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Autore: FairyCleo    12/09/2021    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un salto in avanti
 
Mattina.
Erano le prime luci dell’alba quando Trunks aveva aperto gli occhi. La lama che filtrava dalla finestrella lo aveva investito in pieno, e la sensazione di avere qualcuno accanto, nel letto, lo aveva salvato dallo stato di smarrimento in cui era piombato nell’istante in cui le pupille avevano messo a fuoco l’ambiente circostante: la casetta che condivideva con Goten e suo padre. Non sapeva come fosse arrivato lì, ma era certissimo che non si trattasse di un’illusione, che quello che aveva accanto fosse la copia esatta di Goku – ma in miniatura – e che quello che se ne stava seduto al tavolo della cucina fosse proprio il suo papà, e che fosse tutto intero.
Si era dato un pizzicotto, giusto per essere ancora più sicuro di non essere nel bel mezzo di un sogno, e si era messo seduto sul letto, scuotendo Goten con la mano.
 
“Goten… GOTEN!!”
 
Aveva cercato di sussurrare, ma era finito con l’emettere un suono stridulo e attirare così l’attenzione di Vegeta. Nell’istante in cui gli occhi di ossidiana di suo padre si erano posati su di lui, Trunks non era stato più in grado di trattenere le proprie emozioni e, nonostante volesse mostrarsi a suo padre come un ometto forte e impassibile, era scoppiato in lacrime, correndo verso di lui e stringendolo così forte da soffocarlo.
 
“TSK! MA CHE TI PRENDE?”.
 
Vegeta era arrossito, e per istinto si era fatto indietro, cercando di scollare da sé suo figlio, ma senza troppa convinzione. Era confuso, imbarazzato, felice e ansioso insieme. Che avessero fatto un brutto sogno? Per gli dei, non avrebbe dovuto consolarli, vero?
 
“Vegeta…”.
 
Goten, seduto ancora sul bordo del letto, aveva portando entrambe le mani alla bocca, scoppiando in un pianto disperato prima di precipitarsi verso di lui e imitare in ogni gesto il suo migliore amico. Il cuore sembrava esplodere dalla gioia ed era impossibile per lui controllare le lacrime. Non gli importava di mostrarsi fragile. Gli importava solo di potergli stare accanto, di poterlo stringere e potergli dimostrare tutto il suo amore. Adesso che lo aveva accanto a sé, non lo avrebbe lasciato andare via mai più.
 
“TSK! Ma la volete smettere? Si può sapere che vi prende? PIANTATELA”.
 
Sua maestà era arrossito a tal punto da diventare tutt’uno con la mela che stava sbocconcellando e che aveva ancora nella mano destra. Che cavolo era preso a quei due piccoli mostriciattoli?
 
“Oh, papà, sei qui! Sei qui e stai bene!”.
“Non posso ancora credere che tu sia qui! Sono così contento! Così contento che mi scoppia il cuore!”.
Che io sia qui? Ma che state blaterando, mocciosi? Dove diamine dovrei essere a quest’ora? Per la miseria, va bene che devo andare a lavorare, ma…”.
“Sei certo di non avere nessuna ferita? Stai bene?” – aveva chiesto Trunks.
“Ma come hai fatto a uscire di prigione? Pensavo che non ti avrebbero mai lasciato andare, invece…”.
“Ferite? Prigione? Adesso basta scherzare, voi due! Tsk! Ma pensa tu… Prima fanno sogni assurdi e poi li confondono con la vita reale! Cercate di sbrigare le faccende, piuttosto, e di arrivare in orario a scuola. SBRIGATEVI”.
 
Non con poca fatica – e non senza una generosa dose di imbarazzo – il principe era riuscito a scrollarseli di dosso, dirigendosi verso la porta di casa con grande fretta in modo da sfuggire a qualche altro slancio affettivo. Doveva andare a lavorare, lui, mica aveva tempo da perdere! L’aria fredda del mattino gli avrebbe di certo fatto bene, e magari avrebbe fatto qualcosa anche per lenire i “bollori” dei bambini.
Così, con una buona dose di imbarazzo e una mela mangiucchiata in mano, Vegeta si era diretto presso i campi con largo anticipo. Forse, lì sarebbe stato al sicuro.
 
“Hai visto? Sta bene!”.
“Sì, Goten, lo so!” – aveva risposto Trunks asciugandosi le lacrime – “Ma com’è possibile? Lui era nelle segrete, aveva delle ferite orribili! Io l’ho visto!”.
“Ferite orribili? Ma sta bene! Guardalo! STA BENE!”.
“Lo vedo… Ma comunque, non riesco a capire come sia potuto accadere”.
 
Trunks si era appoggiato alla porta d’ingresso e aveva lasciato che il suo sguardo seguisse la sagoma del padre fino a vederlo sparire dietro l’angolo. Stava bene, era vero. Non aveva neppure una delle tremende ferite che aveva visto quando era in prigione, ma ciò non toglieva il fatto che tutto quello non aveva il benché minimo senso. Era certo di non averlo immaginato: Vegeta era stato imprigionato, lui e Goten erano andati a cercarlo, avevano dovuto inventarsi un piano per poterlo vedere e, alla fine, lui lo aveva trovato mezzo morto sul pavimento di una sudicia cella, e si era ripromesso di salvarlo grazie all’aiuto di qualcuno.
Poi, però, i ricordi si interrompevano bruscamente. L’ultima cosa di cui aveva memoria era di essere uscito da una finestra e di aver cercato Goten in piazza. Come poteva essersi ritrovato nel suo letto, a casa sua, insieme al resto della sua famiglia?
Si era preso un lungo istante prima di parlare, cercando così di schiarirsi le idee e fare mente locale su quanto accaduto.
 
“Goten… Tu ti ricordi che le cose non stavano esattamente così, vero?”.
 
Aveva visto il viso del bambino cambiare espressione: il sorriso si era tramutato in una smorfia di dolore, e dopo essersi asciugato le lacrime, era rientrato in casa e si era arrampicato nuovamente sul letto per poi sedersi con le gambe penzoloni.
 
“Certo che me lo ricordo. Me lo ricordo benissimo” – sembrava essersi indispettito: aveva stretto i pantaloni del pigiama con forza e aveva incassato la testa nelle spalle, assumendo un aspetto rigido e innaturale – “Solo che adesso va tutto bene. Non è meglio così, Trunks?”.
 
Non avrebbe voluto essere tanto sospettoso, e avrebbe voluto ancor meno avere dubbi in merito al suo migliore amico, ma sentiva che Goten gli stava nascondendo qualcosa. Anzi, ne era sicuro. Ma di cosa poteva trattarsi? Il cervello di Trunks stava lavorando all’impazzata alla ricerca di un motivo valido, di una spiegazione non solo rispetto a quanto era accaduto, ma anche rispetto al comportamento di Goten.
Perché si comportava in quel modo?
 
“Che cosa mi stai nascondendo? Cosa?”.
 
Ma, proprio mentre stava per dare voce ai suoi pensieri, l’ultima cosa che avrebbe voluto vedere aveva fatto capolino da sotto le coperte.
Trunks era sbiancato. Finalmente, ogni pezzo del puzzle era andato al suo posto.
 
“Il quaderno… Tu hai quel maledetto affare! E lo avevi anche prima, sui gradini… Sì, me lo ricordo chiaramente, adesso. Ci hai scritto, sopra, non è vero? E lui ti ha parlato? TU HAI PARLATO CON LUI, NON È VERO?”.
 
Goten era rimasto in silenzio, in quell’assurda posa contratta che lo faceva assomigliare a una strana statua di cera. Quell’atteggiamento parlava da sé, e dire che nel cuore di Trunks si stavano alternando un milione di sentimenti contrastanti sarebbe stato riduttivo. La prima cosa che aveva provato era stata una fortissima rabbia. Rabbia per essersi fatto fregare come un novellino dall’entità nascosta nel quaderno; subito dopo, aveva avvertito una forte delusione nei confronti di Goten, che non si era dimostrato più furbo di lui; poi, era piombato nel panico, perché quell’atteggiamento da parte del suo migliore amico dimostrava che non fosse minimamente pentito né cosciente di quello che aveva fatto; infine, aveva sentito come un forte dolore all’altezza del petto, perché era consapevole che non avrebbe più potuto fare niente per sistemare le cose.
 
“Goten… Rispondimi!”.
 
Era andato verso di lui e lo aveva afferrato per le spalle, scuotendolo con forza nel tentativo di vedere in lui una qualche reazione che però tardava ad arrivare. Gli occhi avevano iniziato a bruciargli per colpa del pianto che cercava di trattenere, e la testa gli doleva immensamente. Che cosa aveva combinato?
 
“Ho fatto quello che avevamo detto! Ho liberato Vegeta dalla prigione! Non sei contento, Trunks?”.
“Oh, Goten… Goten, tu gli hai chiesto aiuto? Hai davvero creduto che lui volesse aiutarti?”.
“Come sarebbe a dire? Papà è libero! Non ricorda niente, sta bene e siamo a casa! Non ti basta?”.
“Tu non sei in grado di capire…”.
“Ah no? Perché, tu lo sei? Ma certo! Tu sai cosa fa questo quaderno! Lo sai benissimo!”.
 
Aveva agitato le braccia a tal punto da far quasi perdere l’equilibrio a Trunks e aveva afferrato il quaderno con entrambe le mani, salendo in piedi sul letto. Da quell’altezza, e in quella posizione, Goten sembrava quasi minaccioso. Trunks si era preso un attimo per riordinare i pensieri: se gli aveva fatto quelle domande, ciò stava a significare che non aveva letto le conversazioni tra lui e quel dannato coso, e questo avvalorava maggiormente la sua tesi: quell’abominio voleva fregarli.
 
“Ascolta, Goten…”.
“No, ascolta tu! Da quando siamo finiti qui è successo l’impossibile! Ho visto sparire la mamma, morire Gohan, ho perso Ouji, e poi, nonostante tu fossi qui fisicamente, ho perso anche te! Ho provato a dare un senso ai tuoi sbalzi di umore, ma credimi, ormai non ce la faccio più! La fortuna ha voluto che questo oggetto finisse nelle mie mani e che un mio desiderio fosse esaudito! Perché ora te la prendi tanto? Siamo insieme! Papà sta bene, e io sono felice! Perché non puoi esserlo anche tu?”.
 
A quel punto, era certo di averlo perso, e di essere rimasto completamente solo in quella battaglia che lo aveva visto fallire inesorabilmente. Trunks si era accasciato sul pavimento, incapace di trattenere il pianto.
 
“Tu non sai quello che hai fatto. E non lo sai perché lui lo ha fatto prima a me. Per questo so di quel maledetto coso! Perché sono stato io a trovarlo! E maledico il giorno in cui questo è successo!”.
“Be’, ora è in mano mia, e credo di saperlo usare meglio di come hai fatto tu!”.
“Non sai quello che dici…”.
“Invece lo so benissimo. Vege-PAPÁ è qui, e non grazie a te”.
 
Ogni parola pronunciata con quella durezza era una coltellata in pieno petto per il piccolo Trunks. Era come se una lama si fosse incastrata tra le costole e gli impedisse di respirare. Lo aveva perso, aveva perso Goten. E lo aveva capito pienamente nel momento in cui quella maledetta mostruosità, quell’ombra nera come la notte, era apparsa nuovamente alle sue spalle, sovrastandolo con la sua aura malvagia che si divertiva a nutrirsi delle speranze di un bambino buono.
Aveva vinto: qualsiasi fosse il suo scopo, qualsiasi cosa volesse da loro, aveva vinto.
 
Papà è qui” – aveva detto Goten, serio – “E io farò di tutto per tenerlo accanto. Non resterò mai più da solo. Mai più”.
 
*
 
Papà.
L’eco di quella voce lontana era rimbombato nella sua mente, destandolo dal sonno in cui era stato costretto.
Papà.
Era una voce chiara, impossibile da confondere con quella di qualcun altro, una voce che lo aveva fatto sussultare, e che gli aveva fatto ritrovare la forza di uscire definitivamente dal torpore in cui era stato costretto.
Goku aveva dato fondo a tutte le sue energie, ma alla fine era riuscito a liberarsi in uno scintillio di energia spirituale palesatosi sotto forma di intenso bagliore dorato e di un urlo che avrebbe fatto rabbrividire il più coraggioso degli uomini. Il vento che aveva sollevato era stato talmente impetuoso da agitare le acque e far tremare le pareti di quell’incantevole prigione. Le gocce che gli erano cadute addosso erano evaporate ancor prima di raggiungere la sua pelle. L’aria attorno a lui era diventata rovente, ma dopo la tempesta, la quiete era tornata a regnare il quel luogo millenario custode di segreti inenarrabili.
 
Goku stava fissando il soffitto: lo sguardo era corrucciato al punto da aver messo in evidenza una profonda ruga sulla fronte spaziosa. Aveva i pugni serrati, le labbra piegate all’ingiù, ed era estremamente concentrato. Stava cercando a tutti i costi di individuare l’aura dei suoi figli perché era sicuro, sicurissimo di aver udito nella sua testa l’eco della voce di Goten che lo chiamava papà. Suo figlio lo aveva chiamato, e forse lo aveva fatto perché aveva bisogno di lui, o forse perché era rimasto solo, o forse perché era disperato e in pericolo.
Ancora una volta, si trovava lontano dai suoi figli. Ancora una volta, non era accanto a loro per proteggerli, guidarli, per spronarli a dare il meglio di loro. Li aveva abbandonati, forse li aveva persino traditi, proprio come Genio aveva tradito lui, relegandolo in quella prigione dorata.
La voce nella sua testa era così preponderante, talmente forte da martellargli le tempie. Mai nella vita gli era capitata una cosa del genere: non riusciva neanche a pensare. Se ci fosse stato Vegeta, avrebbe detto che tanto lui non aveva mai pensato, che il suo cervello non aveva mai funzionato prima, e non avrebbe potuto in alcun modo iniziare a funzionare, né ora, né mai.
 
“Che cosa mi sta succedendo?”.
 
Aveva portato entrambe le mani alle tempie e aveva iniziato a fare pressione, cercando così di attutire il dolore che stava provando.
 
“Papà”.
 
Lo aveva sentito nuovamente, e lo aveva sentito chiaro e forte. Era la voce di Goten, non avrebbe mai potuto sbagliarsi.
 
“Figliolo! Figliolo, dove sei?”.
 
Lo aveva detto ad alta voce, mentre cercava di concentrarsi. Per averla udita con tanta intensità, Goten non doveva essere molto lontano. Aveva cercato di respingere il dolore e si era concentrato sulla voce che sentiva rimbombare nella sua testa. Doveva trovarlo, doveva trovare Goten e raggiungerlo. Ma come, considerando che non sarebbe mai stato in grado di percepire la sua debolissima aura da umano?
 
“Maledizione…”.
 
Gli occhi pizzicavano per il dolore e per le lacrime trattenute a stento. Solo in quel momento – e non sapeva neanche perché – Goku si era però accorto di una cosa: che sul mento e sulle labbra fosse cresciuta una fitta coltre di peli che gli incorniciavano il viso.
 
“Ma cosa… Ma-ma come fanno a essere così lunghi? Quanto… Quanto tempo è passato? Da quanto tempo sono qui?!”.
 
Preso dal panico, guidato dall’estremo bisogno di comprendere anche grazie alla vista quello che aveva capito solo mediante il tatto, Goku aveva raggiunto la riva di quelle acque cristalline, specchiandosi sulla superficie liquida. Non c’era più alcun dubbio: la barba e i baffi esistevano realmente, non erano frutto della sua immaginazione, così come non lo erano i crampi della fame. Da quanto tempo non mangiava? Quante settimane aveva trascorso lì, vittima della prigionia inflittagli dal suo mentore?
La tristezza aveva preso posto del panico. I vivaci occhi neri come la notte erano spenti, irriconoscibili, e non solo loro. D’istino, Goku aveva sollevato una mano e l’aveva portata al mento: la barba era soffice, tanto lunga da inghiottire completamente alcune falangi. Faceva fatica a riconoscersi in quell’immagine. Faceva fatica a riconoscersi e basta.
 
“Chichi non c’è più, Bulma non c’è più, i miei figli sono in pericolo perché lì fuori c’è un pazzo che vuole dominare il mondo con le sue pratiche subdole e io sono stato costretto a stare qui dal mio stesso maestro per chissà quanto tempo. Mi sento così… Così… Urca, non lo so neanche io come mi sento… So solo che fa male… Fa male da morire”.
 
Senza pensarci due volte, aveva distolto lo sguardo da quel riflesso in cui non si riconosceva, cercando di ricacciare indietro i brutti pensieri che si accavallavano nella sua mente. Gli angoli degli occhi continuavano a pizzicare, ma Goku si rifiutava categoricamente di scoppiare a piangere. Per quanto si sentisse tradito, per quanto non fosse pienamente in grado di comprendere la paura che gli altri nutrivano verso di lui, non era nella sua natura provare rabbia o rancore verso coloro che amava. Anzi, a dirla tutta, Goku non era capace di provare sentimenti tanto abbietti nei confronti di nessuno. Questo non toglieva il fatto, però, che il tempo della prigionia dovesse finire, che fosse arrivato per lui il momento di scendere in campo, agire per il bene comune e arrivare così alla verità.
 
Deciso più che mai a uscire da lì, e memore del percorso che aveva fatto in compagnia del vecchio Tartaruga, Goku aveva lasciato che le acque lambissero dapprima i suoi piedi, poi le gambe, poi il torace, sino ad immergersi completamente dopo aver preso un bel respiro profondo. L’eco della voce di Goten continuava a rimbombare nella sua testa sempre più forte, sempre più chiaramente, finché, come in un sogno, non lo aveva visto. Il panico aveva assalito il giovane super saiyan: suo figlio era davanti a sé, privo di sensi, e ondeggiava tra le acqua, con i vestiti gonfi a causa delle correnti sottomarine e i capelli che danzavano una danza macabra. Poi, così com’era arrivata, quella visione era andata via, lasciandogli addosso una sensazione terribile.
Doveva raggiungerlo, e doveva farlo subito.
Non aveva perso tempo, Goku, e aveva raggiunto in meno di un istante lo stadio di super saiyan. In quel modo avrebbe consumato più energie, ne era cosciente, ma sarebbe stato più veloce, e la velocità era l’unica cosa che avrebbe potuto salvare Goten. Lo aveva raggiunto in un attimo e lo aveva afferrato per il colletto della maglia blu che indossava, stringendolo con forza e aumentando ancora la velocità con lui si muoveva tra le acque gelide. Non sapeva quale percorso dovesse seguire, stava agendo d’istinto, ma quello stesso istinto lo aveva guidato alla meta, e nello stesso istante in cui aveva messo la testa fuori dall’acqua, ormai prossimo alla riva dell’isolotto del Genio, aveva gioito con il sorriso che era solito distinguerlo.
 
“Ci siamo! Ce l’abbiamo fatta! Siamo a riva!”.
 
Euforico, Goku aveva fatto qualche passo prima di abbandonarsi sulla spiaggia sabbiosa, felice aver portato in salvo il suo bambino.
 
“Adesso andrà tutto bene! Ci sono io! Ma devi respirare… Devi… Devi…”.
 
Le parole gli erano morte in gola nell’istante in cui aveva abbassato lo sguardo e si era reso conto che non ci fosse quello di Goten pronto ad incrociare il suo. Terrorizzato, Goku aveva cominciato a tremare, confuso più che mai. Tra le sue braccia non vi era suo figlio, bensì un fagotto informe di alghe maleodoranti.
 
“Non è… Non è possibile… Io l’ho visto. Io l’ho visto, l’ho sentito, ne sono sicuro! GOTEN! GOTEN!”.
 
Senza sapere perché lo stesse facendo, Goku aveva iniziato a rovistare in quella massa scura, poi a cercare in acqua, poi sulla terraferma, in casa, tra le palme, persino in cielo, ma di lui non c’era alcuna traccia. Sfinito, affranto, si era accasciato sul bagnasciuga, stavolta incapace di trattenere le lacrime. Doveva essere impazzito. La prigionia doveva averlo fatto uscire fuori di testa. Ammesso che, di testa, ne avesse mai avuta una.
 
Continua…


Ragazze/i,
Buonasera! Mi trovo ad aggiornare a orari improponibili, ma ci tengo a farvi sapere quali altre sciagure stanno capitando ai nostri eroi.
Orbene, qualcosa è cambiato. Ma sarà cambiato in meglio? Vegeta sta bene, o almeno così sembrerebbe, ma a che pro? Qual è il piano della creatura?
Goku si è risvegliato, con tanto di barba e baffi (prendetevela con DBS!)! Si è svegliato e ha letteralmente vissuto un incubo. Cosa farà, adesso?
Lo scopriremo nei prossimi capitoli!
 
A presto!
Un bacino,
Cleo

 
   
 
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