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Autore: MaikoxMilo    05/09/2021    6 recensioni
Sulla scia del racconto de "Il Piccolo Principe", la storia dell'evolversi del difficoltoso rapporto tra Camus e Hyoga, maestro e allievo, padre e figlio, tra inciampi vari, incomprensioni, modi di essere così apparentemente distanti eppure così simili. Perché proprio come l'aviatore, anche Camus impara a ritrovare sè stesso solo grazie al bimbetto dai capelli color del grano che, un giorno di febbraio lontano, in Siberia, entra nella sua vita, per lasciarci il segno.
DAL CAPITOLO SECONDO:
“Devi guardare dritto davanti a te, sempre! - rimarcai, rialzandomi in piedi, prendendolo però per mano per aiutarlo a muoversi in mezzo a tutta quella neve – Non dietro, non di fianco, dritto!”
Hyoga sembrò rimuginare su quella frase durante tutto il corso del nostro viaggio per tornare all’isba, il luogo che gli avrebbe fatto da casa da quel momento in avanti… speravo… se il suo fisico avesse retto a tali climi.
“Dritto davanti a sé, però… non si può andare poi così lontano!” mi fece notare al termine della sua riflessione, un poco meno timidamente di prima, guardandomi con quegli occhioni e stringendo la presa sulle mie dita.
Imparai a mie spese che 'dritto davanti a sé' era davvero sin troppo limitato!
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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In breve tempo fu Aprile; Aprile, che in Siberia Orientale è un mese invernale quasi al pari di ottobre. Le giornate si allungano, è vero, durante il giorno, se si è avvezzati al freddo, si ha pure l’impressione di stare bene, ma è tutta una messinscena, un inganno della natura, del ghiaccio che ancora si ostina a non ritirarsi.

Ad Aprile le giornate sono più lunghe, eppure è proprio per questo che, molto spesso, al viaggiatore ignaro e sprovveduto, capita di incorrere in una improvvisa bufera di neve, fenomeno tipico di queste latitudini, che si genera in un battibaleno ed è capace di uccidere in un altrettanto, breve, respiro di tempo.

I mesi primaverili nei dintorni Pevek sono sempre stati i più spietati. Era sempre in quei mesi che si registrava il numero maggiore di vittime nella steppa, persone che, seguendo l’illusione di una rinascita che invece era ben lontana da attuarsi, rimanevano più tempo fuori dalle proprie abitazioni, finché non sopraggiungeva, lesta, la nebbia bianca della morte, che congelava il respiro, arrivava ai polmoni per privare così della vita, senza che lo sventurato se ne rendesse concretamente conto.

Quel mercoledì infatti ero in pensiero. La stufa a pellet si era rotta quella stessa mattina e il rischio concreto che, durante la notte, il freddo assassino potesse penetrare all’interno dell’isba, prendendosi nel sonno Hyoga e Isaac, ancora non del tutto abituati a quei rigori climatici, mi scuoteva le membra fin nel profondo.

Ero quindi teso e agitato anche se cercavo di non darlo a vedere, quando i due bambini, appena tornati dalla missione che gli avevo affidato a Kobotec, aprirono la porta.

“Ti dico che sono sciocchezze!” sentii esclamare Isaac, a voce alta, mentre i suoi passi scricchiolavano sul legno.

“No, non lo sono… non è il primo che me lo dice, te lo assicuro!” Hyoga sembrava punto sul vivo da qualcosa e i due sembravano discutere, ma non ci diedi retta. Avevo ben altro a cui pensare.

“D’accordo, mettiamo che sia vero quello che dicono… va comunque contro gli insegnamenti che riceviamo dal Maestro Camus!” lanciò la sfida Isaac, quasi supponente.

Hyoga produsse un sibilo, quasi soffiò fuori aria, come quando doveva difendere qualcosa, prima ti intestardirsi come di consueto: “Perché?! Non è una cosa affascinante?!”

“E’ una scemenza, invece! Noi dobbiamo pensare al qui e ora, al futuro, non certo...”

“Se non hai nulla a cui appoggiare i piedi non esiste né il presente né il futuro! - il tono di Hyoga salì fino a quasi strozzarsi, mentre io tentavo, con un calcio, di far funzionare la maledetta stufa – Io glielo vado a chiedere, lui deve saperlo per forza se esiste davvero tale possibilità!”

“No, sciocco!”

Ebbi appena il tempo di domandarmi a cosa alludesse che lo percepii dietro di me, ma non mi girai. Hyoga sapeva essere insistente su molte cose, peccato che la maggior parte di esse fossero erronee e poste in un momento ancora più erroneo, come in quel caso.

“Maestro, io… - esitò solo un attimo, prima di giungere al punto – Mi chiedevo se… voi sapete se esista davvero la reincarnazione?”

Non lo sapevo. Neanche me lo domandavo, a dire la verità. Si potrebbe quindi dire che non mi ponessi il problema, che fossi agnostico: era al di fuori dei miei doveri e compiti, nonché del tutto superfluo per vivere.

“Mmh...” mi limitai a bofonchiare, provando ad avvitare meglio una delle viti che si era allentata. Da quello strumento dipendeva la vita, e il benessere, mio e dei miei allievi, non c’era difesa contro il freddo che entrava in casa in piena notte, cogliendoci addormentati, non senza un cosmo sufficientemente sviluppato.

Sfortunatamente Hyoga non era tipo da lasciare in sospeso le questioni che gli premessero davvero, per quanto esse fossero nulla di più, né di meno, che favoleggiamenti vani.

“Maestro… quelli del villaggio dicono che l’anima, la nostra anima, si reincarni dopo la morte, è vero?”

“Quelli del villaggio dicono tante cose, Hyoga, e ne credono altrettante… è più facile vivere con una consolazione, che sia un dio, o la vita dopo la morte. Questa è la loro!”

“Ma quindi… non esiste?” sembrava deluso, rattristato, sfiduciato.

“Potrebbe essere, come non essere… è una speranza, una religione, possiamo dire, non abbiamo prove che sia vero o falso. Non ancora.”

“Quindi… potrebbe effettivamente esistere?”

Sentii i suoi occhi brillanti su di me, ma non gli diedi di nuovo peso. Picchiai un poco bruscamente il pugno sullo sportello, maledicendolo mentalmente perché non si chiudeva completamente, oltre a non dare cenni di attivazione. La situazione stava volgendo verso il peggio.

“Quindi? C’è...”

Ero arrabbiato, per cui risposi malamente, scoccandogli una breve, quanto intensa, occhiata furente: “Nessuna di queste cose è reale, Hyoga! Ti ho appena detto che è una speranza, null’altro, gli uomini vivono di esse, ci costruiscono i castelli, per esse; ma esse non servono a niente! Non servono a me, non servono a voi… NON SERVONO!”

“Oh...”

Hyoga c’era rimasto visibilmente male, dietro le sue spalle Isaac sibilò un: “Psss, te lo avevo detto!” che tuttavia il bambino biondo, testardo, quasi intrepido, non ascoltò.

Era intelligente, aveva individuato una falla nel mio discorso, per questo ci si aggrappò con tutto sé stesso, come se, per lui, quel discorso, fosse tutto. Una ragione di vita, un auspicio.

“Maestro Camus, ma voi avete detto che non ci sono prove che lo escludano...”

“Non ci sono infatti, né che lo confermino! - inarcai un sopracciglio, nervoso – Proprio per questo non ha senso cercare una risposta a questo genere di questioni del tutto futili!”

“Futili!” ripeté lui, oltraggiato, quasi come se gli avessi offeso la madre.

“Futili sì, per non dire dannose! - ribadii più deciso, imprimendo la mia espressione nella sua, che tuttavia non si ritrasse, sorreggendo invece il mio sguardo con una determinazione ammirevole, per quanto fosse così erronea – E’ questo tuo continuo attaccarti con morbosità a cose che non esistono che ti porterà a perderti! Pensi alla reincarnazione, quando invece dovresti concentrarti soltanto a diventare Cavaliere per...”

Mi trattenni. Sapevo che il motivo che lo spingeva a perseguire gli allenamenti e ad irrobustirsi era unicamente legato alla madre, e in quel momento in cui un bambino di soli 8 anni mi chiedeva se fosse possibile rinascere per rincontrarsi con la persona amata, un mio passo sbagliato, una parola di troppo, avrebbe rovinato tutto. Lo avrei perso, perché la vita di quel piccolo era labile come una goccia di rugiada al mattino, destinata a evaporare per il troppo calore.

Nulla avevo contro la reincarnazione, semplicemente non mi ponevo il problema, ma l’avrei ostracizzata in qualunque maniera, a qualunque prezzo, in Hyoga, perché non farlo, dargli adito che, forse, c’era una possibilità che quelle teorie fossero vere, lo avrebbe smarrito per sempre!

Mi ricomposi, buttando fuori aria e tornando a concentrarmi sulla stufa. Il discorso doveva concludersi, a più nulla avrebbe giovato incaponirsi a parlare. Avevo intuito la ragione delle sue domande, proprio per questo non potevo assecondarle.

“Concentrati sui tuoi obiettivi, sulle cose serie, e non su queste sciocchezze infantili prive di fondamento!”

La risposta inaspettatamente mi arrivò subito, soffiata in mezzo ai denti, con un ringhio sommesso, in un tono sin troppo alto: “Sulle cose serie! - esclamò, con una vena ironica che non gli avevo mai visto nei primi mesi, quasi sfrontata – Dare pugni al muro del ghiaccio eterno finché non si spacca?!”

“Hyoga!!!” la voce acutissima di Isaac era uscita a metà strada tra l’avvertimento e l’angosciato. Aveva osato troppo.

Mi girai al rallentatore, implacabile, osservandolo dall’alto al basso. Lui si rizzò ma resistette temerario. Malgrado la mia espressione forzatamente gelida, le pupille puntate su di lui e le labbra ridotte ad un’unica linea di biasimo, non mi sentivo arrabbiato con lui. Non ancora.

“Prego?”

Volevo semplicemente saggiare quanto a fondo volesse affrontarmi. Lo vidi indietreggiare di un poco, ma non fuggì, né mi diede le spalle, limitandosi ad ingoiare a vuoto.

“Quelle sono per voi le cose importanti?! Quelle...” si fermò, mi ero avvicinato ulteriormente a lui, minaccioso. In quel momento sì che mi stavo arrabbiando, e lui lo percepiva.

“Farvi diventare forti e coriacei in modo da resistere a questo clima per non soccombere, darvi un obiettivo e una ragione per continuare a vivere… - gli dissi, prima di alzare ulteriormente il tono, cosa non da me, ma quel raffronto forzato e inaspettato mi aveva colto impreparato – Sì, lo sono, Hyoga! Queste sono le cose serie: vivere la vita per quello che è, non per quello che è stata!”

Lo vidi tirare su con il naso, ostinato, fissando momentaneamente il pavimento, refrattario a farsi scorgere il viso da me: “La vita!” ripeté, gli occhi lucidi.

“Che ti piaccia o meno, questa è la tua vita adesso, Hyoga, e che ti piaccia o meno io, ciò che ti ho appena detto, è ancora meno importante. Tu vivrai; vivrai per i vivi, non per i morti!”

Lo avrei fatto vivere… intendevo, perché qualcosa, nei suoi occhi, dalla prima volta che lo avevo guardato, mi era entrato dentro, pizzicandomi. Li avrei fatti vivere entrambi, i miei allievi, non li avrei più persi e sarebbero diventati forti; forti più di qualsiasi altro per resistere a quel mondo spietato che li aveva visti nascere senza che la loro volontà ne potesse prendere parte.

Isaac lo sapeva fin troppo bene, assecondava i miei intenti con una voglia di vivere e di diventare grande che mi abbagliava.

Hyoga no, anzi, per lui, le mie parole, quel giorno, suonarono come una sentenza capitale.

Feci quindi per voltarmi, convinto che il discorso fosse concluso. Avrei lasciato come sempre ad Isaac il compito di consolarlo, sapeva farlo certo meglio di me, ma il piccolo era sin troppo ostinato, lo avevo imparato a conoscere in quei mesi, e non gettava mai da parte un discorso importante per lui. Mai! Checché io pensassi fosse puerile.

“E’ da fagioli...”

“Cosa?!”

Non ero sicuro di aver capito bene la parola, professata come un insulto a denti stretti, ma quando mi girai, incontrandomi nuovamente con gli occhi azzurri di Hyoga, inondati di lacrime che mi indisponevano, compresi che davvero si era rivolto a me come… come…

“Siete un fagiolo, allora! Che nasce lì, nel grembo del terreno, e cresce, apatico, senza chiedersi se non ci sia qualcosa di più grande!”

“Un… fagiolo?” chiesi, scettico, dando così a lui occasione di ritrattare. Non ritrattò.

“Un fagiolo, sì!!! - esclamò con asprezza, rincarando la dose – Parlate di vita, e di dover vivere, ma non vi chiedete se ci sia qualcosa di più grande! Da milioni e milioni di anni la gente nasce e muore su questo pianeta, sempre, come un circolo, a volte prematuramente, altre volte dopo decenni… e non è importante stabilire se quelle persone, forse, abbiano già vissuto?! Se potremmo rivedere un giorno gli affetti che ci sono stati strappati, pur sotto un’altra forma?!? Non sono cose importanti, queste?!?”

Nella stanza cadde un silenzio colossale, persino Isaac, solitamente loquace, si era ammutolito nell’ammirare l’exploit di Hyoga, che parlava di cose più grandi e difficili di lui, che aveva appena 8 anni ma che si esprimeva come se ne avesse avuti il triplo, che si comportava come… come me alla sua età!

Ma io ero fragile dentro, lui… non doveva esserlo, non POTEVA esserlo, glielo avrei impedito!

Sospirai, calmandomi impercettibilmente.

“Non sono cose che competono ai vostri doveri, non...”

“Dovere, dovere e ancora dovere… sembrate quel vecchio, quel… - lo vidi rabbrividire, come se il solo pronunciare una simile frase lo schifasse fin nel profondo – ...mio padre!”

Pronunciò quella parola con uno sdegno estremamente palpabile. Era la prima volta che lo faceva, non mi aveva mai parlato di lui prima di quel momento, ma da quella frase capii che doveva essere ancora vivo, e che essere accostato a lui doveva risultare, nel suo gergo, un insulto peggiore che essere sottostimato alla carica di fagiolo.

“Hyoga, tuo padre… tuo padre è ancora vivo?” chiese sbigottito Isaac, non senza un pizzico di tristezza nel rammentare il suo, che invece gli era stato ucciso davanti agli occhi.

“Sì, e lo vorrei morto, invece!!!” quasi urlò, furioso. Non lo avevamo mai visto così.

“M-ma è comunque tuo...” tentò Isaac, per la prima volta remissivo nei suoi confronti, cercando di dare un senso a tutta quella rabbia che non capiva, ma venne interrotto.

“Non ha importanza! - stabilì Hyoga, incassando la testa tra le spalle, i suoi capelli dorati vennero scossi da un fremito sempre più consistente – Quell’uomo, per dovere, per… amore verso la giustizia, diceva mia madre, ha sfornato figli a destra e a manca, 100 in tutto, io e i miei fratelli. Non ci ha chiesto se volevamo, lo ha fatto, ci ha fatto finire qui, in questo mondo così freddo, senza degnarci mai di una carezza, di un gesto, di una parola gentile… queste sono le cose serie dei grandi?! Queste?!? IO NON LE VOGLIO!!!” urlò, con quanto fiato avesse in gola, prima di scappare via, verso la camera, senza più guardare né me né Isaac, il quale però, d’istinto, si era dirottato nella sua direzione per tentare di fermarlo.

“Lascialo stare un po’ da solo, Isaac...” lo avvertii, gettando gli utensili sul pavimento, guardando altrove. Non avrei continuato a provare ad aggiustare la stufa, non ero più in vena. Quella discussione mi aveva stravolto.

“Ma, Maestro, Hyoga stava soffrendo...” tentò lui, emotivamente coinvolto.

“Lo so, proprio per questo… lascialo stare, quando gli sarà passata si farà vivo lui” affermai, sdraiandomi poi sul divano, sospirando, osservando il soffitto nel passarmi una mano sulla fronte.

Vi era ancora un po’ di tempo prima del tramonto, abbastanza per trovare una soluzione al freddo, ma in quel momento avevo solo bisogno di chiudere un po’ gli occhi, di riposare.

“Maestro?” chiese Isaac, affatto abituato a vedermi così.

“Va tutto bene, sono solo un po’ stanco, chiudo gli occhi cinque minuti, va bene? Vai… vai pure a giocare”

Non udii la risposta verbale, ma avvertii distintamente i suoi passi allontanarsi.

I confronti forzati con quel piccolo che da poco era penetrato nella vita mia e di Isaac, rendendola splendente, mi esaurivano sempre senza che mi capacitassi neanche totalmente del perché. In verità lo capivo,capivo Hyoga, ma, proprio per quello, non potevo appoggiarlo.

Mi addormentai poco dopo, vinto, e caddii in un sonno profondo, dal quale tuttavia fui svegliato di soprassalto diverso tempo imprecisato dopo dagli scossoni. Sobbalzai, mettendomi a sedere di slancio mentre Isaac, che contrariamente ai miei insegnamenti, si era fiondato tra le mie braccia per strattonarmi, balzava giù, sbracciandosi. Aveva il terrore dipinto in volto.

“Che… che succede?” gli chiesi, notando che era sul punto di piangere, cosa che non era assolutamente da lui. Gettai di riflesso un’occhiata fuori dalla finestra, scorgendo il lento declinare del sole e il veloce approcciarsi delle tenebre. Per quanto avevo dormito?! Inspiegabilmente avvertii un groppo in gola...

“E’ Hyoga! E-ero andato a consolarlo, ma lui non ne voleva sapere, piangeva tanto, Maestro, mi ha detto di lasciarlo stare e allora ho preso sonno nel mio letto, al mio risveglio lui… lui non c’era!!!”

Il groppo in gola si fece istantaneamente più pesante, sussultai a mia volta, prendendolo per le spalle per guardarlo negli occhi “Ne sei sicuro, Isaac?!”

“S-sì...” tirò su col naso lui, addolorato, spaventato, non sapendo minimamente che fare.

“Maledizione!” imprecai, a denti stretti mentre, scattando, mi affrettai a fare un breve giro di perlustrazione con lui al seguito nella vana speranza che Hyoga si fosse solo nascosto.

Non poteva essere uscito per davvero, non con l’avanzare delle tenebre e del gelo… no! Doveva essere ancora in casa, DOVEVA!

Ma il piccolo dai capelli del grano non c’era, il suo letto era sfatto, mancava anche la sua borsa che lasciava nella sua camera solo quando doveva allenarsi, perché sapeva di tornare. Sempre. Il fatto che non ci fosse più, poteva solo significare che…

Sentii freddo dentro di me, mentre il cuore perse un battito: Hyoga, per essersela portata dietro, aveva intenzione di non tornare più, di…

N-no… sciocco!

“Maestro… - Isaac era sconfortato mentre mi guardava con espressione da cane bastonato – V-voi mi avete insegnato che u-un essere umano adulto n-non può che resistere pochi, pochissimi, minuti là fuori in questa stagione, a-anche se fosse coperto. E… e Hyoga è… è… solo…”

“...”

“Maestro Camus… - mi chiamò ancora, gli occhi sgranati, il trauma della perdita ancora ben vivo in lui – Hyo-Hyoga sarà quindi...”

Dovevo tranquillizzarlo, non potevo permettermi, io, di brancolare nel buio quando il mio lupetto dipendeva da me. Dovevo essere una certezza e un punto fermo per lui, dovevo dimostrarmi forte e sicuro, anche se ero a mia volta spaventato.

“No, soldo di cacio! - lo fermai, passandogli una mano tra i capelli, tentando di apparire tranquillo e imperturbabile come gli avevo insegnato ad essere – Non succederà, noi lo troveremo prima!”

“D-Davvero?!” una lacrima gli sfuggì, anche se fece di tutto per nasconderla, ingoiò il magone a forza. Aveva già perso tantissimo per avere solo 8 anni, era chiaro che avesse paura di perdere anche Hyoga, al quale si era legato emotivamente fin da subito come ad un fratello.

Mi chinai quindi verso di lui, scacciandogli la gocciolina dal solco del naso con breve gesto del pollice, permettendomi di sorridergli per tranquillizzarlo.

“Cosa ti ho insegnato in quest’anno?”

“A-ad essere inamovibile, persino in queste situazioni, anzi, proprio in queste situazioni, perché gli altri dipendono da noi...”

“...E Hyoga dipende da noi, questo lo sai, vero?”

“S-sì – mi disse tremante, prima di tirare su col naso e farsi determinato – SI!” ribadì, con grinta.

“Bravo così, piccolo!” annuii, orgoglioso di lui, rialzandomi in piedi per gettare una nuova occhiata fuori dalla finestra e nascondere così il tremore del mio corpo.

Esitai, sapevo cosa dovevo fare ma, individualmente, non sarebbe stato facile. Hyoga poteva essersi recato ovunque, non aveva ancora un cosmo sviluppato, non avrei quindi potuto rintracciarlo così agevolmente.

In quel momento Isaac mi tirò la maglietta, desiderando la mia attenzione. Il pianto di prima, il suo breve attimo di debolezza, era già un lontano ricordo.

“Ci sono anche io, Maestro, siamo in due!” esclamò, mostrandomi così le sue intenzioni di aiutarmi.

“Te la senti davvero… Isaac?” chiesi, avviandovi verso l’entrata per prendere subito il giaccone mio e suo.

Non avrei mai più voluto sobbarcargli i miei problemi, non dopo Lisakki, ma in quel frangente non avevo scelta, il tempo scorreva veloce e sin troppo spietato.

Il suo visetto si illuminò di riflesso: “Certo!”

“D’accordo, allora, gli Husky ci possono aiutare! Tu prenderai Sasha, io Nikita e andremo in due direzioni diverse. Loro possono riconoscere l’odore di Hyoga, lo troveremo grazie a loro. Pensi di riuscire a tenerla al guinzaglio? E’ bella grossa!”

“Sasha è mia amica, sì, posso farlo, Maestro!”

“Conto su di te, mio ometto!” gli sorrisi ancora una volta, scompigliandogli i capelli prima di uscire trafelato fuori dall’isba. Andammo insieme nella stalla sul retro, che offriva rifugio alla mia muta di Husky, e poi ci separammo, lo vidi sparire in tutta fretta tra la luce sempre più debole del sole.

Era la prima volta che contavo su uno dei miei allievi, sperai, con tutto il cuore, che ciò non lo avrebbe messo in pericolo. Presi due profonde boccate d’aria per riportarmi alla calma, prima di prendere l’altro Husky.

Permisi quindi a Nikita di annusare uno dei vestiti di Hyoga per trovare così una pista e mi lasciai guidare da lui, il cuore in tumulto per l’agitazione e un groppo in gola che non riuscivo a sciogliere. Raccomandai tutte le mie speranze a quel giovane cane Husky di un anno e qualche mese, fratello di Sasha, dal mantello bianco e marroncino che avevo preso insieme ad Isaac l’anno prima grazie ad un allevatore. Li sapevo entrambi dotati di un olfatto eccellente, intelligenti e attenti. La femmina era bianco-grigia, meno robusta ma più agile, il maschio invece più possente, ma un poco lento e impacciato sulle lunghe distanze.

Avevo dunque affidato tutte le mie speranze a loro, Nikita le aveva colte, dandosi da fare per recuperare l’odore di Hyoga, che tuttavia gli sfuggiva. Ci eravamo diretti verso il mare, ma non riusciva a trovare una pista duratura, come se essa si perdesse, non riuscendo più a trovare il filo conduttore. Lo vedevo cambiare traccia, tornare indietro, tentennare, e il vederlo così confuso, sperso, senza un’apparente spiegazione, mi gettava nella più nera disperazione.

Nikita, ti prego, trovalo… devi trovarlo! Perché mi hai condotto fin qui?! Cosa hai sentito? Hyoga?! Eppure qui non c’è, non avverto la scintilla del suo cosmo… maledizione, il tempo stringe e quel piccolo… no, dobbiamo trovarlo, ti supplico!

Non riuscivo a pensare ad altro. Mi accorsi che avevo paura e che non avrei dovuto averla, perché anni e anni in Siberia mi avrebbero dovuto ben temprare alle perdite, e invece… invece brancolavo nel buio, una fitta appena sotto il capezzolo di sinistra, il fiato corto per l’ansia, alla sola idea, che mi si era formata in mente, di ritrovarmelo completamente congelato, come era già successo con altri.

Ma Hyoga non era ‘altri’, la sua perdita mi avrebbe straziato, me ne resi conto, con sgomento, proprio quel giorno.

Ad un certo punto Nikita uggiolò due volte in una direzione non ben definita, sperai di vedere Hyoga, ma una coda scodinzolante fu l’unica cosa che distinsi in avvicinamento. Raggelai quando riconobbi Sasha che correva nella nostra direzione. I due cani si annusarono brevemente, prima di darsi delle musate e fissarmi con occhi profondi.

“Sasha… - la mia voce uscì più tremante di quanto avrei voluto – Dove… dove è Isaac?!”

Come se mi avesse capito, dopo aver abbassato due volte le orecchie all’indietro, puntò verso una direzione, scattando poi in avanti seguito da me e Nikita. I battiti del cuore mi si erano fatti sempre più serrati, frenetici. Aveva anche cominciato a nevicare da qualche minuto, di quelle precipitazioni fitte che ricoprivano e ammantavano tutto nel giro di pochissimo. Sperai angosciosamente che non fosse troppo tardi.

Sasha ci condusse lestamente in una radura non molto distante da casa -era davvero lì, il mio Hyoga, così poco lontano dall’isba?!- dove subito notai un mucchietto più alto di neve del tutto insolito, proprio dove stavano puntando i due Husky. Accelerai di lunga il passo, avvicinandomi e riuscendo finalmente a riconoscere due figure stese abbracciate, già parzialmente coperte. Il mio cuore perse uno, due, tre battiti… mi sembrò quasi che, per qualche istante, si potesse fermare del tutto.

“ISAAAAAC!!! HYOGAAAAA!!!” urlai, con quanto fiato avessi in corpo, gettandomi quasi ai loro piedi mentre Nikita e Sasha, sempre scodinzolando, si chinavano a leccare i loro visetti con foga.

“Maledizione… - digrignai tra i denti, togliendo la dama bianca dai corpi dei miei due allievi – Non fatemi questo, no!” mi lasciai sfuggire, in tono denso di pena, gli occhi lucidi.

Non seppi bene perché, ma Isaac, forse udendo il suono distorto della mia voce, riaprì debolmente gli occhi affaticati, cercando comunque di sorridermi nel riconoscermi.

“Maestro… Camus!” biascicò, prima di tossire perché il gelo gli era penetrato nei polmoni. Non aveva che una sola maglia addosso e i pantaloni, la giacca e la felpa le aveva cedute a Hyoga, che stava abbracciando con tutte le sue forze nel tentativo di dargli calore, di non lasciarlo scivolare via.

“Non parlare, piccolo! Sono qui… SONO QUI! Ora andrà tutto bene!” gli dissi, fremendo distintamente, togliendomi di riflesso la mia, di giacca, per avvilupparli entrambi.

“Hy-Hyoga, io… l’ho trovato, avete visto? N-non avrei potuto t-tollerare un altro fatto Lisakki... - sorrise ancora, stringendo a sé il compagno, che respirava ancora, anche se aveva i capelli biondi già congelati e la pelle sin troppo fredda, eppure, pur nell’incoscienza, continuava a tenere a sé la misteriosa sacca dal contenuto segreto, come se fosse l’ultimo tesoro – A-anche io non… non permetterò più che v-voi perdiate un altro allievo...” riuscì ancora a biascicare, prima di perdere definitivamente i sensi.

“Sei stato più che bravo, Isaac, è grazie a te se Hyoga è ancora vivo, ora riposa… riposa, soldo di cacio! Al resto ci penso io!” lo spronai, stringendoli entrambi a me con tutte le forze di cui disponessi. Prima di alzarmi in piedi nonostante il tremore delle gambe.

Li portai entrambi, di corsa, all’isba, diedi direttive a Nikita e Sasha di rimanere seduti nell’ingresso, cosa che fecero.

Hyoga era privo di coscienza e già ad uno stato avanzato di ipotermia, anche se il suo cuoricino -che ormai l’avevo capito, era più forte di quanto potessi immaginare!- aveva retto; Isaac invece, forse rimesso in sesto dal caldo della mia giacca, più avvezzato a quel clima, ci mise relativamente poco per recuperare la maggior parte delle sue funzioni corporee, al punto che, una volta giunto all’isba, era già quasi del tutto vigile, anche se faticava ancora a muoversi perché le ossa e i muscoli risentivano ancora di quel gelo bastardo che gli era entrato in profondità.

Quando lo posai a terra, tenendo ancora Hyoga in braccio, barcollò un poco, tentando comunque di rimanere dritto, gli presi quindi una coperta e lo avvolsi, raccomandandomi di non togliersela.

“C-che cosa p-posso f-fare, m-maestro?” mi chiese, battendo i denti, stringendosi ancora di più la coperta sul corpicino e andando verso la stufa, ma ricordandosi che era ancora rotta.

Anche io lo rammentai in quell’esatto momento, imprecando tra me e me, prima di stendere Hyoga sul divano e togliergli i pesanti scarponi.

“Tu niente, Isaac, riposa… - gli dissi, liberando il bimbo dai capelli dorati degli abiti che aveva indosso, prima di rendermi conto che il tempo stringeva, che il suo cuore batteva aritmicamente e che le estremità corporee erano già molto fredde – Coraggio, Hyoga, non cedere, non arrenderti!” gli sussurrai, accarezzandogli brevemente la testa, prima di spogliarlo del tutto e drappeggiarlo con un’altra coperta.

“Maestro! E’ così… gelido!” mi fece notare Isaac, con enorme sforzo, toccandogli di riflesso la manina abbandonata.

Era vero, era gelido e la sua temperatura corporea continuava a diminuire anziché alzarsi. Non esitai più, mi sfilai a mia volta la maglia, rimanendo così a busto scoperto, prendendolo poi tra le braccia e portandomelo al petto, stringendolo a me, mentre affondavo il viso tra i suoi capelli incrostati dal ghiaccio. Il magone crebbe in me, nella mia gola, riportandomi alla mente per la milionesima volta, la triste dipartita di Svetlan, morto a causa della mia inesperienza.

“Coraggio, piccolo, tu devi farcela! Sei forte e testardo, non è da te arrenderti!” gli sussurrai, cullandolo brevemente prima di farlo appoggiare sulla mia spalla, in modo che percepisse il mio calore corporeo e glielo potessi cedere più agevolmente.

Ero spaventato. La sola idea di perderlo mi attanagliava, ma feci del mio meglio per non darlo a vedere. Dovevo riscaldarlo il prima possibile, meglio quindi portarlo a letto, tenerlo stretto, e avvolgerci sotto le coperte, unica discrepante che avrebbe reso salva la vita a Hyoga. Ma anche Isaac aveva bisogno di cure, come…?

Lo guardai, chiedendomi che fare, ma il mio giovane allievo era già impegnato a sfilarsi via la trapunta di dosso, per poi passare a togliersi gli abiti senza un minimo di esitazione.

“No, Isaac, che sta facendo?! Devi stare al caldo, non stai ancora...”

“Serve il calore corporeo per farlo stare meglio, vero, Maestro? - mi chiese retoricamente lui, calandosi giù i pantaloni con non poca difficoltà, stante i suoi tremori continui – Lo farò anche io, insieme a voi, lo riscalderemo insieme!” stabilì, alzando una gamba e poi l’altra per liberarsi dall’indumento.

“Ma… - non sapevo cosa dire, il tempo stringeva, non c’era tempo per le esitazioni. Infine annuii – Va bene, ravanello, ma non c’era bisogno di spogliarti completamente!” gli feci notare, cercando di alleggerire la tensione con un tono di voce più tranquillo. Si era effettivamente denudato del tutto, davanti a me, senza un minimo di vergogna, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Così lo riscaldo meglio!” disse, determinato. Riuscii a farmi sfuggire un sorriso, sebbene la situazione fosse disperata.

Andammo quindi in camera mia portandoci dietro la coperta e coricandoci tra le coperte: Hyoga, che respirava con un poco più di forze, in mezzo, Isaac sul lato sinistro, che lo teneva forte forte stretto a sé, come se non volesse lasciarlo andare, io che abbracciavo entrambi, che pregavo non so bene quale divinità per averli entrambi salvi.

Ad un certo punto Isaac tossì più volte, non abbandonando però la posizione e anzi rannicchiandosi ancora di più sul compagno per dargli calore.

“Isaac…” lo chiamai, dandogli due pacche sulla schiena perché vedevo che faticava a sua volta a respirare.

“Andrà tutto bene, Maestro… - rispose lui, gli occhi brillanti come di consueto, di quella luce che per me era sacra – A-adesso siamo in due, n-no? L’ho già detto...”

In due. Ripetei quella frase tra me e me più volte, annuendo infine, prima di accarezzargli la chioma irsuta con tenerezza.

“Sì, hai ragione, siamo in due… ma adesso riposa, soldo di cacio!” gli sussurrai, grato, mentre lo vedevo cedere al sonno e addormentarsi, lì in quella posizione.

Avevo sempre creduto di essere solo, nonostante Milo mi rammentasse, ogni singolo giorno, che così non fosse e, in quel momento, anche Isaac, un soldo di cacio di appena 8 anni, si offriva di camminare al mio fianco. Avvertii i miei occhi farsi lucidi, fui grato che il piccolo si fosse addormentato dopo quella frase, in modo da non assistere al mio momento di debolezza.

Tornai a concentrarmi su Hyoga, che respirava con maggior forza, la boccuccia appena aperta, i ciuffi biondi della frangetta che vibravano appena al mio respiro.

Non strappatemi anche loro, vi prego! Ho già perso così tanto…

Mi ritrovai a pensare, posando le labbra sulla sua fronte appena tiepida. Li strinsi a me, entrambi, serrando dolorosamente gli occhi.

“Coraggio… Hyoga! Isaac! Siete due fieri lupetti delle nevi, supererete anche questa!” mormorai, prima di cedere io stesso al sonno per la stanchezza e la tensione.

Mi ripresi solo nel cuore della notte. Qualcosa mi aveva tirato una delle ciocche di capelli che mi ricadeva sul petto, poco dopo, una manina si era mossa verso di me, accarezzandomi dolcemente il volto. Riaprii gli occhi, trovandomi davanti proprio gli occhioni celesti di Hyoga ancora oscurati dall’esperienza appena vissuta.

“Piccolo… - riuscii a biascicare, mentre, un poco goffamente, gli presi delicatamente la manina per posargliela poi tra le coperte e stringergliela. L’intorpidimento da sonno inibiva di fatto il mio tentativo di schermarmi e di darmi sempre un tono, ma non mi importava, ero solo felice di vederlo sveglio – Stai meglio ora?”

“Pa-pà… - sussultai a quell’appellativo altisonante, capendo che era rivolto proprio a me e non al suo padre biologico. Anche lui doveva essere parecchio rintontito per manifestarlo così apertamente – Scusami...”

“Per... cosa?”

Lo vidi piangere debolmente tra sé e sé, quella volta non lo fermai, troppo sollevato nel vedermelo reattivo, come solo un futuro guerriero avrebbe potuto essere. Ne fui orgoglioso.

“Non è vero che sei come… Kido! - biascicò, riferendosi stavolta a suo padre biologico, singhiozzando tutta la sua frustrazione, sopraffatto dalle emozioni – Ero solo tanto, tanto, arrabbiato!” disse ancora, quasi supplicando, prima di rannicchiarsi contro di me, piangendo sul mio petto.

“Hy-Hyoga, i-io...”

“Avrei voluto… fossi tu mio padre, n-non… sigh!” borbottò ancora, tremando sempre di più.

Non sapevo bene cosa dirgli, cosa fare... lo cullai, LI cullai entrambi. Mi sentivo così maldestro, non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo. Il Paese delle lacrime… era per me ancora così misterioso!

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Altrove penso di aver reso Nikita e Sasha come due femmine, ma siccome questa storia è un inno ai rapporti fraterni e genitoriali (anche se questi ultimi quasi mai sanguigni), alla fine ho optato per un maschietto e una femminuccia.

Eccomi qui, comunque… domando innanzitutto scusa, avrei dovuto pubblicare i 5 Pilastri, ma devo ancora concludere il capitolo e in questo periodo sono davvero piena di impegni, quindi alla fine ho scelto di proseguire con questa storiella che è (per il momento) di più facile attuazione.

Il racconto è ispirato al Piccolo Principe quando litiga con l’aviatore che non riesce a far ripartire il motore, questo mi ha dato ispirazione per rendere questo momento tra Camus e Hyoga. Spero sia stato di vostro gradimento. La frase finale è chiaramente presa dal libro in questione.

Dunque… un capitoletto che mette ancora in luce quanto poco facile sia gestire un tipetto solo apparentemente docile come Hyoga, quanto questo sfinisca Camus e, nondimeno, quanto l’Acquario sia legato emozionalmente a lui. Hyoga è il primo a chiamarlo papà, Isaac ci metterà molto di più (Sonia’s side story) anche se il legame è sempre quello. Spero inoltre di aver dato un’ulteriore idea del perché il legame tra Camus e Isaac sia così speciale, su quanto il piccolo aiuti il Cavaliere, malgrado la giovane età, su quanto sia uno dei suoi basamenti centrali.

Hyoga ha sentito parlare di reincarnazioni dagli abitanti del villaggio di Kobotec e si chiede se quindi sua madre possa rinascere a nuova vita per poterla così incontrare ancora, un desiderio legittimo essendo il piccolo di soli 8 anni. Camus (che nella mia storia è reincarnazione di Dègel, anche se qui ancora non lo sa e non se lo ricorda) lo cassa in maniera anche piuttosto spietata, ma anche questo mi sembra legittimo e dato da motivazioni capibili… qui infatti Camus ha già perso tantissimo, come si intuisce, ha il terrore di perdere anche loro, oltre al fatto che gli deve dare una ragione per vivere, non per morire.

A me questo capitoletto piace molto, sarei contenta se mi diceste se ha trasmesso qualcosa anche a voi. Ho notato che questa storia ha un largo successo, ne sono veramente lieta e vi rinnovo, ancora una volta, i miei più sentiti ringraziamenti. Spero di arrivare con l’aggiornamento dei 5 Pilastri entro la fine di settembre, incrociamo le dita.

A presto! :)

 

  
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