsiasi cosa avesse detto Grace aveva ottenuto alla fine un cenno d’assenso di Carter.

 

“Cosa hai deciso sul mio stato mentale?” aveva domandato Drew.
Che ti importa di questo bimbo piangente, dobbiamo vendicarci, troviamo l’Astrolabio e troviamo Lui. “So ammansire le bestie, con la musica, e so curare” aveva asserito Carter, “Così se do di matto tu puoi gestirmi meglio della strega” aveva considerato lui.
Se Carter fosse stata una persona diversa forse avrebbe manifestato dell’imbarazzo, ma la sua espressione era rimasta ieratica e si era limitato ad annuire, “Credo che Grace fosse più preoccupata a cosa avrebbe dovuto fare per gestirti” aveva commentato Carter.
“Lo preferisco” aveva dichiarato Drew, non aveva niente di specifico contro i suoi altri tre compagni di avventura – okay, forse contro Ceneo sì, ma solo perché continuava a parlare quella lingua maledetta – ma doveva ammettere di sentirsi più a suo aggio con Carter, nonostante fosse greco; forse era perché fossero due semidei. Ceneo era un guerriero vecchio tremila anni che non parlava la sua lingua, Grace era un’empusa di duemila anni ed Eirik … non era neanche del suo pantheon.  “Non è facile fidarti dei mostri quando passi tutta la vita a difenderti da loro” aveva commentato il semidio greco, cogliendo i suoi pensieri.
“Tu come fai?” aveva domandato alla fine Drew.
“Non lo faccio. Grace è diversa ed Eirik vuole essere dal suo lato buono” aveva risposto solamente.
Drew aveva annuito, accettando la risposta.
“Come ci sei finito con lei?” aveva indagato, “Sei chiacchierone oggi” era stata la lapidaria risposta di Carter, “Se sono distratto non penso e se non penso lei non può insidiarmi” aveva dichiarato frustrato, tenendo una mano sull’elsa della spada.
L’altro aveva annuito, lanciandoli però uno dei suoi sguardi, come se in Drew vedesse un piccolo umano fragile che andava compatito, questo faceva montare in lui la rabbia che Assetata incrementava, nutrendosi di ogni suo mal pensiero.
Spacca la faccia a quest’immondo abominio, figlio del male!
Oh il caro Flegias.
Carter aveva soffiato, “Qualche anno fa ho deciso di seguire un mio amico in un’impresa piuttosto folle, eravamo animati da buone intenzioni, ma come si dice spesso, la strada per l’Inferno ne è lastricata” aveva dichiarato, “Non che creda all’inferno, cioè credevo nel Tartaro ma visto questa storia dei diversi pantheon, mi sento aperto a diverse possibilità”.
Drew aveva aggrottato le sopracciglia, decidendo di ignorare la seconda parte del racconto, Carter aveva ripreso:  “In breve? Abbiamo dichiarato guerra agli dèi. Ora lui è morto ed io sono bloccato qui, esiliato” aveva spiegato in maniera più cristallino, “O almeno era così fino a qualche giorno fa” aveva dichiarato, “Differentemente da te, ho scelto io però la mia miseria” – Carter aveva fatto una pausa – “Oh, be, Apollo ha avuto il suo bel ruolo”.
Per un secondo Drew non aveva avuto la più pallida idea di cosa stesse parlando, fino a che non aveva ricordato la loro conversazione alla Fontana di Salmace dove aveva raccontato che Cura era nemica sia di Giove sia di Gaia.
“Non è proprio così” aveva ammesso alla fine Drew, “Essere figlio di mia madre mi ha sempre fatto sentire di troppo a casa mia, Nuova Roma, e quando me ne sono andato essere figlio di mia madre mi ha reso sgradito a Gaia” aveva raccontato poi, “Quindi anche tu potresti tornare a casa?” aveva indagato Carter, “Adesso sei tu quello chiacchierone” aveva replicato.
“Siamo letteralmente nel mezzo del parco di Yellowstone, fa un freddo del cazzo nonostante sia primavera, non c’è un anima in giro, tranne qualche orso che probabilmente si paleserà per mangiarci e noi stiamo dando retta ad una Spada Maledetta” aveva borbottato Carter. “Touché” aveva replicato Drew, sorridendo sottilmente. “Comunque, no, tecnicamente non posso tornare, non sono stato formalmente bandito ma ho disertato. Se tornassi a Nuova Roma dovrei nutrirmi di Orzo per il resto della vita, oppure essere percosso o la morte[1], immagino dall’umore di Reyna o di Jason[2], i Pretori” aveva riferito Drew.
Carter lo aveva guardato con una certa intensità, Drew aveva riconosciuto sul viso quella tacita domanda: ‘Perché te ne sei andato?’ ma il figlio di Apollo non l’aveva chiesto, così come Drew non aveva indagato sulle ragioni che lo avevano spinto a dichiarare guerra agli Dei.
“Perché tua madre non piace a Giove e Gaia?” aveva chiesto invece Carter. “Oh, be, è una storia buffa” aveva risposto Carter, “Tutti e tre reclamavano il dominio sulla stessa cosa” aveva cominciato, “L’argilla?” aveva domandato l’altro interrompendolo.
“Lo so che sembra che mia madre sia la dea dell’Argilla, ma è solo un’altra cosa. Grace lo ha detto, l’altra volta. Comunque tutti e tre reclamavano il dominio sulla creazione degli Umani” aveva risposto Drew.
Carter aveva schiuso le labbra, poi aveva ridacchiando, “Scusami ma tra Zeus che non si frega di nessuno e Gea che ci vuole morti, mi sembra quasi surreale” aveva detto. C’era simpatia nella sua voce, una simpatia un po’ isterica.
Drew aveva annuito, prima di cominciare la sua narrazione, che ormai conosceva a menadito. “Pare che mia madre, la Dea Cura, un giorno camminando vicino ad un fiume, abbia beccato questo terreno argilloso sull’ansa e si sia messa a modellare questa forma che poi è saltata fuori fosse un uomo. Lei era così contenta della sua creazione; Dei mi spieghino perché, che ha convinto il divino Giove ha dargli il soffio della vita e … TAC! Noi siamo nati” aveva aggiunto.
“Quindi tua madre è tecnicamente la madre di tutti noi?” aveva chiesto l’altro.
“Si, circa” aveva annuito Drew, inclinando il capo, “Comunque, gli umani sono piaciuti a tutti, dovevamo essere proprio piacevoli ai tempi, così mia madre ha cominciato a rivendicarne la creazione perché li aveva modellati lei. Poi visto che Giove è uno che non può fare a meno di essere il centro dell’universo, vedendo come tutti lodavano Cura, ha cominciato a pretendere lui la rivendicazione perché aveva messo il soffio vitale” Drew aveva fatto una pausa, guardando il cielo.
Era plumbeo, nascosto dietro grossi nuvoloni ed il clima freddo. “Non credo ci stia ascoltando” aveva valutato Carter, che come lui lo aveva imitato, facendo schioccare le labbra, “I vantaggi di essere schifato da tutti” aveva concesso Drew.
“Poi si è intromessa Gaia, lungi da me sapere perché, pretendendo la rivendicazione poiché l’argilla era stata gentilmente offerta da lei” aveva raccontato.

“E chi la ha spuntata?” aveva chiesto Carter, sembrava sinceramente interessato. Drew aveva sorriso, “Mia madre” aveva risposto, “Circa. Credo che per gli Dei sia impossibile concepire una vittoria onesta” aveva ammesso, finendo per raccontare il resto della storia: “Il corpo sarebbe tornato alla terra, e l’anima sarebbe ascesa al cielo da Giove – sai, ecco, credo che Giove aveva ancora affidato il regno dei morti a Plutone” aveva fatto una pausa. “A Cura sarebbero appartenuti gli uomini per tutta la durata della loro vita” aveva concluso per lui, di getto, Carter; estremamente capace ed intuitivo.  “Sì. L’angoscia che domina ogni uomo” aveva confermato Drew.
Tutte queste sono sciocchezze per ragazzini, noi abbiamo sete e tu hai giurato di dissetarci.
Drew aveva soffocato quella voce fastidiosa con tutte le sue forze, “Non migliora?” aveva chiesto Carter, lui aveva scosso il capo.
Il figlio di Apollo aveva fatto un passo verso di lui ed aveva sollevato una mano, per sfiorarli una guancia, fino a risalire sulla tempia, la temperatura delle sue dita era alta, però era stata lenitiva.
“Stai facendo quello che Eirik chiama Arte-Femminile? Ammansisci le bestie?” aveva chiesto retorico Drew, anche se si sentiva incredibilmente meglio.
Carter aveva sorriso in maniera quasi spontanea, qualcosa che non si sposava molto bene con la sua espressione funerea, che sembrava permeare sul suo viso sempre.
“Che ci posso fare se quello è un rozzo vichingo, le arti greche funzionano così” si era difeso bonariamente Carter, poi. “Scusa Nuova Roma è ancora ferma alla forma dei due pretori[3], non siamo ancora neanche al governo dei due consoli, praticamente non siamo ancora entrati nella pubertà, quindi, mi spiace, abbasso le molli arti greche e viva il Mors Maiorum e le spaventose discipline etrusche” aveva risposto Drew, facendosi cogliere da una risata.
I due ragazzi si erano guardati in faccia, cercando di mantenere delle espressioni serie sul viso, che però erano finite sopperite da una risata incredibilmente frusciante.
Non era neanche divertente, il loro scambio di battute era stato pessimo e fiacco, ma era bastato poco, perché si ritrovassero a ridere.
Carter si teneva la pancia, mentre Drew si lasciato cadere sull’erba del parco, ancora fremente dal riso.
Non era divertente, ma ne avevano bisogno loro, di aggrapparsi all’ultima perla di allegrezza che potevano avere.
Smettetela! Guardati ragazzino scemo, che sei qui a rotolarti sull’erba ebro come una ragazzina, mentre noi agonizziamo per un solo goccio d’acqua!
“Fottuta spada stai zitta” aveva urlato Drew, sfilando dal fodero la lama e guardandola con nervosismo, lo notava il suo potere, lo percepiva nelle ossa, nelle mani, in se stesso, era così forte da crepare l’argilla molle di cui ogni tanto la sua pelle si fondeva. “Trattala bene, che ci deve dire dove è l’Astrolabio” lo aveva ammansito Carter, con la sua voce morbida e musicale, proprio da figlio di Apollo, che a lui piacesse o meno.
Drew aveva annuito, “Troveremo tua sorella” aveva detto poi.
Una parte grande, grandissima, della sua mente era focalizzato su altro, alimentata dalla spasmodica fame di Assetata, una parte di se a cui non importava niente di Carter Gale e la sua sorella moribonda a cui importava solo di Lui e della sua vendetta.
Una parte che diceva: Prendi l’Astrolabio e scappa.
Somigliava alla voce di Assetata quando la sentiva, ma lo sapeva che non era quella della maledizione della spada, ma bastava concentrarsi un po’ sulle motivazioni che lo muovevano.
Vendetta! Vendetta!
Ed improvvisamente la sorella di Carter capeggiava nella sua immaginazione, non conosceva Heather Shine, non sapeva come fosse, se somigliasse al greco o fosse il suo complementare, nella sua mente somigliava a Drusilla, sua sorella.
La sua meravigliosa sorella.
“E la salverai” aveva detto ad alta voce Drew, aveva sentito qualcos’altro muoversi in lui, rabbia sì, rancore, ma anche volontà.
Non ci sarebbe stata nessun’altra Drusilla, se lui l’avesse potuto impedire.
Carter si era morso il labbro, aveva smesso di ridere, gli occhi a mandorla si erano fatti di nuovo ombrosi, “Il tuo … affare” aveva provato, “È una vendetta, vero?” aveva chiesto alla fine il figlio di Apollo, “Non lo stai facendo per tua madre” aveva dichiarato Carter.
Era bravo.
Drew aveva sorriso con amarezza, tirandosi su, per poter guardare nuovamente Carter in viso, “Lo faccio per mia sorella” aveva dichiarato alla fine, “La vendetta è sacra, non adempierla è una vergogna per l’onore, così come lo è sigillare una promessa che non si rispetterà. L’onore è tutto per un Romano e mia sorella era tutto per me” aveva dichiarato con sicurezza.
Lui e Drusilla erano figli di Cura, signora dell’Angoscia. Erano fatti di carne, sangue ed argilla, avevano diviso lo stesso ventre divino ed avevano condiviso lo stesso fiato nello stesso momento.
Se non avesse finito il suo dovere, sarebbe stato una delusione di romano, di uomo e di fratello.
Sì! Dovresti vivere così, con queste emozioni! Sì! Nutriti del tuo dolore, si e lasciaci nutrire!
Aveva strillato Assetata.
Carter lo aveva guardato con attenzione, come se lo stesse sondando, ogni centimetro della sua pelle, ogni centimetro della sua anima, poi aveva parlato.
“Noi mezzosangue moriamo tutti o quasi giovani, ci fai il callo, come pensiero, che magari a sedici anni ci rimarrai secco, mangiato da un drakon, mentre vai a prendere delle mele d’oro o una stronzata simile” aveva dichiarato Drew, Carter aveva annuito.
“Ma mia sorella non è morta così, se fosse morta così, io lo accetterei se fosse morta così, avrebbe voluto dire che è morta alle sue condizioni. Però Drusilla non è morta così, in missione, da eroe, la hanno uccisa e a nessuno e fregato nulla” era riuscito a vuotare quel tumulto Drew.
Probabilmente era stata la più lunga combinazione di parole che diceva a qualcuno da tanto – tantissimo – tempo su sua sorella.
Dopo la sua ultima frase era sceso un silenzio denso. Ma Drew sollevato gli occhi aveva trovato lo sguardo di Carter ad accoglierlo.
Non possedeva quel taglio duro e giudicante che aveva sempre, ne però era morbido ed accondiscendente, però sì, c’era qualcosa di caldo, di buono, che Drew poteva tradurre in una sola maniera, che non era né pena ne commiserazione, ma comprensione.
L’altro lo capiva.
In una maniera intima in cui Drew Reed non si era mai sentito capito.
“Si chiamava Joelle” aveva detto alla fine Carter.
“Pensavo Heather” aveva commentato Drew, incerto. Il figlio di Apollo aveva usato il passato.
Il greco aveva scosso il capo, “No. Joelle è morta” aveva specificato, poi aveva stretto le labbra, lo sguardo scuro si era fatto distante, come se improvvisamente non fosse stato più lì, ma altrove, con gli occhi vedeva cose distanti.
Drew riconosceva quell’espressione, perché era stato certo di averla già vista su se stesso.
Carter aveva sbattuto le palpebre, uno squarcio di dolore aveva attraversato il suo viso, distorcendo l’espressione in una maschera funebre, poi aveva recuperato la sua compostezza.
“Non lo avevi mai detto ad alta voce, vero?” aveva chiesto titubante.
“No” aveva confermato Carter, “Non così almeno” aveva ammesso.
Realizzazione.
“Era una tua sorella?” aveva domandato titubante, Apollo aveva molti figli, che lui ricordasse. Carter aveva scosso il capo, “No, lei era … una mia amica. Penso … avessi una cotta per lei” aveva aggiunto insicuro, sigillando poi le labbra.
Era caduto tra loro il silenzio.
In quel momento Drew lo stava guardando con quel medesimo occhio di comprensione e con quel sentimento nel petto aveva deciso di non insistere.
Carter voleva parlare, lo vedeva quasi dal tremolare del suo labbro indeciso se schiudersi o meno, ma forse non era ancora pronto. Non in quel momento.
Oh, che commovente scena, stupidi ragazzini, noi abbiamo fame. Dissetateci!


“Ti va se proviamo a far collaborare Assetata?” aveva chiesto Drew, ondeggiando la spada maledetta, “Magari Dandelion ha voglia di chiacchierare del suo omicidio” aveva provato, riferendosi all’anima del Romano prigioniero nella spada.
Come Flegias.
Carter aveva annuito. Era un pensiero strano per il figlio di Cura, da quando aveva lasciato Nuova Roma, era la prima volta che riusciva a trovare sintonia con qualcuno, probabilmente anche da prima, se si escludeva sua sorella.

 

 

Dandelion aveva avuto voglia di chiacchierare.

 

“Che ha detto?” aveva chiesto Carter apprensivo, “Ecco si, ad ucciderlo è stato l’ultimo proprietario della Spada Elyas Phoenix, quello che ha dato via Assetata dopo essersi innamorato di – e citerò le parole precise di Assetata –  una Gran Frigida” aveva cominciato a spiegare lui.
“Utilissimo” era stata la sarcastica risposta del figlio di Apollo.
“Oh, be, Dandelion mi ha, circa, detto anche i suoi indizi, in cambio della promessa che la prima persona che cercheremo è … quella che serve a me” aveva dichiarato.
“Che coincidenza” aveva replicato Carter, ma nel suo tono c’era una sfumatura piuttosto divertita, “È una millenaria spada animata dal desiderio di vendetta, sa come fare il suo lavoro” aveva ripiegato Drew, strizzando l’occhio al suo amico.
Così si erano ritrovati a seguire il volere della lama malefica, per il parco.

“Bene, Dandelion si ferma qui. L’Astrolabio doveva essere là. Il nostro amico non ha potuto provarlo, è morto lì, in quel punto, in effetti chiede anche se possiamo dissotterrarlo e bruciarlo con almeno un asse” aveva raccontato Drew, che aveva seguito per filo e per segno l’istruzione della spada. Indicando poi il luogo incriminato.
“Nel lago?” aveva domandato Carter osservando l’acqua. “No in quel punto lì” aveva rettificato Drew, pensando di essere stato chiaro.
Il figlio di Apollo lo aveva guardato con una certa criticità, “Parlavo dell’Astrolabio” aveva chiarito Carter, che probabilmente non doveva essere molto interessato a morti romani.
Drew si era sentito pieno di vergogna, ma aveva annuito, dedicando anche lui lo sguardo alla superficie del lago, se così poteva essere chiamato.
C’era stato tra loro un silenzio piuttosto pregno, poi Carter lo aveva stupito: “Spettacolare” era stato il commento che si era lasciato sfuggire, strabiliato.

 Era il Grand Prismatic Spring, sorgeva in una zona non boschiva, anzi quasi desertica, le piante la circondavano lasciando una lunga zona di terra dura. La fonte d’acqua era di un’estensione piuttosto imponente, di un colore di un blu così vibrante da sembrare temperata, sui bordi il colore prendeva prima sfumature verdastre, così come il tappeto dell’ansa sfumava dal giallo, passando per l’arancio e infilandosi poi in una terra di un marrone severo.
Ciò che più attirava lo sguardo, subito dopo i colori, però era il fumo che si levava dalle acque.
“Sì, lo è” aveva concordato Drew.
Il Grand Prismatic Spring era davvero spettacolare, ricordava di averlo visto anche da bambino, suo padre lo aveva guardato affascinato, aveva detto alla sua matrigna ‘Peccato’ – Drew si chiedeva se per caso suo padre avesse saputo ciò che Dellinger aveva scoperto –  di rimando quella poverina non aveva potuto dare a quelle parole molta importanza.
Sia la donna, sia Drew, avevano dato la loro priorità nel fermare Drusilla, intenzionata a voler nuotare in quel lago azzurrissimo.
“Fermati, leonessa, non vorrai scottarti, vero? Se entri in quell’acqua esci più cotta della pasta!” aveva ridacchiato la sua matrigna, con tanto divertimento.
Drew si era riscaldato con quel ricordo.
Si, giovane Druso, goditi questi ricordi, crogiolati e ricordati perché la vendetta è l’unica strada. Ricorda quel che hai perso. Vivi di questo rancore.
Aveva vibrato Assetata.
“Quello è il Grand Prismatic Spring, è la terza sorgente calda più grande al mondo ed ha la temperatura di settanta gradi celsius … circa centosessanta[4] fahrenheit” aveva raccontato Drew, ricordando le nozioni che aveva conosciuto da bambino.
Carter aveva imprecato in greco antico, “Chiaramente nessun umano può entrarci” aveva stabilito, “Se non vuole essere lessato no” aveva confermato Drew, “Chiunque lo abbia lasciato lì, probabilmente non voleva capitasse in mano di nessun mortale, casualmente. Magari esiste qualche armatura magica super fantastica nella mitologia da trovare” aveva provato Carter, mordendosi un labbro, pensieroso, “Forse la magia di Gracie può fare qualcosa, forse come figlio di Apollo posso regolare il mio calore del mio corpo, forse la pelle di Eirik è resistente a tutto questo, dovrebbe essere tipo un gigante di ghiaccio o una roba simile. Magari è come un ciclope” si era lasciato in elucubrazioni Carter.
Entra tu!
Aveva ruggito Assetata.
“Come?” aveva domandato Drew confuso.
Carter aveva ripreso il suo discorso, “No, aspetta … ehm, parlavo con la spada” aveva detto imbarazzato lui.
Ragazzino, mi pare evidente che i tuoi poteri ti permettano di sopportare quelle acque. Non sei forse tu fatto d’argilla?
aveva risposto la spada, era una voce femminile, ma era diversa da quelle che aveva udito fino a quel momento, era comunque carica di rabbia, ma sembrava anche più stanca.
“Sì, giusto. La ceramica, cioè l’argilla, cuoce intorno ai trecento gradi.” aveva dichiarato Drew, dandosi un colpo sulla fronte, come se si fosse immediatamente illuminato.
“Tu puoi entrare?” aveva chiesto Carter con genuina curiosità.
“Oh, be, se mantenessi il mio corpo fatto di argilla, qualcosa di molto, molto, faticoso per me, potrei resistere senza finire come un aragosta e trovare l’astrolabio. Come ho detto l’argilla si solidifica a temperature molto più alte, mentre bagnata resta malleabile, perciò finché sono d’argilla, sono salvo” aveva ponderato Drew.
“O potremmo cercare Grace” aveva proposto Carter.
“Magari facciamo ambedue le cose, la superficie della fonte è piuttosto vasta” aveva dichiarato Drew, mentre sfilava al cintura a cui aveva legato il fodero della spada, “Tuo padre ha detto mente lucida, si?” aveva dichiarato, anticipando la muta domanda di Carter.
Il figlio di Apollo aveva raccolto Assetata, facendo attenzione nel prenderla dalla cintola del fodero, quasi timoroso la lama fosse incandescente.
“Come respirerai?” aveva chiesto Carter.
Drew aveva preso un respiro, si sentiva più leggero, senza la spada, ma anche più debole.
Anche solo sfiorare il pomello di Assetata lo faceva sentire più saldo, duro e forte.
Aveva fatto saltare le converse e poi aveva tirato via i calzini zappettando, in maniera poco virile, aveva calato i pantaloni restando con le gambe nude come zampe di pollo ed i boxer ed aveva preso l’aria fredda dell’ultimo inverso sulla pelle non coperta dalla canottiera quando aveva tirato via la felpa. Si era sforzato di non guardare Carter, realizzando di non poter gestire bene il suo corpo così secco, specie in confronto al figlio di Apollo con la sua notevole croce di spalle ed indovinava il fisico tonico.
Drusilla diceva che lui pareva un chiodo con dei fili di spago legati – anche Ceneo lo aveva detto, in effetti.
“Quando sono in quello stato io … non ho bisogno di niente. Sono argilla!” aveva dichiarato Drew.
Era un essere materiale, inorganico, mosso da una mente e preda dell’angoscia … sperava che la sua lucidità restasse stabile.
Probabilmente il divino Apollo aveva prefigurato proprio quello scenario.
Dei immortali, quanto erano messi male.


“Che Tyche ti protegga” aveva detto Carter, il suo tono di voce, non era asciutto, ma carico di preoccupazione, era quasi rassicurante avere qualcuno che si preoccupasse ancora per lui, “Che Vica Pota mi assista” aveva corretto Drew, dea della vittoria e della conquista; poi si era messo a correre.
Si era sforzata, con fatica e concentrazione di trasformare tutto se stesso in argilla.
Non lo aveva mai fatto, non completamente.
Solo poche parti, solo poco porzioni.
Non conosceva nessun altro figlio di Cura, oltre Drusilla, nessuno con cui esercitarsi, nessuno che potesse spiegargli.
Esistevano ragazzi capaci di modellare cose, ricordava che Jason Grace aveva provato ad aiutarlo a dominare l’argilla, come lui faceva con l’aria, aveva funzionato per un po’, ma Jason Grace non diventava aria, non come Drew diventava argilla.
Drusilla riusciva a dominare l’aria, era una mastra vasaia anche più brava di quanto non fosse una combattente, ma non riusciva a modellare se stessa, non bene come Drew, era una donna tutta d’un pezzo diceva sempre la sua matrigna, preferiva combattere alla renziana ed usare l’argilla con dolosità, quindi sì, neanche Drusilla era stata una compagna.
L’argilla erano qualcosa solo tra Drew e sua madre – per quanto Cura non fosse mai stata una presenza ingombrante nella sua vita.
Però doveva farcela – ne sarebbe andato della sua sanità mentale, della sua vendetta e per Heather figlia di Apollo.
Diventare argilla era come smettere di esistere.
Tutto si allontanava, ogni sensazione, ogni calore, contatto, ciò che sentiva, ciò che percepiva, diventava ovattato, come il primo tuffo nell’acqua, con le orecchie ancora frastornate del fischio ed il corpo avvolto nella dolcezza di un brodo primordiale, con il nero delle palpebre serrate e l’aria inaccessibile da ogni via.
Nessun rumore.
Nessun odore.
Nessuna vista.
Tatto.
Be … si, anche nessun sapore.
Per un momento … per un lungo momento … poi cominciava la sensazione di cadere a pezzi, di squagliarsi, di sciogliersi, di perdersi e disseminarsi.
Ritornava corpo … ma non più solido …

Aveva intravisto la linea azzurra dell’acqua come qualcosa di fievole, appena percepibile, dietro il grigio, dietro un mantello di grigio e si era lanciato, incerto verso il dove, non comprendendo neanche dove iniziasse lui e finisse la terra.
E poi l’acqua.
Per un secondo solo l’aveva sentita, bollente, ustionante, ma poi era tornato in se, lucido, il dolore, la bruciatura lo aveva distratto per un secondo, per un momento era stato di nuovo umano, ma poi era tornato materiale.
Ed era in acqua, senza indugio.
Non sapeva come si stesse muovendo, ogni tanto percepiva qualcosa, con gli occhi, non abbastanza umani, vedeva liane di terra lucida molle, come sabbia bagnata, grigiastra muoversi al suo fianco.
Informe.

Trovare l’Astrolabio non era stato facile come aveva pensato.
La fonte aveva una profondità ed un’estensione notevole e i sensi di Drew erano annacquati dal suo nuovo corpo, quando provava a concentrarsi su qualcosa, acuire la sua vista, parte della sua fisicità si manifestava di nuovo in forma umana, assieme al bruciore dato dall’acqua bollente ed era costretta a ritornare nei meandri della sua coscienza, a diventare di nuovo informe.
E non era facile restare in quello stato, restare in pace, non con gli acuti dolori delle bruciature che lo avevano segnato ne dalla preoccupazione di non resistere, la sua stessa forma, di tanto in tanto si solidificava, non abituato a quello stesso indefinito.
La sua strategia si era rivelata pessima.
Sperava che Carter trovasse Grace ed il suo fidanzato gigante in fretta.
… L’Empusa aveva detto che avrebbero dovuto percepire l’Astrolabio, era un oggetto magico, oltre che probabilmente attira guai.
Ecco! Si disse, su quello poteva lavorare.
La percezione della nebbia prescindeva i sensi mortali, non erano influenzati dal suo corpo.
Non sapeva come, ma doveva, in qualche maniera.
Bravo Druso!” sentì una voce, un eco lontano, per un secondo pensò che fosse Assetata, ma non aveva la spada con sé.

Così si era concentrato nel percepire qualcosa, otturando tutti i sensi al massimo. Inesistente, sospeso ed in cerca di qualcosa nella calma.
Una vibrazione, appena una, aveva percepito e da essa era stato guidato.
Finché non era stata più forte, come onde che si infrangevano su una banchina e poi altre ed altre ancora.
Aveva dovuto forzare gli occhi, un poco, dietro una tenda grigio levigato aveva visto qualcosa d’orato, brillante, adagiato sul fondo, tondo ed indefinibile.
Aveva allungato qualcosa di se, coni d’argilla morbida ma lo aveva saputo dal primo momento che avrebbe avuto bisogno di arti veri per prenderlo.
Non c’era successo senza fatica e non vi era fatica senza sofferenza. Una volta lo aveva detto la sua matrigna, Aurelia Reed figlia di Vica Pota.

Aveva recuperato il suo braccio ed il dolore dell’ustione dell’acqua bollente, ma con fatica, isolando il dolore, estraniando il dolore, aveva raggiunto con le dita l’oggetto.
L’oro era freddo. Innaturalmente freddo, rispetto la brodaglia incandescente.
Il contatto lo aveva spezzato, dissociato.
Il dolore si era fatto insostenibile ma poi era tutto cessato.
tutto.
Buio.
E poi luce.
Lei sedeva su una … sedia, una bellissima sedia di legno lucido, ma una semplice sedia, quasi da tavola calda.
Una donna, con una lunga tunica bianca, dalle maniche amplissime con ricami dorati sugli orli, e laticlavi verticali porpora,  sopra indossava una clamide di un blu pavone, fermata alla spalla con una fibula tonda a due pendenti di perle.
Il viso era ieratico come quello delle statue della Minerva che aveva visto a Nuova Roma, aveva gli occhi erano di un grigio inteso come il mercurio liquido, dalla forma allungata, ed i riccioli biondi raccolti in uno chignon poco severo. L’incarnato era di un colore olivastro.
Bella! Primo triviale pensiero.
“Benvenuto giovane semidio!” aveva detto con serietà lei, un viso ieratico come una statua e nessun accenno di sorriso nelle labbra sottili.
“Divina Minerva?” aveva provato, nell’immaginarla con le fattezze di una statua non avrebbe potuto associarla ad alcuna altra dea, certo manca l’elmo e la collaretta con i serpenti intrecciati … o lo scudo … oh.
“Succede ogni volta, incredibile? Forse neanche così tanto! Infondo è mia madre!” aveva dichiarato la donna, “No, no, giovane mezzosangue io sono Ipazia di Alessandria, sì quella Ipazia, o almeno ero. Credo di essere morta no, sono una specie di spettro” aveva dichiarato, “Un memento, ecco” aveva spiegato.
“Cosa?” aveva domandato Drew, mentre si guardava intorno, era in una stanza, composta da scaffali altissimi, ripieni fino agli orli di fitti rotoli e volumi, quasi sul punto di straripare.
“Ipazia, io, Ipazia lei … ho costruito l’Astrolabium Ueritatis[5] ho impresso una parte di me in esso, per testare l’utilizzatore, non volevo che una mia creazione fosse usata impropriamente, ai miei tempi uomini avidi si nascondevano dietro grandi simboli per sfruttare le anime ignoranti” aveva chiarito subito lo spettro.
“Hai fatto come Sauron con l’Unico Anello?” aveva chiesto confuso Drew.
“Oh, be, lui tecnicamente lascia solo i suoi poteri” aveva risposto pratica Ipazia – Okay, Drew non era certo di voler sapere perché una filosofa morta quasi mille e seicento anni prima in Egitto sapesse qualcosa del Signore degli Anelli.
“Più come fanno gli armaioli creando armi senzienti, come immagino tu ben saprai, ti leggo dentro, Druso Reed” lo aveva anticipato Ipazia, “Io ho lasciato un po’ di me, per il futuro” aveva dichiarato orgogliosa del suo lavoro.
Drew aveva sospirato.
Ovviamente.
“Quindi ora che succede, reverentissima?” aveva chiesto, mentre si alzava dal pavimento e si accomodava su una sedia crurale che aveva trovato lì disponibile – dava un po’ di brividi e alla testa, erano sedie da senatore infondo!
Ipazia aveva sorriso – forse – sembrava che le labbra non si appuntissero mai molto.
“Ho detto che ti vedo dentro, ma non è del tutto vero, ti percepisco, ma devo testarti, vedere se sei degno della Verità” aveva dichiarato lo spirito.
“Probabilmente no” aveva dichiarato Drew.
Ipazia lo aveva guardato con accondiscendenza, “Dai, dai, non ti buttare giù, sei figlio di angoscia ma non è necessario seguirla così pedissequamente” aveva dichiarato Ipazia.
Drew aveva sorriso, stanco, ma aveva sorriso.
“Una domanda” aveva ripreso la dea, “Una sola domanda e potrai uscire da qui” aveva dichiarato Ipazia, “Se non fallirò chiaramente” aveva commentato Drew.
“Ma che sciocchezza! Uscirai da qui ugualmente, non sono crudele ne ho interesse nel tenere qualcuno legato a me, il mondo è vasto, ampio e pieno di mistero per passarlo confinati in un ricordo, no?” aveva dichiarato quella, con un sorriso – sì, in quel momento stava sorridendo.
Drew aveva sentito quelle parole pesanti come macigni posarsi sulla sua schiena.
Probabilmente la mente lucida non era servita per la traversata in acqua ma per quel confronto lì. “Se tu fallissi la prova, giovane semidio, non potresti usare l’Astrolabio e nessuno dei tuoi amici anche” aveva spiegato Ipazia, “Sarebbe solo un intoppo sulla tua strada, ovviamente, troveresti un altro modo per risolvere le cose … è una caratteristica squisita del genere umano questo!” aveva dichiarato la donna.
Drew non aveva mai visto la dea Minerva, ma aveva idea che dovesse essere così, voleva che fosse così, una donna dall’aspetto austero e ieratico come chi dispendioso di saggezza dovesse essere, ma con la mente giovane e vivace di chi era ancora pronto ad aprirsi al mondo.
“Va bene” aveva dichiarato.
Prima che scoprissero l’Australia quale era l’Isola più Grande del mondo?” aveva chiesto Ipazia a bruciapelo.
Non era quello che si aspettava.
“Come sa cos’è l’Aus-lasciamo perdere che è meglio” aveva dichiarato Drew. Conosceva Tolkien, perché non l’Australia?
“Pensaci attentamente Druso” lo aveva rimproverato Ipazia.
“Uhm … l’Africa, conta? O non conta perché è un continente? In quel caso non dovrebbe contare neanche l’Australia” aveva chiesto.
“Non conta perché non è un’isola e l’Australia non è un continente, fa parte dell’Oceania, che lo è” aveva detto leggermente frustrata la donna, cercando di mantenersi rilassata, “Insisto: pensaci bene” lo aveva rimproverato di nuovo.
Pensarci bene …
Allora l’Australia era l’isola più grande del mondo … buona a sapersi.
I continenti non dovevano contare, perciò doveva falciare i grandi nomi.
Le isole dell’arcipelago non dovevano essere un granché in grandezza.
Probabilmente in gara restavano solo Groenlandia, Giappone e Inghilterra. Si sentiva di escludere la terra del sollevante, era lunga ma stretta.
L’Isola più grande …

Questi pensieri continuavano a frullare nella sua testa.
Eppure trovava quella domanda strana ugualmente.
Non poteva essere nozionistica quella che chiedeva Ipazia, non aveva alcun senso, era una studiosa di geografia, di stelle, ma anche una filosofa.
Se avesse avuto con sé Assetata … ma l’aveva lasciata per avere la mente sciolta, libera, non imbrigliata a nulla, per essere calma.
Lo sapeva, sotto.
Drew lo sapeva che doveva esserci qualcosa di più … uhm … difficile sotto.
Prima che scoprissero l’Australia quale era l’Isola più Grande del mondo?
Prima che scoprissero l’Australia quale era l’Isola più Grande del mondo?
Prima che scoprissero l’Australia quale era l’Isola più Grande del mondo?
Prima che scoprissero … Sì!
Era nella lingua!
“L’Australia” aveva risposto Drew.
Ipazia aveva schiuso le labbra, “Ne sei sicuro?” aveva chiesto, per insinuarli il dubbio.
Drew aveva annuito, “Era nella lingua, l’intoppo intendo. Lei non mi ha chiesto quale fosse l’isola che ritenevano più grande ma quale lo fosse” aveva chiarito il figlio di Cura.
“Perciò sempre l’Australia anche se non era stata scoperta” aveva dichiarato con sicurezza.
“Risposta definitiva?” aveva chiesto Ipazia.
“Sì e non siamo su chi vuol essere milionario” aveva dichiarato Drew.
“Bravo, Druso Reed figlio di Cura, la risposta era l’Australia” aveva stabilito Ipazia.
Ancora troppo facile …
“Procediamo” aveva parlato allora lo spirito, “Perché pensi ti abbia chiesto questa domanda?” aveva chiesto allora Ipazia.
Bene, aveva pensato Drew, questo somigliava a qualcosa di più sensato.
“Sicuramente non per testare le mie conoscenze di geografia, forse per la logica?” aveva proposto. Non sapeva se poteva proporre qualcosa o dovesse dare risposte nette.
Ipazia aveva inclinato il capo, “Allora perché non darti una sequenza numerica?” aveva chiesto.
“Perché non le piacciono solo i freddi numeri” aveva risposto secco lui.
“Sono una matematica, Druso, adoro i freddi numeri” aveva dichiarato Ipazia.
“Mia sorella avrebbe saputo la risposta” Drew lo aveva detto di getto, “Dici?” aveva chiesto.
“Certo faceva cruciverba tutti i giorni, studiava l’etrusco e si dilettava negli indovinelli, diceva che tenevano il cervello sveglio. Mens sana in corpore sano” aveva dichiarato lui.
Probabilmente Carter e Grace avrebbero risolto tutto in poco tempo.
“Ammirevole, ovviamente io questo non lo posso sapere” aveva detto Ipazia, combinazione strana di parole, ma dal sorriso complice che stava mandando, doveva aver pronunciato qualcosa di importante.
“E non potrai saperlo, è morta” aveva risposto Drew, “Però sicuramente avrebbe trovato la tua risposta, lei le trovava sempre” aveva dichiarato.
Perché era brillante, intelligente e caparbia.
“Insisto: io non posso saperlo! Indipendentemente che io possa un giorno scoprirlo” aveva dichiarato nuovamente Ipazia.
“Be, fidati, sarebbe stato vero …” aveva detto lui, sconsolato.
Ipazia aveva sorriso, proprio un bel sorriso soddisfatto.
“Oh!” aveva esclamato lui, schiudendo le labbra, “Me lo hai chiesto perché anche se non conosciamo una cosa non implica che questa non solo non sia vera ma che non sia già successa” aveva proposto.
“Esatto. Come dice Huxley: I fatti non cessano di esistere solo perché sono ignorati” aveva esclamato Ipazia soddisfatta, prima di parlare: “Inoltre?” lo aveva invitato.

“Inoltre?” aveva provato Drew.
Ipazia aveva sollevato una mano per invitarlo, come se nel suo palmo ci fosse tutta la conoscenza del mondo. “Si, applica anche ai problemi” aveva concesso Drew.
Ipazia lo stava guardando con la stessa espressione soddisfatta e compiaciuta della sua matrigna la prima volta che Drusilla era tornata soddisfatta dopo aver vinto una corsa di bighe, Drew l’aveva seguita con le gambe di cera molle – letteralmente – ancora sbattuto.
“So di avere un problema” aveva ammesso alla fine il figlio di Cura, ne aveva parecchi di problemi.
Sua sorella. La vendetta. La spada.
“Certo che hai un problema. Ma quale?” aveva chiesto con gentilezza Ipazia.
Drew aveva schiuso le labbra.
Ho lasciato casa mia.
Mia sorella è morta.
Ho una spada che mi avvelena la mente.
Non ho un posto da chiamare via.
Mia sorella è morta.
Sono un fallimento.
Sono debole e strano.

“Mia sorella è morta” aveva risposto esausto. Ipazia aveva annuito, “Ti manca molto” non era una domanda.
“Lei era la parte migliore di me” aveva ammesso Drew, la donna aveva scosso il capo, “Che sciocchezza. Posso concordare con ciò che diceva Platone che gli esseri umani sono incompleti, ma non ho mai creduto che nessun’altra persona potesse essere il nostro complementare. Nessuno è la tua altra parte, figurarsi una migliore” aveva dichiarato Ipazia con calma.
Drew aveva sorriso mesto, “Però mi manca lo stesso” aveva detto. “Il fatto che non sia la parte migliore di te, non vuol dire che tu l’amassi meno” aveva chiarito Ipazia, “Questo luogo è una piccola stanzina del Museo di Alessandria, mio padre ne era il rettore, o almeno è la sua ombra, e io venivo a studiare qui, con mio fratello Epifanio – lo so, non lo hai mai sentito nominare – lui aveva per me questa venerazione” la donna aveva fatto una pausa.
“Ha vissuto tutta la sua vita nella mia ombra ed anche dopo la mia morte non ha mai avuto il coraggio di uscirne mai fuori, però era bravo, intelligente e passionale, non sto dicendo che dovesse diventare l’uomo più famoso del suo tempo, specie dopo la mia finaccia, ma speravo che riuscisse a vivere, almeno per se stesso” aveva dichiarato la donna.

Ipazia gli stava dicendo di lasciare il ricordo di Drusilla alle spalle?

“Non sapevo avesse un fratello, sì” aveva concordato Drew perché non sapeva cosa dire, Ipazia aveva annuito, “Nel film non c’era” aveva aggiunto lui.
Lei aveva sollevato un sopracciglio, “Si, ehm, a proposito di quello. Molto bello, credo mi abbiano fatto più intelligente di quanto non fossi[6] e … tra me e te, mi sarei fatta tranquillamente Max Minghella e Oscar Isaac!” aveva dichiarato sfacciata.
Drew era scoppiato a ridere, inaspettatamente.
Decisamente diversa da Minerva, doveva dire.
“Hai una risata molto bella Druso Reed, musicale, io non ne priverei il mondo” aveva dichiarato la donna, quasi materna.
Era la seconda volta in un pomeriggio che rideva così spensieratamente.


Poi erano rimasti in silenzio, a fissarsi, l’uno verso l’altro.
“Io … ehm … ho passato il test?” aveva chiesto poi Drew.
“Non lo so, lo hai passato?” aveva chiesto di rimando Ipazia, giocherellando con le dita su un ginocchio, con un sorriso soddisfatto da gatto del Cheshire.
Drew si era morso un labbro.
Anche quello pareva l’ennesimo test.
“Si” aveva risposto.
“Oh, be, chi sono io per contradire un giovane semidio che ha affrontato impervie angustie per raggiungere il suo premio” aveva dichiarato orgogliosa.
Drew ebbe l’impressione che Ipazia non stesse facendo riferimento al bagno infuocato a cui si era sottoposto, così come il premio non fosse l’Astrolabio.
Solo un altro intoppo. Solo un’altra tappa nel lungo viaggio.
“Ricordati Druso Reed, l’Astrolabium Ueritatis non è la Bussola di Jack Sparrow ne Alietrometro di Lyra Linguargentina[7]” aveva cominciato Ipazia.
Okay, Drew era davvero curioso di come lo spettro di una donna morta da più di mille anni, usata come antifurto di un oggetto nel fondo di un lago, da almeno vent’anni fosse così aggiornata sulla cultura nerd.
“Indovino solo una mente tranquilla può utilizzarlo” aveva proposto Drew.
“Oh, per la gloria di Serapide, no! Una mente tranquilla è così noiosa, solo una mente vivace può usarlo, ma razionalmente. Nessun meccanismo magico, nessun: seguo gli impulsi. Solo risolutezza: l’Astrolabio ti condurrà dove vuoi o meglio dove sai di volere” aveva detto calma lei.
Non lo potrai avere se permetterai ai sentimenti di avere ragione sulla mente” aveva decantato Drew, erano le parole che Apollo aveva detto a Carter nel suo sogno.
“Non è mai stato recuperarlo vero, è sempre stato il consiglio per utilizzarlo” aveva soppesato quasi tra sé e sé.
Ipazia aveva un sorriso calmo e sincero, poi aveva detto a Drew, qualcosa che lui stesso non si era aspettato: “Se mi è concesso darti un consiglio Druso Reed, figlio dell’Angoscia, uccidere Bryce Lawrence non ti ridarà tua sorella.”

 

Ipazia era lì e l’attimo dopo gli occhi di Drew era rivolti ad un cielo tinto di rosso e bluette. Stava tramontando il sole, lasciandolo esposto ad una notte fredda.
Il secondo, ancora più rapido pensiero, fu che era tornato di carne, umana carne, perché aveva sentito dolore come di migliaia di aghi infilzati nella sua pelle.
Era steso sulla nuda terra, sull’ansa del lago bollente, si era tirato su a fatica, non lontano dai suoi piedi scintillava dorato l’astrolabio, grande come il piatto di una batteria.
Ma l’unico pensiero di Drew era al suo braccio.
La carne era rossa putrida, gonfia, piena di pus.
Si era ustionato.
Aveva cominciato ad urlare, cercando di trasformare di nuovo l’arto in argilla per … per staccarselo e ricrearne uno nuovo, da convertire in cera.
Oh ma guarda che bel bocconcino, chi se lo aspettava un altro!” aveva sentito ghignare alle sue spalle.
La voce non era rassicurante.
Di Carter non c’era l’ombra.
E non aveva Assetata.
Stercore!

 



[1] Per la disertazione i Romani erano piuttosto creativi, le punizioni andavano dalle vergate, al mangiare solo orzo o anche ad essere costretti a vestirsi come donne, pure la morte. Cioè un po’ a seconda delle circostanze sia della diserzione sia del periodo storico.

[2] A questo punto della narrazione Jason non è più pretore di Roma, lo è Percy tecnicamente, comunque il ruolo starà per essere di Frank e Reyna sta per commettere lo stesso reato di Drew, però il nostro romano sfigato è lontano da Nuova Roma da abbastanza tempo da non avere idea della missione dei Sette e che Jason non è più pretore.

[3] Sono passati un po’ d’anni dalle mie ultime lezioni di Storia Romana Repubblicana (VIVA L’IMPEROOOO) e l’idea di una forma di governo con due pretori, prima di quella con i due consoli, era solo teorizzata, comunque apparteneva ad una fase precedente rispetto la più nota con i due consoli. Giuro è una teoria valida e seria che ha innumerevoli prove e che sicuramente sarebbe interessante da argomentare, Riordan comunque, con la divisione del potere militare nei due pretori (ho sempre pensato che questa divisione fosse solo per i ragazzi, confesso) sembra sostenerla, da lì il discorso di Drew. Oltre questo, Cicerone, riporta ad un certo punto dei suoi duemila scritti che “i fanciulli imparano il greco come un tempo facevano con l’etrusco” (semicit.-) intendendo che un tempo non si guardava alle “molli arti” greche ma a quelle etrusche (se poi pensiamo che tre dei sette re di Roma erano etruschi, si ipotizza che sia esistita una “dominazione” etrusca nell’ultimo periodo monarchico romano, ma questa è un’altra storia), che erano un popolo carino-carino con usi molto simpatici.

[4] In realtà è 158° F, circa. Non so mi piaceva che Drew usasse i gradi C, però poi ricorda che Carter è americano.

[5] Astrolabio della Verità, ho preferito usare il latino che il greco (nonostante Ipazia parlasse greco) perché A) so il latino e non il greco, B) Tecnicamente Ipazia è vissuta tra la fine del 300/inizio 400 ovvero nel momento in cui i due imperi si erano divisi (o poco prima) quindi il latino poteva essere ancora la prima lingua dell’impero.
Inoltre, ho utilizzato la parola Ueritatis al posto di Veritatis, perché il simbolo V è stato inventato circa nel rinascimento, ora la cosa non ha senso perché Ipazia sta parlando in inglese, però, nel senso, ho preferito darla la pronuncia Restituita che la pronuncia Scolastica perché Ipazia è donna di cultura (E perché a me piace di più *lalala*). Insomma, beghe a caso.

[6] Il film a cui faccio riferimento è Agora (vedetelo pls); ad un certo punto fa un volo pindarico bello peso su Ipazia e sul modello solare e l’orbita ellittica, che non ha fatti storici a supportarlo. Comunque, se non ricordo male gli autori lo hanno fatto con “consapevolezza” per tirare una certa frecciatina, credo.

[7] La Bussola di Jack Sparrow (Pirati dei Caraibi) indicava ciò che si desiderava di più, mentre Alietrometro di Lyra (His dark materials) rispondeva a tutte le domande. Si, il mio Astrolabio di Leone (che in realtà sarebbe di Ipazia lol) è chiaramente ispirato a questi due oggetti ma … ecco, non è un oggetto così di ‘pancia’ nella mia ottica.

   
 
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