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Autore: Gaia Bessie    31/08/2021    5 recensioni
«Ci vediamo in giro» sussurra, incerta. «Okay?».
Tommaso e Beatrice in due anni, Tommaso che è tutto blu, Beatrice che ha i capelli tinti di nero. Tom che fa musica, Bea che non è una ballerina.
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Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Si tingeva di nero i capelli solamente perché pensava raccontassero meglio la tua disperazione.
A volte, la si vedeva con la ricrescita bruna e lei si giustificava dicendo che al supermercato avevano finito la tua solita tinta – chissà se, qualche volta, non sia stata tentata di usare il blu che, d’altronde, del nero è l’unica vera scoloritura.
 
Tiny Pretty Things
 
Una mattina, siccome uno di noi era senza nero, si servì del blu: era nato l’impressionismo.
(Pierre-Auguste Renoir)
 
He was a boy
She was a girl
Can I make it any more obvious?
He was a punk
She did ballet
 
 
Le hanno detto di alzare la testa, per non far vedere tutte le sue incrinature – Beatrice ha puntato lo sguardo verso il soffitto, il collo rigido, i piedi che domandavano pietà: ma, anche così, è tutta una crepa che si sgretola in macerie di sentimento. Le punte di gesso ticchettano sul parquet della sala da ballo, graffiandola, i lacci pendolano lungo la caviglia.
È l’anno dei body blu e non piacciono a nessuno – paiono nero scolorito, si è lamentata Elena, sono cupi: sarebbe stato meglio il bordeaux dell’anno scorso. Cupo per cupo, meglio sembrare una macchia di vino sulla tovaglia della vita, piuttosto che un cielo notturno troppo illuminato.
Bea ha annuito, capelli color castagna che le tagliavano il viso come una promessa mancata che, alla luce di singhiozzanti stelle cadenti, la stringeva per non lasciarla più.
Fuori, il mondo si dipinge in tocchi di blu: quando s’azzarda a guardare la finestra e poi l’orologio – finisce tutto, prima o poi, ma quando? – e poi nuovamente la finestra, il cielo sta sbocconcellando l’aria e la terra, inondandoli di macchie azzurrine. Ce n’è una proprio lì davanti, un blu sbiadito al nontiscordardimé, e lei non dimentica mai niente.
Elena ride, al suo fianco, chinandosi per allacciare meglio le scarpette.
«Devi piacergli proprio tanto» constata, fingendo di raccogliere qualcosa di fianco al proprio piede. «È almeno mezz’ora che è lì, fermo, sotto il sole».
Beatrice sorride, gettando un’occhiata in tralice a quella macchia di blu che colora l’universo in pennellate asimmetriche. Non conosce il suo nome, l’ha solamente intravisto poche volte nel cortile della scuola, sempre in ritardo e con i libri sottobraccio – lo zaino, dimenticato sulle spalle, vuoto e sventrato da una cerniera rotta.
Ha sempre il viso nascosto da un cappello nero, da cui fuoriescono ciocche di capelli secchi di tintura, le cuffie premute sulle orecchie con una musica talmente martellante che si riesce a udire anche solamente passandogli accanto. Non le ha parlato mai.
Silenziosamente, la scruta – occhi azzurri come una pervinca, in pendant con i capelli, che la seguono e le rimangono attaccati addosso: lasciami andare, vorrebbe dirgli lei, ma poi le mancano le parole e semplicemente inghiotte la propria inquietudine e ne ricambia lo sguardo.
C’è qualcosa di bello, in lui, ma anche qualcosa di sfuggente quando si nasconde tra le ombre del cortile e riemerge solamente a lezioni terminate. C’è qualcosa di bello che non è nei lineamenti affilati o in quegli occhi così gelidi da far male, ma che sta in quell’aria di perfetta decadenza che lo avvolge come un miasma velenoso.
«Può continuare a rimanerci» commenta Bea, atona. «Non fa per me, Lena, mi sembra ovvio».
Vorrebbe dirle che forse sono quei capelli impossibili, i piercing che gli trafiggono il labbro inferiore e l’orecchio, o perfino il fatto che la riesce a osservare con una tale profondità da farle temere che riesca a vederle l’anima nuda. Ma non è così – non fa per lei, un mondo in cui ogni cosa è manifesta come quello sguardo che le si attacca alla pelle e non le lascia scampo.
Non fa per lei uscire dalla scuola di ballo, le punte di gesso riposte in un borsone viola e lo chignon ancora ben saldo sulla testa, e vederlo venirle incontro.
«Ciao».
Bea sobbalza, senza riuscire a mascherare la smorfia di disappunto che le scioglie il viso.
«Ciao» risponde, cercando di superarlo.
Ma lui le si para davanti, facendola fermare – ha un sorriso che annichilisce, incredibilmente bianco nonostante lei abbia notato quelle sigarette fumate di nascosto durante la ricreazione.
«Hai fretta?» domanda con un sorriso. «Se vuoi, ti posso dare uno strappo: ho la moto parcheggiata qui dietro».
«Ci conosciamo?» risponde lei, con supponenza. «A me non sembra».
Il ragazzo ride, tendendole la mano con fare amichevole. «Tommaso» risponde, calmo. «Tom, se preferisci».
Lei alza il mento, come se fosse nuovamente a metà di un arabesque, e punta i proprio occhi in quelli di lui. «Beatrice» risponde, laconicamente, ma senza prendergli la mano. «Piacere».
Lui sorride. Ci si potrebbe entrare, lì dentro, nella fossetta sulla guancia e nel minuscolo diastema tra gli incisivi.
«Allora, Bea» commenta, divertito. «Posso portarti da qualche parte, ora che ci conosciamo?».
Beatrice spalanca gli occhi scuri, ma non trova le parole – Tommaso le sta ancora tendendo una mano che lei non prende mai (non potrebbe, si ripete, non può).
«Noi non ci conosciamo affatto» risponde lei, senza alcuna inflessione, incassando la testa tra le spalle e ricominciando a camminare.
Solamente quando sente il rumore dei suoi passi, dietro di lei, si convince a voltarsi: Tommaso la segue senza sforzo, a lunghe falcate, con un sorriso divertito su quel volto troppo spigoloso.
«Andiamo, principessa» commenta, spostando dal viso una ciocca di capelli blu. «Quand’è che permetterai al tuo cuore, di decidere qualcosa?1».
«Tu non mi conosci» ripete lei, in un sussurro. «Non sai niente di me».
«Ti piace ballare» risponde Tommaso. «E a me piace far musica: non basta per pensare che saremmo perfetti, insieme?».
Beatrice sospira, ricominciando a camminare – non gli regala nemmeno un ultimo sguardo, mentre si allontana.
«Non lo penso proprio» risponde, lasciando quella risposta all’aria. «Tu non mi conosci, non potrai farlo mai».
 
***
 
He wanted her
She'd never tell
Secretly she wanted him as well
But all of her friends
Stuck up their nose
They had a problem with his baggy clothes
 
 
Gli hanno detto di tenere la testa bassa perché, se alzasse il collo anche solamente di qualche millimetro, si vedrebbero tutte le incrinature – Tommaso tiene lo sguardo puntato ostinatamente sui propri piedi: camminare è una danza e, se sbagliasse un passo, finirebbe per terra e non saprebbe dire con certezza se sarà o meno in grado di rialzarsi.
È l’anno in cui s’innamora e lo dice a tutti – non metterai mai a posto quella testolina tutta blu, gli dice ridendo sua sorella, è una speranza sprecata: non hai bisogno di una luna, nel tuo cielo che dal nero non ne vuol sapere di scolorare.
Ma lui la pensa, la cerca e sicuramente la vuole. Quando stacca dal turno come cameriere in un piccolo bar del centro, va alla scuola di danza per vederla danzare i suoi ultimi passi: indossa un body di un blu sbiadito che fa a pugni con le punte di gesso rosa ballerina e, quando incontra il suo sguardo, alza la testa e pare nuda – le si vede distintamente ogni incrinatura.
Bea non si ferma mai a parlare con lui. Quando lo scorge, dalla soglia della scuola di ballo, raccatta ogni briciolo d’indifferenza che riesce a concedersi e lo supera a grandi passi.
Tommaso non la segue mai, ma rimanda al giorno dopo: che sia pioggia, gelo o tempesta, lui l’aspetta fuori dalla lezione di danza delle sette di sera.
«La devi smettere!» urla, lei, un giorno che non ha data ma ha la sensazione di autunno che scivola via dalla lingua con il suo sapore agrumato. «Sei fottutamente inquietante, riesci a capirlo?».
Tom non si scompone mai. «Esci con me» le dice, semplicemente. «E vedrò di smetterla. Okay?».
Beatrice non dice mai di no – non dice nemmeno di sì ed è questo che lo spinge a presentarsi fuori dalla scuola di ballo, giorno dopo giorno, con il cuore svuotato e un bel sorriso sul volto. E fa la muta come le foglie che calpesta con le converse: blu, più blu, blu sbiadito, meno blu – cambia la pelle ma, dietro la tenda color notte dei propri capelli, Tommaso non smette mai di domandarle, di chiederle e di volerla tenere con sé.
Perché forse Bea non sarà la migliore ballerina che questo mondo abbia mai visto, ed è pur vero che i suoi arabesque non sono dolcemente perfetti come dovrebbero essere, ma a lui sembra così fragile che potrebbe avere il cuore di vetro soffiato e non saperlo. Chiuso in una gabbia d’acciaio, si romperebbe se lo prendesse a mani nude?
«Ma tu non hai una vita tutta tua, una casa, una famiglia?» sbotta, il giorno dopo, con i capelli che si elettrizzano fuori dallo chignon e le donano un’aria un po’ dismessa che la fa sembrare solamente più autentica – meno di vetro e ghiaccio.
«Le ho» commenta lui, laconico. È il giorno in cui si permette di seguirla. «Ma preferirei avere anche te in questa vita, in questa casa e in questa famiglia che dici».
Lei finalmente lo guarda negli occhi e traballa. C’è qualcosa in lui che l’attira verso il blu nerastro di una notte senza stelle e non le lascia scampo – qualcosa di sbagliato ma che, nella loro asimmetria, li avvicina e li rende simili.
«Smettila» sussurra, arrossendo leggermente. «Io non… posso».
Lui alza un sopracciglio scuro, scoppiando in una risata tintinnante che le rimbomba tra le ossa, deformandole.
«Perché?».
Una parola – mille implicazioni: lui che finalmente alza il capo e la guarda, con quegli occhi color pervinca che si sfogliano come un fiore a primavera. È qualcosa di insolitamente delicato, in quel viso così spigoloso che potrebbe ferirla anche solamente se lei provasse a sfiorarlo.
«Non piaci ai miei amici» esala Bea, senza troppa convinzione. «E…».
«E allora?» replica lui, quieto. «Non è con loro, che voglio uscire».
«È che…» comincia lei, incerta. «Io…».
Tommaso ride, osando allungarsi e sfiorarle il viso con il dorso della mano – Bea non si ritrae, assaporando quel contatto e scoprendo che, su una delle nocche, c’è una cicatrice così spessa da sembrare un verme che s’agita in una manciata di fango.
«Solo perché pensi che non siamo fatti per stare insieme» sussurra. «Non significa che non lo vuoi anche tu».
A lei si blocca il fiato nella gola, in un sibilo poco convinto.
«I miei amici…» ripete, come in trance. «Non sei il tipo di persona che siamo soliti a frequentare e io…».
Tommaso scuote il capo, in una pennellata di blu che gli colora la fronte.
«Bea» la chiama, interrompendola. «Vorrei tanto sapere cosa vuoi tu».
Lei si straccerebbe i pensieri, pur di non ammettere – che la mano di lui ora è posata sul suo braccio e lei ne avverte distintamente il calore, anche se non glielo dirà mai. Che c’è qualcosa in lui che la chiama, anche se lei cerca di ignorarlo.
Abbassa lo sguardo, le si vedono le incrinature e nemmeno si rende conto che lui è avanzato di un passo, prendendole il viso tra le mani. Bea non dice una parola, nemmeno quel consenso che lui sembra attendere (gli tremano le mani e lei lo sente distintamente).
«Bea» ripete Tom, con la voce che s’incrina. «Ti prego, guardami».
Lei spalanca gli occhi, per incontrare quelli di lui e scoprirli velati di pianto. È lei a chinarsi in avanti, per donargli quel bacio che lui sembrava volerle negare – le s’impigliano le mani tra quei capelli color notte sbiadita d’insonnia, ma non ha importanza.
Lui sorride sulla sua bocca e basta così.
«Usciresti con me?» le soffia sulle labbra, tenendola stretta a sé. «Adesso potresti farlo?».
Lo sguardo di Beatrice sa di ghiaccio e acciaio temperato.
«No».
 
***
 
He was a skater boy
She said, "See you later, boy"
He wasn't good enough for her
She had a pretty face
But her head was up in space
She needed to come back down to earth
 
 
Lei sparisce per giorni – quando si guarda allo specchio, Tom si vede come se fosse tutto un’incrinatura.
Lui continua a cercarla – Beatrice, che prende vicoli e vicoletti per non doverne incontrare lo sguardo, lo sente comunque che le cammina alle spalle (se lei si voltasse, lo vedrebbe pronto a sorriderle e a perdonarla) con gli occhi che le bucano un punto preciso tra le scapole. Quando si riflette tra gli specchi e le vetrine, se ne rende conto: per quanto possa lottarci, sarà sempre tutta incrinata.
Stai dritta con quelle spalle! – la voce dell’insegnante di danza le rompe i pensieri, mentre torna a casa con la schiena curva sotto il peso del borsone: ha le scapole alate, ma non sa ancora volare. Eppure, di cadere è caduta sempre. Dalle punte di gesso, quando ti sembra di aver finalmente imparato, la caduta è sempre dietro l’angolo.
«Te lo porto io, dai» Tommaso sospira, esasperato, tendendole la mano. «Sembra molto pesante».
Lei non gli dice che dentro ci sono tutti i suoi sogni, infranti, che vegetano e producono aria pesante come piombo solidificato. Ma scuote il capo, continuando a camminare con il rumore dei suoi passi che, questa volta per davvero, la segue incessantemente.
«Bea» la chiama lui e, questa volta, è disperato per davvero. «Mi spieghi come devo fare, con te?».
È l’unica volta in cui lei si ferma – è l’ultima volta in cui lo farà, anche se ancora non se ne rende conto: è come risalire sulle punte di gesso dopo l’ennesima caduta (doloroso, impossibile, ma alla fine ci sali comunque) sapendo che accadrà nuovamente, fino al giorno in cui non le appenderai al chiodo e le dimenticherai per sempre.
Non tutti nascono danzatori: lei non c’è nata, ma l’ha scelto – e ha scelto di cadere a ogni piroette imperfetta, scivolando sul pavimento come se fosse fatto di olio e speranze liquefatte.
Lui non comprenderà mai. Ha l’anima blu sbiadita, come un jeans vecchio di qualche anno, tutta una toppa tinta di altre tonalità d’azzurro: e, quando lei lo guarda, ecco che se ne scuce un’altra parte e lui lì a metterci sopra l’ennesima toppa che, controluce, si vedrà sempre e comunque. Tom non si lamenta mai ma, quando la guarda e gli mancano le parole, s’intravede la disperazione che ne altera i lineamenti affilati.
Non è bello, non l’ha mai visto indossare qualcosa di diverso dalla felpa nera (blu intenso) con il cui cappuccio si copre il volto, è troppo decadente per piacere a qualcuno – ma, anche se non glielo dirà mai, a lei piace. Ma non riesce ad immaginare una vita insieme a lui.
Beatrice ha diciott’anni, ma non ha ancora idea: sull’amore costruisce ancora fantasie asimmetriche che culminano tutte con un matrimonio da favola, bambini, un anello al dito – lo vorrebbe, un anello, da lui?
Il pensiero la fa sorridere: le regalerebbe un cerchietto come quello che porta lui all’orecchio sinistro, un anello come quello che indossa al naso, niente di più. E, a mani sgombre, le toccherebbe guardarsi nel cuore per scoprire se lo amerà mai per davvero.
Elena ha riso, indovinandone i pensieri – ha scosso la testa bionda e le ha detto: non può piacerti per davvero uno che pensa di far musica e, invece, veste come chi deve chiedere l’elemosina per strada. Ma l’hai guardato per davvero, dico, lo hai visto? Va bene se ti piacciono quelle cosine piccole e carine, di cui puoi provare una pena che sconfina nella pietà, ma amore mai.
Bea ha sorriso e non ha detto niente. Ma, adesso che Tommaso la guarda e ha ancora la mano tesa per ricevere il suo borsone, se lo domanda: è vero, che è sempre meglio un amore bizzarro, piuttosto che nessun amore?2
«Cosa dovrei spiegarti?» domanda, esasperata. «Sei tu che continui a seguirmi, cosa dovrei pensare?».
«Che voglio stare con te più di quanto io non voglia fare musica o tornare a casa» domanda, una goccia di pioggia gli scava il volto, in un temporale che improvvisamente si consuma sulle loro teste. «Non ti basta, Bea? Dimmi cos’altro devo fare: lo farò».
Lei vorrebbe avere una risposta da dargli – lo vorrebbe tanto – ma l’unica cosa che può fare è regalargli un altro silenzio, facendolo sospirare.
Non fa per te, Bea, le ha detto Elena con una pacca sulla spalla, ti sei vista? Sei troppo bella per quelli come lui, dovresti avere uno standard più alto, sì?
«A volte vorrei capire cosa ti passa per la testa» sussurra lui, stringendo i pugni. «A cosa pensi, se mi pensi mai. Se un minimo ci stai pensando, o vuoi semplicemente che io vada via».
Per un momento orribile, Beatrice si deve domandare se non sia riuscita a portarlo sull’orlo delle lacrime – ma la pioggia cade e gli striscia in viso e, allora, anche se vi mischiasse delle lacrime lei non se ne potrebbe accorgere mai.
Tommaso prende un respiro più pronunciato degli altri, spingendo indietro i capelli zuppi di tempesta e lasciandoseli colare sul collo.
«Te lo chiederò questa volta, ma sarà l’ultima» sussurra, con una dolcezza un po’ malinconica che le frantuma il cuore. «Non te lo chiederò più, Bea, se mi dici di no anche questa volta, io… io me ne andrò e non tornerò più. Va bene?».
Lei spalanca gli occhi scuri – e non dice una parola, un brivido che le percuote la colonna vertebrale, smembrandola in sussurri e frammenti d’osso.
«Esci con me» sussurra, più affermazione che domanda. «Mi renderesti felice e… io cercherei di fare lo stesso con te».
Lei sorride – una ferita che le apre in due il bel viso – e scaccia via una goccia di pioggia che le ferisce la guancia, prima di voltarsi ed allontanarsi a grandi passi.
Si volta solamente per sorridergli (amara, amarissima) e scuotere il capo, con i capelli che grondano acqua e lacrime.
«Ci vediamo in giro» sussurra, incerta. «Okay?».
Il rumore dei suoi passi bagnati lo cullerà nei suoi incubi come nella veglia: Tommaso chiude gli occhi sul cielo che si scioglie in pioggia sporca di pianto. Vede tutto blu.
 
***
 
Five years from now
She sits at home
Feeding the baby, she's all alone
She turns on TV
Guess who she sees
Skater boy rockin' up MTV
She calls up her friends
They already know
And they've all got tickets to see his show
She tags along
And stands in the crowd
Looks up at the man that she turned down
 
 
«Dovresti rifarti una vita, sai?» Elena si stiracchia sulla poltrona, con aria assonnata. «C’è un mondo, oltre Raffaele. Lo sai ancora, non è vero?».
Bea pensa che non è vero – suo marito è stato il centro della sua vita per quasi due anni e, adesso che se n’è andato, cosa le è rimasto? Un appartamento che scricchiola polvere in periferia, un bambino che piange ogni notte alle due e mezza o giù di lì, i capelli con la ricrescita e le doppie punte e il suo bel viso rovinato dalle notti in bianco.
Raffaele aveva ventidue anni, quando si sono sposati. Lei diciotto e non un pensiero che le scompigliasse i capelli bruni, così che, quand’è rimasta incinta, il mondo le si è sgretolato addosso sotto forma di Saverio, diciotto mesi, e un matrimonio di profonda infelicità.
L’ha sposata perché era giusto così. È quel che le ha detto con chiarezza disarmante, il giorno in cui le ha portato le carte del divorzio, dicendole che di lei non voleva saperne più niente: era giusto così, ma amore non ne aveva provato mai. Nemmeno lei, anche se si rifiuta di ammetterlo con sé stessa.
E le dicono che c’è un mondo, fuori da Raffaele, solo che Beatrice non sa più come fare a vederlo. Sono passati due anni in cui lei è stata Bea per Raffaele, la signora De Angelis sulla linea tratteggiata dei documenti e, per sé stessa, semplicemente non è stata più.
«Dovresti distrarti, andare a un concerto, bere qualcosa con qualcuno» continua Elena, gesticolando animatamente. «Guardati! Hai vent’anni e sembri già una vecchia».
Beatrice sospira, scostando i capelli tinti di nero – con dei riflessi sinistramente blu – dal volto stanco.
«Ho un figlio, Lena» constata, con ovvietà. «Le lezioni all’università, una casa da gestire. Pensi che io abbia il tempo, di fare tutto questo?».
La sua amica scrolla le spalle, improvvisamente catturata da un altro pensiero. «Vestiti» le ordina. «Portiamo Saverio dai tuoi genitori: voglio portarti in giro, questa sera».
«E dove?» domanda Bea, alzando un sopracciglio. «Davvero, non ho voglia di andare da nessuna parte: fa freddo e mi dovrei truccare e…».
Elena sospira, stremata. «Vestiti» ripete, calma. «C’è un locale al chiuso, qui vicino, stasera c’è un piccolo concerto, non so chi sia la band ma me ne hanno parlato molto bene».
Lei alla fine si fa convincere – vestirsi e truccarsi fa male al cuore, da quando non si veste e non si trucca più per lui, ma lo fa. Sul muro spiccano le sue vecchie punte di gesso, appese a un chiodo: sono tutta la sua vita, quello che c’è stato dopo è una parentesi dolorosa ma dimenticabile e lei, alla fine di tutto, è ancora sotto la pioggia battente il giorno della propria ultima lezione di danza. Con l’acqua che colava sotto le scarpe e Tommaso che non si era presentato: dentro di lei la consapevolezza cieca che non l’avrebbe visto mai più.
Bea si fa caricare sulla macchina di Elena, acconsente a lasciare Saverio dai suoi genitori e ad osservare la strada che le scorre davanti come una promessa infinita.
«Dicono che il cantante di questa non-so-come-si-chiama band sia un figo da paura!» strilla Elena, per sovrastare la radio accesa a massimo volume. «Pare sia inavvicinabile, però: ci ha provato Marianna, qualche settimana fa al Lume, ma le ha dato due di picche».
Beatrice sospira, costringendosi a scendere dalla vettura sui tacchi troppo alti, i capelli acconciati in un severo chignon che non maschera la ricrescita che avanza.
Un tocco di blu, in quel nero, che si mangia la memoria e non la lascia andare più – segue Elena nelle viscere del locale, controvoglia, sedendosi a un tavolino con vista palcoscenico.
Lo riconosce subito.
«Vorrei dedicare questa canzone a una ragazza» sorride, il cantante, nel microfono. «Che mi ha rifiutato, qualche anno fa».
Elena ride, come il resto del pubblico, a lei viene solamente da piangere.
«Dolce, non è vero?» domanda Lena, senza guardarla. «Lo dice ogni volta: deve avergli fatto proprio male, per volerlo ricordare sempre».
La voce di Tommaso riscalda il locale – non ha più i capelli tinti di blu, ma è sempre lui, con gli occhi capaci di gelarla e i lineamenti affilati, la fossetta sulla guancia e tutto il resto.
Beatrice sospira, distogliendo gli occhi dal palco e alzandosi di scatto. Lui manca una nota, si gratta la testa a disagio – l’ha vista anche lui.
«Qual è il titolo della canzone?» domanda a una distratta Elena, raccogliendo la propria borsa e il cappotto. «Io vado a prendere una boccata d’aria».
Elena scrolla le spalle, le risponde con lo sguardo puntato sulla band, sovrappensiero.
«Credo che sia qualcosa come Ci vediamo in giro» commenta, calma. «Molto strano, non è vero?».
Attende una risposta, che non arriva. Beatrice è corsa via nel fruscio della propria gonna.
È blu.
 
***
 
He was a skater boy
She said, "See you later, boy"
He wasn't good enough for her
Now he's a super star
Slammin' on his guitar
Does your pretty face see what he's worth?
 
 
Quando lui esce dal locale con la chitarra in spalla, sono le due di notte e lei s’è seduta sul marciapiede, le scarpe che le penzolano comicamente dalla punta dei piedi – una ballerina, non lo è mai stata. Alza la testa, le vorrebbe gridare lui, sei tutta incrinata così.
Ma non dice nulla: lui non avrà più i capelli blu ma, dietro quella maschera di dignità che gli impedisce di scivolare accanto a lei, è ancora lui. Sempre con i lineamenti che gli smangiucchiano la faccia e gli occhi azzurri come una pervinca – Tommaso vorrebbe sorridere, ma è un’arte che con lei non ha mai saputo padroneggiare.
«Ciao» sussurra, scrutandola dall’alto. «Non mi aspettavo di vederti qui. In realtà, non mi aspettavo di vederti e basta».
Lei alza lo sguardo, a fatica – abbassa la testa, ti si vedono tutte le incrinature – e si tira fuori dalle labbra un sorriso spezzato.
«Ciao» risponde Bea, incerta. «Non me lo aspettavo nemmeno io, in realtà».
Tommaso sorride, non conosce pace – quel movimento involontario rischia di ferirgli il volto come un rasoio eppure, lui, continua a farlo.
«Sappiamo sempre e solo salutarci, non è vero?» domanda, finalmente permettendosi di sedere accanto a lei. «Molto triste, se ci rifletti. Non pensavo fossi ancora qui, Bea, pensavo fossi andata via».
Lei scrolla le spalle, imbarazzata. «Mi sono sposata, ho avuto un figlio» commenta, piano. «Ho divorziato, mi sono iscritta all’università. Tutto qui».
Lui non commenta, ma le lancia comunque uno sguardo stupito. «Balli ancora?» le domanda, istintivamente.
Beatrice scuote il capo, capelli neri-blu che le tagliano la faccia. «No» ammette, a malincuore. «Ma tu fai ancora musica».
Tommaso si stiracchia leggermente, ha le occhiaie che gli colorano il volto in tocchi di blu notte, blu nero sbiadito.
«Non ho mai smesso» confessa, con un sorriso. «Non smetto mai di fare molte cose. Ad esempio…».
A lei si blocca in gola il respiro.
«Amare te» conclude Tommaso, calmo. «Non ho smesso per un sacco, sai? Poi, ho capito che stavo sbagliando e che erano speranze di un ragazzino».
Ride, frantumandole il cuore. Beatrice vorrebbe interrompere quel monologo, ma gli occhi di lui non le lasciano scampo, togliendole le parole.
«Che non mi avresti amato mai e ti saresti sposata, avresti avuto dei figli» ride, ancora. «Non avevo torto».
«E adesso?» domanda infine Bea, disperata. «Adesso?».
Lui scuote il capo. «Ho una ragazza, un appartamento in centro» sussurra. «E, anche se non riesco a dimenticarti, lo devo fare».
«Potresti…» fa per prendergli la mano, ma lui si è già alzato. «Rimani, per favore».
Tommaso alza la testa – guarda che ti si vedono tutte le incrinature – e sospira: lei non lo sa, ma si sta mangiando aria e lacrime.
Quando si volta, ha gli occhi perfettamente asciutti – è tutta una dolorosa, inutile, menzogna: ma l’orgoglio è amaro e, per quanto zuccheroso sia il sorriso di Bea, non basta più.
Tom ricambia il sorriso, ma è solamente un movimento delle labbra, meccanico.
«Ci vediamo in giro, okay?».
 
 


1Liberamente ispirata a: Tell me, princess | Now when did you last let your heart decide (Alladin, A Whole New World)
2Sempre meglio un amore bizzarro che nessun amore (S. King)
 
Il titolo della storia è ispirato all’omonima serie Netflix.
Grazie per avermi letta,
Gaia
   
 
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