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Autore: Chiccagraph    16/09/2021    0 recensioni
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Chi si allontana non se ne va mai a mani vuote, ruba sempre un po’ dell’anima dell’altro.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sono passati circa sei anni da quando sei stata lì la prima volta. Hai un ricordo vivido di quella giornata. Il cielo era grigio, nuvole cariche di pioggia si rincorrevano sulla tua testa. Presagio del violento temporale che da lì a poco sarebbe scoppiato.
Fulmini e tuoni in lontananza illuminavano l’aria creando un dipinto spaventoso nel cielo.

Ricordi perfettamente il viale alberato che hai percorso prima di arrivare allo spiazzo dove hai parcheggiato la macchina. Il suono dei ciottoli che schizzavano via nell’aria spinti dalle ruote delle macchine, mentre lentamente, come in una processione, una dopo l’altra si parcheggiavano al tuo fianco. 

Hai chiuso la portiera della macchina e sei caduta in un silenzio perfetto, con la schiena poggiata sullo sportello e le mani strette sull’addome.

Non era ancora visibile, ma c’era una vita dentro di te, una gioia profonda e agognata che respirava e cresceva attraverso i tessuti dei tuoi organi.

Avevi finalmente coronato il tuo sogno, eppure il freddo gelido che sentivi stringersi attorno al tuo cuore era così lontano dal soffio di aria calda che ti aveva accarezzato l’anima la prima volta che avevi scoperto di essere incinta. Il ghiaccio era così denso e spesso da congelare tutti i tuoi sentimenti. Da creare una voragine così profonda da trascinarti sempre più in basso senza nessun appiglio a cui aggrapparti per rallentare la caduta. 

Come si può scoppiare di felicità quando dentro ti senti morire?

Era questa la punizione che il karma ti aveva riservato? 

Morire di una felicità silenziosa? 

Nessuno tra i presenti conosceva il tuo piccolo segreto. Nessuno tranne lei e La Flaca. 

Ironia della sorte entrambe le donne ti avevano lasciata per sempre. Lasciandoti sola in uno spazio senza fine dove il cielo e la terra si confondevano, senza rumore, tutto immobile. Spento.
Sentivi il vuoto pesante della loro assenza, perché chi si allontana non se ne va mai a mani vuote, ruba sempre un po’ dell’anima dell’altro.
Ed è proprio così che ti senti ora, derubata della tua stessa vita. Derubata della linfa vitale che ti scorreva nelle vene come un torrente in piena.
Sola. 

Sei ancora viva, ma respiri a malapena. 

Credevi di essere in grado di gestire questi spazi vuoti, quando fantasticavi su una vita nuova lontana dal pericolo e dall’ombra della sua presenza ingombrante. Da lei che da sempre additavi come la causa di tutti i tuoi mali e di tutti i tuoi errori. Ma forse era proprio questo il problema. Continuavi a ripeterti che Zulema fosse il veleno, e credevi che liberandotene la tua vita sarebbe cambiata; che avresti invertito il flusso della corrente che ti trascinava alla deriva e avresti nuovamente acquistato la forza di nuotare in mare aperto… in realtà non era solo lei ad essere nociva per gli altri. Lo eri anche tu. Lo eravate entrambe.

Anche non volendolo le cariche dei vostri poli negativi si attraevano sempre di più, violando palesemente ogni legge della fisica, fino a raggiungere quel punto di rottura che vi avrebbe obbligate a spingervi via.
Per poi attirarvi nuovamente insieme. 

Tirandovi e allontanandovi in quella ruota di sentimenti che continuava a girare senza sosta facendovi in un primo momento toccare il cielo e quello successivo accarezzare la durezza della terra. 

Tra le dune del deserto avevi preso la decisione più dura. Avresti potuto invertire il ciclo degli eventi, questo lo sapevi bene. Sarebbe bastata una parola, uno sguardo, e il flusso di energia che ti attraversava sarebbe passato dal tuo corpo al suo e – forse – vi avrebbe salvate entrambe. 

Ancora una volta, però, avevi agito egoisticamente, pensando che la sua vita non valesse la tua e hai tirato via la mano, espirando dal suo corpo ogni desiderio di vivere. 

La tua vita in cambio delle persone a te più care. D’altronde si sa che quando si fa un patto con il Diavolo, prima o poi viene sempre a riscuotere. 

E quando il Diavolo t’accarezza vuole l’anima. 

Tuo padre, tua madre, La Flaca, solo tuo fratello era scampato all’ineluttabile bagliore della morte.
La morte aveva avvolto la tua vita come un mantello scuro, avvolgendo nei suoi drappi una dopo l’altra tutte le persone che ti erano vicine… e poi era toccato anche a lei, l’unica donna che non credevi potessi perdere. 

Vi eravate ripromesse che nessuno avrebbe potuto uccidervi, tranne voi stesse. 

Dovevi saperlo che la vostra specialità era quella di romperle, le promesse.

Il tuo assenso silenzioso è stata la prima pallottola che ha perforato la sua pelle. Un proiettile invisibile in grado di passare abbastanza vicino al cuore da lasciarla viva, sanguinando lentamente. 

La credevi immortale, intoccabile, infrangibile. E sei rimasta a guardarla incredula, mentre la sabbia del deserto ricopriva di miseria il dolore che ti spezzava il cuore.
L’hai guardata da lontano, al riparo dagli spari, e mentre una lacrima ti scivolava sulla pelle - come il suo corpo nel deserto - hai capito che lei non era eterna, ma era fatta di carne e di ossa, proprio come te.
Dura così poco sentirsi immortali, la nostalgia, però, te la porti dietro per tutta la vita.
La nostalgia è uno dei sentimenti più pericolosi. Si insidia dentro di te e non ti lascia andare. Mai.
E ora, quel desiderio pungente mischiato a un forte rimpianto malinconico, faceva sì che i tuoi stati d’animo si alternassero tra la felicità dei ricordi e la tristezza dell’assenza. 

E tutte le volte che sentivi forte la sua assenza, ti mancava come l’aria. 

Il ricordo, lo sapevi bene, non consola… la pensavi in ogni istante, e il ricordo non placava niente. 

Il tempo si era fermato nel momento in cui la sua voce aveva squarciato l’aria, come una luce bianca che cancella le ombre. Non faceva più né freddo né caldo, in fondo poteva essere l'aldilà.
Rumori? Nessuno, neanche a tendere ben bene le orecchie.
Congelata, immobile sul tuo posto, guardavi davanti a te senza vedere nulla. Persa in un punto indefinito del paesaggio. Sentivi l’elicottero scendere e atterrare a pochi metri di distanza, spostando violentemente l’aria con le pale in movimento, ma non sentivi nulla. Solo un leggero ronzio, o un sibilo, uno zzzzzz impercettibile, che catturava la tua attenzione e la distoglieva dai tuoi pensieri ingombranti.
Solo il suono delle gomme che attaccavano la sabbia risvegliò il tuo corpo dandoti la forza di gettarti in avanti, verso la libertà.

Il tuo corpo si era salvato, la vita che portavi nel tuo ventre si era salvata… il tuo cuore era sprofondato nella sabbia e perso per sempre. 

Bastava un no nulla per ripotarti con la mente a tutti quei momenti che avevi condiviso con lei.
In quelle occasioni ti sentivi come un relitto immerso nelle acque profonde e buie dell’oceano.
I suoni intorno a te erano ovattati, incapaci di raggiungerti. C’eri, ma al tempo stesso non sentivi niente, come se stessi sott’acqua e tutti il mondo in superficie. Un rumore di sottofondo accompagnava le tue giornate cullandoti tra le sue braccia, non permettendoti, al tempo stesso, di riemergere. Ti sentivi persa e in balia delle onde. Bastava un attimo e la corrente dei ricordi ti portava al largo attirandoti in profondità, lasciandoti languire sui fondali fino a che non sentivi i polmoni bruciare e il bisogno d’aria farsi necessario. A quel punto riemergevi e respiravi a fatica, con la bocca aperta, ingoiando l’aria e buttandola a grandi boccate nei tuoi polmoni. Con gli occhi sbarrati guardavi il mondo intorno a te, il cuore accelerato e il fiato corto per la mancanza d’ossigeno. 

Rosa era la tua bolla vitale. Il tubo d’aria a cui ti attaccavi quando i ricordi prendevano il sopravvento e ti annebbiavano la vista. 

Durante i primi mesi ti svegliavi spesso nel cuore della notte urlando il suo nome, con il volto bagnato dalle lacrime e le mani sudate. Il suono degli spari accompagnava i tuoi incubi conducendoti dentro i tuoi ricordi.
Potevi sentire il dolore degli strappi che laceravano la tua pelle, con la stessa intensità e con lo stesso dolore che aveva provato lei tra la polvere del deserto.
Ti sei chiesta più volte se c’era un modo per annullare l’incantesimo che teneva le vostre vite legate insieme. Come lo Ying e lo Yang avevate piantato le radici l’un nell’altra e ora eravate interdipendenti, con la stessa origine, non in grado di sopravvivere l’una senza l’altra.
E adesso che la sua anima aveva lasciato la sua essenza terrena, risiedeva nel tuo corpo. Ferendoti internamente. Una fitta costante, come se avessi una lancia incastrata nello sterno. 

Il corpo caldo di tua figlia al tuo fianco aiutava a lenire le ferite, ma non poteva rimarginare i tagli.

Era bello quando da bambina bastava accendere la luce per far scomparire i mostri dell’oscurità.
Ora non riuscivi a trovare l’interruttore in grado di fermare la tua mente.
La luce era sempre accesa e illuminava tutto quello che c’era sbagliato nella tua vita.

Non potevi far altro che aspettare, senza forzare il processo di guarigione.

Il lutto ha una sua tabella di marcia, e non puoi scendere finché il viaggio non è finito.

Con il tempo ti sei arresa e hai imparato a convivere con i tuoi demoni, lasciandoti accompagnare per mano negli spazi più reconditi della tua mente. 

Sei sempre stata ghiotta di punizione, e pensi che sia la metà del motivo per il quale ti ritrovi oggi in questo cimitero locale. Dovevi passare in città questo fine settimana per il compleanno di tua nipote.
E invece eccoti qui.
I tuoi sensi ti avevano trascinata in automatico verso di lei.
La legge delle calamite probabilmente funzionava anche nell’aldilà, pensi con un sorriso triste appena accennato. 

Le prime gocce iniziano a scendere e a bagnare il terreno. Si accumulano sulla punta dei tuoi stivali e scorrono di lato ricongiungendosi con la terra. Sono passati tanti anni, ma la costrizione che senti nel petto a ogni respiro che prendi non è cambiata. 

Chiudi gli occhi e inali profondamente. Non ti sono mai piaciuti i ricordi che la città evocava.

Sai esattamente dov’è la sua tomba, e in breve tempo ti trovi accanto ad essa, in silenzio, mentre il freddo ti morde la pelle delle guance. Ti passi una mano sotto gli occhi e ti sorprendi che ci siano ancora delle lacrime dopo tutto questo tempo. 

Ti incammini su quel sentiero che potresti percorrere anche ad occhi chiusi; visto le tante volte che ti è apparso in sogno.

Guardandoti intorno puoi ripercorrere con la mente ogni fotogramma di quella giornata. Non ti sei sentita la benvenuta, anche se nessuno di loro ti abbia detto nulla per darti quell’idea. C’era qualcosa, però, in molti dei loro occhi, in particolare in quelli di Saray, che ti dicevano che non avevi il diritto di essere lì. Lo sguardo della zingara – la sua hermana – ti accusava senza bisogno di parole.
I suoi occhi seguivano ogni tuo movimento, velati da una patina di odio e disprezzo.

Nessuno si era preoccupato dello stato in cui ti trovavi. Nessuno si è chiesto quanto fosse pesante il tuo cuore in quel momento, e del fatto che il loro silenzio, se possibile, fosse più doloroso delle pallottole che avevano attraversato la tua carne durante quella folle corsa. 

Nel momento esatto in cui hai avvertito il loro sguardo posarsi sul tuo, hai sentito un pugnale entrarti nella parte più tenera del petto. 

Ricordi i passi di Saray che si avvicinavano, coperti dall’incessante rincorsa dei tuoi battiti nelle orecchie. Era come se in quel momento anche la pioggia avesse smesso di battere, come se il vento avesse smesso di scuotere le fronde degli alberi e la terra di vivere. Era tutto fermo nel pesante respiro della morte.
Non hai mai alzato lo sguardo dal pavimento, impaurita dal fatto che ci fossero delle lacrime nei tuoi occhi.
Non ti sentivi neanche nel diritto di piangere.
Non hai più diritto di fare nulla quando accetti che la donna che ami sacrifichi la sua vita per la tua. 

Accanto alla tomba c’è un vaso con dei fiori finti. Zulema li avrebbe odiati. 

Li raccogli, prendendoli dal gambo, e li getti sul terreno lasciandoli disperdere nell’erba.
Lei li avrebbe gettati in aria con una maledizione. 

Ti avvicini al marmo e passi un dito sulla parte superiore delle lettere che compongono il suo nome, agganciando al polpastrello uno strato di polvere bagnata. 

 

 

ZULEMA ZAHIR

1969 – 2021

AMATA

 

 

In qualche modo, “amata” non dice tutto quello che dovrebbe dire, hai pensato a questo in questi ultimi sei anni.

Zulema è l’unica persona che ti ha fatto sentire amata nella tua vita marcia.

Zulema è l’unica persona che avresti voluto al fianco di tua figlia.

Zulema è l’unica persona che ti ha fatto sentire libera, anche quando indossavate la stessa tuta gialla respirando l’aria stantia della cella. 

Ed è proprio di quella libertà che si nutrivano i vostri sentimenti. 

Lei non aveva bisogno di parole per dirti quello che pensava, i suoi occhi ti avevano sempre svelato tutti i segreti che nascondeva la sua mente. 

Voleva che tu fossi felice, ovunque fossi, con chiunque fossi.

Sapevi che sarebbe sempre stata al tuo fianco, con lo sguardo rivolto verso di te, osservandoti di nascosto.
I suoi occhi erano sempre fissi su di te. Perché eri la sua casa, e in parte, solo in parte, lei era la tua. 

Affondi nell’erba accanto alla sua lapide. Le ginocchia sprofondano nel suolo, bagnandosi della rugiada della mattina. 

Un singhiozzo ti sconquassa il petto, facendoti vibrare il cuore. 

Hai cercato con tutta te stessa di andare avanti, non per dimenticarla, ma per prendere le distanze dal dolore. Perché pur volendo era impossibile cancellare i ricordi. Ti afferravano in ogni momento, annientandoti. In un primo momento era stato difficile, ma con il tempo avevi capito come annegarli in uno stato di foschia che ti avrebbe permesso di proseguire con la tua vita.

Ora era finita. Finita per sempre. 

Non c’è più nulla che puoi fare per cambiare il destino; e per quanto ti spezzi il cuore continui a ripercorrere con la mentre la vostra ultima conversazione, che è incisa come chiodi nella tua pelle. 

"Cuídate, ya no estás sola", poche semplici parole che ti avevano annientato con la forza di una testata nucleare.

Delle gocce di pioggia ti colpisco la pelle del viso. Solo ora ti rendi conto che sei appoggiata con la schiena alla sua lapide con lo sguardo rivolto verso l’alto; a fissare quel cielo infinito che si distendeva ogni notte sulle vostre teste e che tanto amavate osservare. Insieme. 

Pioveva anche l’ultima volta che sei stata qui e pensi che questa sia una cosa buona in un certo senso. La pioggia ha modo di lavare via tutto: i ricordi, i sentimenti, il male, il dolore, tutto.
La lasci scorrere sul tuo viso. Ora non sei più in grado di riconoscere il percorso delle lacrime da quello della pioggia.
La pioggia può pulire tutto e forse, se ti concentri a sufficienza, sarai in grado di liberarti della sua immagine sfocata anche solo per pochi secondi. 

Stacchi il tuo corpo dalla pietra fredda. Baci due dita della mano sinistra e le premi delicatamente verso la parte superiore del granito leggermente eroso, chiudendo gli occhi per un momento. 

Mentre ricacci indietro la nuova tornata di lacrime che hanno iniziato a scorrere senza sosta sulle tue guance pensi che ti manca, come ti è mancata tutti i giorni negli ultimi sei anni. Sei stanca di essere sola, sei stanca di vivere senza il suono della sua risata, e ti disperi all’idea di non poterla più riabbracciare. Ti è stato concesso così poche volte di farlo, e adesso rimpiangi quello stupido orgoglio che non ti aveva permesso di fare ciò che volevi. Quelle poche volte che era successo, i vostri corpi si erano incastrati così perfettamente insieme, da sembrare i due pezzi mancanti del puzzle delle vostre vite.

Vorresti che fosse qui, o che tu fossi lì, o che foste in qualsiasi altra parte, ma insieme. 

Perché anche se non hai avuto il tempo di dirglielo, sai bene che lei sarà sempre il tuo solo destino.
E ora che il tempo si è esaurito puoi soltanto amare il suo ricordo. 

Ci sono persone che fanno talmente parte di te che te le porti semplicemente dietro. Ovunque. In ogni momento. In ogni tempo. 

«Ti amerò sempre» respiri, dolorosamente. 

Le parole abbandonano la tua bocca e il sussurro si disperde nell’aria. L’aria è calda e pesante; si aggrappa alla punta delle tue dita, grigie come cenere. 

Dicono che si muoia due volte. Una volta quando si smette di respirare e una seconda volta, un po’ più tardi, quando qualcuno dice il tuo nome per l’ultima volta.

«Zulema» ripeti il suo nome a bassa voce, immaginandoti che sia la sua voce roca e raschiata dal fumo a pronunciarlo. Il brivido che ti percorre la spina dorsale è reale e ti rimane impresso a lungo nelle ossa. 

Arriverà qual giorno in cui riuscirai a pronunciare il suo nome senza sentire quella fitta di dolore che ti attraversa il cuore. Che riuscirai a pensare a lei come un dolce ricordo, e non come un triste rimpianto. 

Si guarisce un giorno alla volta, ma mai per sempre.

   
 
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