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Autore: Miky_D_Senpai    28/08/2021    1 recensioni
Il diario mentale di uno studente che non ha ancora capito il mondo che lo circonda, tenendo per sé una regola che è chiara solo alla sua famiglia. Nascondendo con un velo di apatia il rispetto per un'unica persona, riempiendo i propri vuoti con una devozione cieca.
Sopra le leggi di una società che ai suoi occhi cade a pezzi, ma non abbastanza alto da poter godere di una buona visuale sul mondo che lo circonda.
Dal testo:
"Volevate la solita storia sulla scuola? Su quei college americani tutti fighetti in cui c’è sempre il “cattivo ragazzo” che sta con la timida secchiona di turno, che la persuade a passare nel lato oscuro? “Lato oscuro” che poi è semplicemente in penombra.
[...]
... l’avevo notato dalla finestra, fermo nel viale del mio appartamento, di fronte al mio citofono. Mi diverte vederlo sbiancare ogni volta che pronuncio il suo nome."
[AU contemporanea, quasi tutti i personaggi, provate a shippare e lui vi ucciderà]
[Nota dell'autore: Ringrazio chiunque sia passato o passerà a leggere. Devo ammettere che è la prima volta che finisco una long del genere su Efp quindi grazie di tutto il supporto, alla prossima!]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Sono rimasto a digiuno.
Non che sia un gran problema saltare un pasto ogni tanto, ma il ritmo che quella giornata ha repentinamente preso mi fa brontolare lo stomaco. Ripensando alle energie spese per essere pronto per un momento del genere, mi rendo conto che probabilmente avrei fatto meglio a mangiare quella frittata anche carbonizzata.
Hanji è stata prelevata di forza dalla madre. Avrebbe voluto vedermi indossare il vestito, farmi delle foto di nascosto e poi, soltanto dopo aver creato un onlyfans in cui pubblicarle a pagamento, uscire per tornare a casa.
Quella pervertita.
Sessualizzare qualsiasi cosa io faccia potrebbe essere il suo sport preferito, ma non ci sarebbe competizione, dato che è l’unica a comportarsi così.
Non mi resta nemmeno il tempo per accennare un sorriso malinconico sotto la mascherina, le porte si aprono e due dei soliti personaggi in giacca e cravatta vengono a darmi il “benvenuto”.
«Levi Ackerman» gli dico, prima che possano anche soltanto chiedersi cosa ci faccia un ragazzino in un posto simile.
Il più vicino dei due, un tipo con la carnagione nera, sembra capire immediatamente, facendomi strada.
«Le nostre più sentite condoglianze» mi dice, ottenendo in risposta solo un cenno della mia testa. Lasciando il biondo che l’accompagna perplesso a fissarlo per un secondo.
«Ma aspetta, il certificato del tampone…!» si riprende qualche attimo dopo, mentre io sono già nella hall.
«Lascialo andare Nicolò, non credo abbia ricevuto una cartolina che lo avvisasse della morte di Kenny»
«Va bene Onyan… come diamine si pronuncia il tuo nome?»
Continuo a camminare, trovandomi, seguendo le indicazioni, davanti alla sala dove dovrebbe essere ancora esposta la salma.
 
Passare lungo quel corridoio di persone mi destabilizzava, sapere che ogni sguardo colmo di apprensione era rivolto ad un unico individuo mi ha fatto capire quante poche volte così tanti ti degnano dello stesso silente rispetto.
Non conoscevo nessuno lì in mezzo, non sapevo come quelle persone fossero collegate a mio zio anzi, non riconoscevo un singolo volto corrugato dal dispiacere. Vecchi, giovani, persone con la puzza sotto il naso, donne le cui rughe di dispiacere si incagliavano nel trucco.
Per un momento ho estrapolato la mia coscienza dal contesto, guardando tutto in terza persona.
Mi sentivo un alieno circondato da scienziati curiosi, qualcosa da capire e studiare, da sottoporre agli esperimenti più contorti; avrebbero potuto vivisezionarmi solo per scoprire che in realtà ero come loro.
Ma nonostante la sensazione di essere circondato da predatori, camminavo con gli occhi fissi di fronte a me, puntando la bara. Gli dovevo dare l’ultimo saluto, guardare il suo volto un’ultima volta prima di lasciarlo andare.
Dovevo rimediare a quel penoso modo di lasciare suo nipote, cambiare le ultime parole che ci siamo scambiati, trasformarle in un qualcosa di meno distaccato e freddo di quel suo stupido atteggiamento da gangster di un telefilm.
“Aspettaci qui e non ti muovere”
Come se mi potessi muovere, andare liberamente in giro con la sua macchina. Io, un diciassettenne senza patente. Io, che avevo solo lui nel mondo.
Ti ho aspettato più a lungo possibile, razza di vecchio bastardo, sei tu a essertene andato. Fermo in una lattina nascosta in un vicolo, immerso nei miei pensieri perché i tuoi gusti musicali erano davvero pessimi.
Gli ultimi metri erano proprio davanti alle uniche persone che conoscevo, mi guardavano diversamente da tutti gli altri, non sapendo veramente cosa stessi passando o cosa stessi pensando. Anche loro effettivamente degli sconosciuti mischiati tra gli altri in quella folla.
Soltanto che sentirsi parte di qualcosa, come una famiglia che, per quanto lontana e assente fosse fino a pochi giorni fa, resta pur sempre tale.
Ero rivolto alla bara, non concludevo nulla a sentirmi così, non sarei riuscito a guardarmi allo specchio se ce ne fosse stato uno.
Eppure mi vedevo, come se una parte di me fosse seduta tra gli spettatori di quella patetica scena. Come un altro di quegli esseri meschini che si affollavano alle mie spalle, io stesso sarei stato il primo a giudicarmi.
Debole.
Debole e immaturo.
Uno stupido poppante troppo legato a una figura sostitutiva a quella paterna per lasciarla andare senza tutti questi sentimentalismi.
 
«Non dovevi venire per forza» La voce di Traute suona quasi preoccupata, come se credesse veramente alle parole che aveva utilizzato. Forse non si rendeva conto di quanto vuota e priva di significato fosse quella frase.
«Potrei dire la stessa cosa di te» Mi metto seduto nel piccolo settore “Ackerman” che sembrava essersi creato, ma alzando lo sguardo la ritrovo ancora lì pronta a dirmi altro.
Non che ci fosse molto di cui discutere, ma non mi sembrava comunque il momento adatto, dato che dietro di lei si era già preparata una lunga fila di persone pronte a rivolgermi le loro condoglianze.
Una domanda, guardando la finta reverenza e l’incapacità di mantenere il silenzio di quella piccola processione, più per capriccio che per vera curiosità mi balenò in mente: «Sanno tutti quanti come mi sfruttava sul lavoro?»
La mia domanda coglie esattamente nel segno, dallo sguardo colpevole della donna e dalla faccia dei primi ad aspettare dietro di lei, iniziando un passaparola che arriva fino a un preciso uomo. Non ero assolutamente a conoscenza di chi fosse, senza poter riuscire a immaginare la faccia nascosta al di sotto di quella mascherina ffp2 bianca. Sicuramente però era l’ultima persona a cui il mio dubbio doveva arrivare, dato che le persone più avanti si sono limitate a chinarsi allungandosi per carpire qualcosa dal continuo sussurrarsi.
Soddisfatto della reazione, mi volto di nuovo verso l’ex di Kenny, definizione che si è guadagnata solo dopo la sua morte, avendo dimostrato quando effettivamente ci tenesse a quella testa calda.
«Sanno qualcosa della vostra relazione?»
Il momento di silenzio che segue mi rende tutto più chiaro, almeno per me. Tutti quelli seduti sulla mia stessa panca non sembrano nemmeno aver capito a chi io stia parlando di tutto questo. Forse la madre di Mikasa sembra quella più ricettiva, dato che al coniuge non sembra essere chiaro, mentre la figlia non sembra interessata, come al solito.
«Levi, smettila» tenta di fare la voce grossa, dimostrando come anche tale mia teoria fosse vera. Non potevano avere quella relazione, due clandestini nella loro realtà fuori dalle regole.
Tra le due questioni sembrava quella la più urgente, quella che le premeva di più, probabilmente ne valeva la sua posizione all’interno di quell’organizzazione e così mi avrebbe dato l’opportunità di liberarla da quel mondo. Sì, avrei preferito sapesse le mie intenzioni da buon samaritano, ma avevo deciso di saltare le spiegazioni. In quei dieci minuti passati in quel luogo mi ero sentito così oppresso da far accelerare il mio piano.
Qualcuno nelle retrovie si sta già accorgendo di quello che stava accadendo e sta tentando di raggiungere lo stesso uomo a cui le prime informazioni sono state riferite. Questa volta il passaparola non è nemmeno iniziato, chi è abbastanza vicino da sentire le mie parole evidentemente è già a conoscenza di questo fatto. Quello che mi chiedo è perché non sia ancora arrivata ai piani alti.
Non sembra che si stia trattenendo ulteriormente, ormai colta in flagrante davanti ai suoi colleghi s’incupisce continuando a guardarmi, come fosse una sorella maggiore che sente di aver tradito la fiducia del suo fratellino.
«Ah, ho capito cosa stai facendo» mi dice, riuscendo a finire appena prima di essere richiamata dal fondo della sala. Riconosco la voce di uno dei due uomini che mi hanno accolto all’entrata.
«Traute, il capo ti vuole nel suo ufficio» Ovviamente quello a cui tutti prima passavano le informazioni è già scomparso.
«Grazie Levi» Mi sorride, lasciando che il mio silenzio sia la risposta più adatta ad accompagnarla altrove.
Finalmente, la fila può scorrere davanti a noi e quelli che volevano lasciare le loro inutili condoglianze alle uniche quattro persone legate in qualche modo al defunto Kenny Ackerman.
 
La fine di quella processione insensata è arrivata più presto del previsto.
Da quanto ho capito, nessuna delle persone passate fino a qual momento era direttamente un collega di mio zio, facevano soltanto parte dei gruppi di supporto a chi operava sul campo. Quelli che si sentivano parzialmente responsabili del suo decesso.
Li capivo.
Nonostante i loro sforzi, non aveva mai accettato la loro presenza quando era nel pieno del suo lavoro. Forse per continuare la sua relazione, forse perché si fidava più di un ragazzino al quale stava lentamente insegnando come sopravvivere in un mondo che non esiste. La favola distopica di un cacciatore di taglie vestito ancora da cowboy.
Prima che i suoi colleghi potessero raggiungerci, un’altra persona aveva rivendicato il suo diritto di porgere le sue scuse.
«Signor Smith» richiamo la sua attenzione, nonostante lui si stesse già rivolgendo all’altra parte della famiglia.
La sua reazione, pacata e razionale, mi ricorda molto quella che potrebbe avere Erwin. Ponendo uno dei due di fronte a un qualsiasi pericolo probabilmente sarebbe la stessa. Calcolata e distaccata, così come il suo modo di congedarsi.
«Perdonatemi, credo che quella sia una questione più urgente» Li lascia interdetti, ma credo che non sia difficile per loro capire quanto io ne abbia bisogno di più. Come avrei voluto vedere il figlio inginocchiarsi per chiedere il mio perdono, purtroppo mi devo accontentare di una delle poche persone che non riesco a far trasalire con uno sguardo.
«Levi, le mie più sentite condoglianze»
«Può tagliare corto e andare alle spiegazioni, professore» lo interrompo, tentando sempre di impormi su di lui nell’unico modo che ho imparato a rapportarmi con chi è in debito con me. Ovviamene senza scaturire alcuna espressione di quelle che sono abituato a vedere, anzi, sentendomi nel torto della mia insolenza.
Come diamine fanno?
«Non c’è molto da spiegare, purtroppo mi trovavo nello studio dell’avvocato Finger» Comincia la sua spiegazione, come un ottimo insegnante è riuscito sia a far placare il mio animo, che per un attimo avevo sentito più simile a Mikasa, sia a tirare fuori le informazioni richieste.
Era lì per una semplice consulenza, mentre l’obiettivo di Kenny era tenuto nascosto in quello studio, lontano da chiunque volesse la sua testa. A quanto pare la lista era lunga.
Lui era l’errore di calcolo, in quanto nell’organizzazione avevano già preventivato la presenza dell’avvocato e segnalato come complice, altro soggetto sacrificabile, ma nessuno si aspettava la visita fuori agenda di un semplice insegnante.
Avevo pensato a una lunga lista di spiegazioni, teorie complottiste secondo cui la famiglia Smith voleva in realtà uccidermi, prima logorandomi la mente, ma mai mi sarei aspettato una semplice coincidenza. Nonostante questo, non ne sono convinto, manca un tassello. Se questo Finger stava nascondendo un individuo del genere, come poteva essere arrivato a essere suggerito a lui come avvocato?
«Le voglio chiedere solo una cosa» lo interrompo di nuovo. Stavolta senza arroganza o superiorità, facendogli capire dal mio tono che avevo accettato quel racconto come verità e scuse. Infatti, nonostante l’abbia fermato, lui mi guarda aspettando che io continui.
«Che tipo di consulto doveva richiedere?» Mi sono arreso. Non esiste alcuna cospirazione, nessun piano maligno tramato alle mie spalle. Un uomo nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Come fu per mio padre in quel vicolo, il destino riserva sempre il trattamento più strano a chi lo merita.
«Dovevo sapere se sia possibile cambiare le clausole di un contratto di affitto in base a un’adozione fatta dopo la firma dello stesso»
Stanno per aggiungere un membro alla famiglia, cosa di cui non è stata fatta parola dal biondo dai mille misteri. E mio zio è morto per una stupida clausola di un contratto.
Non credo si possa aggiungere altro a questa morte patetica.
Se stai guardando: Kenny, fottiti.
   
 
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