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Autore: mercutia    06/09/2021    1 recensioni
L'esperienza in Caerdicca Unitas ha cambiato Imriel, ma ha solo parzialmente rimosso la tensione dal suo rapporto con Phèdre. Per quanto sia felice di riaverlo a casa, a pochi mesi dal suo ritorno è chiaro che ancora tra loro esistano questioni in sospeso, attriti spinosi e ingombranti che solo una persona al mondo dice di poter dissipare. Con questa promessa Mélisande Shahrizai rientra improvvisamente nella vita di Phèdre, proponendole un patto controverso per quanto irrinunciabile.
A dodici anni di distanza la prescelta e l'erede di Kushiel si ritrovano faccia a faccia: chi delle due avrà la meglio nel loro eterno duello d'amore e d'odio?
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La storia è narrata dal punto di vista di Phédre anche se si colloca nella seconda trilogia, per la precisione dopo "Il sangue e il traditore", di cui però ignora il finale in cui Imriel decide di leggere le lettere di sua madre.
[fanfiction Phédre/Mélisande]
[piccoli spoiler fino a "Il sangue e il traditore"]
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Imriel nó Montrève de la Courcel, Joscelin Verreuil, Mélisande Shahrizai, Phèdre nó Delaunay, Ysandre de la Courcel
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Bondage
Capitoli:
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Vagai ancora tra le stanze con il cuore in gola, finché, con il panico che mi ghermiva lo stomaco, mi arresi all'evidenza, spalancai la porta e chiamai Joscelin con tutta la voce che avevo in corpo. Continuai a gridare il suo nome fino a quando lo vidi accorrere nel corridoio illuminato dalle tenui luci dell'alba.
Stavo per dirgli cos'era successo, ma lui mi travolse tirandomi per un braccio dentro la stanza, chiuse la porta e solo allora mi fece capire che potevo parlare.
«È scomparsa!» sussurrai.
«Che significa?» replicò esterrefatto guardando nel buio oltre le mie spalle.
«Mi sono addormentata, non so quando, non so per quanto tempo. Al mio risveglio lei non c'era più!»
«Hai guardato… ?»
«Ovunque, Joscelin, ovunque. È fuggita!»
«Non può essere. Ho visto io di persona tutti quelli che se ne sono andati finora.»
«C'è ancora qualcuno?»
«Sì» si voltò indietro e poi tornò a guardarmi, prendendomi per le spalle con fare sicuro «Resta qui. È meglio far uscire tutti gli adepti prima di occuparci di altro.»
Mi lasciò e si girò per andarsene, ma lo fermai.
«Imriel?»
«È andato via. Non molto tempo fa.»
Sospirai di sollievo. Almeno non avrebbe assistito.
Rimasi di nuovo sola e di nuovo perlustrai ogni stanza, accendendo tutte le lampade e le candele che trovai, non potendo aprire le finestre che avevo fatto chiudere dall'esterno. L'unica traccia di Mélisande erano il mantello e la maschera, che giacevano a ridosso della poltrona, dove glieli avevo tolti. Il suo profumo. Nient'altro.
Aspettando che tornasse Joscelin, andai a prendere il mio mantello ancora ammassato sul pavimento all'ingresso, lo indossai e poi mi lasciai cadere a sedere sul letto.
Mi aveva ingannata. Perché me ne stupivo? Il mio istinto aveva tentato in tutti i modi di mettermi in guardia, ma non avevo voluto dargli ascolto. I sensi di colpa ora mi mordevano inferociti e la delusione, Elua, la delusione per quell'ennesimo tradimento mi graffiava il cuore. Mi aveva ingannata. Come aveva potuto farlo dopo tutto ciò che le avevo concesso? Come aveva potuto dopo tutti i giuramenti, i ringraziamenti, tutte le belle parole con cui… con cui mi aveva solo abbindolata. Mi ero fatta ingannare. Accecata dai miei insani sentimenti, mi ero illusa come una sciocca di ritrovarli anche in lei. Più passava il tempo più la paura che avevo provato in un primo momento per le conseguenze di quella fuga faceva spazio al dolore per la ferita che quella fuga significativa.
Quando Joscelin entrò mi trovò ancora lì seduta. Lo guardai senza muovermi.
«Sono andati via tutti» mi disse «Chi era ancora qui ha ovviamente capito che è successo qualcosa. Presto cominceranno a circolare voci in città.»
Ero così afflitta che non ne compresi la gravità e restai lì a fissarlo senza dire nulla.
«Nessuno è uscito, tranne Imriel e gli adepti. Non c'è un solo punto della villa scoperto. Dev'essere ancora qui, i cassiliani stanno perlustrando tutte le stanze e i passaggi della villa. Tu sei sicura di aver controllato tutto qui?»
«Non c'è. Non c'è! Guarda tu stesso!»
Lui ampliò lo sguardo alla stanza. Mi resi conto di quanto fossi stata crudele a suggerirglielo solo quando mi chiese «Tu come stai? Sei ferita?» In quel momento capii che aveva ovviamente visto tutto ciò che Mélisande aveva usato su di me quella notte e mi sentii male, alzando gli occhi e vedendolo là, tra quelle stesse mura in cui solo poche ore prima avevo concesso a quella donna di prendersi non solo il mio corpo, ma anche ciò che fino ad allora avevo dato solo a lui: il mio cuore. Fu quel pensiero a riscattarmi e a mutare la mia tristezza in rabbia e risolutezza.
«Dobbiamo trovarla» dissi invece di rispondere, poi feci mente locale e gli chiesi di darmi l'ordine in cui erano andati via gli adepti, cosa che si era appuntato come gli avevo suggerito. Cominciai a controllare l'elenco cercandoci qualcosa che potesse fornirmi un indizio.
«Nessuno ha notato nulla di particolare?» chiesi senza smettere di leggere.
«No.»
«Hai lanciato il segnale per gli tsingani?»
«Sì. Nessun avvistamento neanche da parte loro, per sicurezza stanno allargando il campo di ricerca oltre le colline.»
«Emeric?»
«Emeric è sempre stato al suo posto. Ora è in cucina, sotto sorveglianza.»
«L'hai interrogato?»
«Ho pensato volessi farlo tu.»
Annuii mentre qualcuno bussava alla porta. Joscelin andò ad aprire, io restai lì a sentire ciò che mi aspettavo: non c'era traccia di Mélisande in tutta la villa.
Deposi il foglio con la lista dei nomi accanto a me sul letto e poi mi alzai, decisa ad andare ad interrogare Emeric, quando un refolo d'aria freddo e umido mi toccò i piedi. Mi abbassai rapidamente fino a mettere la faccia sul tappeto per guardare sotto il letto. Si sentiva freddo, come se ci fosse qualcosa di aperto. E odore di terra bagnata. Mi spinsi sotto il letto allungando le braccia sul tappeto finché lo sentii cedere sotto la pressione della mia mano. Rabbrividii intuendo cosa fosse, quindi tornai indietro in fretta per togliermi di dosso il mantello e prendere una lampada per poi strisciare di nuovo di sotto, più avanti. Scoprii che il tappeto aveva due lunghi tagli perpendicolari che si incrociavano a coprire una buca, come avevo intuito. Ignorando il dolore che lo sfregamento mi causava alle ferite che Mélisande mi aveva inferto, mi ci trascinai dentro, rovinando malamente nel buio su qualcosa di morbido. Mi sollevai sbattendo la testa sul fondo del tappeto, allungai le braccia a prendere la lampada e illuminai un tunnel che si allargava davanti ai miei occhi increduli. Restai paralizzata dallo stupore e dalla rabbia: quel passaggio doveva essere sempre stato lì e io non me n'ero accorta.
«Phèdre?» chiamò ovattata la voce di Joscelin da sopra.
Mi ripresi bruscamente: Mélisande era là sotto, forse non era ancora tutto perduto.
«C'è un tunnel» dissi a voce alta, producendo una cupa eco «Vai a chiamare qualcuno che possa scendere qua sotto.»
«Ti aiuto a risalire.»
«No, vai!»
Mentre sentivo lo scalpiccio dei passi di Joscelin che si allontanavano, cercai appigli per tornare in superficie andando ad urtare con un piede contro qualcosa di rigido, avvicinandomi illuminai un riquadro di cuoio piegato su sé stesso e chiuso con un laccio, lo afferrai senza curarmi di cosa fosse, quindi mi issai fuori dal tappeto e poi dal letto, dove Joscelin già stava arrivando con uno dei suoi uomini. Avvolgendomi nel mio mantello, li osservai muta mentre insieme spostavano il letto, portando alla luce l'ingresso del tunnel che il cassiliano sconosciuto varcò poco dopo. Joscelin stava per seguirlo, ma lo fermai colta solo in quel momento da un sospetto.
«Aspetta» bisbigliai «Potrebbe essere una trappola. Manda qualcun altro insieme a lui.»
Mi guardò torvo: non era da lui mandare qualcuno a rischiare la pelle al posto suo, non era nemmeno da me, ma in quel momento non mi importava.
«Non lascerò che mi porti via anche te. Manda qualcun altro.»
Così fece, suo malgrado e restammo lì a fissare il tappeto mentre la stanza si illuminava man mano che le finestre venivano aperte dall'esterno.
«Quello cos'è?» mi chiese Joscelin, indicando l'involto di cuoio che ancora stringevo inconsapevolmente.
«L'ho trovato laggiù.»
Slacciai i nodi, lo aprii e mi sedetti sul letto. Racchiuse al suo interno c'erano due lettere, sigillate con il marchio degli Shahrizai. Una era per me, una per Imriel. La calligrafia di Mélisande.

 

Phèdre,
le circostanze mi costringono a scrivere queste righe in anticipo, ma se tutto domani andrà secondo i miei piani, sarai amareggiata quando leggerai questa lettera. Starai pensando che ti ho mentito, che ho tradito la parola data, bestemmiato giurando il falso.
Ti sbagli.
Sì, me ne sono andata, ma non ho mai detto il contrario. Se ripensi a fondo alle mie parole e ai miei giuramenti ti renderai conto che mai, mai, ho detto che sarei rimasta dopo la notte della festa, mai ho detto che mi sarei consegnata alla giustizia, mai ho detto che mi sarei fatta portare da te al patibolo.
Tu l'hai detto.
Tu l'hai pensato.
Tu hai voluto crederlo.
Io ti ho semplicemente giurato di non avere altra intenzione se non quella di rivedere mio figlio, ti ho giurato che non avrei torto capello a un solo angeline, ti ho giurato che non avrei in alcun modo arrecato danno alla regina e alla sua famiglia.
E così è stato, così è e così sarà.
Ora, so che comunque cercherai di seguirmi, crederai di potermi ritrovare da sola, poi presa dalla disperazione andrai a cercare aiuto a Città di Elua, da Ysandre, confessandole tutto. Non mi troverete, ma vai pure, conoscendoti so che non mancheresti di riferire comunque tutto l'accaduto a lei, angosciata dall'idea di aver deluso la sua fiducia, di aver tradito il regno e di meritare una condanna esemplare. Impedire alla tua immacolata coscienza di darti il tormento non è in mio potere, ma ti ho giurato che non avresti pagato conseguenze accettando il patto con me e non ne pagherai. L'incolumità del trono è appesa a un giuramento che ho fatto a te, farò in modo di ricordarlo alla regina affinché non tocchi né te, né chiunque altro io abbia coinvolto.
Quanto a Imriel, non serve che tu gli spieghi nulla, l'ho fatto io stessa nella lettera che hai trovato insieme a questa. Leggila, se vuoi, ma assicurati, ti prego, che lo faccia lui, altrimenti tutto quanto riuscirò a costruire domani con lui verrà vanificato.
A questo proposito, non so se domani avrò modo di ringraziarti per la possibilità che mi dai di parlargli. Credo che tu ora possa capire cosa significa questo incontro, per questo sapevo che non me l'avresti negato. Patto o meno.
Ho giocato d'azzardo, Phèdre, puntando la mia stessa vita su di te, sulle tue reazioni, su tutto ciò che di te conosco. Il tuo amico tsingano mi consigliò di selezionare con cura le vittorie, questa sapevo che sarebbe stata mia.
Non serbarmi rancore quindi, ho solo giocato bene le carte che tu mi hai mostrato: la tua responsabilità verso Imriel, i tuoi sensi di colpa verso la sua vera madre, il bisogno che hai di me. Non ti ho ingannata, mai, sei tu che non hai mai notato le palesi omissioni nelle mie parole, né la mia via di fuga sotto il nostro letto. La possibilità di smascherare il mio piano l'hai avuta sempre a portata di mano, ma tu non l'hai colta. Lungi da me pensare tu sia una sciocca, no, questo mai, non è certo sulla tua ingenuità che ho scommesso. Solo sapevo che avresti volentieri evitato l'argomento della mia morte, così come che il cassiliano non avrebbe avuto il fegato di perlustrare la nostra stanza e che tu non saresti stata abbastanza lucida da farlo con cura. Non prendertela con me, Phèdre, entrambe sappiamo che in fin dei conti non cogliere quei dettagli è un favore che ti sei concessa.
E non biasimare nemmeno te stessa, perché hai agito assecondando la tua natura e perché la nostra storia a questo punto meritava un degno epilogo. Sì Phèdre, anche su questo non ti ho mentito: è davvero un addio. E lo dico con sincero rammarico, conscia del valore di ciò che sto per perdere, per sempre. Ma è necessario.
Quando leggerai queste righe quindi me ne sarò andata per non tornare mai più. Prego Kushiel di vegliare sulla nostra ultima notte insieme, affinché non ci lasci alcun rimpianto.
Addio.
Mélisande

 

«Phèdre?»
Non so da quanto tempo Joscelin mi stesse chiamando. I miei occhi erano impantanati in quell'ultima parola e non riuscivano a staccarsene.
«È sua?»
Ero attonita. Non sapevo che pensare, non sapevo nemmeno che provare. La paura era scomparsa, la delusione svanita e ora quelle ultime righe avevano spento anche la mia rabbia. Mi sentivo vuota e in quel vuoto quella parola risuonava terribilmente pesante.Addio.
«No!» esclamai quando Joscelin mi sottrasse il foglio, ma non mi scomposi più di tanto, non ne avevo l'energia. Restai seduta dov'ero, a guardarlo scorrere la lettera e tristemente dissi solo «Non leggerla, ti prego.»
Alzò gli occhi. Almeno avevo avuto la decenza di fermarlo.
«Non c'è nulla in quella lettera che possa esserti utile. Ma c'è molto che potrebbe ferirti. Non leggerla.»
Non mi diede ascolto.
I suoi occhi tornarono al foglio che stringeva in mano, la sua mascella si contrasse, poi chiese secco «Dice il vero?»
Annuii mesta.
«Sì, credo di sì. Mi ha… le ho permesso di raggirarmi.»
Buttò a terra la lettera, non con rabbia, piuttosto con disprezzo e poi si girò per dirigersi verso la porta.
«Dove vai?» riuscii a domandargli fermandolo prima che uscisse.
«A prendere Emeric. Lo interroghiamo.»
«Occupatene tu.»
A quel punto si voltò a guardarmi, la porta già aperta.
«Non l'avrebbe lasciato qui se sapesse qualcosa» spiegai «Ad ogni modo gli farei le stesse domande che gli faresti tu. E tu saprai essere di certo di più convincente di me a farlo parlare.»
Uscì senza aggiungere altro e io restai di nuovo in quella dannata stanza, sola con i miei lenti pensieri. Raccolsi la lettera, la lessi e rilessi e ogni volta provai lo stesso stupido ingiusto dolore davanti a quella parola.
Addio.
Nonostante la gravità della situazione non ero capace di fare altro che fissare quel pezzo di carta.
Joscelin tornò relativamente presto, troppo presto, in viso aveva un'espressione truce che non riuscivo a decifrare. Guardò l'ingresso del tunnel prima di guardare me e disse «Quell'uomo non ha la lingua.»
«Cosa?» domandai allibita.
«Emeric è muto. Non dalla nascita.»
Risi, non ero affatto divertita, ma mi venne da ridere. Il servitore perfetto: Emeric era analfabeta e aveva una cicatrice non troppo vecchia al posto della lingua. Nessuno lo disse, ma sono certa che tutti, me compresa, sospettammo che a recidergliela fosse stata la stessa Mélisande.
«Posso torturarlo finché non troverà il sistema per comunicare» mi aveva proposto Joscelin, ma io gli avevo risposto di risparmiarlo, fermamente convinta che anche potendo parlare quell'uomo non ci avrebbe detto nulla: non sembrava preoccupato quand'era stato messo sotto sorveglianza senza che nessuno gli spiegasse il perché, non si era scomposto quando Joscelin era andato a interrogarlo e non aveva battuto ciglio quando aveva saputo che la sua padrona era fuggita abbandonandolo. Sapeva che quello era il suo destino, lo stesso Joscelin glielo aveva letto in faccia, eppure non sembrava spaventato da ciò che avremmo potuto fare di lui. Qualsiasi cosa lo legasse a Mélisande, era per lui più preziosa della sua stessa vita.
«Che vuoi fare ora?» mi chiese quindi Joscelin, una volta stabilito che da quell'uomo non avremmo ottenuto alcuna informazione.
Guardai i tagli nel tappeto che si aprivano sul tunnel: gli uomini che erano scesi là sotto sarebbero potuti tornare indietro ore dopo, se mai sarebbero tornati. Potevano anche già essere morti, per quel che ne sapevamo.
«Phèdre, a Città di Elua le voci staranno già girando. Credo che dovremmo riferire l'accaduto prima che qualcuno venga a chiedere spiegazioni.»
Annuii, gli occhi ancora immobili a fissare il tappeto. Non pensavo a nulla in realtà, quantomeno non fino in fondo. Non ero capace di concentrarmi.
«Phèdre?» Joscelin mi si avvicinò e mi prese il volto tra le mani costringendomi a guardarlo negli occhi «Vuoi che me ne occupi io?»
La mia capacità di ragionare sembrava come schiacciata sotto il peso della mia coscienza. Non gli risposi. Alzai a mia volta le mani al suo viso e dissi qualcosa che mai avrei pensato di dovergli dire «Perdonami».
Ritrasse lievemente il viso per lo stupore e si accigliò. Mi sentivo in colpa verso di lui, ora che Mélisande aveva tradito me ancor di più e mi rendevo conto di aver bisogno di liberarmi di quel peso se volevo tornare in me, ma non sapevo come se non ferendo a morte l'uomo che amavo. Non avevo mai provato nulla di simile.
«Se n'è andata per non tornare mai più» mi anticipò lui «Così ha scritto. Che riesca a fuggire o che si faccia catturare, siamo finalmente giunti alla fine. Qualsiasi cosa sia successa, non succederà ancora.»
Avrei voluto credere anche io che fosse così facile, avrei voluto trarre conforto da quelle parole, ma mi era impossibile, perché in cuor mio io non volevo fosse così. Questo era il problema, questo mi rendeva colpevole.
Uno dei cassiliani ci interruppe bussando alla porta prima di affacciarsi e riferire che un uomo ci cercava: era Silvère, il giovane tsingano a capo delle guardie che pattugliavano per me le colline.
«Un crollo, mia signora» disse il ragazzo con il fiatone «Nelle colline a nord-est si è aperta una voragine nel terreno. Non abbiamo visto nessuno, mia signora, ma mi avete chiesto di riferirvi qualsiasi cosa… »
«Quand'è successo?»
«Il tempo di comunicarlo a me e a me di venire qui.»
Joscelin cercò l'intesa nei miei occhi e io annuii. Sì, poteva benissimo essere crollato  il tunnel. Lui si voltò immediatamente verso il cassiliano e ordinò «Altri due uomini nel tunnel: Clovis e Maxime potrebbero essere in pericolo. Qualcuno segua Silvère a ispezionare il crollo da sopra e intensificate le ricerche in quella zona: il crollo potrebbe farci capire dove conduce il tunnel.»
Non fecero in tempo a partire che un altro tsingano arrivò a riferire di un altro crollo avvenuto in un punto da tutt'altra parte. Ne seguirono altri due e nel frattempo i cassiliani entrati nel tunnel tornarono con la notizia che oramai ci aspettavamo: la galleria era interrotta e di Mélisande non c'era traccia.

   
 
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