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Autore: robyzn7d    13/09/2021    4 recensioni
“Quante assurdità in questa storia.”
Nami, seduta sul letto, ancora quello dell’infermeria, aveva ascoltato tutto il racconto informativo di quella mattina narrato da Robin, sulle vicende bizzarre della misteriosa bambina apparsa per caso nelle loro vite.
“Come al solito a quel testone di Rufy non interessa indagare” strinse i pugni “io voglio sapere tutto, invece.”
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STORIA REVISIONATA
Datele una seconda possibilità, chissà che non ve ne pentirete!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XIV 
Legami indissolubili 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Stringendosi le pieghe della gonna corta che insistenti si alzavano per il vento, si chiedeva che tipo di espressione e sguardo trapelasse dal suo viso. Perché lei non lo sapeva più, chi fosse. Con lo sguardo che puntava in alto, verso il cielo, vide nuovamente un volto. Era come fosse ancora in palestra, come se non fosse mai andata via. Movimenti, increspature, le sembrava ci fosse una presenza accanto a lei, in qualche modo invisibile ai suoi occhi ma non alla sua mente. Stava rivivendo ogni attimo, non poteva farne a meno. Un istante rimasto eterno, fermo nel tempo, mentre sentiva il calore aumentare sulla sua carne. 
 
Mi ha preso le labbra in un gesto inaspettato nonostante lo avessi chiesto io. Mi ha divorata, ma in un modo così rassicurante che sapeva di casa. 
 
Chiuse gli occhi. 
 
La sua lingua, le sue labbra, il suo sapore…
 
Non si aspettava che sarebbe stato così buono. 
L’eccitazione la travolse su questi ultimi pensieri, costringendola ad aprire la bocca ed emettere un suono basso, quasi di piacere. Ma mentre quei brividi lasciavano il suo corpo, il sangue tornò a circolarle normalmente, e il respiro affannoso riprese ad essere regolare. 
 
Per Nami era incredibile come le cose rimaste ben ancorate alla mente fossero più che altro dei piccoli dettagli. Sentiva il tocco della pelle di quel collo sudato e pulsante sotto i palmi delle mani: le era piaciuto aggrapparcisi. Quel respiro caldo che l’aveva accarezzata sul naso e sulle guance, finendo dritto su tutta la sua pelle del viso, amplificandole le percezioni. E di come aveva sentito le pieghette delle labbra diventare umide al contatto con quelle più sottili di lui. 
 
Quel ragazzo, si, quel giovane dai capelli verdi, che ora era suo amico, il suo compagno di equipaggio, che un tempo era stato il suo salvatore, subentrato sul suo cammino in un giorno qualunque sconvolgendole il punto di vista, se non che anche la vita stessa, ora l’aveva fatto di nuovo.
 
Se inizialmente poteva sentire il presentimento che ci fosse qualcosa o qualcuno nelle vicinanze, ora era arrivata persino a distinguere i lineamenti di quel viso che la sua mente aveva bene impresso. Ancora un altro brivido percorse la sua schiena e la sua mano destra strinse più forte il bordo della gonna come gesto involontario. 
 
Lo vedeva davanti a lei, con i tre orecchini sul lobo dell’orecchio e le immancabili tre spade al fianco. Dal carattere prevalentemente solitario ma con un senso di amicizia, giustizia e lealtà che raramente si vedono in un uomo qualunque. Per lei, quasi totalmente senza speranza per quanto riguardava l’ordinarietà della vita, ma che l’affrontava con un’imponenza ineguagliabile, una virilità e un orgoglio senza pari, ma soprattutto con un coraggio e una determinazione da sconquassare gli animi. 
Se fosse rimasta in quella stanza sarebbe sprofondata ancora di più in quelle labbra, in quell’abbraccio, e non sarebbe più riuscita a uscirne. 
Era stato troppo. 
 
Non si sentiva più come prima. Era diversa. L’aveva cambiata ancora una volta. Era stato tanto dolce quanto elettrizzante. Tanto potente quanto pericoloso. 
Era stata una stupida nel pensare di capire il suo rapporto con Zoro da un bacio. Un bacio che non era stato semplice, che non poteva certo catalogare come una leggerezza. 
Si era fatta del male.
Poiché quell’unione coraggiosa, alla quale lui non si era sottratto - possibile che facesse davvero tutto per lei? - l’aveva intrappolata ancor di più in qualcosa che non sapeva leggere. Era diventato tutto man mano sempre più surreale. Dall’apparizione di Rin, alla realtà della sua storia, alla scoperta che fosse figlia loro, a questo bacio che altrimenti non sarebbe capitato - almeno non adesso. Avevano evidentemente anticipato dei tempi che altrimenti si sarebbero svolti diversamente. 
Perché Rin è nata? In che momento è stata concepita?
Tra tutti gli uomini, suoi compagni e no, perché lei aveva scelto Zoro? Era il più anaffettivo di tutti. Non le avrebbe mai potuto dare quello che voleva. 
Era tutto sbagliato. 
Uno sbaglio che però non era nel sentimento. Quello era sincero. Lo provava davvero. Lo stesso sentimento che Zoro cercava di spiegarle era proprio questo: loro erano già così tanto legati da così tanto tempo che per lui non sarebbe cambiato nulla perché c’era già tutto quello di cui avevano bisogno. E aveva ragione. Ma Zoro anche si sbagliava, perché quel bacio - quello stupido, incredibile, potente bacio tra loro - aveva appena aperto un varco ancora più grande che non poteva più essere ignorato.
Non aveva più controllo dei suoi sensi, del suo corpo, della sua mente. Era successo qualcosa per cui tornare indietro era impossibile. Aveva appena provato qualcosa che se avesse precluso avrebbe solo che sofferto.  
Questo doveva decidere adesso: lei voleva uscire o voleva rimanere?
 
Dal momento che la pioggia stava finalmente calmandosi, alcuni di loro, scesi a terra per sgranchire un pò le gambe, si aggiravano tra le strade del villaggio. Avevano ancora un giorno di immobilità prima di terminare la registrazione e ripartire. Nami camminava assieme ad Usop che portava Rin sulle spalle, e Rufy che li seguiva annoiato. Il cecchino continuava a voltarsi verso la compagna dai capelli rossi, turbato dal suo stato comatoso. Non spiaccicava parola, lo sguardo vitreo, il corpo rigido. Era certo che fosse successa qualcosa e che lei sicuramente non ne avrebbe parlato con nessuno. 
Avevano deciso di accompagnare Rufy alla taverna, la stessa del primo giorno, sennò avrebbe continuato a lamentarsi per quella poca avventura di quei giorni fermi. 
“Nami? Sentì la voce di Usop chiamarla. “Siamo arrivati!”
La navigatrice, che in quel momento poco poteva esserlo, dovette fermarsi all’istante, dal momento che stava continuando ad avanzare senza accorgersi. Voltandosi vide tre sguardi puntarla preoccupati ma, ignorandoli, fece dietrofront e li superò, facendo strada lei. 
 
Una volta dentro alla taverna, i tre scoprirono che il locale era pieno zeppo di individui problematici che facevano un gran baccano, con i tavoli già tutti occupati, trovandone solo uno vuoto non troppo lontano dal bancone. 
Dei pirati avevano sbarcato sull’isola proprio come avevano fatto loro giorni prima, ma al contrario che starsene buoni e aspettare la registrazione della rotta, si apparecchiavano come i soliti pezzenti privi di galanteria e rispetto, diventando i padroni della taverna e, probabilmente, anche del villaggio. 
Ma tutto questo per Nami era obsoleto in quel momento, non aveva posto nella testa per pensare a quella feccia. Recuperato il tavolo, e preso posto insieme ai compagni e Rin, si era messa le mani sulle tempie, poggiando i gomiti sul tavolo, e lasciandosi andare a un sospiro pesante. 
“Mi dici che ti succede?” 
Usop, accanto a lei, la guardava ancora preoccupato, vedendo dall’altro lato del tavolo Rufy fare spallucce. Rin era piuttosto silenziosa e guardava il tavolo vuoto, con lo stomaco brontolante. Si sentiva tremendamente in colpa per quello che la mamma stava passando a causa sua, e non riusciva a non mettere su nient’altro che un’espressione triste. 
“Una bella mangiata di carne e vi tornerà il sorriso.” 
Il capitano cercò di rasserenare il gruppo.
Sentite quelle parole, la cartografa non se la prese stranamente con Rufy e voltandosi verso Rin, dal momento che il compagno aveva usato il plurale, la osservò preoccupata. Era davvero abbattuta quella bambina, e Nami non impiegò poi molto a capire che quelli che leggeva sul suo volto erano sensi di colpa. Le venne naturale passarle una mano sul braccio in segno di carezza e accennare un sorriso quando lei d’istinto la osservò con quegli occhi ramati grandi come i suoi. Ci si poteva perdere là dentro, tante cose raccontava quello sguardo innocente. 
“Va tutto bene.” 
Ma Rin non ci cascava, e nonostante la sua giovane età, in quel momento c’era tutto Zoro nel suo viso, con l’espressione di chi non se la beveva certamente. 
“Davvero.” 
Precisò la rossa capendolo immediatamente. Ma rise poi, quando sentì quel piccolo stomaco brontolare. “Hai proprio fame, eh?” 
La bambina annuì, toccandosi la pancia istintivamente. Nami si guardò intorno e solo in quel momento si rese effettivamente conto delle persone che abitavano quella taverna, sbuffando quando si vide puntata come una preda da diversi occhi indiscreti. 
“Non verrà mai l’oste qua con tutte queste persone.” Esclamò, ignorando i pirati che le stavano attorno. “Che ne dici di andare al bancone per ordinare?” 
Rin annuì, mettendosi immediatamente in piedi, euforica per quell’incarico importante. 
“Rufy vai con lei.” 
Il capitano, con anche lui lo stomaco brontolante, sorrise, mettendosi la mano sul cappello e seguendo la bambina. 
“Che c’è?” 
Chiese poi la rossa ad Usop, sentendosi osservata. 
“Niente. Sei proprio una mammina premurosa.” 
“Piantala o te le suono!” Inconsciamente si voltò verso il bancone, seguendoli con lo sguardo, permettendo così al moro di continuare a sghignazzare.
“È meglio tenerla d’occhio, non voglio che qualcuno le si avvicini.” Scostava uno dei ciuffi rossi e lo portava dietro l’orecchio, per evitare desse ulteriore noia. 
“Lo sai che io ti conosco bene, vero?” 
Usop non smetteva di sorridere. 
“E questo che significa?” 
“Sei tesa. Dall’umore più incasinato del solito e…direi anche…quasi amorevole.” 
La rossa guardava il suo amico in modo torvo, evitando schiamazzi che sentiva come in lontananza, riferiti a lei. 
“Sai dove ti ho già vista così? Al tuo villaggio.” 
“Ma che c’entra adesso?” Lei era sempre più nervosa, fosse stata davvero un felino gli avrebbe sicuramente ‘soffiato’ in faccia. 
“Quanto ti è stato difficile accettare i tuoi sentimenti per noi? Ti sei dovuta mettere in gioco per salvarci. Ma non riuscivi comunque a capire che quello che provavi non fosse una debolezza.”
Nami continuava a fissarlo con gli occhi stretti, pronta a urlagliene quattro, ma Usop non aveva ancora cessato di parlare. 
“Sei innamorata. Io lo vedo. E ti rifiuti di accettarlo.”
La navigatrice sbiancò, confermando al cecchino la sua teoria. La sala era diventata improvvisamente così silenziosa nella sua testa, senza più schiamazzi. Mentre nello sguardo del moro c’era tanta luce, stupore anche, ma era per lo più una strana gioia che scaldava l’animo. 
“Di Zoro. Sei innamorata di Zoro!” Un sorriso a mezza luna sul viso lo rese quasi accecante da guardare nel suo compiacimento “ed io ne sono contento, sai?” 
“Ma che ne sai tu dell’essere innamorati?” 
Nami era sempre sulla difensiva, ma per fortuna Usop lo sapeva molto bene che l’amica poteva reagire in diversi modi bruschi, dalla violenza fisica alla rabbia effervescente, fino all’autodifesa che reprimeva i sentimenti. La rossa lo guardò con sufficienza, ma anche incuriosita dalle sue parole. 
Le tirò uno scappellotto sul braccio in risposta a quella offesa.
"Hei! Ti ricordo che io ho una ragazza che mi aspetta a casa!” 
La rossa, che voleva solo nascondere la testa da qualche parte in un secchio qualunque ed evitare di farsi leggere in faccia la più difficile delle verità, non riuscì a non sorridere a quella rivelazione. “Ah, sì, la povera Kaya.” 
Sospirò poi, affranta per non avere abbastanza forze per prenderlo in giro in un momento come quello. 
“Io, innamorata?” doveva essere solo un pensiero che invece si era trasformato in parole. “Sai, dubito che Zoro farebbe mai per me tutto quello che tu hai fatto per Kaya.” 
Usop rimase inizialmente colpito da quella constatazione malinconica, commosso anche, per il fatto che l’amica gli stava facendo indirettamente un complimento, ma poi capì perfettamente che quelle parole racchiudevano solo paure, tante paure, legate probabilmente al carattere di Zoro, poco incline ai sentimentalismi o alle romanticherie, o qualsivoglia gesto plateale per amore. 
“Lo sai meglio di me cosa è capace di fare Zoro.”
Ti darebbe direttamente la sua vita, Nami.’ 
Così avrebbe voluto dirle, ma era riuscito a trattenersi. Il suo guardo era cambiato adesso, la stava ammonendo, nonostante sapesse che era sempre la sua autodifesa a parlare - trovare i punti deboli degli altri così da usarli per non affrontare la realtà. 
“Se sono i difetti di Zoro che vuoi tirar fuori per non amarlo, ne troverai a bizzeffe” si mise una mano sul volto coprendo l’occhio destro “é un totale disastro!” 
Ma a quell’affermazione sentì Nami ridere di gioia, avrebbe detto ridere d’amore se fosse un’espressione comune, trovando anche lui nuovamente la leggerezza. 
“Lo conosci, dà il massimo in ciò che sa fare e quello che non sa fare…beh, lo fa a modo suo.” 
Vide la luce negli occhi di Nami, quella che lei cercava continuamente di spegnere ma che poi veniva fuori lo stesso, e sorrise. Era inutile insistere, toccava solamente a lei lasciarsi andare. E vista l’esistenza di Rin sarebbe successo senz’altro. 
 
Nami fu costretta a voltarsi per monitorare la figlia, dal momento che sentiva delle voci fastidiose anche dal bancone, almeno, fintanto che un pirata dalla stazza non proprio minuta, si avvicinò al loro tavolo con un sorriso per nulla rassicurante. 
“E tu che cavolo vuoi?” 
Usop richiamò l’attenzione dell’amica, che fu costretta a voltarsi ancora, trovandosi quell’energumeno vicino che la guardava in modo viscido. 
“Dolcezza” la fissava con i suoi occhi chiari, la mano sulla spada legata al fianco e la lingua sulle labbra “quanto prendi?” 
Sul volto di Nami comparve un’espressione schifata, alquanto infastidita, più dal pirata che dalla richiesta, ma rimase in silenzio quando sentì l’amico anticiparla. 
“Che cosa?” Usop si alzò in piedi battendo le mani sul legno. “Vattene subito di qua e lasciaci in pace.” 
“Non sto parlando con te, naso lungo!” 
Si alzò uno schiamazzo dai tavoli accanto, tra urla e risa. 
“Ragazzino, non ti conviene sfidare il nostro capitano.” 
Nami vide l’amico stringere i denti, arrabbiatissimo. Essendoci solo lui si sentiva carico di quella responsabilità di proteggerla. 
Intanto, dietro di sé, sentiva anche il vociare dalla parte del bancone, qualcuno sbraitava contro Rin, compreso l’oste che ora litigava con Rufy. 
“La ragazzina non può stare qua.” 
Ma prima ancora di reagire si sentì strattonata per un braccio. “Ti ho fatto una domanda.” 
Nami, che non riusciva a seguire la situazione al bancone, iniziava ad innervosirsi veramente. “E lasciami.” 
Con una scossa fece cadere la presa che quello aveva su di lei e continuò a guardare dalla parte opposta. 
Vide l’oste prendere Rin per un braccio e trascinarla verso la porta, facendole salire il sangue al cervello in meno di un secondo, almeno fin quando Rufy non afferrò l’uomo per il bavero, facendo cadere la presa sulla bambina. “Lasciala in pace” lo sentì urlargli in faccia. 
“Lo sto dicendo per il suo bene” fece l’oste; nel suo viso non c’era cattiveria ma preoccupazione e Rufy lo rimise a terra all’istante. L’uomo col grembiule e i capelli bianchi legati in una coda, tossì, per poi riprendere fiato. 
“Qua dentro c’è la peggiore feccia dei mari, che non si preoccuperebbe di fare del male a una bambina.” Parlò a bassa voce, cercando di avvisare Rufy ma senza dare troppo nell’occhio. Il ragazzo di gomma aveva gli occhi sbarrati e le iridi strette dalla rabbia. “Non lo permetterò mai.” 
Ma in quell’esatto istante, Rin aveva estratto la spada, poiché si vide minacciata dai pirati che aveva intorno. 
“Sai che sei carina? Quanti anni hai?”
Nami si alzò veloce dalla sedia, non riusciva più ad avere controllo di sé, raggiungendola. Ma venne seguita anche dall’uomo al suo tavolo. Arrivata al centro della taverna mise le mani sulle spalle di Rin, avvicinandola a sé con forza. “È solo una bambina!” 
Ora iniziava a capire che tipo di persone abitavano quel posto e la seria preoccupazione dell’oste. 
“Tranquilla, ora ti porto via da qua” le sussurrò all’orecchio, guardandosi intorno per capire come fare ad andarsene il più facilmente possibile. 
“Non mi fanno paura.” 
Sillabava Rin a denti stretti, stringendo la spada tra le mani e brandendola davanti a un tizio che allungava la mano verso di lei. 
Degli schiamazzi si fecero ancora più forti quando Nami arrivò al centro della taverna, con tanto di fischi e parole volgari poco velate.
“Allora forza, vieni tu al nostro tavolo a sederti con noi.” 
Con tutti gli occhi puntati addosso, stringeva i denti dalla rabbia, se non fosse stato per la sicurezza di sua figlia, l’avrebbero sentita eccome. 
L’omaccione, quello che prima era andato a far visita al loro tavolo, le aveva raggiunte, provocando in entrambe una reazione di disgusto. E la stava nuovamente per afferrare, Nami, se non che Rufy, più svelto, lo mise a terra con uno dei suoi pugni più famosi, scaraventandolo con forza sulla parete della locanda. 
“Perché non combatti con me?”
Era così infastidito che aveva persino dimenticato del pranzo e della fame ingombrante. 
“Ma quello non è cappello di paglia?” 
Si sentì vociare nella sala. Una scoperta che aveva provocato il caos, tra alcuni spaventi, pirati curiosi e diversi elementi che volevano incassarne immediatamente la taglia. 
“Vale mezzo miliardo.” 
“Quel moccioso?”
“Ma è un ragazzino…” 
Usop gli raggiunse, mettendosi tra Nami e Rufy. “Conviene andarcene da qua.” 
 “Tsk.” Ma alcuni uomini si alzarono immediatamente in piedi. “Non così veloce.” 
“Quella è la gatta ladra.” 
Uno dei pirati che stavano in piedi alzò in aria il manifesto di taglia di Nami. “Questa qua sei proprio tu!”
Provocando altrettante simil reazioni da bava alla bocca dei pirati che non avevano ancora collegato la pirata a quel manifesto. 
Un altro uomo del tavolo accanto si mise in piedi, togliendosi la giacca e facendo vedere la sua spada enorme legata al fianco, mettendoci la mano sopra. “Scordatelo, lei la prendo io.” Tirò un calcio alla sedia che volò fino a due tavoli più lontani. Gesto che portò Nami a coprire la bambina con le sue braccia, per paura le arrivasse qualcosa addosso. “La testa di cappello di paglia e il premio per festeggiare dopo.” 
E ancora una volta si ritrovò a coprirle pure le orecchie, disgustata, quasi in preda ad un conato di vomito al sol pensiero di finire tra le mani di uno di quelli. Anche se sapeva che non sarebbe mai accaduto con i suoi amici accanto. 
“Usop!” 
Rufy era pronto a farla pagare cara a tutti, con uno sguardo che aveva quelle poche volte in cui era incazzato. “Portale via da qua.” 
“Si” il cecchino preparò la sua fionda nel minor tempo possibile, pronto a sbaragliare i nemici davanti all’entrata ed elaborare il più veloce piano di fuga mai visto. Usando un diversivo, tra la nebbia e una piccola finta esplosione che fece solo rumore, facendo spostare gli uomini davanti alla porta, spinse al volo le due, riuscendo ad uscire. Ma non senza intoppi, dal momento che qualcuno aveva lo stesso cercato di afferrarle, infatti erano arrivate all’esterno ma inciampando su sé stesse, arrivandoci così stese a terra. 
“State bene? Svelte dobbiamo svignarcela.” 
Si sentì la voce di Usop in mezzo alla nebbia che stava iniziando a svanire. 
Mentre Rufy combatteva con due capitani che volevano fargli la testa nella taverna, altri avevano approfittato per saltare la battaglia più problematica e prendere direttamente il premio che volevano. 
Nami, appena aveva aperto gli occhi, si era ritrovata immediatamente schiacciata a terra da quell’uomo, quello che aveva visto tenere stretto il suo manifesto di taglia in mano. “Sta buona!” diceva, mentre l’afferrava per le braccia e la stringeva con le gambe. “Faremo in fretta!” Lo vide ridere eccitato mentre con una mano aveva già sfilato la cintura e ora cercava di abbassare la cerniera dei pantaloni. 
“Se pensi che te lo permetta ti sbagli di grosso!” 
Gli tirò una ginocchiata tra le gambe proprio in quel momento, che gli fece vedere le stelle, facendolo ricadere su di lei. “Maledetta” biascicò. 
Riuscì a liberarsi e con la mano andò dritta a prendere il suo nuovo Clima Takt dalla gamba, montandolo al volo in quella distrazione e spostandosi all’indietro riuscì a sferrare un attacco sul posto prima che quello potesse rialzarsi dalla botta. L’aveva steso. 
Soddisfatta di sé stessa si guardò intorno, riprendendo fiato, un fiato che però le morì in gola quando vide l’amico preso per il collo da un altro energumeno. “USOP!”
Doveva agire, doveva salvarlo. Si guardò intorno per cercare Rin, e la vide proprio in quel momento andare verso l’amico con la spada tra le mani. Ma anche lei venne bloccata da dietro da un pirata alto tre metri che con un gesto delle dita sul collo le fece perdere i sensi in un baleno. 
La Wado cadde a terra. 
“COSA LE HAI FATTO?” 
Nami corse verso di lui con la sua arma in mano pronta a scatenarla, ma dovette fermare la sua corsa quando si rese conto che non poteva attaccarlo poiché quello teneva ancora Rin con una mano e la usava come scudo. Sentì dei rumori e si rese conto che dietro di lei c’erano altri pirati della stessa stazza di quello. Cercò di capire la situazione e, mentre pensava a come poter attaccare per metterli al tappeto tutti insieme, sentì una voce. 
“Se tieni a questa bambina devi gettare l’arma a terra.” 
Iniziò a tremare. Se le toglievano il Clima Takt come avrebbe fatto poi a difendersi da tutti quelli? 
Vide quel pirata portare la sua lurida mano sul piccolo e candido collo di Rin e stringere. E tanto bastò per farle vedere tutto nero.
“NO! FERMO!” 
Lasciò cadere il bastone a terra senza esitare più, consapevole che nemmeno la sua incolumità stavolta aveva valore quanto la salvezza di quella bambina. La Nami del futuro non le avrebbe mai perdonato un simile sgarro; il che la stupì. Solitamente niente aveva più importanza della sua incolumità. 
“Calcialo via col piede, adesso. Lo so bene cosa puoi fare con quello.” Continuò quell’uomo alto spaventoso con dei capelli neri lunghi in una coda dietro le spalle, dal viso spigoloso e con indosso una brutta e vecchia giacca scura lunga fino ai piedi. Sembrava pericoloso. 
Ma lei non voleva vedere quelle mani sulla pelle di Rin per nessun motivo al mondo. Era una ferita troppo grande che si riapriva tutta insieme nel suo corpo. 
“Non la devi toccare!” 
Nami poi lo fece, allontanò con un calcio la sua unica ancora di salvezza da sé stessa, con una collera che montava un po’ alla volta, guardando il tizio nera in viso con il sangue che le ribolliva dentro. 
Ma si sentì improvvisamente strattonata da dietro e gettata a terra da quello che doveva essere un altro membro di quella schifosissima ciurma. 
“Hai messo al tappeto uno dei nostri. Ma che brava.” 
Le sussurrò all’orecchio. Era schiacciata contro il terriccio e le faceva male avere quel peso addosso. 
Le aveva preso e unito le mani tenendole strette dietro alla sua schiena con una sola e salda presa. Una gamba inginocchiata sopra di lei fino a farle venire la nausea. “N-Non respiro.” 
“La situazione é questa…” iniziò a parlare l’uomo che le stava addosso. “Se stai buona e vieni con noi sulla nostra nave, non faremo del male né alla bambina e né al tuo amico.” 
Sentì un conato di vomito invaderla per il corpo, soprattutto quando quello iniziò a toccarla sotto la gonna. 
“Ti sono chiare le condizioni? Rispondi!” 
Annuì, totalmente disgustata, con una rabbia cieca in viso, pensando ai modi in cui poi gli avrebbe malmenati tutti. Trovò comunque la forza per alzare la testa e guardare quell’altro pirata dal basso. 
“Togli quelle schifose manacce da lei!” 
Il pirata di fronte, alla fine, lo fece, facendo cadere Rin sul terriccio da quella stessa altezza, senza nessun minimo riguardo, facendola schiantare sul terreno accanto alla sua spada.
“Bastardo!” 
Urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo, Nami. Ma il pirata con la giacca ignorò le sue lamentele continuando a sorridere compiaciuto del suo affare. 
“Sei famosa sai, tra i pirati. E non solo perché abbrustolisci la gente!” le disse, avvicinandosi pericolosamente a lei. 
Era in piedi, sempre tenuta stretta con le mani dietro alla schiena, e una sulla bocca per non farla urlare e chiamare l’amico di gomma. Vedeva quel tipo spaventoso avvicinarsi e non voleva assolutamente sentirsi toccata ancora un minuto di più.
“Le voci sulla tua bellezza sono arrivate anche a me.” 
Sentì un vociare da dietro di lei, il resto della ciurma che grugniva e faceva il tifo, tutti schifosamente su di giri all’idea di averla tra le mani. 
“Ed erano vere.” 
Le passò una mano sul braccio sfiorandole la pelle, scendendo poi fino al suo seno sinistro e stringendolo con forza nella mano. Si dimenò contrariata sillabando insulti che non poteva urlare. 
“È ancora meglio di quello che immaginavo.” 
Urlò ai suoi uomini, che da rientro continuavano a fare il tifo elettrizzati. 
“Adesso però farai un bel sonnellino anche tu.” 
Continuò a stringerla sulla pelle, spaventandola. 
Non poteva permettersi di perdere i sensi come era successo a Rin. Doveva stare vigile. Si dimenò nervosa cercando di evitarlo. Era in trappola. Se non fosse che ne andava di mezzo la sicurezza della bambina, avrebbe fatto tutto il possibile per buttarsi a terra prendere la sua arma ed incenerire chiunque dei presenti. Non avrebbe però fatto mai in tempo a recuperare entrambe le cose, loro erano in molti, ed erano troppo vicini. 
Con lo sguardo cercò Usop, che a sua volta provava a liberarsi da quella presa, furioso e impotente. Ma era stato privato di tutte le sue armi e quel pirata lo batteva in forza fisica. Un pirata che evidentemente stava aspettando solo un ordine per metterlo definitivamente k.o. 
Poi un movimento quasi impercettibile catturò la sua attenzione, o almeno, catturò i suoi sensi. 
Vide il pirata che teneva Usop per il collo cadere a terra sanguinante senza fare nessun rumore, lasciando quindi la presa sul cecchino, che rotolò sul terriccio, alzando la sabbia in aria. 
Stava muovendo gli occhi talmente in fretta per avere una conferma di quella gioia, in preda ai fremiti. Una gioia che confermò quando sentì d’improvviso il suo cuore esplodere. Aveva riconosciuto il suo odore, le era appena entrato dritto nei polmoni. 
Era lui. 
La polvere si era alzata da terra, il tempo si era fermato. 
Nami poteva sentirsi libera di sospirare attirando pure l’attenzione confusa del capitano di quella banda. 
Il tizio che la teneva stretta cadde in ginocchio in quell’esatto istante, con gli occhi sbarrati per la sorpresa, perdendo sangue a fiotti dalla spalla. 
La rossa non perse tempo a divincolarsi e tornare a respirare, almeno fin quando poi non vide davanti a lei, a separarla dal pirata con la giacca scura, due spalle larghe e un calore che conosceva così bene. 
Due lacrime di improvvisa consapevolezza le scivolarono lungo le guance, e poi sparirono, insieme alla sua paura. 
Si era sbagliata: il nuovo Clima Takt non era la sua unica ancora di salvezza! Si voltò titubante dietro di lei e vide che il compagno aveva già fatto piazza pulita abbattendo tutta la ciurma. Erano tutti riversi a terra, impossibilitati a rialzarsi. 
Zoro, due spade in mano, una in bocca, bandana sulla testa e sguardo nero come la stessa: era furioso. Talmente calmo da inquietare, talmente accanito da far accapponare la pelle. 
Il cecchino aveva approfittato a recuperare Rin e portarla più lontano possibile da lì, probabilmente sulla nave, venendo ringraziato mentalmente dalla rossa che, sconvolta, non riusciva più a muoversi. 
L’ultimo uomo rimasto, il capitano di quella ciurma villana, si trovava dunque ad affrontare una bestia nel suo impeto peggiore. 
 
 
“Sai, è a me che non sono proprio chiare le vostre condizioni, perciò ho fatto di testa mia.” 
La sua voce rocca e profonda aveva appena echeggiato nell’aria. 
 
 
 
La rossa era rimasta inerme per tutta la durata del duello. 
Non lo vedeva da quella mattina in cui tutto era cambiato per sempre dentro di lei. In cui era cambiata lei. 
Non sentiva più niente. Nè il cuore, né il corpo. Non pensava nemmeno. Stava solo subendo tutto lo spavento che aveva  preso. Era degradante essere attaccata da nemici così vili che andavano a minare alla sua femminilità, mettendola in una situazione così antipatica e da voltastomaco, che l’aveva bloccata, rallentata, impedito di dare il massimo. 
Ma era stato ancora più difficile sopportare di vedere quel viscido pirata toccare Rin, farle perdere i sensi, stringerle il collo; non le era importato più di sé stessa in quel frangente. Nessuno doveva toccare la sua bambina! 
Era così fuori di sé. Una collera che stava prendendo il sopravvento dall’interno con una violenza che stava trovando radici facili da impiantare. Era così immobile fuori, quanto agitata dentro. Non stava nemmeno seguendo lo scontro. Sapeva bene come sarebbe finito. E lei non era nemmeno riuscita a sprecare urla o parole per Zoro, talmente era rimasta bloccata, sottosopra, anche quando lo vide venire ferito su una guancia. Le capitava di rado di non saper reagire. 
 
Sentiva il rumore delle spade che si scontravano. Sentiva il suono della pelle quando veniva lesionata. 
La rabbia di Zoro le arrivava addosso, dandole i brividi. 
La paura di quel pirata si avvertiva ormai nell’aria. Sarebbe morto. O almeno, l’avrebbe conciato così male che riprendersi sarebbe stata una strada tortuosa, tutta bella che in salita.
Sentiva tutto, e non le importava di niente. Quelle mani schifose, quelle violenze sui bambini. Non era riuscita a proteggerla da quella mano. Non aveva potuto risparmiargliela. I ricordi del passato che riaffioravano nella sua mente avevano la stessa consistenza di proiettili. 
 
Ma tutto però stava anche cominciando ad avere sempre più un senso, quando quei lineamenti che solo la sua mente vedeva ora si erano tramutati in una presenza reale; tutto stava avendo sempre più senso quando quel ragazzo dai capelli verdi con il suo yukata addosso, stringente due spade tra le mani e una nella bocca, si era parato ancora una volta tra lei e ai suoi mostri. 
 
 
 
“Stai bene?”
Sentì una presa calda stringerla per le spalle, un volto che conosceva così bene guardarla preoccupato. 
“Nami?” 
Il duello doveva essere finito. 
Non riusciva a parlare. Non riusciva a vedere niente nonostante avesse gli occhi aperti. Era tutto così bianco. Così lontano. Così statico.
“Mi spieghi perché ti sei bloccata? Avresti dovuto essere più veloce di loro e...” 
La stava forse sgridando? Quel cretino aveva il coraggio di ammonirla con quel tono autoritario?
Che insensibile. 
Trovò la forza di alzare le braccia e colpirlo con un pugno sul torace. Non le importava se fosse stato ferito. Non le importava se grazie a lui non era finita in pasto a quei vermi. Non doveva azzardarsi a sgridarla per essere stata debole. Si menava già fin troppo da sola per questo, in quell’occasione. 
Che Stupido.
Ma non capiva in che situazione scomoda era finita? 
Aveva tanta rabbia da sfogare che lui sarebbe stato un ottimo pungiball. Possibile non sapesse essere delicato? Ma perché non ci provava mai ad esserlo? Appena avrebbe trovato la forza gli avrebbe dato una bella lezione. L’avrebbe sentita inveire contro di lui mattina e sera. O si, l’avrebbe sentita eccome. Almeno, finché non capì che qualcosa l’aveva avvolta. All’improvviso era finita dentro un luogo caldo e sicuro che profumava di buono e di sicurezza. 
Mai. Non lo aveva mai fatto. Le aveva salvato la vita tante volte, ma si era sempre limitato a stare lì, accanto a lei, senza aggiungere altro. 
Era un abbraccio. Un abbraccio confortevole e protettivo. 
Non voleva ammetterlo ma ne aveva davvero bisogno. Ci volle rimanere dentro, con gli occhi ancora sbarrati e le energie venirle meno. Se lui non l’avesse retta sarebbe sicuramente caduta a terra. 
Sentì quella voce profonda - rassicurante per lei, meno per i suoi nemici - parlarle all’orecchio. 
“Volevo intervenire prima ed evitarti quel…” sentì dei brividi allarmanti e per nulla rasserenanti venire da quel corpo che la teneva in piedi. La stava sentendo quell’angoscia violenta che era dentro di lui, in riferimento ai tizi disgustosi che l’avevano palpeggiata “ho dovuto aspettare che quello lasciasse Rin.” 
Nami lo colpì sul petto con il pugno chiuso, come a volerlo punire per aver permesso che venisse toccata. E in quel momento lo sentì chiudere l’occhio e comprimerla ancora di più al suo corpo. Era davvero rammaricato. 
In altre occasioni forse le avrebbe fatto pesare il fatto di averla dovuta salvare. Ma in realtà, non lo faceva mai davvero.
Stava sicuramente facendo una fatica del diavolo per essere “le sue spalle” in quel momento, quando lui per primo era cieco alla pace e pregno di smania di morte. 
Qualcosa nel modo in cui aveva detto quelle parole, però, le fece salire un brivido lungo la schiena. Tutto il suo corpo era teso sotto al suo, immobile soprattutto. Un corpo protettivo che era come un macigno che le faceva sentire tutta la sua pesantezza. Smise subito di punirlo, affranta da quella emozione così pura, per qualcosa che non poteva essere in nessun modo colpa sua. 
“Hai fatto la cosa giusta.” 
La sua voce era bassa ma sincera, tanto da far sgranare l’occhio a Zoro, il quale sicuramente non si aspettava una simil reazione da parte sua, ma probabilmente una sfuriata bella e buona. Così, di rimando, continuò a stringerla più forte a sé. Come se per lui quel tocco caldo d’affetto potesse alleviare la pena di quei gesti disgustosi. 
In fondo, stavolta si trattava anche di Rin, non avevano pensato ancora a “una figlia in pericolo”, e le reazioni erano automaticamente cambiate. 
Gli faceva male, comunque, averla lì, così vicina.
Ma dopo il risvolto disgustoso della giornata, aveva bisogno di proteggerla. La stringeva con le sue braccia forti, ma niente di più. Voleva solo che stesse bene, che potesse in un certo modo rimediare al male fatto da qualcun altro. 
Sentendo quel calore che scivolava sul corpo, sulla pelle, sulla sua schiena, Nami iniziò a sentirsi bene, troppo per non lasciarsi andare in quel senso unico al mondo di protezione. Ed era strano, perché fino a due secondi prima era in preda alla rabbia più nera. 
Bastò un niente e furono persi entrambi, accecati da quel sentimento forte che gli aveva colpiti al petto.
 
Ma poi, Nami, seppur ancora sconvolta per quelle vicende, e con i piedi lontani da terra per via di quell’abbraccio, stava iniziando a ragionare, ritrovando un po’ di lucidità. E questo grazie a lui. E anche alla sua illimitata forza di volontà, doveva prenderne atto. 
“Se stringi così forte non respiro.” 
Sorrise innamorata, con gli occhi lucidi e i piedi che tremavano, prendendolo un po’ in giro per smorzare quella tensione insostenibile. Le piaceva quell’abbraccio, ma se non si fosse staccata, non sarebbe più riuscita ad uscirne. Era sempre tutto ‘troppo’ quando si trattava di effusioni con Zoro. 
E lui, come risvegliandosi da un sonno profondo, reagì sciogliendo l’abbraccio, imbarazzato e con un broncio spiaccicato sulla faccia, quasi offeso. 
Trovandoselo finalmente davanti agli occhi, gli posò una mano sulla guancia in un gesto gentile e involontario, anche se lui stava evitando in tutti i modi di guardarla. 
“Sei ferito!” 
“Sto bene.” 
Quel tocco sembrava comunque averlo calmato, come se attraverso di esso un flusso positivo avesse disteso le sue membra e placato molta della sua collera.
In quel momento però la navigatrice si accorse di qualcuno che li stava osservando proprio dietro Zoro, con le braccia incrociate e un sorriso malandrino sul viso. 
“R-rrufy?” 
Era diventata rossa come la camicia del suo capitano, provocando in lui sonore risate. Si allontanò subito da Zoro ritraendo la mano. “D-d-da quanto s-sei qua?” 
Anche lo spadaccino, con i denti stretti, e il sudore freddo sulla fronte, si era dovuto voltare, maledicendosi per essersi distratto, dal momento che non lo aveva sentito arrivare. 
“Da un po’ “ripose, continuando a sorridere con dei pensieri inequivocabili espressi dal suo viso. 
Zoro si era quasi paralizzato per essersi fatto beccare in un atteggiamento che non gli apparteneva. Un atteggiamento che stupiva anche lui. 
 “Torniamo alla nave.” 
Decretò, facendo finta di nulla e rimettendosi in cammino per primo, superandoli entrambi.  
 
Nami sbuffò. 
“Guarda che il porto é dall’altra parte.” 
 
 
   
 
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