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Autore: Nocturnia    22/09/2021    1 recensioni
A volte è bella come il primo giorno in cui l'ha incontrata; altre, indossa la lorica del guerriero e da quel buco slabbrato gocciola sangue a ogni respiro.
"Sta crescendo bene."
Stuart strizza gli occhi sotto la debole luce della candela, si sistema gli occhiali sul naso.
"Stai facendo un buon lavoro."
Genere: Angst, Dark, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Chris Redfield, Claire Redfield, Nuovo Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Incest
- Questa storia fa parte della serie 'Withering bones'
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"Have all beautiful things sad destinies?"
- Jean Rhys -





This is why I was born




La casa in cui trovano dimora ha quattro stanze, un piccolo lembo di terreno coltivabile alle spalle e il fiume a pochi minuti di cammino.
Stuart si stringe la bambina al petto, studia la camera principale - pietra nuda e un grande focolare al centro.
È diversa da tutto quello a cui era stato abituato; a Sushestvovanie le abitazioni erano povere, legno e stoppia.
Il palazzo reale era stato invece un mostro di roccia nera e vetro, un monumento ai suoi abitanti - pellicce alle pareti, tappeti intrecciati lungo i corridoi, fuochi che illuminavano le sale giorno e notte.
La bambina si porta i pugni chiusi al volto, emette un debole lamento.
È più di quanto si aspettasse - sempre meno della grandezza a cui era destinata.
Stuart sospira, appoggia la sacca a terra.
La bambina apre gli occhi, si guarda intorno - ricomincia a piangere.
"Lo so, Eve, lo so." mormora Stuart, cullandola leggermente "Manca anche a me."
Tra le sue dita le spire del serpente giacciono senza vita.


I primi mesi erano stati i più difficili.
Da Raccoon le voci si susseguivano senza sosta; un'emorragia d'informazioni che gli stringeva il cuore a ogni battito.
Eve è ridicolmente piccola: ostinata.
Lo studia mentre legge le ultime missive dalla capitale, cronache di una rivoluzione che sta costando a Redfield più uomini di quanti si aspettasse.
Stuart sospira, si massaggia la fronte - appoggia i gomiti sul tavolo e incassa la testa tra le spalle.
Il Nord è stato smembrato, ridotto a nulla - un grumo di ghiaccio e roccia in cui il Cane a tre teste avanza a fatica.
Senza il Muro e Sergei non c'è più nulla che lo divida dal regno dell'Umbrella, e ciò che è rimasto delle casate viene rincorso dalla furia della Volpe e del Leone.
I Gionne sono caduti - morti, entrambi.
Non c'è stata sepoltura per la loro unica figlia (occhi grandi, paralizzati in una sempiterna espressione di stupore) neppure un sacello sul quale ricordarla (il fiume l'ha inghiottita in silenzio - fili neri tra le dita, attorno al suo polso bagnato.)
Burton ha ora il sud, e con lui la sua codardia.
"Guh."
Stuart si volta, osserva Eve aggrapparsi al bordo del letto e rovesciarsi in avanti.
E qualcosa di rompe ogni volta - in ogni istante.
Si rialza, Eve, e aggrotta le sopracciglia.

Una smorfia conosciuta; che aveva visto decine di volte sul volto di Lady Alex.

Stuart scivola con l'indice sull'inchiostro ancora umido, lascia che diventi una sbavatura nerastra lungo la carta, sotto le unghie.

Sherry.

Si ferma - rilegge il suo nome due, tre volte.

Un'altra orfana di guerra; un'altra vittima di una tragedia annunciata.

Claire Redfield ha preso sotto la sua ala protettrice l'erede di Birkin, assorbendone anche le terre e i possedimenti.
Ha smesso di volare, il Falco, ora nulla più di un pulcino spaventato e tremante.

"Le racconterai di sua madre?"

Stuart storna lo sguardo, lo posa su Eve.

Ricorda.

La memoria è un dolore che non conosce pace.


Eve ha sette mesi e due giorni; Stuart le allunga una pappetta di zucchero e cacao, la osserva rimescolarla in bocca e deglutirla - sorride, e tende poi le mani verso il cucchiaio.
È una vita difficile quella a cui è chiamato rispondere; una vita per la quale, tuttavia, vale la pena combattere.
Se si guarda allo specchio vede un uomo invecchiato di colpo, sfibrato - ha solo quarantasette anni, Stuart, ma la guerra gliene ha cuciti addosso molti di più.
Eve ha gli occhi di suo padre, le labbra di sua madre - è Stuart si chiede se.
Se Lady Alex fosse stata ancora viva - se avesse scelto di restare, e non di consegnarsi alla morte in punta di spada.
Se il re fosse stato ancora sul trono - se avesse schiacciato Simmons come l'insetto che era invece che esserne travolto.
E può vederli, Stuart; può immaginarli.
Un re vecchio, Lady Alex al suo fianco - i capelli ormai bianchi, il viso segnato dalle rughe d'espressione.
Un re che scivola nel sonno una notte per non svegliarsi mai più, un dolore che viene blandito dalla consapevolezza di una vita compiuta, appagata.
Un re che non ha rimpianti, rimorsi; una regina libera, senza il fardello delle menzogne sul cuore, negli occhi.
Può sentirli, Stuart: la risata di Lady Alex, il mormorio sommesso con cui le rispondeva Wesker - sempre.

Una vita piena, che ha adempiuto al suo compito. Un bel sogno, in fondo.

Eve lo cerca - batte la piccola mano sulla sua un paio di volte.
Stuart solleva lo sguardo dalla ciotola, incontra i suoi occhi.

Loro.

I fantasmi sono tutto ciò che resta.


Ogni tanto qualcuno si avvicina alla casa.
Stuart può sentirlo muoversi nella boscaglia, scivolare tra le foglie cadute e il terriccio umido.

Claire.

"Sei più brava di così." l'apostrofa una mattina di primavera, mentre è intento a strappare un gruppo di carote dal terreno.
Stuart si solleva, premendosi una mano sulla schiena, le riserva un'occhiata in tralice.
"Come procedono le cose a palazzo?"
Claire salta giù dal ramo sul quale si era nascosta, si scrolla la polvere dalle ginocchia.
"Potrebbe andare meglio."
"Le casate vi danno problemi?"
Ha occhi diversi, Claire; più adulti, più consapevoli.
"Il Nord." replica, e piega le labbra in una smorfia "Ma tu dovresti saperlo, vecchio." lo canzona, intrecciando le dita dietro di sé.
Stuart emette un suono di gola - una risata trattenuta.
"Io? E perché mai dovrei?"
Claire gli rivolge uno sguardo scettico, solleva il viso verso il sole - rossa tra i capelli, sulle guance.
"Uhm." mormora, chiudendo gli occhi "Le Ombre della Wong non sono le uniche cose che strisciano per il palazzo: Chris ci sta perdendo il sonno."
Stuart strappa un paio di foglie di basilico, le soppesa, sfregandole sotto i polpastrelli e annusandole.
"Vostro fratello dovrebbe distogliere la mente da cose che sono al di là delle sue capacità."
"Gli stai dando dello stupido?"
"No." e la oltrepassa, incamminandosi verso l'abitazione "Dico solo che a ogni cervello il proprio ostacolo."
Claire spalanca gli occhi, apre la bocca - la richiude, quasi offesa.
"Capisco perché tu piacessi tanto alla sorella del re; stesso senso dell'umorismo di merda."
Stuart si permette un solo, sfacciato, sorriso soddisfatto.


Eve fissa la nuova arrivata con un cipiglio severo, fuori posto sul volto di una bambina di appena otto mesi.
Claire si china verso di lei, sorride.
"Ehi." esordisce, cercando di accarezzarle i capelli "Io sono Claire."
Eve arriccia il naso, si reclina all'indietro - la evita.
"Eri più piccola l'ultima volta che ti ho visto, sai?"
Eve la fissa con sospetto, le mani strette a pugno, l'espressione concentrata.
"Appena qualche giorno di vita."
Stuart mette l'acqua a bollire, comincia a pelare le carote.
"Conoscevo tua madre. E tuo padre."
Eve non capisce cosa stia dicendo la sconosciuta, ma segue il tono della sua voce - la mimica del suo viso.
Claire sospira, si solleva.
"È un carattere difficile."
"Non può immaginare quanto."
Eve non smette di studiarla per un solo momento, emette un verso acuto - contrariato.
"Avrei dovuto aspettarmelo."
Stuart taglia le carote in piccole rondelle, le getta nell'acqua calda - vi unisce poi del sedano e un po' di prezzemolo.
Claire si guarda intorno, osserva l'ambiente che la circonda - ne memorizza ogni dettaglio.
"È molto diverso dal palazzo." dice, e non c'è malizia nella sua voce.
"Mi piace." prosegue, sporgendosi fuori dalla piccola finestra e inspirando il profumo del glicine.
Stuart rimescola il brodo un paio di volte, vi aggiunge una generosa porzione di farro.
"È... abbastanza." replica, scegliendo con cura la parola.
"Non credi sia il suo posto?" lo anticipa Claire, inclinando il mento verso Eve.
"No." ribatte Stuart senza esitazione "No, e lo sappiamo entrambi."
"Non è una brutta vita."
"Ma non è la sua."
Claire si appoggia alla parete vicina, lo studia.
"Non può tornare a Raccoon; non ora, almeno."
Stuart piega appena un angolo della bocca, fissa l'acqua bollire.
"Sappiamo bene come non potrà mai tornare a Raccoon, Claire."
Eve si è persa a osservare un farfalla bianca e rossa, la insegue con gli occhi - silenziosa, troppo.
"Se Chris riuscisse a stabilizzare il Concilio nascente forse..."
Stuart sbatte il cucchiaio sul bordo della pentola, si volta.
"Non ci riuscirà." e la sua voce è strozzata, quasi stesse trattenendo altro.
"Il Concilio funzionerà per un paio d'anni, al massimo quindici; fino a quando i figli della guerra la ricorderanno in tutto il suo orrore. Dopo diventerà l'ennesima ferita di questo regno infermo, una cicatrice sbiadita - qualcosa di lontano, che non ci riguarda. E nasceranno i problemi. Le rivalità. Le lotte per il potere."
Claire inspira, incrocia le braccia al petto - si protegge da una verità scomoda e dolorosa.
"Siamo destinati a ripetere i nostri errori, quindi. Non c'è salvezza, via di scampo: una strada già tracciata, percorsa da altri prima di noi."
Stuart annuisce bruscamente, la fissa.
Claire scuote la testa - nega.
"Possiamo cambiare."
"No."
"Possiamo provarci."
"C'è chi l'ha pensato prima di voi."
Claire si morde un labbro, coglie l'allusione di Stuart.
"Era diverso."
"No: era solo molto peggio, Claire. Eve ne è la tragica prova."
La farfalla si posa tra i capelli di Eve, suscitando un verso di sdegno e sorpresa.
Claire si chiede se questo non sia solo il primo capitolo di un'altra epopea di sangue e miserie.


Le terre dell'est sono strette in un'eterna primavera.
Stuart osserva Eve imparare a camminare tra fili d'erba che non hanno mai conosciuto la neve, tra le sue dita fiori di pesco e terra.
È bella, Eve; ha occhi artici, curiosi.
È una bambina attenta, perspicace.
Si aggrappa a un ciuffo d'erba, ricade all'indietro - ride, ed è suono libero, senza ombre.
Dovrebbe esserci Lady Alex a vedere tutto questo, non lui.
Dovrebbe esserci il re a insegnarle a combattere quando sarà il momento, non lui.
È un vecchio nostalgico, Stuart; un uomo che aveva votato la sua vita a una donna che aveva sfidato la Morte a ogni battito - in ogni respiro.
Luciani e Valentine ignorano la sua presenza - solo Claire sa, insieme a suo fratello.
Un male necessario, si ritrova a pensare, sospirando.
Ha ricevuto notizie da corte, e a quanto pare il Concilio è riuscito a trovare un suo equilibrio.
Si strofina una foglia di basilico tra il pollice e l'indice, controlla Eve con la coda dell'occhio.
Il Nord tace, finalmente; diviso tra le casate vincitrici, la Wong e Kennedy hanno assorbito i territori di Simmons, quelli della Radames.
Alla Hunnigan Rockfort, alla signora del Leone ciò che resta di Terragrigia.
È passato quasi un anno, e Raccoon sta lentamente guarendo.
Gli hanno detto che il simbolo del Serpente è stato rimosso, nascosto.
Gli hanno detto che Redfield l'ha fatto perché tutti sapessero che quello era un nuovo inizio, scevro da ogni dubbio, da ogni menzogna.
Non distrutto o bruciato: semplicemente celato.

Una verità a metà.

Eve gli corre incontro, cade solo una volta - rifiuta d'arrendersi.
Stuart ricorda gli occhi di Chris prima di partire per l'Edonia, la sua espressione quando aveva compreso - quando non c'era più stato spazio per alcuna illusione.
Redfield motteggia una verità che è avvelenata dal più pericoloso dei segreti.


Succede una notte in cui la tempesta brucia - ruggisce.
Succede quando un tuono spezza la terra, infrange il vento come un lamento.
Eve compie oggi un anno e Stuart si sveglia di soprassalto, la casa che vibra - percossa come in quelle notti.
Cerca di calmare il proprio respiro, si alza - s'incammina poi verso la camera della bambina.
Non piange, Eve, non urla.
Stuart si stropiccia le palpebre pesanti di sonno, apre la porta della stanza - sussulta quando un fulmine illumina il profilo del letto, quello della donna china sulla bambina.

Donna?

Il primo istinto è quello di attaccare; di estrarre il pugnale che porta sempre con sé legato alla coscia e affondare - chiunque sia non può avere buone intenzioni.
Il secondo è di scappare, perchè quando la donna si volta Stuart la riconosce - non è possibile.
"Stuart."
Fuori, la pioggia ingoia ogni altro suono.


Un cardellino cinguetta in lontananza; porta con sé l'odore della terra bagnata, un cielo incredibilmente terso e pulito.
Stuart apre gli occhi, sbatte le palpebre un paio di volte - nelle ossa un torpore fastidioso, che gli pizzica i muscoli, la carne.
Si alza di scatto, studia l'ambiente che lo circonda - il cassettone alla sua sinistra, il baule ai piedi del letto, il mantello drappeggiato sulla sedia in angolo.
"Eve!" chiama, e gli risponde un gorgoglio sveglio - felice.
Spalanca la porta della sua camera, sospira sollevato quando la vede seduta nel suo lettino - gli occhi che brillano, si frantumano in scaglie azzurre sotto la luce del sole.
"Eve." ripete, e si avvicina - sotto la pelle un déjà vu che lo stritola senza requie.

Schinieri squamati, un mantello che gronda - sangue e pioggia.
Sotto al braccio l'elmo rostrato, sulle labbra lo stesso sorriso arrogante di sempre.
Ha gli stivali sporchi di fango e la spada pende inerte dal fianco - spezzata.
Al petto il Serpente spalanca le sue ingorde fauci, si protende in avanti - non riesce a celare il buco slabbrato che le apre il costato.
"Stuart." ripete quella figura - perché no, non può essere lei.
Eve si protende verso la donna - un viso pallido, esangue; bellissimo nel biancore innaturale della morte.
La donna si volta, le sorride.
La tempesta percuote le pareti della casa, sembra quasi volerla staccare dal suolo e portarla via con sé.
"No." mormora Stuart, e arretra - le dita a sfiorare l'impugnatura della lama.
La donna sposta lo sguardo sulla sua coscia, amplia il sorriso.
"Non puoi uccidere ciò che è già morto, Stuart. E io sono morta."
"Non... non sei reale." esala, ma vorrebbe quasi protendersi in avanti e toccarla - anche solo per un momento.
La donna inclina il mento nella sua direzione, e solo adesso Stuart nota le dita prive di guanti che s'intrecciano a quelle di Eve.
Alexandra Wesker è un silenzio che infrange ogni altro rumore.

Eve solleva il viso di lui, gli rivolge un'occhiata interrogativa.
Stuart vorrebbe dirle qualcosa, ma ogni parola muore quando vede cosa la bambina stringe tra le dita - con che oggetto stia giocando.

Una serpe d'oro e diamanti; tra le sue spire un rubino che gocciola sangue e memorie.

Posa lo sguardo sulla parete nella quale aveva nascosto sia l'anello che il ciondolo di Lady Alex, la scopre ancora intatta.
Si avvicina con mani tremanti, sposta le mattonelle una a una - trova solo un pugno di monete e il corpo arrotolato della collana.

Come...?

Eve lo guarda e ride.


Ci sono momenti in cui la solitudine è l'unica risposta alla sua confusione.
Chris si siede, incrocia le gambe sotto di sé.
"Un anno." inizia, e fissa un punto imprecisato alla sua destra.
"È passato un anno."
Le cantine tacciono, avvolte nel loro sudario di memorie e ricordi.
"Sono riuscito a forma il Concilio; hanno risposto tutti, nessuno escluso."
Pesanti broccati, teli grigi e sporchi di polvere, illuminati solo dal debole riverbero del crepuscolo.
"Il Nord è stato sconfitto: diviso."
Un refolo d'aria gelida lungo le caviglie, sulle guance.
"Claire dice che devo stare attento. Che il Nord è come la neve: cela, nasconde. Che sotto il suo candore si nasconde la stessa merda di sempre."
Il fruscio della stoffa che sfrega sull'impiantito, uno squarcio d'oro e rosso che cattura la sua attenzione.
Chris china il capo, si preme i pugni chiusi sulle tempie.
maledettamente difficile."
Un sospiro; un rantolo esausto.
"Sono così stanco."
Silenzio.
Chris si alza, si avvicina a un telo che appare più pulito degli altri - più recente.
Lo sfiora con la punta delle dita, si ferma a pochi centimetri dal bordo.
"Mi fidavo di te."
Stringe la stoffa ruvida tra i polpastrelli, digrigna i denti.
"Mi fidavo di te, e ci hai condotto in una guerra da cui nessuno è uscito vivo."
Chris inspira con forza, libera un grido a metà.
"Claire non è più stata la stessa da allora; tormentata, inquieta. Occhi stanchi, più vecchi."
Redfield rialza lo sguardo, incontra solo il vuoto di un lenzuolo anonimo e insignificante.
"Sa troppo, Claire; ha visto troppo. E nulla potrà adesso cancellare quelle immagini, sire. Nulla potrà restituirmi mia sorella, le mie illusioni. Nulla."
Chris lascia ricadere la mano lungo il fianco, sconfitto.
Il potere è una bestia che chiede e basta.


Una storia spezzata è una storia lasciata a metà: incompleta.
Ci sono molte domande che affollano la mente di Claire (troppe) e nessuno in grado di risponderle.
La riserva di caccia di Raccoon è l'unica cosa che la guerra non è riuscita a toccare - inviolata, bellissima.
Claire appoggia l'arco sulle ginocchia, si siede - accoglie l'alba in silenzio.
Non è venuta per cacciare - non questa volta.

Crick.

Un sorriso a metà; una piega esile, tiepida.
"Mi dispiace averti svegliato."
Chris si lascia andare al suo fianco, i capelli spettinati, un accenno di barba sul volto stanco.
"Uhm." dice solo, e si stropiccia le palpebre "Tanto avrei dovuto alzarmi comunque."
Claire annuisce; fruga nella sua sacca e gli porge un pugno di noci.
Chris le accetta, grato: comincia a masticare lentamente, fissando l'orizzonte lattiginoso.
"Come vanno le cose?"
"A palazzo, intendi?"
Redfield scuote la testa, deglutisce.
"A casa."
Claire sospira, si tocca il nodo che le raccoglie i capelli sulla nuca.
"Ha compiuto due anni da poco."
Un cenno del capo; un gesto distratto con la mano.
precoce; sa ascoltare, e parlare piuttosto bene per una bambina della sua età."
Un cervo gli attraversa la visuale, scivola nella boscaglia sottostante.
"Ha detto la sua prima parola a otto mesi."
Chris le riserva un'occhiata in tralice, ancora offuscata dal sonno.
"Stuart non me l'ha voluta dire."
Claire strappa due fili d'erba, comincia a intrecciarli tra loro.
"Non dovresti affezionarti." la interrompe, sospirando "Non a quella bambina."
Aggrotta le sopracciglia, si concentra sul movimento delle sue dita.
"Lo so."
"Eppure lo fai comunque."
Claire tira - strappa, e lascia cadere i fili d'erba a terra.
"Non..." inspira, chiude gli occhi "Non è colpa sua, Chris."
"Non cambia ciò che è; che rappresenta."
"Nessun figlio dovrebbe espiare per i peccati dei propri genitori."
Chris indurisce lo sguardo, serra la mandibola.
"Il Concilio è fragile, Claire: tutto si basa sulla caduta della monarchia e sull'assenza di un erede legittimo."
"Eve non è legittima, in tal senso. È figlia di Alex." sottolinea, e coglie il tic nervoso che scuote lo zigomo di suo fratello.
"Non è dimostrabile; che sia uguale al re, oppure a sua sorella, non cambia: il sangue è quello, e Stuart si porterà il segreto nella tomba. Chiunque la vedrà non potrà fare a meno di cogliere la somiglianza con l'uno o con l'altro."
"Scoprirà la verità, Chris. Un giorno non sarà più una bambina, ma una giovane adulta consapevole del suo retaggio."
Claire si volta, offre al sole il suo profilo migliore - un ricordo e una promessa.
"E allora cosa farai, fratello?"
Il silenzio di Chris è un macigno nel cuore d'entrambi.


A volte è bella come il primo giorno in cui l'ha incontrata; altre, indossa la lorica del guerriero e da quel buco slabbrato gocciola sangue a ogni respiro.
"Sta crescendo bene."
Stuart strizza gli occhi sotto la debole luce della candela, si sistema gli occhiali sul naso.
"Stai facendo un buon lavoro."
Le Ombre della Wong osservano l'operato di Redfield, lo giudicano equo - abbastanza soddisfacente.
Un rumore metallico, asciutto; cinghie in cuoio, schinieri placcati di nero e rosso.
"Ha già chiesto di noi?"
Parla sempre al plurale, Alex; non dimentica mai per chi è morta - come.
Stuart finisce di leggere il resoconto delle sue spie, getta poi la lettera nel fuoco.
È seduta davanti a lui, Alex; il cosciale sinistro scheggiato, la placca che protegge il pettorale sfondata.
"Sì." mormora, e si perde a studiare il complicato intreccio di serpenti che le decora gli spallacci.
"Cosa le hai risposto?"
Stuart solleva lo sguardo, ormai abituato a quello che l'aspetta.
Il volto di Alex è pallido, troppo; terreo.
Labbra bianche, occhi trasparenti - Alexandra Wesker è una curva esangue intrappolata in un'armatura nerastra e combusta.
Gli sorride, e il labbro inferiore si fessura leggermente.
"Sono morta, Stuart; mi hanno spaccato il cuore con una mezza spada, e poi il Fuoco Eterno ha consumato il resto."
"Perché?"
Alex alza un sopracciglio, incuriosita.
"Perché tornate sempre, mia signora?"
Alex si reclina all'indietro, incrocia le braccia al petto.
"Eve." ribatte, e la fiamma della candela vibra "Per Eve."
Stuart annuisce, percorre con la punta dell'indice una crepa nel legno.
"E anche per vedere come te la stai cavando."
Una risata abbozzata; triste.
"Non avrei dovuto esserci io con la bambina, mia signora, ma lei." rialza lo sguardo, cerca i suoi occhi morti, spenti.
"Lei e il re."
Alex inspira, e l'aria pare farsi improvvisamente gelida.
"Non è un bello spettacolo, mio fratello." sussurra, e c'è qualcosa di caldo nella sua voce; una nota che aveva sempre bagnato le sue parole quando parlava del re.
Stuart picchietta sul bordo del tavolo, scaccia una formica che cercava di arrampicarsi lungo le dita.
"La guerra l'aveva già provato prima che il veleno di Alfred ne contaminasse il corpo."
Uno scricchiolio; il mantello che le blandisce la schiena come una coperta di sangue rappreso.
"La mazza chiodata ha fatto il resto."
Stuart sospira, si sfrega le mani sul viso.
"Sto diventando pazzo, mia signora?" le chiede, e Alex gli sorride - ancora.
"No, Stuart; no." si alza, raggiungendolo e piegandosi alla sua altezza.
"Allora perché riesco a vedervi?"
Alex gli afferra il polso in una presa delicata, rassicurante.
"Perché la nostra storia non è ancora finita, Stuart; ed è tuo compito vergarne l'ultima parola."
Stuart trattiene il respiro quando una seconda mano guantata gli si appoggia sulla spalla e stringe.


Ha cinquant'anni, Stuart, e da alcune donne potrebbe essere considerato piacente.
Ride a quella parola, perché i suoi capelli sono diventati grigi prima del tempo e di sicuro il suo fisico non è mai stato quello di un guerriero, ma dà l'impressione di un uomo affidabile - innocuo.

Simula per dissimulare.

Prende in mano una cipolla, la soppesa con occhio critico - l'annusa, rimettendola poi al suo posto.
"Ehm ehm."
Si volta, incontrando lo sguardo incuriosito di una signora.
"Quelle non sono buone." esordisce, e gli indica la bancarella a fianco "Molto meglio la verdura di Adrio; fresca, e priva di parassiti."
Stuart rivolge un'occhiata in tralice ad Adrio, annuisce.
"È una bella bambina." continua la signora, chinandosi all'altezza di Eve "Come si chiama?"
"Delia." risponde prontamente, e stringe più forte la mano di Eve.
"Un nome importante." replica la donna, sorridendole "Che faccia seria che hai, Delia; la vuoi una mela?"
Eve scuote la testa, la fissa senza paura - piega le labbra in una smorfia.
"Non parla molto." l'anticipa Stuart, studiando la sconosciuta.
La signora si rialza, annuendo; gli porge poi la mano, presentandosi.
"Io sono Igritte, e vivo a pochi passi dalla piazza del villaggio."
Ha occhi vivaci, Igritte, scuri; un viso tondo, leggermente arrossato sulle guance.
Stuart ricambia il gesto, la scompone in silenzio.
"Alan." ribatte, e percepisce Eve irrigidirsi al suo fianco.
Igritte scuote la testa un paio di volte, si morde un labbro.
"Non abiti nel villaggio, vero?"
"No."
"Uhm. Ti vedo spesso al mercato, ma mai per le strade; l'avevo immaginato."
Un carretto ricolmo di lattuga li sfiora, Stuart arretra leggermente.
"Tua figlia?" chiede, e sposta il mento verso Eve.
"No." è la replica immediata "Ha perso entrambi i genitori."
Igritte sposta il peso da un piede all'altro, percepisce la sua diffidenza.
"È molto bella." ripete, e Stuart la coglie scivolare con lo sguardo lungo il profilo aristocratico di Eve; gli occhi artici, gli zigomi già pronunciati, i capelli così biondi da essere quasi bianchi.
"Sua madre era una delle donne più belle del regno."
È c'è orgoglio nelle parole di Stuart, affetto.
Igritte si rilassa un poco (famiglia e prole sono il suo territorio) gli sorride.
"Mi dispiace per la tua perdita."
Stuart inspira con forza, preme un sorriso sulle labbra asciutte.
"La Febbre." le spiega - una storia che si è ripetuto mille volte davanti allo specchio "È morta subito dopo il parto."
Igritte si porta una mano al petto, esibisce un'espressione addolorata.
Stuart sa che quell'emozione è reale, ma non gli importa: non più.
Riconosce la comprensione nei suoi occhi, la pietà.
Riesce e leggervi un moto di vera pena, un sentimento a cui seguirà il suo inevitabile corollario.
Igritte raddrizza la schiena, storna lo sguardo.
"Abito in quella casa laggiù." e punta il dito verso una serie di abitazioni poco lontane dalla piazza "Se mai tu e la bambina doveste aver bisogno d'aiuto sai dove trovarmi."
Stuart la ringrazia, intreccia le dita a quelle di Eve.
La bambina gli rivolge un'occhiata sfuggente, torna a fissare la sconosciuta.
"Lo terrò presente." e si allontana, dandole le spalle.
Eve gli prende una fragola dal sacchetto, se la mette in bocca.
"Pensavo ti sarebbe cascata la faccia dal tanto sorridere."
Stuart alza un sopracciglio, la osserva frugare ancora tra le verdure e tirarne fuori un pugno di more - contarle e annuire soddisfatta.
"Erano le preferite di tua madre, sai?" le confida, incapace di trattenersi.
Eve solleva lo sguardo verso il suo, pupille ristrette dal sole, l'iride artica dei lupi - di suo padre.
"Lo so." risponde, e comincia a mangiarle.
Stuart le accarezza i capelli e si chiede solo quando.


"Cosa mi stai nascondendo?"
Chris affonda, sfrutta il peso della lama e si spinge in avanti - rabbioso, distante.
"Niente." bercia, e scatta - brucia.
Jill lo fissa immobile, e pare quasi nuda senza la protesi artificiale del braccio mancante.
"Non ho tempo per le tue stronzate da eroe caduto, Chris." e morde, Jill, perché la guerra le ha portato via più di un occhio e un arto.
Redfield para, colpisce; si esibisce contro un nemico immaginario.
La Valentine piega le labbra in una smorfia irritata, la pelle attorno all'orbita vuota che si raggrinzisce e cade.
"Merito di saperlo."
"No." ribatte Chris, ed è come essere pugnalati in pieno petto.
"C'ero anche io quel giorno." sibila, furiosa "Da te mi sarei aspettata un comportamento diverso."
Chris espira con forza, assesta un fendente al manichino che lo apre in due.
"Lo so." dice, e non la guarda neppure.
Jill raddrizza le spalle, ingoia un insulto e un grumo di delusione.
"Il potere cambia, eh Chris?"
Tutto in questo presente ha già il sapore della sconfitta.


Ha cinque anni, Eve.
Ha cinque anni, e come sua madre prima di lei è stata colpita dalla Febbre.
Ho un po' caldo, gli aveva detto prima di addormentarsi e perdere conoscenza.
Stuart si era sentito morire - un peso liquido e rovente come piombo fuso che gli aveva divorato la gola, le viscere.
Aveva ricordato le parole di Birkin, l'estratto di Starway of the Sun.
Aveva ripercorso quelle notti con la memoria e il cuore, la prontezza del signore del Falco, il delirio furioso nel quale era caduto il re.
Stuart si porta una mano al petto, la chiude a pugno.
"Non ce la farà." gli mormora lui - e Stuart chiude gli occhi, china il capo.
"Devi chiedere aiuto."
"Non posso."
"Devi." ringhia quella voce - esplode con la stessa potenza di un tuono.
"Io..."
"Fallo." ripete, ed è umida la sua voce - graffiata.
È una voce morta, che è venuta a vomitargli addosso tutte le sue colpe.
Stuart esala un sospiro tremulo, si arrischia a riservargli una sola occhiata - confusa, spaventata.
È tremendo il re nella sua armatura da combattimento.
È un mostro liberatosi dall'oltretomba che vuole la sua carne, la sua anima.
Plic, plic, plic; qualcosa gocciola sul pavimento freddo - e Stuart non sa se sia l'acqua della bacinella per Eve oppure il sangue che vede colare lungo lo zigomo del re.
"È troppo piccola."
"Lo so."
Un cozzo metallico: la punta della spada che si trascina sull'impiantito.
"Hai sempre saputo troppo, Stuart." ed è alle sue spalle, il re; Stuart può sentirne il respiro gelido, l'odore dolciastro della putrefazione e della fatica.
"È ora di fare qualcosa, vecchio."
E non è equo, Wesker; non è giusto, o comprensivo.
È un'anima inquieta, senza pace: un uomo stritolato dalle scelte compiute, dalle parole mai dette.

Dal futuro che lui stesso si era negato.

"Alexandra credeva in te." gli dice, e quando Stuart si volta è ancora quella presenza scomoda e ingombrante - minacciosa.
Sotto l'elmo rostrato bruciano i suoi occhi, paiono tizzoni ardenti.
Stuart riesce a scorgerne il profilo asimmetrico, leggermente incassato dove la mazza chiodata l'aveva colpito - una concavità che gli ricorda quella della frutta schiacciata.
Ha numerose ferite aperte sul corpo, feretoie di carne e sangue.
Gli manca uno spallaccio e il mantello è incrostato di fango e sporcizia - solo il Serpente brilla, e mostra ancora le sue fauci.
"È troppo piccola." ripete, ed è più morbida la sua voce - più umana.
Stuart si umetta le labbra, afferra un foglio, la penna - il sigillo dell'Uroboro.
Il re sfiora la fronte di sua figlia e aspetta.


Un giorno e una notte; tanto impiega Claire a reperire la Starway of the Sun dalle terre di Burton e a spronare Osha ai confini di Ukras, dove risiede Stuart.
"Ho quello che mi hai chiesto." esordisce, alzando un sacchetto verso il suo viso.
"Non è stato facile", aggiunge poi, togliendosi il cappuccio appesantito dalla pioggia.
Stuart le dà le spalle, ignorandola.
Claire si passa una mano tra i capelli bagnati, osserva Stuart pestare i petali del fiore, mescolarli con dell'acqua bollente e filtrare il composto una, due volte, fino a quando non ottiene un liquido quasi trasparente.
"Basta così poco?" gli chiede, e si guadagna un'occhiata irritata.
"No." mormora, e Claire può percepire l'urgenza nella sua voce "Il composto deve essere opportunamente filtrato. Inoltre questa non è normale acqua: vi sono stati aggiunti altri elementi."
"Che tu non mi dirai."
Stuart picchietta il dito sul bicchiere, corre nella stanza accanto - Claire lo segue, dietro di lei impronte di fango e terra.
Eve è pallida, esangue.
Per un attimo Claire ha un orribile déjà vu, e inspira allora con forza - si preme le unghie nel palmo della mano.
Stuart solleva la testa alla bambina, le massaggia la nuca - la incita a bere, prestando attenzione che neppure una goccia vada sprecata.
Claire si stropiccia il mantello tra le dita, reprime un brivido: al suo fianco il respiro dei morti è ghiaccio e dolore.


Una sempiterna veglia; questo sono stati chiamati a fare.
Eve non può saperlo, ma non è sola nella stanza in cui si sta consumando la sua fragile vita.
"Non è possibile." mormora Alex, ed è adesso una puerpera angosciata - bianca sui fianchi, lungo le braccia; tra le cosce una rosa liquida di sangue e altro.
Wesker storna lo sguardo, lo posa sulla porta chiusa - ascolta la voce di Claire, il silenzio di Stuart.
"Non lei." e stringe, Alex; il lenzuolo, la mano di Eve.
Stuart irrompe nella camera, il pulcino dei Redfield poco dietro di lui - i capelli appiccicati alla fronte, lo sguardo ansioso.
Eve emette un debole lamento, lascia che Stuart le dia da bere l'estratto di Starway of the Sun - si raggomitola nuovamente sotto le pesanti coperte.
"Albert." lo chiama, e lui risponde - sempre.
È di nuovo integro, suo fratello; perfetto come nei ricordi dell'ultima notte che avevano trascorso insieme.
"Sopravviverà." le dice, e Alex gli cerca gli occhi - annuisce bruscamente.
Claire li attraversa e vibra di un sentimento che nemmeno la morte è riuscita a sconfiggere.


L'ha vista partire in piena notte, Osha al galoppo e qualcosa stretto al petto.
Non ha fatto domande, Chris - non ha voluto sapere.
Incrocia le braccia al petto, aspetta.
Alle sue spalle la sala del trono è ora diventata quella del Concilio, e scivolano lungo le pareti gli emblemi della casate che ne fanno parte - la Volpe, il Cinghiale, l'Orso, il Cavallo a sei zampe, il Corvo e molti altri.
Si volta, osserva ciò che resta del seggio reale - tre gradini in pietra nera, un tappeto consunto.
Storna lo sguardo, lo posa su quell'unico spazio vuoto che grida - un nulla pieno di tutto.

Uroboro.

Chris si chiede quando ha perso sua sorella tra le spire della Serpe bianca.


"Era successo anche a Lady Alex."
Claire socchiude gli occhi, resiste al sonno.
"Le avevo portato la colazione, come ogni mattina."
Stuart controlla Eve, le sfiora le guance con la punta delle dita - fresche, finalmente.
"Credevo l'avrei trovata già intenta a vestirsi, o di ritorno dalle camere di suo fratello."
Claire ascolta la verità, la menzogna una maschera ormai inutile.
Stuart abbozza un sorriso malinconico, si siede al fianco della bambina.
"Era per terra, piegata in due dalla febbre e dai dolori."
Eve respira piano, pallida - trasparente.
"Nessuno sapeva cosa fare; nemmeno il re."
"La Febbre coglie sempre impreparati." replica Claire, e il ricordo dei suoi genitori è vivo nella sua memoria, reale.
Stuart trattiene una risata a labbra strette, accarezza i capelli di Eve.
"Fu Birkin a salvarla."
"Il Falco."
"Un genio." la corregge Stuart "Un ragazzino la cui mente avrebbe potuto piegare regni interi se la paranoia e l'ossessione non l'avessero consumato."
Claire sospira, si stroppicia le palpebre pesanti.
"Sherry gli assomiglia."
"Lo so."
"Le manca suo padre." aggiunge Claire, alzandosi "E sua madre."
Stuart tace, ascolta Eve - il suo respiro.
"Orfani." continua Claire, e incrocia le braccia al petto "La guerra non lascia altro che orfani e macerie."
Stuart annuisce, strofina il pollice sul dorso della mano di Eve.
"Devo rientrare." esordisce poi Claire, raccogliendo il mantello da terra "Starà bene?"
Stuart storna lo sguardo, lo posa sulla giovane Redfield - il viso stanco, sgualcito da una veglia che è iniziata molto tempo addietro, tra le colonne in marmo del palazzo reale e la neve rossa dell'Edonia.
"Sì." replica, e poi sorride - genuino "Grazie, Claire."
Claire apre la bocca - sta per dire qualcosa - la richiude.
La lunga ronda del Cane a tre teste non è ancora finita.


Eve ha cinque anni, ed è sopravvissuta alla Febbre.
Ha sei anni, e Stuart le sta insegnando a combattere - giusto i rudimenti; parata, difesa, posta frontale e porta di ferro mezzana.
Ha sette anni, e sgrana gli occhi meravigliata la prima volta che vede il palazzo della casata del Cane a tre teste - è enorme, gli dirà, e Stuart vorrebbe replicare che no, quello dei suoi genitori era grande, non questa povera imitazione.
Ha otto anni, e sa adesso difendersi da sola - è tempo di passare agli attacchi; imbroccata, punta dritta e roversa, ridoppio.
Ha nove anni, e ogni giorno assomiglia di più a Lady Alex - dalla postura elegante delle spalle alle labbra piene e sempre piegate in una smorfia beffarda.
Ha dieci anni, e Stuart le racconta dei filosofi del passato; le insegna di come la conoscenza sia l'arma più potente, oltre la spada e lo scudo.
Ha undici anni, e poi dodici - attraversa l'adolescenza tra gli allenamenti e lo studio, una ragazzina quieta, distante.

Un serpente che attende la preda nell'erba alta: l'intelligenza crudele di sua madre, la ferocia velata di suo padre.

Ha quindici anni, e sta crescendo in fretta, Eve; una bambina che non si è mai accontentata delle favole e della loro insipida morale.
"Chi erano i miei genitori, Stuart?" gli chiede, e lui tentenna - sempre.
"Forse sarebbe meglio se..."
"No." lo interrompe Eve, brandendo il cucchiaio come uno scettro improvvisato "Non rispondermi un altro giorno." e rimescola la zuppa, arricciando il naso.
Stuart si siede di fronte a lei, sospira.
Eve lo studia da sotto le ciglia pallide, mette in bocca una porzione di spinaci e mastica - lentamente.
"Dunque?" incalza, e tamburella con le dita sul tavolo.
Stuart incrocia le braccia al petto, si ritrova a pensare a quanto assomigli al re in quei momenti - Eve esige, non chiede. Pretende, non mendica. Ordina, raramente contratta.
Si schiarisce la voce, le indica il pezzo di pesce rimasto.
"Prima finisci il tuo pranzo."
Eve alza un sopracciglio, interdetta.
Stuart la fissa, inamovibile.
"Prima. Il. Pranzo."
Eve si allunga verso il piatto, spalanca la bocca e riesce a ingoiare quasi tutto il filetto di luccio rimasto.
Ha le guance gonfie, e si batte una mano sul costato - spinge, e poi deglutisce, afferrando il bicchiere d'acqua e bevendolo in un colpo solo.
Stuart sorride, perché quella scena gli ricorda Lady Alex - una volta in cui ben poco signorilmente era stata sfidata da suo fratello a mangiare un filetto di cervo grande quanto la sua faccia.

E aveva vinto, peraltro.

Ha gli occhi lucidi, Eve, e si schiarisce la voce - raddrizza le spalle.
Stuart si alza, le fa un cenno con la mano.
"Vieni, Eve; se vuoi sapere chi sono i tuoi genitori prima devo farti vedere una cosa."
Gli errori del passato divoreranno ogni innocenza.


Le racconta di uomo e una donna innamorati.
Le racconta di un re e della sua regina - glieli mostra, e tornano alla vita Albert e Alexandra Wesker da una tela sbiadita.
Si schiude la testa del serpente, e davanti ad Eve compaiono due visi uguali al suo - zigomi affilati, occhi artici.
Sfiora quello di sua madre, ne cattura ogni particolare, ogni dettaglio.
"Mio padre era il re." mormora, e qualcosa si flette nella sua voce - una nota che si fa più profonda, che anni dopo ruggirà e rivendicherà.
"Sì, Eve; il re di Raccoon e dell'Umbrella."
"Ma tu hai detto che non esiste più una monarchia: che il re è caduto tanti anni fa, in combattimento."
"Esatto."
Ed è persa, Eve, confusa; non riesce a sovrapporre la figura del re con quella che vede rappresentata nel ciondolo che pende tra le sue dita.
"E mia madre la regina."
"Non proprio." la corregge Stuart, sedendosi al suo fianco.
"Non capisco." replica Eve, sbattendo le palpebre.
"Il re aveva sposato una donna - Excella Gionne. L'aveva fatto per proteggere la corona, il trono. Per difendere tua madre dalle voci di corte."
Eve lo guarda, occhi grandi - sperduti.
"Il re non l'amava, ma la politica non segue mai i moti del cuore, Eve."
"Ma mia madre era nobile, no? Avrebbe potuto sposarla."
Stuart si morde il labbro, le appoggia una mano sulla spalla - improvvisamente piccola, fragile.
"Tua madre..." e indica il medaglione "...era in una posizione difficile; complicata."
"Quale?" insiste Eve, testarda.
"Il re aveva una sorella, bambina mia. La Serpe bianca. Ti ricordi di lei? Del mito dell'Uroboro e di ciò che significava?"
"Uno il Tutto." ribatte, e si porta l'anello con il serpente al petto - stringe.
"È la frase che c'è scritta qui dentro."
Stuart annuisce, le accarezza i capelli - la sente rigida sotto la sua mano, tesa.
"Bene. Il re era invece la Serpe nera. Fratello e sorella. Uno il Tutto."
Eve socchiude la bocca, torna a fissare l'immagine racchiusa nel ciondolo - riporta poi lo sguardo su Stuart.
"Questa... è sua sorella?"
"Esatto."
Eve impallidisce, preme le labbra in una linea sottile - tutto in lei sembra crollare; una maschera che si scioglie, rovina tra le macerie di una pelle esangue.
"Ma hai appena detto che è mia madre."
"Sono la stessa cosa, Eve."
Eve arretra di colpo, ma Stuart è più veloce e la trattiene vicino a sé - le impedisce di fuggire dal proprio retaggio.
Eve apre la bocca, la richiude; emette un solo, lungo, lamento.
"Io... io...oh."
"Già." le concede Stuart, sforzandosi di sorridere "Oh."
"E sono morti nella battaglia d'Edonia."
"Sì, Eve."
Eve inspira, trattiene un singhiozzo.
"Non volevano abbandonarti."
Eve si piega in avanti, comincia a piangere - lacrime silenziose, che cadono nella quiete della stanza.
"Non hanno avuto altra scelta."
Stringe l'anello di sua madre fino a quando non fa male - sangue tra le dita, sotto le unghie.
La collana scivola a terra, dove rimane - una ferita sempre aperta.
"Eve." la chiama Stuart, e la scuote appena "Eve, guardami."
Il Serpente ha appena inoculato il suo veleno più potente: la verità.


"Glielo hai detto."
"Sì."
"L'hai consegnata a un fardello piuttosto pesante."
"Lo so."
"Le hai raccontato tutto?"
"Sì."
Claire annuisce, storna lo sguardo.
"Deve essere stata una notte piuttosto lunga."
Stuart continua a zappare il terreno, controlla che i solchi siano abbastanza profondi.
"Dov'è adesso?"
"Non lo so."
Claire solleva entrambe le sopracciglia, sgrana gli occhi.
"Come sarebbe a dire non lo so?"
Stuart si solleva da terra, appoggia entrambe le mani sulle ginocchia.
"I rapporti si sono fatti un po' tesi, ultimamente, Claire."
Claire alza le braccia al cielo, gli dà le spalle.
"Non dovevi farlo." grida, furiosa "Non era necessario che sapesse tutto, per la miseria."
"Era un suo diritto."
"No!" esclama Claire, e gli punta l'indice contro "No, Stuart, non lo era. È ancora giovane, e lontana da corte e dal suo schifo."
Stuart arriccia le labbra sui denti, raddrizza le spalle.
"Lady Alex e il re non erano uno schifo, Redfield."
Claire sbatte le palpebre, interdetta.
"Non era quello che intendevo."
"Allora ti consiglio d'imparare a misurare le parole da adesso in poi: hanno un peso, anche se dubito che te l'abbiano mai insegnato."
Claire assottiglia gli occhi, gli rivolge un'occhiata offesa.
"Non fare lo stronzo con me, vecchio: non ti conviene. Non c'è più la tua signora a difenderti."
"Non ne ho mai avuto bisogno."
Claire non arretra, Stuart avanza.
"Era un suo diritto." ripete, e la fissa senza alcuna paura.
"È figlia di un incesto, vecchio: come credi che l'avrebbe presa?"
Stuart scuote la testa, la sorpassa urtandole un fianco.
"Non è per quello che abbiamo discusso."
"Allora per cosa?" replica Claire, irritata, e lo segue fin dentro l'abitazione.
Stuart si lava le mani nella tinozza vicina, indurisce la linea della mandibola.
"Cosa, Stuart?" insiste Claire, e Stuart sbatte sul pavimento lo strofinaccio, fissandolo.
"La Locusta."
Claire lo guarda interdetta - confusa.
"Vuole la Locusta."
"Ma è morta."
Stuart inclina il viso nella sua direzione, le rivolge un sorriso sgradevole.
"Forse dovresti chiedere a tuo fratello, Claire: in fondo, ha lui adesso il potere, no?"
Osha nitrisce in lontananza, il cielo si spegne - nembi improvvisi e grigiastri.
Claire ingoia un grumo di saliva che ha lo stesso sapore della menzogna.


Eve aveva sempre capito di essere diversa: fuori posto.
I bambini del villaggio giocavano con la corda, lei imparava l'uso delle armi.
I bambini del villaggio studiavano le sementi, come sellare un cavallo; Stuart vi aggiungeva anche la storia dell'Umbrella, i suoi re e le sue guerre.
I bambini del villaggio volevano solo una vita semplice - un tetto di paglia sulla testa, un marito o una moglie; una progenie a cui affidare i loro campi, quel poco che avevano.
Eve non si era mai sentita a casa tra i loro poveri sogni.
Si era chiesta come mai non provasse le stesse cose; perché non si sentisse in colpa, se c'era qualcosa di così sbagliato in lei da farle desiderare di più - da spingerla oltre i confini di Ukras.

Sei figlia del re, Eve: del re e di sua sorella.

L'anello di sua madre le fascia l'anulare destro, gocciola sangue e memorie.
È pesante il serpente al collo, ossidiana e argento - una bocca spalancata nell'atto di attaccare, le spire contratte nell'ultimo affondo.
Eve ne apre la testa, li osserva.

Sono uguale a loro.

Un riflesso morto, una crudele simmetria; Eve li fissa, ed è come guardarsi in uno specchio.

Ho gli occhi di mio padre.

Il fiume scorre placido ai suoi piedi, una trota le lambisce appena la caviglia.
Sua madre è bella, e Eve si sorprende sorride a quel pensiero.
Non ha lo sguardo piegato delle donne del villaggio, quello illuso delle ragazze della sua età.
Sono pieni d'orgoglio gli occhi di sua madre, accesi - vivi.
Ha un sorriso a metà sulle labbra - arrogante - e il mento sollevato in un atteggiamento di sfida.
Eve si specchia nell'acqua limpida del fiume, cerca d'imitarla - piega la bocca in una smorfia.
Le assomiglia, ma è ancora giovane Eve, e il dolore è una sfumatura che le trasforma in lineamenti - li sgualcisce.
Studia suo padre, la mimica inflessibile del suo viso - zigomi alti, occhi spietati.
Incute timore, suo padre; ricorda uno di quegli idoli del Nord di cui Stuart le ha raccontato - Nysskel e la sua faccia di pietra e ossa.
Eve chiude il medaglione di scatto, stringe le dita - il cuore.

"Chi?"
Stuart la guarda confuso, aggrotta le sopracciglia.
"Chi li ha uccisi?"
"La guerra, Eve."
"Stronzate." ringhia, e batte la mano aperta sul tavolo "La guerra la fanno gli uomini, Stuart, non il ferro."
Stuart indurisce lo sguardo, si alza.
"Non seguirai quella strada, Eve."
"Non puoi impedirmelo."
"Sono tutti morti."
"Allora cosa custodisce la Torre Rossa?"
Silenzio.
"Perché gli uomini del Corvo la pattugliano giorno e notte, uhm?"
"Come fai a saperlo?"
"Me l'hai raccontato tu." replica, alzando l'indice nella sua direzione "La leggenda della Locusta che finì seppellita dalla sue stesse ambizioni. Lo sciame che attendeva, paziente. Lo Scorpione e la sua caduta."
Stuart deglutisce, si porta una mano alla gola.
"Puoi anche aver parlato per metafore, ma il significato non cambia."
"L'hanno vista bruciare."
"E io la vedrò morire." ribatte Eve, fissandolo.
"Non è questo che avrebbero voluto i tuoi genitori."
Eve gli rivolge un sorriso sgradevole, così simile a lui.
"Mia madre mi ha lasciato appena nata per morire con mio padre; non credo possano farmi lezioni di vita postume, Stuart."
"Ti voleva bene."
"L'amore non ha mai salvato nessuno, e loro ne sono la prova."
"Hai un'altra scelta, Eve."
"Il mio sangue dice di no."
Stuart osserva il Serpente destarsi dal suo lungo sonno e attaccare.

Sotto il sole di quella primavera precoce gli occhi di Eve sono ghiaccio e rabbia.


"Mi hai mentito."
Chris solleva appena lo sguardo dai documenti del Concilio, la fissa.
"Non so di cosa tu stia parlando."
Claire avanza, la lunga treccia rossa che le scivola tra i seni.
"Non dirmi cazzate." ribatte, e gli strappa di mano i fogli "La Locusta."
Cade quella parola - quel nome.
Cade, e schiaccia - distrugge, sempre.
Chris cerca i suoi occhi, indurisce la linea della mandibola.
"È morta."
"Bugiardo."
"Il Fuoco Eterno l'ha bruciata viva."
Claire emette un verso frustrato, sbatte un piede al suolo - si protende verso di lui.
"La Torre Rossa."
Silenzio.
"Ci sono stata, Chris."
Un moto di sorpresa in quegli occhi uguali ai suoi; di vergogna.
"Ho quasi rischiato di farmi ammazzare dalle Ombre della Wong, ma ci sono stata e ho visto."
Redfield si alza, appoggia le mani sul tavolo - si avvicina.
"La Locusta è morta." ripete, e Claire chiude le dita in pugni chiusi - ne alza uno verso il suo viso.
"Un'altra stronzata e ti spacco il naso."
Redfield ride - un guaito asciutto, aspro.
"Perché la Wong pattuglia la Torre Rossa?"
Chris non cede terreno, non arretra - mantiene la posizione da bravo soldatino quale è.
"Carla è viva." mormora Claire, e non è più una domanda "È viva, e tu me l'hai tenuto nascosto."
Chris inspira con forza, chiude gli occhi.
"Sì."
Claire china il capo, afferra le carte del Concilio e le scaraventa sul pavimento.
"Come?"
"Ada l'ha trovata ai margini del campo di combattimento, irriconoscibile. Il Fuoco Eterno le aveva divorato la faccia, il corpo, ma respirava ancora."
"E invece che infilarle un coltello nel cuore l'avete imprigionata. Trascinata via e curata."
"Ada pensava potesse tornare utile, prima o poi."
"Il Corvo non siede a capo di questo Concilio, Chris! Il Corvo ha sempre un secondo fine, un altro scopo oltre quello che racconta."
Chris sospira, digrigna i denti.
"Non sapevo ancora se questa cosa del Concilio avrebbe funzionato, Claire. Il Nord mi si è subito ribellato, scivolandomi via dalle mani come sabbia. Avevo bisogno del sostegno della Wong, e di un'eventuale merce di scambio."
"No, Chris." lo contraddice Claire, scuotendo la testa "La verità è che hai avuto paura."
Si allontana, Claire, e gli rivolge uno sguardo deluso - ferito.
"La verità è che il potere ti ha logorato, consumato; non hai saputo gestirlo, non hai voluto chiedere aiuto."
Claire si preme una mano sugli occhi, libera un respiro tremulo
"Non ti sei fidato di Barry, o di Jill."
Chris le sfiora una spalla, Claire scarta di lato - lo evita.
"Nemmeno di me."
Redfield si allunga verso di lei, viene ignorato - allontanato.
"Nemmeno di tua sorella."
Chris storna lo sguardo e lo posa su di uno spazio vuoto come le sue parole.


"Mi dispiace."
Lo mormora al silenzio; a voci ormai morte e abbandonate.
"Avrei dovuto fare di meglio."
"Non potevi." lo assolve Alex, bellissima nella sua armatura rossa e nera.
Stuart piega la schiena, sembra quasi spaccarsi sotto il peso di quella confessione.
"Non posso lasciare che la vendetta la consumi; devo impedirle di..." e si ferma, Stuart.
Si blocca a metà della frase, consapevole - ferito.
Alex sorride appena, sfiora il pomolo della spada con la punta delle dita.
"Di compiere i nostri errori. Di essere come noi." si volta, e il suo viso ha ripreso colore lungo gli zigomi, negli occhi "Come me e Albert."
"Non volevo... io non intendevo..."
Alex lo zittisce con un gesto pacato della mano, posa lo sguardo sul tramonto che insanguina le pareti dell'abitazione.
"Siamo morti, Stuart; credo che sia una risposta più che sufficiente ai tuoi dubbi."
"L'avete fatto per un motivo nobile."
Alex inclina il mento nella sua direzione, catturano i riflessi del sole i suoi capelli - oro e sangue.
"Non c'è nobiltà nella morte, Stuart. Sono morta in ginocchio, stringendo la carcassa dell'uomo che amavo. Sono morta con ancora il sangue di mia figlia tra le cosce, quello di Albert sul viso."
Sospira, tra le ciglia pallide lacrime e rimpianti.
"Sono morta, e basta. Siamo morti."
Gli tocca il dorso della mano con dita invisibili e fredde - nude.
"Il serpente cambia sempre la pelle, ma non muore mai, Stuart. Ricordalo."
La notte brucia il cielo, ne corrode gli angoli, accartocciandoli su se stessi.
Stuart le rivolge uno sguardo pieno - risoluto.
Annuisce, rispetta un voto a cui solo la sua morte porrà fine.
Alex gli stringe il polso e sorride.


La storia è scritta dai vivi, compiuta dai morti - abitata solo dai fantasmi.
Chris osserva sua sorella allenarsi con l'arco, soffoca nelle sue stesse parole.
Da una tasca laterale dei pantaloni estra una spilla - il simbolo della Guardia Reale.

Quando tutto era più semplice.
Quando il destino gli raccontava di una vita al fianco del re, a difendere una corona in cui aveva creduto fino alla fine - sciocco ragazzino illuso.

Claire si ferma, guardandosi intorno - lo sente.
Lo trova - lo fissa - la corda tesa tra le dita, la freccia ancora incoccata.
Nei suoi occhi non c'è alcuna comprensione.


Eve a volte lo vede.
È nei suoi movimenti, nel modo in cui affonda la spada - nella curva delle spalle, nella velocità con cui muove le gambe, ruota il bacino.
È in quegli occhi da lupo, artici - spietati.
È nella rabbia che le consuma la pelle, l'anima.
È nella ferocia con cui si abbatte sul nemico, nella crudeltà con la quale li riduce in ginocchio - corpi maciullati, piagnucolanti.
È nella forza con la quale perservera, nell'arroganza con la quale crede - un orgoglio che non lascia spazio a nient'altro.
Eve lo vede.

Suo padre.

Nulla più di un cuore che gronda veleno e disperazione.


"Non mi farai cambiare idea."
Stuart non dice niente, si limita a porgerle una coscia di pollo, qualche carota passata nell'olio.
"Non puoi impedirmelo."
Si siede, stendendosi il tovagliolo sulle ginocchia ed esortandola a fare altrettanto.
Eve aggrotta le sopracciglia al silenzio di Stuart, fissa il piatto con sospetto.
"Non c'è del sonnifero, vero?"
Stuart scuote la testa, comincia a mangiare - composto.
"Sei arrabbiato con me?" gli chiede, ed è timida la sua voce - improvvisamente piccola.
"No, Eve." ribatte Stuart, e appoggia il cucchiaio sul bordo della ciotola.
"Sai che non posso fare altrimenti."
"È la stessa cosa che ha detto anche tua madre prima di andarsene."
Eve trattiene un respiro, si concentra sulle mani di Stuart; abbronzate, inspessite dal lavoro nel campo, l'indice e il medio leggermente arcuati dall'uso continuo della penna.
"Io..."
"Stai seguendo una strada già percorsa, Eve." le dice, e c'è una nuova inflessione nella sua voce - più dura, più vecchia. Qualcosa che deve appartenere a prima, quando era il servo e spia più fidata di sua madre.
Eve si morde un labbro, sembra soppesare le sue parole.
"Posso scriverne un'altra."
Stuart annuisce, fissa una cincia che si è appena posato sul davanzale.
"Non posso farlo senza di te, Stuart."
Un sospiro; una resa a metà.
"Non ti manderò a morire, Eve."
"Non è quello il mio intento."
Stuart le cerca gli occhi, vi coglie una fragilità - una forza - che non apparteneva né a Lady Alex né al re.

Solo a lei.

"Allora hai ancora molto da imparare, bambina mia; sei disposta a farlo? A sapere tutto, Eve?"
Eve raddrizza le spalle, solleva il mento.
"Sì."
Il Serpente è di nuovo in caccia.


Sotto la pelle la Locusta muore.
È passato molto tempo dall'ultima volta che ha visto il cielo, e di lei non è rimasto molto: ossa bruciate, carne rattrappita, muscoli sfibrati.
Ci sono voci intorno a lei, mormorii continui che le ricordano quanto è patetica, misera.
Carla è morta quel giorno nella piana d'Edonia, arsa viva dalla furia del Falco.
Quel che rimane di lei è un insetto contratto nella sua stessa corazza, uno scricchiolio disgustoso e molliccio - il suono di una morte lenta e agonica.
Ricorda il Serpente nero, Carla.
Ricorda avergli sfondato la testa, la soddisfazione di aver sentito il suo sangue sotto le dita, sulla lingua.
Ricorda la Serpe bianca interromperla, scivolare tra i morti come se già ne facesse parte.
Ricorda tutto ciò che aveva amato venir spezzato, il Cane a tre teste un mastino fedele, inarrestabile.
Le voci parlano, sempre.
Ogni tanto cambiano - la toccano, ma lei non sente più nulla.
I nervi sono rovinati, hanno detto un giorno, non prova più dolore, avevano aggiunto.
Ma non era così; Carla urlava, ma nessuno poteva sentirla.
Si contorceva dentro la sua pelle, ma per il mondo era solo uno scheletro fasciato di bianco troppo raccapricciante per essere anche solo considerato.
Era strisciata sotto la sabbia, Carla, e aveva aspettato.
Si era lasciata cullare dalla loro indifferenza, dal loro fastidio.
Aveva capito d'essere viva quando lei aveva apostrofato una delle voci.

Il Corvo.

La monarchia era caduta, era riuscita a sentire.
Il Concilio è stabile, aveva capito.
Non deve saperlo, erano state le parole che avevano davvero catturato la sua attenzione.
E si era ritratta ancora più a fondo nel suo buco, la Locusta, pensando e pensando, gravida d'astio e delusione.
E quando ormai pensava che fosse tutto finito - che le parole del Corvo non fossero nulla - ecco che una delle voci si era tradita.

"Dicono che non l'hanno mai trovato."
"Chi?"
"Il servo della sorella del re."
"Sarà morto durante i tumulti nella capitale e buttato in mezzo agli altri cadaveri; solo i Cinque Dèi sanno il casino che Redfield dovette affrontare in quei giorni."
"Forse. O forse no. Era di una fedeltà incrollabile. Si dice che abbia persino ucciso per la sua signora. Qualcuno è sicuro di averlo visto alle porte di Raccoon pochi giorni dopo la morte del re, un mantello a coprirne i lineamenti e una bambina tra le braccia."
"Una bambina?"
"Un infante, comunque. Probabilmente un orfano di guerra. Un vecchio e il suo nipotino danno meno nell'occhio di uomo che viaggia da solo. Un'altra delle sue mille maschere, probabilmente."

Oh, ed è impresso nella sua memoria Stuart, quel piccolo viscido schifoso che era sempre stato in grado di anticipare i suoi colpi, le sue spie.
E comincia a insinuarsi il sospetto, nella Locusta.
Comincia a ricordare Alex (quella troia) il re - la loro grottesca relazione.
Comincia a ricordare Patrick, la sua confessione.
Sfiora con la mente Excella, la sua gravidanza, i sospetti di Simmons su Alex, la sparizione di Stuart - nessun corpo, nessun testimone della sua caduta.

Comprende all'improvviso.

La Locusta grida - muore, punta dallo Scorpione.
Squarcia ciò che è rimasto, la divora - se ne nutre, e torna a nuova vita la sua cuspide, il suo veleno.
Carla tace, sempre; ascolta, avida.
Nel deserto della sua anima l'odio si accende di nuova forza e brucia.





"The ending is nearer than you think,
and it is already written.
All that we have left to choose
is the correct moment to begin." (1)


"Puoi toccarla." gli dice, e Wesker esita.
"Non si romperà." lo rassicura, e gliela indica, sorridendo.
Si flette sulle ginocchia, il re, e sfiora la pelle di sua figlia.
Si muove nel sonno, Eve, portandosi un pugno chiuso alla bocca - si sfrega le gengive ancora prive di denti ed emette un pigolio quieto.
Alex lo affianca, sedendosi sui talloni.
"Sarebbe stato bello." mormora, e piega le labbra in una smorfia malinconica.
"Mi sarebbe piaciuto." aggiunge, ed esala un sospiro spezzato - umido di lacrime e rimpianti.
Albert le cerca gli occhi, scivola con la punta delle dita lungo il suo polso.
È fredda quella notte senza stelle, ma loro non possono più sentirla.
Sono gelide le loro mani, i loro respiri.
Pendono inerti gli spallacci dalle cinghie in cuoio, si aprono ferite che non smettono di sanguinare sul petto, lungo l'addome - si sgretolano i cosciali, gli schinieri squamati.
Piegati, deformati; Alex intreccia le dita a quelle di suo fratello - stringe, fino a quando tutto si scioglie ai loro piedi, diventa una pozza nera e rossa.
Alex cerca la bocca di Albert - pelle nuda e tiepida; nelle vene un sangue libero dal veleno, un viso che riconosce, integro.
Lo tocca - lo invoca - e torna da lei Wesker (sempre.)
Ed è bella, Alex; tra le sue braccia sorride come quando erano giovani e illusi -

"Cosa farai quando salirai sul trono?"
"Ti farò regina."

- e non c'è più fatica nei suoi occhi, nel suo cuore.
Stuart si avvicina alla bambina, la osserva dormire - la veglia, la protegge.
Eve apre gli occhi, fissa un punto imprecisato oltre la sua spalla - ride, ed è come sentir cadere la pioggia in primavera.
Stuart si volta, cerca qualcosa che non può ancora vedere - li attraversa.
I vessilli del Serpente cadono - la storia riavvolge la sua triste pergamena, ruota una clessidra ormai rotta.

Che vomita grani a ogni sussulto.

Eve alza il piccolo dito nell'aria, ride più forte - felice.
In quella notte di morte la sua voce è tutto ciò che conta.





" Love your rage, not your cage."
- Alan Moore -




Note dell'autrice; (1) citazione di Alan Moore da "V for Vendetta"









   
 
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