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Autore: mercutia    21/08/2021    1 recensioni
L'esperienza in Caerdicca Unitas ha cambiato Imriel, ma ha solo parzialmente rimosso la tensione dal suo rapporto con Phèdre. Per quanto sia felice di riaverlo a casa, a pochi mesi dal suo ritorno è chiaro che ancora tra loro esistano questioni in sospeso, attriti spinosi e ingombranti che solo una persona al mondo dice di poter dissipare. Con questa promessa Mélisande Shahrizai rientra improvvisamente nella vita di Phèdre, proponendole un patto controverso per quanto irrinunciabile.
A dodici anni di distanza la prescelta e l'erede di Kushiel si ritrovano faccia a faccia: chi delle due avrà la meglio nel loro eterno duello d'amore e d'odio?
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La storia è narrata dal punto di vista di Phédre anche se si colloca nella seconda trilogia, per la precisione dopo "Il sangue e il traditore", di cui però ignora il finale in cui Imriel decide di leggere le lettere di sua madre.
[fanfiction Phédre/Mélisande]
[piccoli spoiler fino a "Il sangue e il traditore"]
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Imriel nó Montrève de la Courcel, Joscelin Verreuil, Mélisande Shahrizai, Phèdre nó Delaunay, Ysandre de la Courcel
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Bondage
Capitoli:
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Era da poco passata la mezzanotte quando, indossata la maschera e levato il cappuccio, varcai l'arco d'ingresso e salii le scale. Mélisande incedeva alla mia sinistra, appena un passo dietro di me, il viso mascherato rivolto ossequiosamente verso il basso, in un atteggiamento così umile che nemmeno io avrei mai potuto pensare fosse lei.
Giunta al piano di sopra, nonostante nessuno avesse preannunciato il mio arrivo, tutti gli ospiti, chi subito chi dopo qualche istante, volsero a me l'attenzione: chi stava parlando si ammutolì, chi stava flirtando si fermó, chi stava suonando l'arpa si bloccó, chi già si era appartato lentamente comparì. Prima che arrivassi al mio scranno tutti gli occhi dei presenti erano su di me, e su Mélisande, nel silenzio più totale. Io sorridevo, dissimulando il disagio che mi dava, salutando con un cenno del capo tutti coloro che incontravo lungo il cammino, i quali mi rispondevano con profondi inchini.
Salita sul palchetto mi volsi alla platea e l'abbracciai con uno sguardo, cercando involontariamente di individuare Imri tra quei ragazzi, benché mi fossi imposta di evitarlo.
«Benvenuti miei cari» proclamai «Non è mia intenzione tediarvi con lunghi discorsi e rubare tempo prezioso a questa notte che è tutta per voi. Come sapete non mi tratterrò molto qui per non esservi di disturbo né motivo di distrazione, perciò voglio subito ringraziarvi di cuore per la vostra presenza e incoraggiarvi a prendere parte a questa serata dimenticando i precetti a cui siete stati educati, i dettami cui il vostro corpo ormai obbedisce inconsciamente.
Nel nome di Naamah, nelle ore a venire liberatevi di tutto ciò che rappresentate, liberatevi di tutto ciò che da voi ci si aspetta e per questa notte siate soltanto voi stessi.
Amate soltanto a vostro piacimento.»
Seguì uno scroscio di applausi, mentre io andavo a prendere posto sul mio scranno e Mélisande si appostava accanto a me. Davanti ai miei occhi la sala riprese vita dopo la mia interruzione e io, pur non volendo, di nuovo mi trovai a cercare di riconoscere Imriel in mezzo a quelle figure nere così uguali tra loro da confondere la vista. Era tutto come avevo immaginato, come Mélisande aveva pianificato, forse anche più disorientante e anonimo a giudicare dal fatto che, nonostante li avessi da poco visti senza maschera uno per uno, mi era impossibile identificare qualcuno di quei ragazzi. I costumi che indossavano mostravano ben poco, giusto una striscia del petto, la curvatura dei seni delle adepte più formose, il collo, la bocca, al limite anche il colore degli occhi se ci si avvicinava molto. Dalla mia postazione distinguevo giusto gli uomini dalle donne, faticando nel caso di un paio di ragazzi particolarmente esili. Nonostante questo, non molto tempo dopo il mio arrivo, fu impossibile non distinguere quella camminata, quel modo di muoversi e quel cercare invano di evitare il mio sguardo. Guardai altrove, cercai di distrarmi e di lasciar correre il tempo, ma il suo atteggiamento sembrava immutabile. Allora girai la testa verso Mélisande e con un gesto della mano la invitai ad avvicinarsi.
«Pensate sia troppo presto per lasciare la festa?» le chiesi coprendomi la bocca per evitare per sicurezza che qualcuno potesse leggere il labiale.
Vidi le sue labbra allargarsi in un sorriso, quindi anticipai la sua battuta.
«Non gongolate, non è per la mia impazienza, è per lui: mi sembra a disagio con noi qui.»
Alzó di scatto il viso mascherato a guardare la sala, la bocca che abbandonava ogni traccia di divertimento.
«Tu riesci a riconoscerlo?»
La sua domanda fu un sussurro strozzato, incredulo.
«Sì» risposi mio malgrado.
Restò lì, a scrutare, a cercare, a rendersi conto, sebbene già lo sapesse benissimo, che lei non poteva. Non ne avevo motivo, ma mi sentii in colpa. 
«Non commiserarmi» digrignò.
«Non saremmo qui se ne fossi capace.»
Tacque restando a fissare quegli sconosciuti che le apparivano tutti uguali, quindi disse piano «Cosa sta facendo?»
«Niente. È uno dei pochi ancora solo.»
«Se credi che possa dipendere dalla nostra presenza, andiamo.»
Mi alzai. Volti mascherati si girarono subito a guardarmi, qualcuno lo fece con ritardo, qualcuno non lo fece proprio, ormai troppo preso dal proprio partner per accorgersi di me. Sorrisi, feci un profondo inchino e m'incamminai decisa verso la scalinata, seguita dalla mia insolita dama. Ora che sapevo qual era, mi sentivo addosso lo sguardo di Imriel e per un breve istante lo incrociai. Impossibile interpretarlo, immaginare i pensieri che celava, se e quanto in qualche modo quella giornata lo avesse già cambiato. Se, vedendomi passare insieme a sua madre, ancora mi biasimasse o invece mi vedesse solo per ciò che ero: la creatura forgiata dagli dei e segnata da Kushiel per compensare la sua troppo perfetta discendente.
Sospirai di sollievo quando aprii la porta delle nostre stanze private, come se fossi giunta in salvo dopo una fuga. Un pensiero davvero bizzarro sapendo ciò a cui stavo andando incontro, ma in quel momento, concentrata com'ero su Imri, non realizzai altro. Una sola lampada forniva luce in quella prima camera, contrastando con la forte luminosità esterna, dandomi un primo lieve assaggio dello smarrimento in cui sarei sprofondata di lì a poco. Appena varcata la soglia mi girai verso Mélisande per parlarle di Imriel, dei suoi sguardi, ma lei troncò sul nascere le mie ingenue intenzioni.
«Spogliati.»
Colta alla sprovvista, rimasi immobile, basita a guardarla come se non avessi capito.
«Subito.»
Le mie mani allora si portarono alla spilla che avevo sul petto, l'aprirono e scostarono il mantello per farlo cadere oltre le spalle. Andarono poi a cercare i lacci dietro la testa e ne sciolsero i nastri lasciando che la mia maschera cadesse a terra. Mélisande non si mosse, né disse una parola. I suoi occhi mi scrutavano dalle fessure della sua maschera, appena visibili, distanti, in attesa. 
Mossa da un'educazione che era ormai impressa nelle mie vene e da un istinto che con lei si faceva più potente, feci un passo in avanti, mi inginocchiai ai suoi piedi e alzai il viso, adulante, ad aspettare un suo gesto, un suo comando, un suo castigo.
Lentamente, ai margini del mio campo visivo, la sua mano destra si mosse verso la mia nuca, la sentii insinuarsi tra i miei capelli in una carezza soddisfatta. Dall'alto il suo viso, ancora mascherato e oscurato dal cappuccio che vi calava sopra, continuava a osservarmi vuoto e inespressivo. Così anonimo da farmi pensare che potesse nascondere un'altra persona e mentre il tarlo del dubbio s'insinuava in me, di nuovo la sua mano scivoló in un delicato movimento alla base della mia testa, dandomi un brivido. Quel tocco mi era sconosciuto, eppure quello che sentivo era il profumo di Mélisande, ne ero certa. Forse. Una terza carezza mi spinse verso di lei, fino a farmi appoggiare una guancia alla stoffa liscia del mantello. Così vicina, il suo profumo mi avvolse più intenso, rassicurandomi, ma la sua mano si mosse nuovamente, a sfiorarmi il viso, così dolce da confondermi di nuovo. Era il suo profumo, vero? Inarcai maggiormente il collo per poterla guardare meglio, piegando in su la testa alla ricerca dei pochi lineamenti che avrei potuto vedere, delle sue labbra scoperte, ma ciò che i miei occhi riuscirono a catturare fu solo qualche forma indefinita nella penombra. Un'altra carezza, giù fino al collo, una lieve pressione contro la sua coscia mi indusse a strusciarmici, a desiderare di farlo sulla sua pelle, ma lei non faceva che osservarmi protetta dall'oscurità e muovere quella mano, sempre più gentile, premurosa, sempre meno da lei, alimentando in me sgomento ed eccitazione. Non sapevo più che pensare, se dare adito al sospetto e tentare di recuperare lucidità prima che fosse troppo tardi o lasciarmici cullare inerme mentre la paura diventava pulsione. Era Mélisande a toccarmi? Era lei con me in quella stanza? Dischiusi gli occhi che l'accondiscendenza insita del mio corpo faticava a tenere aperti e li gettai ancora una volta verso l'alto, ancora una volta invano. E intanto quella mano mi adulava, morbida e languida, il mio fiato si faceva corto, i pensieri sempre più vacui e il panico ammorbava relegato ad uno stato di quasi incoscienza.
D'improvviso le sue dita si irrigidirono tra i miei capelli, le sue unghie mi graffiarono la cute e con forza mi premette a sé quasi ad affogarmi contro la stoffa che copriva la sua nudità.
«Hai paura, Phèdre?»
Gemetti, di sollievo, per quel contatto violento, per quel gesto familiare, per quella voce gonfia di passione nel pronunciare il mio nome.
«Di voi sempre.»
Non potevo vederlo, ma sapevo che stava sorridendo. Mi tenne ancora così, poi lasciò di scatto la presa su di me, facendomi vacillare sulle ginocchia e sentire all'improvviso tutta la vulnerabilità del mio corpo nudo al suo volere.
«Preparami un bagno caldo.»
Battei le palpebre. Non solo non me l'aveva mai chiesto lei, ma nessuno l'aveva mai fatto, nessuno credo avrebbe mai anche solo pensato di usare me per un compito simile. Non perché fosse umile, né perché io non fossi abbastanza servile da farlo, ma ero un'anguissette, avevo ben altre doti e nessuno si sarebbe mai sognato di sprecare il tempo con me per farmi fare altro che non fosse ciò per cui ero celebre, unica, in tutto il regno.
«Devo ripetere?» domandò alla mia stupita immobilità.
Mi alzai solerte e su gambe incerte mi diressi in bagno. Misi subito l'acqua a scaldare, sapendo che serviva tempo, e intanto cominciai ad accendere candele e preparare gli olii. Mélisande si palesò con molta calma, ancora mascherata e ammantata, ma la luce, che avevo reso maggiore in quella stanza, mi consentiva finalmente di vedere chiaramente che era lei. Si appoggiò al bordo della vasca e restó lì a osservarmi mentre finivo di allestire il necessario. Poi mi si avvicinò, mi si pose alle spalle e mi oscurò la vista con una benda. Mossi le mani con l'istinto di impedirglielo, ma mi bloccai prima di alzarle.
«Perché?» chiesi soltanto
La domanda la fece fermare un attimo, poi riprese a fare il nodo dietro la mia testa, lo strinse con forza e lo usò per tirarmi a sé con rabbia.
«Te lo devo spiegare?»
Ero sua quella notte, poteva fare di me tutto ciò che voleva. Anche impedirmi di vedere cosa. Anche se questo, soprattutto quella notte, mi spaventava a morte. Anzi, quella ne era di certo la causa principale.
«No.»
Intrappolata dalla totale oscurità, sentii il suo mantello solleticarmi la pelle mentre si allontanava da me e poi il nulla. Mi lasciò lì, sola, nel silenzio, unico mio punto di riferimento il bordo della vasca a cui mi aggrappavo con dita bagnate. Potevo solo immaginare che lei fosse lì da qualche parte a guardarmi, a godere della paura che saliva ad accelerarmi il respiro.
Lo sciabordio improvviso dell'acqua mi fece sussultare, facendomi stringere le mani al marmo. Stava entrando nella vasca: era così vicina che riuscivo ad avvertire la sua presenza, lo spostamento d'aria dei suoi movimenti e infine il lungo sospiro rilassato quando si adagió. L'effluvio degli olii riempì la stanza e poi sentii solo il gocciolio dei suoi gesti sporadici. Non disse una parola per tutto il tempo, né mi toccó, sebbene dovesse essermi vicinissima, mentre io stavo lì in piedi, nuda e cieca, alla mercé del suo sguardo e del suo prossimo capriccio. La mia mente intanto non faceva che congetturare, tentare di prevedere e capire quanto stava per succedere, ma non accadeva nulla e l'attesa si faceva sempre più frustrante.
Un altro improvviso scroscio d'acqua mi scosse non saprei dire quanto tempo dopo, facendomi intuire che si stava alzando. Senza mai staccare le mani dal mio solido approdo marmoreo, cercai di seguire i rumori che facevano i suoi movimenti, i suoi passi, il suo respiro, per immaginare dove fosse, cosa facesse, ma sembrava spostarsi silenziosa come un felino e presto la persi, ritrovandomi di nuovo immersa nel mio disorientante e assordante vuoto. Ancora, a lungo, ad aspettare la prossima mossa, sempre più inquieta e impaziente che quell'eterna attesa cessasse. Ma la tortura invece si protraeva fomentando la mia curiosità, tramutandola in una bramosia che quell'infinita sospensione rendeva anelante, soffocante, perché Mélisande sapeva come infliggerla in modo magistrale e io e il mio avido corpo ne eravamo dannatamente suscettibili.
All'improvviso mi sentii afferrare la faccia da dita calde che mi stringevano le guance tanto da piantarmici le unghie e farmi respirare a fatica. Un forte strattone mi costrinse a girare la testa e poi a lasciare la sicura presa sul marmo, dandomi una sferzata di smarrimento, finché labbra fameliche avvinghiarono le mie in un bacio feroce che mi tolse quel poco fiato che avevo.
In uno stato di stordimento e smania montante, le mie mani cercavano il contatto con la mia predatrice, per potermi stringere a lei, per poter trovare in lei l'appiglio della mia instabilità, ma lei mi cacció prima che potessi farlo, spingendomi via così brusca che non caddi indietro soltanto perché lei ancora brandiva in mano il mio viso. Il suono sgraziato del mio faticoso respirare copriva qualsiasi altro rumore mentre restavo lì immobilizzata, in sua balìa, fino a quando le sue dita cominciarono a muoversi irruente sulla mia pelle, sulle mie labbra, dentro la mia bocca. E allora la sentii mugugnare, compiaciuta, subito prima di ritrarre la mano.
E fu un'altra lunga pausa, un altro vuoto interminabile e snervante.
Sussultai quando una familiare fascia di cuoio mi avvolse il collo. La fibbia lo serró soffocante e uno strattone mi fece barcollare in avanti una volta, poi un'altra, facendomi capire che dovevo seguire la mia padrona, di nuovo al suo guinzaglio. E non importava che non potessi vedere, sapevo dove mi stava portando. Per questo sorrisi quando ci fermammo e il collare mi trascinò in basso fino a farmi sbattere le ginocchia e la mani sul tappeto, fremetti quando udii lo sferragliare delle catene e ansimai nel sentirmi premere l'addome contro il poggiapiedi avvolta dal profumo di Mélisande mentre mi tirava le braccia dietro la schiena bloccandole per i polsi.
«Il tuo signale è ancora lo stesso?» sussurró al mio orecchio, premendomi sotto il suo peso.
«Sì.»
Mi tiró per i capelli in modo che tenessi la testa dritta in avanti, rivolta, immaginavo, allo specchio in cui stava ammirando il suo dominio alla mia totale sottomissione e la sua voce suonò minacciosa quando bisbigliò «Sei pronta, Phèdre?»
E io gemetti «Sì, mia signora».
Fu come sprofondare nel mare del tempo ed emergere trent'anni prima, nella notte del solstizio d'inverno che avevo trascorso insieme a lei. Ritrovai le stesse sensazioni, le stesse feroci emozioni e, Elua, per quanto odio avessi provato per lei da allora, anche gli stessi identici sentimenti. Se non posso raccontare con orgoglio di quella prima volta per l'ingenuo abbandono che le concessi, a maggior ragione non ho nulla di cui andare fiera di quanto accadde dal momento in cui mi incatenó: la prima volta ero poco più che una ragazzina, sciocca, innamorata e presuntuosa nel mio ritenermi esperta e capace nelle arti a cui Delauney mi aveva istruita, ma ora che ero una donna, matura, disillusa e segnata dai traumi a cui proprio Mélisande mi aveva sottoposta, mi comportai nella stessa indegna maniera.
Si sollevò da me solleticandomi i fianchi con il mantello che doveva aver indossato di nuovo dopo il bagno. La mano che mi aveva stretto i capelli scese lungo la mia schiena, seguendo, credevo, il disegno della marque. Forse guardò anche quello, ma la sua attenzione andò ad altro.
«È qui che Selig ti ha tagliato via la pelle?»
Dilatai gli occhi nella cecità della benda che li oscurava e tremai sotto il tocco leggero delle sue dita. Nessuno, nemmeno Joscelin, mi aveva mai detto che ne portavo ancora il segno. Quello era stato per me e per tutto il regno il momento della disperazione più totale, il momento in cui tutti abbiamo pensato fosse giunta la fine, un momento che avevo cercato di cancellare dalla mia mente. E ora, sentirlo ricordare da lei, lei che di quel momento era stata l'indiretta artefice, lei che sapevo avrebbe avuto la scelleratezza di riaprire quella ferita, non in senso figurato, mi fece rabbrividire di un terrore che avevo provato poche volte in tutta la mia vita. E mentre la sua domanda cadeva nel mio muto assenso, con un'unghia tracciò la riga netta del taglio accanto alla mia scapola sinistra e il dolore, il dolore più straziante che avessi mai provato, riemerse dalla memoria a percorrermi ogni terminazione nervosa, dilagando opprimente fin dentro le ossa e nello stomaco. I miei polmoni si gonfiarono, avvertii la gola pronta a cedere a un grido, per il solo ricordo, per la sola angosciosa paura. Ma Mélisande interruppe il contatto, rise e tutto si spense.
«No, Phèdre, non ho intenzione di scimmiottare giochi che hai fatto con altri. Non ripeterò nemmeno quelli che hai già fatto con me. Anche se questo restringe davvero tanto il campo.»
Con calma si alzó, un lembo del suo mantello mi scivolò sulla pelle mentre si spostava alla mia sinistra, un attimo dopo l'avevo persa. La cecità a cui mi costringeva acutizzava per natura gli altri miei sensi, il bisogno che avevo di capire dove fosse e prevedere le sue azioni mi imponeva di concentrarmi su ognuno di essi portando forzatamente la loro sensibilità all'estremo, ma nonostante le mie orecchie fossero pronte a cogliere il minimo palpito, la pelle di tutto il mio corpo tesa a catturare il più flebile alito d'aria, non riuscivo a percepire la sua presenza e quando si palesò, lo fece versandomi addosso un dolore così improvviso e acuto che non capii nemmeno cosa mi avesse fatto, dove. Rantolai, mi inarcai e poi mi accasciai sullo stomaco. Boccheggiai. Giusto un attimo. UnUn altro rivolo di dolore lungo la schiena e di nuovo mi mossi istintivamente per deviarlo da un lato, accoglierlo dall'altro tra brividi che mi s'irradiavano e mi bruciavano giù tra le cosce. Compresi alla terza volta che mi stava rovesciando cera bollente. E alla quarta riuscii a farglielo fare gemendo immobile e allora mi accorsi cosa stava facendo di preciso: con la cera stava tracciando la linea vicino alla mia scapola sinistra, lì dove Waldemar Selig aveva iniziato a spellarmi viva vent'anni prima.
«Ho in serbo per te qualcosa di davvero speciale, Phèdre. Questo non è che il primo assaggio.»
Così fu.
Andò avanti a lungo, bruciando e torturando la sensibilità della mia pelle scottata. All'inizio sulla schiena, poi mi mise supina e riservò lo stesso trattamento al mio ventre finché all'improvviso si fermò e mi liberò dalla benda sugli occhi. Battei le palpebre infastidita dalla luce, in realtà scarsa, e mi ci volle tempo per riuscire ad abituarmi, tempo che lei attese per permettermi di vedere chiaramente la cera che mi colava addosso, spostandosi sempre più pericolosamente sulle mie parti più sensibili, più intime. Ma quando vi giunse la mia vista era obnubilata: il volto di Mélisande fluttuava sopra di me immerso in una cortina cremisi e il mio corpo rispondeva non a me, ma alla depravazione della mia carnefice. Totalmente folle la lasciai fare, anzi le mie gambe si divaricarono invitandolo a proseguire, i miei fianchi si incurvarono cercandola, pregandola di andare avanti. Vidi i suoi occhi accendersi di stupore, le sue labbra muoversi a sussurrare qualcosa che non compresi. E fu lei a fermarsi, prima di spingersi troppo oltre. Allora sentii su di me, ovunque, le sue mani, la sua bocca, la sua brama, la sua voracità cieca e feroce. E altre torture, nuovi supplizi, strumenti che lei stessa aveva creato, per me, per quella notte. E io… io l'assecondai, come la dannazione di Kushiel mi obbligava a fare, lasciandomi condurre nel baratro più fosco della mia passione fino allo stremo della sopportazione della carne. Fino a rischiare di superarlo, fino a desiderare disperatamente di lasciarle fare qualcosa di irreparabile, fino a quando nello specchio vidi il riflesso del volto di Kushiel, nelle mie orecchie sentii rimbombare il battito delle sue ali e lo sguardo di Mélisande si sovrappose a quello del dio mentre invocava i miei occhi e mi imponeva il muto comando di gridare.
«Hyachinte!»
Gemetti il signale in un brivido che si irrorò in me travolgente, mentre il mio sangue ruggiva impetuoso in un'onda cremisi che sommerse tutto il resto.
Quando tornai in me ero a terra, sdraiata sul tappeto, le mani e il collo liberi dalle catene. Non ero caduta. Avevo un vago ricordo delle braccia di Mélisande che mi sorreggevano la schiena dolorante accompagnandomi, mentre il mio corpo si accasciava esanime all'indietro. Ora lei era inginocchiata al mio fianco, il suo viso sopra il mio ad accogliere con un sorriso compiaciuto il mio sguardo che riprendeva vita.
«Hai bisogno di riposarti?» mi chiese sottolineando un implicito che bastò a risvegliare i miei sensi.
«No.» Inspirò, soddisfatta della mia risposta, sorrise mentre con una carezza mi riportava il collare attorno al collo, poi lo usò per trascinarmi su, perché la baciassi.
Ogni gioco ha le sue regole, quelli che contemplano la nostra sfera religiosa soprattutto e secondo dettami insiti nella cultura angeline, usare violenza su una serva di Naamah dopo l'uso del signale era a tutti gli effetti un sacrilegio. Lo sapevamo entrambe, ma con quel bacio avrei sancito la mia complicità nel lasciarglielo commettere, perché le avrei così concesso di profanare anche la mia ultima sacra difesa, a cui poi non mi sarei più potuta aggrappare.
La baciai.
A quel punto, disarmata di ogni regola che avrebbe potuto proteggermi, le permisi di farmi tutto quanto la sua perversione poteva sognare, arrendevole e succube di ogni suo capriccio, conscia di non poter più fare appello al signale per fermarla e per questo mostruosamente eccitata. E lei usò quella libertà, violentandomi in tanti di quei modi, fisici e psicologici, da non poterli raccontare, maestra però nel dosare il dolore che mi infliggeva, attenta a non spezzare il perfetto equilibrio su cui si fondava l'essenza stessa del nostro reciproco amore.
Non ho davvero idea del tempo che passammo in quel modo, ricordo solo che terminò non diversamente da quanto era accaduto trent'anni prima, con me che, non paga di tutto ciò che avevo subito, finii per chiderle di più, per implorarle ancora una volta di avere lei. Mélisande. Solo lei, e io. Su quella poltrona, senza fruste, staffili, lame, legacci, senza alcun tipo di gioco in mezzo a noi. Eravamo io e lei soltanto. E tutti i sentimenti accumulati nella nostra lunga e contorta storia, tutte le emozioni che la nostra rivalità ci aveva costrette a trattenere e tutta la terribile consapevolezza che ci stavamo dando l'addio.
Avevo già conosciuto il suo lato premuroso, trent'anni prima sul letto della sua stanza a Città di Elua avevo provato la sua gentilezza nel prendersi cura di un'anguissette innamorata che le aveva dato tutto. Questa volta fu decisamente qualcosa di più, questa volta mi lasciò vedere tutta la sua reale passione per me, Phèdre no Delaunay de Montreve e io mi ci crogiolai abbandonandomi ai miei più intimi desideri. Ero esausta quando, dopo aver fatto il bagno, mi chiese cosa volessi fare del resto della notte. Non mi ero aspettata che me lo chiedesse, a essere sincera non avevo voluto riflettere su ciò che avrei fatto dopo la notte con lei. E non volli farlo nemmeno in quel momento: ero stanca, la notte per quel che sapevo non era ancora finita ed era l'ultima occasione che avevo per stare con lei. Dimentica della festa, degli ospiti, persino di Imriel e Joscelin, volevo egoisticamente solo che quella parentesi idilliaca perdurasse.
«Credo che potremmo riposare, no?» dissi.
«Sei tu a condurre ora, Phèdre. Il mio turno è finito quando hai dato il signale.»
Sorrisi, mentre mi sedevo sul letto.
«È andato tutto come avevate immaginato?»
Si avvicinò e mi osservò oserei dire soddisfatta.
«Anche meglio» restando in piedi davanti a me, affondò lenta le mani tra i miei capelli «In un modo o in un altro riesci sempre a superare le mie aspettative.»
Cacciai l'inopportuno senso di colpa che il doppio senso di quella frase era riuscito a insinuarmi e chiesi «Cos'avreste fatto se avessi gridato il signale per la cera?»
Rise guardandomi con tenerezza.
«Sarei rimasta delusa. Ma sapevo che non sarebbe successo.»
«Allora perché vi siete stupita?»
Le sue mani si mossero languide tra i miei capelli.
«Non credevo mi avresti addirittura supplicata in quel modo di andare avanti» si abbassò per avvicinarsi al mio viso «Non esiste in tutto il mondo una come te, Phèdre. Lo so perché l'ho cercata, invano.»
Mi baciò e fece ancora una volta l'amore con me. Elua! Prima di quel momento non avevo mai avuto la netta sensazione di aver tradito Joscelin.
Con quel pensiero mi addormentai e fu la prima cosa che mi venne in mente quando mi risvegliai, chissà quanto tempo dopo. Era un ragionamento strano per me, quell'idea non mi aveva mai attraversata prima, com'era normale che fosse: sono angeline, il concetto di tradimento d'amore non mi appartiene, non ne avevo mai colto il senso. Mai prima di quella notte. Nella scarsa luce che fornivano le due sole candele ancora accese nella stanza, voltai la testa a guardare il corpo di Mélisande accanto al mio, ma trovai il letto vuoto. Mi alzai di scatto, accesi la lampada a olio e corsi nella stanza da bagno, nello studio, nel salotto all'ingresso. Mélisande non c'era.

   
 
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