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Autore: Bibliotecaria    31/08/2021    0 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell'autrice: rimangio ciò che ho detto, credevo che sarei riuscita a concludere la storia con un solo capitolo ma mi sono resa conto troppo tardi che erano praticamente 20 pagine, così ho preferito spezzarlo in due capitoli, non sò se lo farò ulteriormente ma credo che sia una possibilità visto che 14 pagine sono un po' tantine  ^ _^'
In oltre mi scuso infinitamente per l'estenuante attesa ma questo mese è stato... intenso: avevo un esame piuttosto grosso e dovevo anche fare i tirocinio, non ho avuto tanto tempo da dedicare a questo progetto e son o la prima a dispiacersene.
Spero che la storia continui a piacervi malgrado i miei ritardi.
Con affeto, Bibliotecaria






22. Scegliere un cammino
 
 
 
 
I giornali in seguito scrissero che si trattava di suicidio ed è rimasto tale per la maggior parte della popolazione per troppo tempo.
 
 
La mattina del 28 maggio del 2024 della Terza Era uscii dalla mia stanza appena i miei andarono al lavoro, passando per il mercato comprai inosservata un paio di pantaloni, una felpa con un ampio cappuccio malgrado il caldo umido della città, delle scarpe da ginnastica e una maglia consumata, il tutto rigorosamente usato e al prezzo minimo. Meli infilai a forza nel bagno della stazione degli autobus, relegando quei vestiti che avevo indossato fino a quel momento nello zaino.
 
Presi la corriera che portava al lago Turbine e rimasi in disparte per tutto il tragitto, cercando di attrarre il minor numero di sguardi possibili.
Durante il percorso non potei non pensare che Turbine fosse il nome più descrittivo che potessero affibbiare a quel maledetto mistero della natura che noi chiamavamo lago. Poiché questo era in fondo: un lago in un perpetuo movimento di spruzzo e risucchio. Sapevo che la causa era fiume sotterraneo che portava l’acqua pulita in quella prateria che altrimenti sarebbe secca e desertica, ma non avrei saputo spiegare come quel fenomeno fosse possibile.
 
In seconda superiore il mio professore di scienze aveva tentato di spiegarci come tale fenomeno fosse possibile, ma anche oggi mi risulterebbe complesso spiegarlo.
 
In sostanza era questo quello che mi ricordavo. L’acqua esce in superficie grazie ad un effetto simile a quello dei gayser, ma la conformazione rocciosa del terreno aveva permesso nei millenni di creare un bacino non indifferente pieno d’acqua piuttosto profonda. E questo spiega il motivo dell’acqua bollente e dei frequenti spruzzi presenti nel lago. Il risucchio invece si suppone che sia dovuto o al gayser che si prepara allo spruzzo o a delle grotte sotterranee ma data l’impossibilità di studiare la conformazione rocciosa non si è certi del perché questo accada.
 
Tuttavia una sola cosa contava in quel momento ed era anche l’unico aspetto che mi ricordavo molto bene di quella lezione: una volta che qualcosa o qualcuno viene inghiottito, non torna più in superficie.
Dove sfoci tutta quell’acqua è un bel mistero, probabilmente in un fiume o molto più probabilmente direttamente nel oceano, non ho idea quale delle due sia più probabile, so solo che i corpi di chi si suicida o di chi cade in quel lago della morte sono irrecuperabili.
 
 
Durante il tragitto continuavo a fissare il mio riflesso nel vetro, era incredibile come la cicatrice sulla guancia destra si fosse già formata, all’epoca non riuscivo ancora a visualizzarmi bene con quello sfregio bianco sul viso.
Una parte di me la odiava dato che era legato a quella notte e mi ricordava perennemente il mio fallimento, l’altra invece aveva iniziato ad apprezzarla, come se quella crepa sul mio viso fosse la testimonianza della mia sofferenza.
Ma volente o dolente la accettai come parte di me perché quella cicatrice non sparì mai. Diventando adulta, smisi di domandarmi perché fosse avvenuto e accetti i segni sulla mia pelle come parte di me come avevo accettato il colore insolito dei miei occhi e dei miei capelli, così chiari rispetto a quello che ci sarebbe aspettato.
Tuttavia, in quei momenti, quel nuovo segno sulla pelle era diventato un marchio di cui sapevo che difficilmente me ne sarei liberata.
 
 
Una volta che mi fui annoiata del mio brutto muso depresso e corrucciato mi ritrovai, di quando in quando, a voltarmi per osservare il resto dei passeggieri. Per la maggior parte si trattava di famiglie con bambini che volevano fare qualcosa di diverso e sfruttare il particolare microclima del lago per sfuggire all’afa della città.
Sorrisi tristemente alla vista di quei bambini e giovani entusiasti del viaggio. Un tempo anch’io sarei stata entusiasta di un viaggio simile e avrei atteso con trepidanza che mamma e papà tornassero dal lavoro presto, niente divise, niente dovere, solo noi tre, ma quella è sempre stata un’utopia, un sogno rimasto tale per tutta la mia infanzia.
 
Un bambino, credo umano, mi guardò: si era alzato per recuperare una pallina, credo, ma come incrociai i suoi occhi chiari mi sentii denudata, come se potesse vedermi l’anima e potesse sapere cosa stavo per fare. In preda all’angoscia sbarrai gli occhi e mi nascosi con la mia felpa consunta e strinsi con forza il ciondolo a forma di luna crescente che avevo preso l’abitudine di indossare sempre.
Quando voltai lo sguardo il bambino era sparito e al suo posto c’era il vuoto. Inspirai affondo ma sentii il tremore nel mio corpo: ero così nervosa eppure avevo deciso da tempo che questo era l’unico modo.
 
 
Quando arrivai a destinazione scesi dal autobus con uno zainetto in spalla e camminai lentamente lungo il bordo del lago imitando decine di turisti.
Il rumore dell’acqua era così forte che a stento sentivo il mio respiro, era un continuo scorrere impetuoso, gorgoglio incessante, una inspirazione affannosa. Un vortice, eterno, tremendo e angosciante.
 
Non so quante volte fui tentata di fermarmi e tornare indietro, di lanciare tutto alle ortiche e di dimenticare questo capitolo della mia vita, di iniziare a comportarmi come una persona normale e diventare un avvocato di difesa come avevo sempre desiderato.
Ma ogni volta che mi ripetevo questo compivo altri dieci passi verso l’inesorabile.
 
Arrivata in un punto isolato, lontano da occhi indiscreti e dal marasma di turisti, non mi presi a rimirare l’oramai imminente esplosione del gayser, mi spogliai dietro ad un cespuglio e mi cambiai con gli abiti nello zaino e legai gli abiti che avevo comprato quella mattina ad un tronco.
Fu allora che recuperai il coltello. Non persi tempo a rimirare la lama o qualche altra moina, mi limitai a raccogliere con la mano libera i capelli in un'unica ciocca, come se stessi facendo una coda bassa, presi un bel respiro e, con un colpo secco, li tagliai.
 
 
Non era una cosa necessaria per il mio piano ma volevo farlo: ero stanca di preoccuparmi dei miei lunghi capelli, ero stanca di vedere il mio viso maturo in contrasto con quei capelli lunghi e biondi da bambina, volevo staccarmi da ciò che ero e lo avevo fatto molto bene, ora erano così corti da coprire appena l’ultima vertebra della colonna vertebrale.
Mi sentii stranamente più leggera mentre riponevo il coltello nella fibbia apposita.
A quel punto recuperai dallo zaino una lettera sigillata che appoggiai sopra ad una panchina lì vicino assieme ai miei capelli.
 
Alzai il volto al cielo e pregai silenziosamente il Sole di aiutarmi nel portare a termine in questa follia e la Luna di indicarmi la via per riuscire a muovermi nell’oscurità che mi avrebbe circondata.
 
Mi avvicinai alla sbarra di sicurezza sporgendomi: l’acqua era a due metri sotto di me. Secondo gli studiosi basta il contatto con questa per morire, mi sporsi ulteriormente e lasciai cadere i vestiti e il bastone che subito vennero assorbiti da quella perenne corrente bianca.
 
Allora mi voltai e corsi via, lontano da lì prima che i turisti smettessero di essere affascinati e distratti dallo spruzzo d’acqua bollente che stava avvenendo poco più in là rispetto a dov’ero. E anche per essere certa che il mio piano non andasse in fumo per un qualche idiota solitario che, come me, stava cercando di cancellare la sua esistenza, solo che la sua risoluzione sarebbe stata sicuramente più definitiva della mia.
 
Evitai il marasma di gente che di lì a un’ora sarebbe arrivata tagliando per la foresta, correndo su sentieri poco battuti sperando che nessuno mi vedesse. Corsi allontanandomi più di quanto fosse realmente necessario senza mai voltarmi, almeno fino a quando non inciampai su di una radice e caddi a terra di pancia: le mani affondarono nelle foglie di salice e pioppo, foglie morte e umide cadute lo scorso autunno.
Strinsi i denti, non mi ero fatta nulla, solo qualche graffio, ma per qualche assurdo motivo non riuscii a muovermi e delle lacrime rigavano il mio viso.
Rimasi stesa a terra per un tempo indefinito in quella giornata luminosa.
 
Quando mi calmai, mi misi a sedere, aprii lo zaino e guardai il contenuto: viveri e acqua per tre giorni, un coltello, circa quattrocento dani, una piccola fortuna per una scappata di casa, il mio diario con dentro la foto di me e Giulio, e il velo rosso regalato dai miei ex-compagni di scuola. Questo e il ciondolo, che era appartenuto a mia nonna e a nonna Adelaide, era tutto ciò che avevo portato con me, tutto ciò che mi legava al passato, non mi serviva altro per sopravvivere.
Estrassi il velo rosso e lo legai in torno al collo coprendomi le labbra e la punta del naso così da assorbire quel odore di fresco e nuovo, unito al odore di chiuso e lo assorbii fino a ricordarmene ancora oggi.
 
 
 
Quando mi rimisi in marcia non dovetti fare molta strada, oltre la foresta, ad aspettarmi, c’era il resto dei fuggitivi.
Orion, con la sua famiglia, tre ragazzini di cui il più grande aveva tredici anni e sua moglie, la donna più dolce che io abbia mai conosciuto, nessuno ha idea di cosa ci avesse trovato in Orion. Poi anche Nohat era lì malgrado non fosse riuscito a far smuovere da quella città nessuno della sua famiglia però aveva convinto quella di Giulio ad andarsene; non sarebbero venuti con noi ma l’importante era che non fossero più a portata delle grinfie di Idroel ei suoi. Nascosta in un angolo c’era Felicitis che, ovviamente, era sola così come Garred che si era accucciato accanto a lei. Poi c’erano Galahad e Vanilla che malgrado fossero soli in quel momento sapevo che le loro famiglie li stavano attendendo a Defeli.
 
“Eccoti, finalmente! Sei in ritardo!” Esclamò Orion ma come mi osservò meglio strizzò gli occhi assieme al resto dei ragazzi, quella ad avere la reazione più teatrale fu Felicitis. “Diana! I tuoi capelli!”
“Lo so.” Dissi annoiata. “Ma perché! Erano così belli e sani!” Esclamò la ragazza. “Erano una seccatura a cui pensare.” Spiegai pacata. “Ma…” “Felicitis sono solo capelli, non è che sia cascato il mondo.” Dissi salendo sul retro del furgone di Orion. “Sì, e comunque come mai ci dovevamo trovare qui?” Domandò Orion. “Dovevo fare una cosa.” Mi limitai a spiegare.
 
“Cosa? A parte andare dal parrucchiere?” Mi domandò Garred buttandola sul ridere. “E per di più facendo un lavoro di merda, aggiungerei.”
“Sì, alla prima fermata te li sistemo.” Decretò Vanilla arruffandomeli un po’. “Però ti donano corti, ti incorniciano meglio il viso.” Disse per poi essere ripresa da Felicitis che iniziò una filippica su come i capelli lunghi fossero dieci volte meglio dei capelli corti.
Non potei fare a meno di ridacchiare assieme a Galahad e Nohat che si dissociarono dal discorso e iniziammo a parlare tra noi.
 
“Del resto della banda abbiamo notizia?” Domandai ignorando gli squittii di sottofondo. “Si sono già diretti verso Defeli e la famiglia di Giulio è già arrivata a Jiui, tu invece dove ci porterai?” Domandò Galahad. “Alla mia città natia, credo che potremmo trovare del sostegno laggiù, o comunque lo spero.” Spiegai placida. “E anche se fosse dobbiamo risolvere la questione del cucciolotto. Fina non può continuare a rubare la carne dalla macelleria dei suoi.” Decretai tranquilla mentre Orion metteva in moto quel vecchio furgoncino da macellaio.
 
 
Il viaggio fu lungo, e vivere in undici in neanche tre metri quadri non aiutava.
Le cose peggiorarono quando scoprirono cosa avevo fatto.
 
“Ma sei completamente impazzita!?!” Mi urlò addosso Nohat.
“Era il modo più semplice. E mi serviva un movente convincente.” Mi limitai a spiegare stranamente tranquilla. “Ma Diana, i tuoi genitori, il tuo futuro!” Esclamò Felicitis. “Mi pare un po’ tardi per questi ripensamenti. Ho inscenato il mio suicidio, ricordi?” Sottolineai sforzandomi di mantenere un atteggiamento tranquillo, malgrado il mio stato d’animo dicesse tutt’altro.
“Lo so ma… continuo ad essere contraria alla tua scelta!” Esclamò Felicitis con rinnovato vigore, era stata quella che più di tutti si era opposta alla mia idea. “Diana, sei uscita con cento agli esami!”
“Credi che non lo sappia!!!” Urlai esplodendo infuriata mentre sentivo l’ira avvolgermi devastante e facendomi perdere il raziocinio. Ma solo per un istante
 
Felicitis e gli altri si allontanarono da me di un passo, spaventati.
In quel momento mi resi conto di essere andata oltre e cercai di calmarmi.
“Scusate, non avrei dovuto urlare.” Iniziai, recuperando la lucidità mentre cercavo di incanalare tutta la mia ira dove desideravo. “È solo che… questo è il modo migliore per evitare che i miei genitori vivessero nella vergogna o che succedesse loro qualcosa di male, ed è anche l’unico modo che ho per smettere di essere umana.” Spiegai cercando di trattenere quel miscuglio di emozioni che mi premevano il petto. “Se voglio fare questa cosa non posso più dichiararmi come parte della specie umana. Per giunta voi insistete che dovrei essere io a capo di questa cosa: ma è sbagliato, io non posso svolgere questo compito.”
 
“Perché sei umana?” Domandò Garred e io mi limitai ad affermare silenziosamente. “In effetti è vero: un umana a capo di questa rivoluzione è un’idea assurda.” Ammise Orion.
“È vero. Ma non abbiamo seguito Diana perché è umana, l’abbiamo seguita perché è stata lei a darci una speranza di una via migliore di quella che avevamo intrapreso.” Disse Vanilla cercando di far valere la sua idea.
 
“Sì, ma c’è un problema ben più grande in ballo. Che finora abbiamo ignorato.” Intervenne Galahad attirando l’attenzione di tutti. “Vedete se riuscissimo a stravolgere l’attuale struttura sociale il mondo penserebbe che ci siamo riusciti solo grazie a Diana, che è un’umana, il che sarebbe solo una conferma di tutto ciò che gli umani hanno sostenuto per secoli: ovvero che gli Altri non sono buoni a nulla e che non si sono potuti liberare da questa situazione senza l’uso degli stessi umani.” Disse Galahad per poi avvicinarsi a me.
“Pertanto la cosa migliore sarebbe ucciderti e continuare la nostra strada senza di te.” Disse Galahad pietrificando tutti.
“Oppure.” Continuò. “Nello stesso istante in cui ci uniremo ai tuoi compagni smetterai di essere Diana Dalla Fonte e un’umana e diventerai solamente uno dei membri del movimento.”
 
Le parole di Galahad mi sorpresero e pensai un secondo a questa cosa. “Stai dicendo che vuoi essere tu a capo di questa cosa?” Domandai confusa. “No, solo che lo dividerai assieme altre persone.” Disse Galahad, ci pensai per un istante.
 
“Mi sembra la migliore soluzione, anche perché per quello che vogliamo fare non basta una persona sola al comando e non riuscirei mai a gestire l’intera situazione da sola anche volendo.” Ammisi per poi guardare Galahad negli occhi e mi decisi ad esprimere un pensiero che a lungo avevo covato.
“E se tu diventassi uno dei capi.”
A quel punto Galahad arrossì e mi guardò sconcertato. “Cosa? Io?” Disse il ragazzo confuso. “Sì, tu. Sei calmo, riflessivo e realista, mentre io sono impaziente, impulsiva e utopistica e non ho idea di come potrei gestire un ampio gruppo di persone senza impazzire. Per di più io ho in mente dove voglio arrivare ma ad essere sincera non ho idea da dove cominciare, sei stato tu a proporre l’idea di spostarci a Defeli.” Continuai sempre più convinta delle mie parole.
“Sì, ma io non sono carismatico, e un capo deve esserlo.” Insistette lui. “Andiamo Diana, nessuno mi seguirebbe.” Cercò di giustificarsi Galahad anche se sentivo che una parte di lui desiderava profondamente diventare qualcosa in più di una pedina.
 
“Io lo farei.” Disse Garred attirando l’attenzione di Galahad.
“Senza offesa Diana ma tu sei troppo impulsiva e guerrafondaia, invece Galahad esprime molta fiducia e quando parla, quelle poche volte che lo fa, dice sempre cose intelligenti.”
A quel punto Orion intervenne dando una pacca sulla spalla a Galahad. “È vero: sei l’unico che ha un po’ di sale in zucca, e hai iniziato a studiare legge per conto tuo o sbaglio?” Domandò Orion abbracciando il mio amico.
“Sì, ma…”
“Galahad.” Lo bloccai prima che cercasse un’altra via di fuga. “Se vuoi io sarò a capo delle operazioni più… pratiche diciamo, tu potresti occuparti della gestione del nostro movimento.” Proposi, Galahad fissò il terreno terrorizzato e pensieroso. “Non credo di essere adatto a questa cosa.” Ammise e mi sorpresi di sentire queste parole: aveva il talento per il comando e aveva gestito tutta la faccenda della nostra fuga da Meddelhock oltre ogni aspettativa. Ma non lo dissi, non mi avrebbe creduto e forse era meglio che si rendesse conto da sé di quanto grandi fossero le sue capacità.
 
“Proprio per questo dovresti farlo.” Disse Vanilla incoraggiandolo, probabilmente eravamo sulla stessa linea di pensiero su questo argomento.
“Io… ci penserò.” Si limitò a dire Galahad, se avesse saputo quale ruolo di rilievo si sarebbe ritrovato a svolgere probabilmente non ci avrebbe creduto, e quasi certamente neanche i presenti, dato che non avevamo idea di in quale situazione ci stavamo imbarcando.
 
   
 
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