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Autore: QueenVictoria    24/09/2021    10 recensioni
I Cavalieri d’Oro vengono richiamati al Santuario per una riunione straordinaria, questa volta partecipa anche Mu dell’Ariete che torna in Grecia di sua spontanea volontà per sondare la situazione. Ambientata due anni prima dell’inizio della serie classica, questa storia vedrà l’incontro tra i Cavalieri d’Oro in un momento in cui la situazione al Santuario è molto tesa; una breve missione li porterà in viaggio in Asia Centrale e li costringerà a interagire e confrontarsi tra loro.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gold Saints, Leo Aiolia, Pisces Aphrodite, Virgo Shaka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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XIII

 
 
 
 
“Quindi fatemi capire,” ricapitolò Death Mask grattandosi la testa “avete scoperto di essere stati attirati da un cavaliere mezzo pazzo che ha irretito dei ragazzini, promettendo loro di svegliare un antico dio per… irrigare questa zona?”
 
“Sì, più o meno è andata così,” sospirò Milo.
 
“E alla fine a svegliarlo ci sono riusciti davvero,” continuò il Cancro “e per poco non ci ammazzava tutti e siamo stati salvati da altri due dèi, mai sentiti prima, che si sono svegliati per l’occasione e se ne sono tornati a dormire subito dopo. Fregandosi la collana.”
 
“Diciamo che raccontato così non sembra molto credibile,” rispose Shaka con tono leggermente seccato, “ma oggettivamente è quello che è successo.”
 
I Cavalieri continuarono a camminare in silenzio lungo la strada che scendeva sinuosa lungo la parete della montagna.
 
“Forse la situazione non è del tutto negativa,” disse poco dopo Aldebaran “la gemma è tornata nella sua collana addosso a Indra, e adesso è nascosta chissà dove tra le montagne più alte del mondo. In via teorica sarà piuttosto difficile che cada in mani sbagliate. Almeno questo tranquillizzerà il Sommo Sacerdote.”
 
“Sì, forse hai ragione,” convenne Mu, anche se non troppo convinto. In realtà nessuno di loro aveva capito il motivo per cui i Sommo Sacerdote volesse quella collana. Inoltre, non faceva parte delle reliquie di proprietà del Santuario e appropriarsene non sarebbe stato molto corretto. Probabilmente era un pensiero che aveva toccato anche gli altri Cavalieri, ma nessuno al Santuario aveva l’abitudine di discutere gli ordini del Sommo.
 
 
 
I tre giovani allievi di Jaman li aspettavano ai piedi della montagna, dove la strada raggiugeva la pianura.
 
“Grazie per aver salvato il villaggio,” disse Dimitri appena i Cavalieri li raggiunsero.
 
“Ma… Se ne è andato davvero?” domandò Abaji.
 
“Sì, non dovete più preoccuparvi,” sorrise Aiolia.
 
Seguì qualche momento di imbarazzato silenzio.
 
“Malika sta bene?” chiese ad un tratto Mu, non vedendola assieme ai compagni.
 
“Sì. È nella sua yurta con la madre,” rispose Dimitri “non è voluta venire a salutarvi… In ogni caso, vi è grata anche lei per averci aiutati.”
 
A qualche centinaio di metri da loro l’acqua che sgorgava dal crepaccio creatosi poco prima scendeva velocemente lungo la parete rocciosa e si riversava sulla pianura fino a raggiungere il ruscello già esistente. Il letto del piccolo corso d’acqua non aveva la portata sufficiente per accoglierne di nuova, e questa si stava spandendo lungo l’Altipiano. In lontananza si udirono delle grida, alcuni uomini cercavano di coordinarsi tra loro per scavare il terreno su più punti per gestire quella nuova quantità d’acqua che stava trasformando il ruscello in un vero e proprio fiume.
 
“Da dove arriva quest’acqua?” domandò Dimitri.
 
“È uscita da una crepa della roccia poco dopo la fine del combattimento,” rispose Mu.
 
“Una crepa?” chiese timidamente Abaj.
 
“Sì, una delle tante che si sono aperte a causa dei fulmini di Indra.”
 
“Davvero?” una luce di speranza attraversò per un momento gli occhi del ragazzino “Indra ha creato la crepa da dove adesso esce acqua? Forse il maestro non ci ha mentito su tutto…”
 
Dimitri gli mise una mano sulla spalla guardandolo con aria malinconica.
 
Abaj abbassò lo sguardo sul terreno davanti a lui.
 
 
“Vi servirà aiuto?” chiese Aiolia osservando le persone che scavavano in lontananza.
 
“No, no davvero...” si affrettò a rispondere Dimitri, “la pianura è vasta e l’acqua si può spargere senza creare problemi a nessuno. Non c’è nessun pericolo, ci vorrà solo un po’ di tempo per scavare il nuovo letto del fiume.”
 
“So che meritate un ringraziamento” aggiunse poco dopo con aria imbarazzata “Ma… in questo momento il villaggio non è in grado di accogliervi, c’è molto trambusto per questa storia dell’acqua improvvisa e…”
 
“E se si scoprisse che veniamo dal Santuario di Athena sarebbe un problema,” continuò Mu.
 
Il ragazzino arrossì leggermente.
 
“Non abbiamo avuto il tempo di raccontare cosa è accaduto ieri al Maestro… e… tutta la situazione.”
 
“Non preoccuparti, avrete tempo per farlo,” disse comprensivo l’Ariete.
 
I tre guerrieri che erano morti solo pochi giorni prima nel tentativo di assaltare il Santuario provenivano da questo villaggio; nessuno avrebbe accolto con calore i cavalieri di Athena, nemmeno in quelle circostanze.
Avevano salvato il villaggio dall’ira di Indra, avevano salvato la montagna, ma allo stesso tempo erano i nemici che avevano ucciso tre dei loro ragazzi.
 
“State tranquilli,” li rassicurò Aiolia immediatamente dopo.
 
L’Ariete si voltò verso di lui incrociando per un momento il suo sguardo. Ebbe la sensazione di leggervi i suoi stessi pensieri. Erano stati dispiaciuti fin da subito della morte di quei tre guerrieri, ma l’avevano trattata con freddezza. Ora nei loro cuori si stava agitando qualcosa, come se si fossero resi conto solo in quel momento che i tre guerrieri non erano soltanto dei nemici che avevano minacciato il Santuario, ma delle persone reali.
Uno era il fratello di Malika, gli altri erano figli di persone che abitavano in quel luogo, le stesse persone che ora scavavano di buona lena il letto del ruscello a poche centinaia di metri da loro, le stesse che avevano pregato per la loro incolumità durante la battaglia. E non erano certo diverse da quelle che abitavano nel villaggio di Aimira, che li avevano accolti con il calore che si riserva per gli amici più stretti. Per la prima volta i Cavalieri si sentirono in colpa per quella situazione, come se il non essere riusciti a impedire la morte dei tre guerrieri fosse stata una loro mancanza.
Jaman aveva convinto quei ragazzi che combattere fosse l’unico mezzo per recuperare la giada, e loro non avevano neppure provato a comunicare. Ma forse anche i Cavalieri di Athena avevano agito con troppo zelo. Errori erano stati fatti da entrambe le parti.
 
Dopo qualche altra frase di circostanza, i ragazzini ringraziarono ancora e si congedarono. Sembravano aver fretta di andarsene e togliersi da quella situazione per loro difficile.
 
I Cavalieri rimasero a guardarli mentre si allontanavano lungo la pianura.
 
In poche ore la loro vita era stata sconvolta. L’uomo nel quale avevano riposto tutta la loro fiducia si era rivelato un impostore e con il suo comportamento aveva rischiato di distruggere tutto ciò che avevano. Avrebbero impiegato molto tempo per accettare quella situazione. Che ne sarebbe stato di loro?
 
 
“Non dobbiamo preoccuparci per loro, troveranno la loro strada,” Sentenziò Shaka, come avesse letto il pensiero degli altri.
 
 
“Bene” disse Milo poco dopo, “penso sia giunto il momento di andarcene.”
 
“Sì, allontaniamoci senza dare nell’occhio, prima che si accorgano di noi.”
 
Gli abitanti del villaggio, in realtà, erano troppo occupati nel loro lavoro per notare il piccolo gruppo di persone che si era radunata all’inizio del pendio. Continuarono i loro scavi senza accorgersi dei Cavalieri.
 
I nove ragazzi si incamminarono nella direzione opposta al centro abitato, lungo la strada che si snodava lungo l’altopiano.
 
 
 
Mu si accorse che Aphrodite non si era ancora unito al gruppo, ma era rimasto indietro a osservare la lontano le persone intente nell’arginare la piccola inondazione.
 
“Cosa guardi?” gli chiese avvicinandosi.
 
“Guardo gli abitanti di questo luogo,” rispose il Cavaliere dei Pesci “gli uomini che lavorano tutti assieme, i bambini che sguazzano nell’acqua e si rincorrono. E quelle donne laggiù, che cercano di trascinare via gli animali che invece hanno deciso di bere e stare con le zampe a mollo. Hanno passato dei momenti di paura, ma adesso sono tranquilli.
 
“La vedi, la bellezza del sorriso di quei bambini? La serenità tornata sul volto di questa gente? Pensi ci possa essere qualcosa di più bello e prezioso? È per questo che voglio combattere. In momenti come questo sono fiero di ciò che sono, di ciò che siamo tutti noi.
 
“Voglio vivere per questa bellezza. La voglio proteggere, ed è solo con la forza che posso farlo.”
 
“Ho riflettuto sul nostro discorso dell’altro giorno,” aggiunse poco dopo voltandosi a guardarlo “non credo di essere dalla parte del torto. Dov’è Athena? Dov’era quando era il momento di aiutarci a proteggere noi stessi e gli abitanti di questo villaggio?”
 
Lo guardava da dietro i suoi grandi occhi turchesi che sembravano brillare illuminati dall’orgoglio.
 
In quel momento, Mu ricordò quella figura femminile avvolta dalla luce che aveva intravisto, per un attimo, prima dell’arrivo di Agni e Surya. Dopo tutte quelle emozioni se ne era quasi dimenticato. Quel cosmo così caldo e forte…? Lo aveva sentito davvero o lo aveva immaginato? Non ne era più sicuro. Era accaduto tutto troppo in fretta. Si trattava di un ricordo troppo confuso, non avrebbe avuto senso parlarne adesso.
 
“Se un giorno Athena si manifesterà,” continuò Aphrodite “mi dovrà dimostrare il suo valore. Solo allora avrà la mia obbedienza. Non posso giurare fedeltà a qualcuno in cui non ho fiducia. Sarebbe come tradire me stesso e tutte queste persone.”
 
“Capisco,” si limitò a dire Mu. Aveva compreso quello stato d’animo ma non lo poteva approvare. Un Cavaliere di Athena non avrebbe dovuto nemmeno pensare una cosa del genere. Ma Aphrodite non era veramente devoto alla dea, preferiva seguire il più forte anche se, almeno apparentemente, per un giusto fine. Ci sono davvero strade così diverse che portano alla giustizia? No, non poteva accettare un punto di vista simile.
 
 
 
I Cavalieri continuarono a camminare lungo la pianura fino a quando non si furono allontanati a sufficienza dalla zona abitata. Dopo una rapida consultazione decisero che Aldebaran, Aphrodite, Shura e Death Mask sarebbero stati teletrasportati da Mu direttamente al Santuario, mentre gli altri sarebbero tornati ad Aralsk per prendere un aereo per la Grecia, in modo da uscire dal Paese senza destare sospetti nelle autorità e creare problemi ai loro collaboratori.
 
 
Anche questa volta, Erkut e Aleksandra avevano cercato di raggiungerli a bordo del fuoristrada, li avevano intercettati mentre camminavano lungo l’Altipiano e trasportati al villaggio di Aimira.
 
Qui le persone stavano ancora parlando animatamente dell’accaduto; avevano seguito da lontano uno strano scontro avvenuto su una delle montagne più alte, avevano visto dei fulmini e una strana sfera di luce. Realizzato che qualche strano essere stava cercando di distruggere la montagna, avevano pregato per supportare chi la stava difendendo. Ad un certo punto quella strana battaglia si era fermata, la montagna era ancora lì quindi probabilmente era andato tutto per il meglio e quello era sufficiente per renderli sereni. Quel luogo era troppo distante perché si rendessero del cambiamento del corso d’acqua.
 
I Cavalieri ascoltavano in silenzio quei discorsi osservando le persone, nei loro occhi leggevano sentimenti sinceri, dopo i momenti di preoccupazione per quella strano fenomeno visto sulla montagna, stava tornando la tranquillità.
 
Aimira li invitò a entrare nella sua yurta e offrì loro latte e pane caldo, mentre cucinava qualcosa di più consistente. Seduti su morbidi cuscini, confortati da quel ristoro, i Cavalieri riflettevano sulla situazione.
 
Anche gli abitanti di quel villaggio avevano pregato per loro, era anche grazie alla forza delle loro preghiere che ce l’avevano fatta.
Non potevano non essere riconoscenti verso quelle persone che, pur non conoscendoli, avevano pregato per la loro incolumità. Avevano visto che qualcuno era in pericolo, e quello era bastato perché si preoccupassero. Se si può aiutare qualcuno, non è necessaria una motivazione per farlo. Quegli uomini non erano maestri d’arme o cavalieri, ma semplici pastori; eppure, con grande garbo, avevano impartito loro una sublime lezione.
 
I pensieri di Mu furono interrotti dalla voce di Aiolia.
 
“Ma che roba è?” sussurrò il Leone a denti stretti, per non farsi sentire da Aimira che lavorava sull’altro lato della tenda. “Sembra alcolico…”
 
“È dannatamente amaro…” aggiunse sottovoce Milo, cercando di nascondere una smorfia schifata.
 
“È latte di cammella,” rispose impassibile Camus “è il suo sapore normale.”
 
Aiolia e Milo si guardarono l’un l’altro con un’aria piuttosto sconsolata e poi, con un sorriso sforzato, buttarono giù ciò che rimaneva di quella strana bevanda.
 
Mu nascose il viso nella sua tazza per non scoppiare a ridere. Quei due erano davvero uguali…
 
 
 
All’alba del giorno dopo, a bordo del fuoristrada, incominciava il viaggio di ritorno. Mu, dal finestrino, guardava le yurte del villaggio allontanarsi lentamente man mano che il veicolo scendeva verso il deserto.
L’esperienza che avevano vissuto in quegli ultimi giorni lo aveva fatto riflettere su molte cose, non ultime la natura degli dèi e il rapporto che gli uomini avevano con loro. Un migliaio di anni prima, Indra aveva consegnato quella collana al suo sacerdote per permettergli di evocarlo in caso di necessità; il dio adesso si era svegliato ma non aveva riconosciuto il suo popolo. Seppure dopo essersi divertito un po’, aveva scelto di riaddormentarsi.
Ormai erano davvero poche le persone che si riferivano agli dèi come nell’antichità ed erano ancora meno quelle che li pregavano aspettandosi qualcosa da essi. Probabilmente questi dèi sentivano che, almeno per il momento, il loro compito era terminato e perciò dormivano il loro sonno tranquillo in attesa che qualcuno avesse di nuovo bisogno di loro.
 
Questo almeno, era quello in cui voleva credere.
 
Gli dèi riposavano in qualche luogo segreto tra quelle montagne, c’era qualcosa di malinconico in questo, ma anche di rassicurante. In qualche modo vegliavano ancora sulle loro genti, come certamente anche Athena faceva con loro.
 
 
 


***
 
 
 
“Allora noi andiamo,” disse Aldebaran “passo più tardi a vedere come stai.” E iniziò a salire la lunga scalinata.
 
“Grazie ancora,” aggiunse Aiolia prima di seguirlo.
 
Mu, sulla soglia della Casa dell’Ariete, li guardò salire lentamente verso le rispettive Case. Lo scrigno dell’Armatura del Leone, sulle spalle di Aiolia, era ancora più bello e lucente di prima. Mu lo osservava con soddisfazione mentre brillava agli ultimi raggi del sole.
 
Ripararla era costato una grande fatica, ma ne era valsa la pena. Si strofinò gli occhi stanchi con le mani, mentre ripensava a ciò che era accaduto quel pomeriggio.
 
 
 
L’Armatura del Leone e quella dell’Ariete non erano solamente ridotte in pezzi, avevano perso la loro vita diventando così due rottami inanimati. Soltanto un lungo e complicato procedimento, possibile solo utilizzando una grande quantità di sangue, sangue contenente un cosmo, le avrebbe riportate in vita.
 
Nelle prime ore del pomeriggio, Mu aveva deciso di occuparsi dell’Armatura del Leone; un rapido taglio su entrambi i polsi gli aveva permesso di versare la giusta quantità di sangue necessaria. Aveva fermato l’emorragia alla buona, contando di sistemare la ferita più tardi e aveva iniziato il suo lavoro.
 
Aveva già affrontato la riparazione di corazze ridotte in quello stato ma questa volta, più per un fattore emotivo che altro, era stato più stancante del previsto. Appena terminata la lavorazione, si era sentito mancare le forze e aveva fatto appena in tempo a stendersi sul pavimento prima di addormentarsi, o forse svenire. Chissà.
 
Le voci di Aiolia e Aldebaran lo avevano destato solo qualche ora dopo. Aprendo faticosamente gli occhi, e con un po’ di imbarazzo, li aveva trovati inginocchiati accanto a lui mentre, con sguardo apprensivo, lo scuotevano chiamandolo ripetutamente.
 
“Si, state tranquilli,” aveva risposto cercando di liberarsi dal torpore “sto bene, mi stavo solo riposando…”
 
“Questi cosa sono?” aveva chiesto Aiolia prendendogli in mano i polsi. “Tagli?”
 
Non aveva fatto in tempo ad aprire bocca che il Leone aveva già trovato nella sua memoria la risposta.
 
“Ti serviva del sangue? Hai usato il tuo!?”
 
Si era messo faticosamente a sedere, un po’ stordito da quella raffica di domande.
 
“Va tutto bene,” gli aveva risposto, mentendo “pensavo ne bastasse meno, quando ho capito che me ne sarebbe servito di più ormai stavo già lavorando e non volevo interrompermi. Ma non preoccuparti, non era comunque una gran quantità.”
 
“Come no, sei pallidissimo!”
 
Aiolia non era sembrato contento di quella risposta. Con aria seccata gli aveva ripreso i polsi con le mani e aveva iniziato a curargli le ferite. Mu avrebbe voluto rifiutare, era una cosa che era perfettamente in grado di fare da solo, ma si era reso conto che Aiolia sentiva il bisogno di aiutarlo in qualcosa ed era rimasto ad osservarlo in silenzio. Attorno alle dita del Leone, che si muovevano sulla pelle sigillando la ferita, era comparsa un’aura dorata. Era incredibile come fosse in grado di passare velocemente dagli scoppi di rabbia alla più totale concentrazione.
 
“Per riparare la tua allora userai il mio sangue!” aveva detto alla fine Aiolia con un tono che non ammetteva repliche.
 
Solo allora aveva guardato l’armatura accanto a loro.
 
“Sembra ancora più bella di prima...” aveva mormorato guardandola. La corazza aveva assunto la forma del totem, le varie parti si erano riunite formando un leone rampante, il segno zodiacale che rappresentava; era talmente lucida che brillava anche nella scarsa illuminazione della Casa dell’Ariete. Sembrava viva. E in effetti, in qualche modo, lo era.
 
“Sei sicuro di stare bene? Non ti sarai indebolito troppo?” aveva chiesto Aldebaran. In quel momento Mu aveva capito il motivo della sua presenza. Aveva saputo della riparazione ed era venuto a mettere a disposizione il suo sangue, adesso con rammarico si era accorto che fosse troppo tardi.
 
 
 
Ormai i due cavalieri d’oro erano giunti alla Seconda Casa, si voltarono entrambi a salutarlo con la mano, poi Aldebaran entrò nella sua dimora e Aiolia proseguì la salita verso la Quinta Casa.
 
Mu si staccò dallo stipite della porta ed entrò in Casa. Si sentiva stanchissimo, aveva bisogno di riposare ancora un po’.
 
Entrato in camera, si guardò allo specchio. Era davvero pallidissimo, le occhiaie leggermente scavate, le labbra violacee. Non si stupiva che quei due si fossero spaventati.
 
Lo scrigno ingrigito dell’armatura dell’Ariete era posato sul pavimento.
 
“Tu dovrai aspettare ancora qualche giorno,” sussurrò accarezzandolo.
 
 
Si stese sul letto con l’intenzione di riposare solo qualche minuto; aveva dormito già abbastanza. Inoltre, Aldebaran aveva promesso di passare più tardi a vedere come stava; conoscendolo sarebbe arrivato all’ora di cena con due bistecche e del vino dicendo che lo avrebbero rimesso in forze.
 
Ora che aveva promesso di usare il sangue di Aiolia per riparare l’armatura dell’Ariete, era costretto a trattenersi ancora al Santuario; avrebbe dovuto attendere almeno un paio di giorni per tornare in forze.
E poi finalmente sarebbe potuto tornare nel Jamir. Prima però sarebbe stato meglio passare a Goro Ho per parlare un po’ con il Maestro Dohko, aveva tantissime cose da raccontargli. Infine sarebbe andato a prendere Kiki e per tornare assieme nella sua casa nascosta tra le montagne.
 
Per il momento, sembrava che la sua avventura in Asia Centrale fosse terminata. Anche se il suo sesto senso gli diceva che non era davvero così.
 
Erano rientrati al Santuario la mattina precedente e Shaka era stato subito ricevuto dal Sommo Sacerdote per informarlo sull’esito della missione. Era tornato dopo quasi un’ora, spiegando agli altri Cavalieri, che lo attendevano al di fuori del Tredicesimo Tempio, che per il momento la missione doveva intendersi terminata. Il Sommo era piuttosto seccato per la perdita della giada rossa, ma non avrebbe preso provvedimenti verso i Cavalieri d’Oro. Si sarebbe però riservato di comunicare una sua decisione in merito in un secondo momento. Nel frattempo, i Cavalieri potevano tornare alle loro abituali mansioni.
Lo stesso Shaka era un po’ confuso, aveva detto che il Sacerdote sembrava aver cambiato atteggiamento più di una volta durante il loro colloquio, dapprima era andato in escandescenze, poi si era calmato.
La buona notizia era che, almeno per il momento, non ci sarebbero state conseguenze per nessuno.
 
Sembrava tutto troppo semplice. Chissà cosa passava per la testa di quell’uomo…
 
Per il momento, comunque, aveva altro di cui preoccuparsi. Innanzi tutto, doveva riprendere le forze, la mancanza di sangue lo aveva davvero indebolito.
 

Anche la sua missione personale era finita; trascorrendo questi giorni assieme agli altri Cavalieri si era fatto un’idea abbastanza chiara di loro. Erano tutti devoti ad Athena e al Santuario ad eccezione di Aphrodite, che gli aveva spiegato le sue ragioni, e molto probabilmente Death Mask. Non aveva avuto modo di approfondire la conoscenza con il Cavaliere del Cancro ma aveva la forte sensazione che la sua fedeltà fosse solo una facciata. E sicuramente entrambi erano al corrente del fatto che il Sacerdote fosse un impostore. Non era ancora riuscito ad inquadrare Shura, ma probabilmente avrebbe avuto tutto il tempo di farlo in futuro; tutta questa storia non era certamente finita.
La cosa che gli aveva fatto più piacere era stato rincontrare Aiolia, e aver trovato un equilibrio interiore riguardo al rapporto con lui.

Non poté fare a meno di sorridere ripensando a quanto era accaduto prima. Quanto era orgoglioso, Aiolia! Non accettava l’aiuto di nessuno, il solo pensiero lo indispettiva. Non doveva stupirsi della sua reazione, d’altra parte non vi era un motivo apparente che giustificasse l’aver usato il proprio sangue e non quello del diretto interessato.
 
Sì, in effetti avrebbe dovuto chiedere ad Aiolia di fornirgli il sangue per la riparazione. Ma…
 
Quando, giorni prima, aveva riparato il ricciolo del diadema dell’armatura del Leone, aveva percepito chiaramente la sofferenza di Aiolia causata dalla sua situazione. Sapeva che entrando in contatto con l’intera corazza sarebbe accaduta la stessa cosa.
 
Appena si era immerso nella lavorazione, era stato accolto da immagini che gli mostravano cose che inizialmente non era riuscito a comprendere. Memorie confuse, ricordi frammentari. Aveva visto il Santuario, ma in un’altra epoca. Un cavaliere sconosciuto che sorvegliava la Quinta casa assieme a un enorme leone anch’esso in armatura. Chissà chi era. Quanto tempo prima era accaduto.
 
Poi, entrando nel vivo della riparazione, mentre raggiungeva le molecole della struttura d’oro con il miscuglio di polvere di stelle e oricalco, aveva ritrovato i sentimenti di Aiolia, il tumulto interiore che lo tormentava da anni. L'amore per il fratello, il dolore per averlo perduto, la frustrazoine del vederlo considerato un traditore. Aveva voluto mescolarvi il suo sangue, come per legare sé stesso a quella sofferenza e quell’amore che sentiva anche suoi.
In quel momento l’armatura aveva parlato al suo cuore, riportandolo agli anni dell’infanzia di Aiolia, che erano indissolubilmente legati ai suoi, mostrandogli i suoi sogni e la fiducia nel futuro.
 
Oltre al dolore di Aiolia, adesso aveva rivisto anche il sorriso di Aiolos. Ed era bastato quello a ridargli un po’ di speranza.
 
Se ci proteggeremo tra noi, anche le nostre costellazioni lo faranno.
 
 
 
Quando Mu riaprì gli occhi, il sole era già sorto da un pezzo e la luce del mattino aveva ormai illuminato la stanza. Doveva essere quasi mezzogiorno.
Avrebbe voluto riposarsi qualche minuto, ma alla fine si era proprio addormentato, constatò con una punta di delusione. Si mise a sedere stiracchiandosi. Era ancora debole a causa dell’anemia ma si sentiva già meglio rispetto alla sera precedente.
Si accorse di essere scalzo. Sorrise tra sé. Doveva essere stato Aldebaran; era venuto a trovarlo come promesso. Vedendolo addormentato, non aveva voluto disturbarlo, gli aveva quindi tolto i calzari e messo accanto una coperta di cotone leggero nel caso avesse avuto freddo durante la notte.
 
Si alzò e si diresse in cucina. Aldebaran era seduto accanto alla finestra assorto nella lettura di un giornale, appena lo vide lo salutò con un radioso sorriso.
 
“Ben svegliato!” disse mentre ripiegava il quotidiano “Stavi ancora dormendo e mi sono permesso di entrare.”
 
“Hai fatto bene,” rispose Mu.
 
“Tra poco è ora di pranzo, ci facciamo una bella bistecca? Devi rimetterti in forze,” disse il Toro indicando un pacchetto posato sul ripiano della credenza accanto a un fiasco di vino.
 
Mu sorrise di nuovo, Aldebaran era davvero il migliore amico che si potesse avere. Una persona capace di essere sempre al suo fianco per sostenerlo. Che non gli avrebbe mai chiesto di rivelargli i suoi segreti, ma lo avrebbe aiutato a sopportarli.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo qualche giorno nuvoloso, il sole splendeva di nuovo nel cielo di Goro-Ho. L’erba profumata era ancora intrisa della rugiada del mattino.
 
Mu e Dohko sedevano assieme davanti alla cascata. Shiryu e Shunrei erano usciti di prima mattina per raccogliere funghi; attorno regnava l’assoluto silenzio interrotto solo dal rumore dell’acqua e dal ronzio di qualche insetto.
 
“Sapete una cosa, Maestro?” disse ad un tratto l’Ariete “Questa esperienza mi ha insegnato molte cose, ma non sono sicuro di rendermi conto di quante.
Indra ha voluto combattere con noi, voleva distrarsi un po’ prima di tornare al suo sonno. Ho avuto la sensazione che stesse giocando… così, per divertirsi. Dubito abbia usato la sua vera forza, ma ha rischiato ugualmente di ucciderci. Non credo avesse molta importanza per lui.
 
“Agni invece si è dimostrato più misericordioso nei nostri confronti. Ma forse… solo perché ci ha riconosciuto. Ho sempre saputo che noi Cavalieri di Athena ci reincarniamo per combattere assieme ogni volta ci sia bisogno di noi, ma fino a questo momento non ero completamente consapevole di cosa questo significasse.
Un migliaio di anni fa, quest’anima che ora è dentro di me, già combatteva al fianco di Athena. Agni l’ha riconosciuta, ma io non ero in grado di ricordare nulla. Mi sono sentito infinitamente piccolo. In ogni caso, anche se non sono in grado di leggere i suoi ricordi, sono sicuro che qualcosa di essa ora sia dentro di me.
 
“Tanti anni fa, mi avete detto che facciamo parte di un disegno molto grande che non siamo in grado di comprendere. Ecco, forse adesso comincio a capire cosa intendeste dire. Anche il Maestro Shion un giorno mi disse qualcosa del genere.”
 

“Io… spero solo di essere all’altezza di tutto questo,” aggiunse poco dopo.

Il vecchio sorrise, continuando a guardare la cascata.
 
“E poi c’è il fatto di quell’uomo, Jaman,” continuò il giovane, “ha raccontato una storia riguardo al Santuario alla quale non so se credere. In ogni caso, era una persona orribile. O forse solo troppo debole.”
 
“Debole?” chiese Dohko.
 
“Sì, forse sì. So solo che aveva troppo rancore dentro di sé, e non è riuscito a gestirlo. Si è lasciato sopraffare dall’odio che non riusciva a domare. Credo che tutto sia nato da questo. Incontrarlo però mi ha fatto capire un’altra cosa. Come mi avete detto voi stesso, il Maestro Shion non voleva che lo vendicassi, ma che andassi avanti. Forse aveva paura che mi succedesse la stessa cosa. Voleva che la mia anima fosse libera dal rancore e dal desiderio di vendetta. Voglio seguire il suo insegnamento, voglio percorrere la giusta strada senza perdermi mai.”
 
 “Al tuo maestro è stato concesso di starti vicino per pochi anni,” mormorò il vecchio, quasi stesse parlando con sè stesso “ma è riuscito a trasmetterti molte cose. Fai tesoro di ogni suo insegnamento.”
 
“Sì, lo farò. A dire il vero però, … devo tantissimo anche a voi. Che siete il mio secondo maestro.”
 
Il vecchio sorrise ancora. Era un sorriso malinconico, ma estremamente sincero.
 
Mu lo guardò con la coda dell’occhio.
 
Sì, devo tantissimo anche a voi. Il mio secondo maestro. Il mio secondo padre.  
 
 


***



Mentre Mu si allontanava nel bosco, Dohko rimaneva seduto a contemplare la grande cascata di fronte a sé. A volte quel ragazzo gli ricordava così tanto Shion…
 
Amico mio, il tuo allievo sta crescendo in fretta. In alcuni momenti ti somiglia molto. Nel poco tempo in cui hai potuto stargli accanto, sei riuscito a trasmettergli i valori più importanti.
 
Ma è ancora giovane, e ha bisogno di certezze. Nel suo cuore ho letto una profonda fedeltà alla nostra Dea, ma anche il bisogno di una prova, per riconoscerla. Poco prima che Agni e Surya intervenissero a difenderli da Indra, ho avuto la sensazione di percepire per un momento il cosmo di Athena. Sono certo che se ne sia accorto anche lui. Non me ne ha parlato, credo che lo stia ancora meditando dentro di sé. Ha bisogno di tempo.
 
Per tutta la durata della missione, ho seguito lui e gli altri cavalieri da lontano, non li ho lasciati soli per un momento. Ma non ho voluto intervenire. Ho preferito lasciarli agire in libertà lasciando che facessero i loro errori, perché è solo sbagliando che si impara; è solo con l’esperienza che si cresce. Posso dire che se la sono cavata egregiamente.
 
Ho riconosciuto il cosmo del tuo allievo Jaman appena lo ha usato per teletrasportare i suoi tre guerrieri ai piedi della scalinata del Santuario. Non me ne sono preoccupato più di tanto, sapevo che non era abbastanza forte per dare problemi ai ragazzi. La tua decisione di cacciarlo dal Santuario tanti anni fa si è rivelata giusta, avevi visto bene, la sua anima si stava perdendo nell’ombra. Come Sacerdote avevi le tue responsabilità, non potevi permettere che un’armatura sacra finisse nelle mani di qualcuno che non fosse in grado di contrastare neppure il proprio rancore. Dentro di me sapevo che si sarebbe fatto di nuovo vivo, prima o poi.
 
I ragazzi, dopo un fallimento iniziale, hanno capito cosa fare. Hanno imparato a combattere assieme; mi auguro che, quando verrà il momento, almeno buona parte di loro lo faccia davvero.
 
Le stelle sono inquiete. Temo che la guerra sia ormai vicina.
 
 
 
***
 
 
 
Kiki camminava di buon passo tenendo stretto contro il petto il sacchettino dei dolci. Avrebbe potuto riporli nella borsa e sarebbe stato molto più comodo, ma non aveva la minima intenzione di farlo. Continuava a tenere stretto quel sacchetto di carta, come fosse troppo prezioso e importante per separarsene anche solo per un momento.
 
 
Mu era arrivato al Monastero nel pomeriggio, subito dopo aver fatto visita al vecchio Dohko. Appena entrato nel cortile aveva incontrato Kiki che giocava con gli altri bambini e gli si era avvicinato porgendogli un sacchetto con dei dolci che aveva comprato in Grecia per lui.
 
“È lui tuo fratello?” aveva chiesto allora uno dei bimbi.
 
Kiki era arrossito visibilmente e aveva abbassato lo sguardo.
 
“Mangiane un po’ assieme ai tuoi amici,” gli aveva detto facendo finta di niente “io intanto vado a salutare il monaco Yun.”
 
Il piccolo aveva annuito e si era allontanato, subito circondato dagli altri. I dolci avevano avuto molto successo tra quei bambini.
 
 
Ormai erano lontani dal monastero, camminarono ancora per qualche centinaio di metri lungo la strada principale e poi imboccarono una strada secondaria che si arrampicava lentamente sulla montagna. Dopo qualche minuto, Kiki divenne leggermente pensieroso.
 
“Sei arrabbiato?” chiese con voce incerta.
 
“Dovrei?” rispose Mu.
 
“Beh… Prima hai sentito che mi chiedevano se eri mio fratello. E… beh… Sai perché?”
 
“Non ne ho idea,” rispose l’Ariete fingendosi sorpreso.
 
“Beh, gliel’ho detto io.”
 
“Vedi…” continuò dopo qualche momento “Quasi tutti loro hanno qualcuno, magari il nonno o un fratello o sorella. Io ho pensato… che non avevo nessuno da dire… E allora ho detto a loro che eri mio fratello.”
 
“Mmm… capisco.”
 
Kiki arrossì un po’.
 
“Dici sempre che non devo raccontare bugie,” disse “ma questa non è proprio una bugia. Cioè… i fratelli sono come noi, vero?”
 
Mu non riuscì a non sorridere davanti a quella frase.
 
“Sì, suppongo di sì,” rispose.
 
Anche Kiki sorrise e continuò a camminare stringendo il sacchettino con i dolci.
 
 
 
 
( FINE, PER IL MOMENTO )
 
 
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Angolo di quella che scrive:
 
Per il momento? Che vuol dire? Ve lo spiego subito.


Vi svelo un segreto. La storia che avevo in mente di scrivere, era focalizzata su altre cose. Avendo un’ambientazione, diciamo, un po’ strana, mi serviva un “antefatto”, che è quello che avete letto finora, ehm… sì, doveva essere una sorta di introduzione che doveva svolgersi in quattro o cinque capitoli… mi sono fatta prendere un po’ la mano… ed eccoci qua. ^_^’’’

Adesso inizia quella che doveva essere la storia vera e propria, ma a questo punto diventerebbe quasi un “sequel”, tanto che ho deciso di rendere le due cose separate. Quindi per il momento questa storia finisce qui, ma presto arriverà un seguito! ^_^

Un sentito grazie a chi è arrivato fin qui continuando a seguirmi nonostante gli aggiornamenti irregolari, vedo che siete sempre tanti e mi fa tantissimo piacere. Grazie per le vostre recensioni, i vostri commenti e il sostegno che non mi avete mai fatto mancare.
Un abbraccio a tutti e a presto, con tante sorprese! ^_^



   
 
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