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Autore: breezeblock    24/09/2021    3 recensioni
Di notte, quando fissa il Tamigi, vi trova un rassicurante confidente e può lasciarsi andare nel buio di quelle acque misteriose, chiedendosi quanti altri prima di lui abbiano fatto la stessa cosa, e quante ossa troverebbe laggiù, che attendono pazienti le sue.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Regulus Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Filo teso'
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Questa storia si ricollega a una one shot che scrissi qualche mese fa, partecipante al contest di CatherineC94 Still Star Crossed – Love Contest. Questo è una specie di prequel o di missing moment diciamo, in cui ho ampliato un po' di più alcuni concetti lì solo accennati. Forse per avere maggiore chiarezza occorrerebbe leggere prima Caffè freddo  ma potete anche non farlo se non volete. Sappiate solo che il nome di Vivienne Price compare solo in Harry Potter Mischievous Wiki, dove è indicata come mezzosangue. Il suo personaggio è stato stravolto in questa sede per scopi narrativi, ma in realtà non c'è prova ufficiale della sua esistenza nella storyline originale.
Spero vi piaccia. 
La canzone di cui si fa cenno a un certo punto è Pale Blue Eyes dei Velvet Undergound, un gruppo attivo dal 1964 al 1973. Il dipinto sotto riportato è Ethereal moonlights by Henry Pether (1828-1865)
Buona lettura.

 
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Coperta d’ossa 
You can teach me how to waltz
And I'll teach ya how to feel really, really bad
sometimes your company

Is just the thing to comfort me
HOURS OF DEEPEST NEED - EZRA FURMAN
 
 
1978
 
I.
 
Spesso scherza, suo fratello Sirius dicendogli che dimostra più anni di quanti ne ha realmente, come se li rubasse a qualcun altro, prosciugando la vita di chissà chi mentre lui rimane per sempre cristallizzato in quel corpo esile e immacolato. Regulus sbuffa fintamente scocciato, le sue labbra lo tradiscono sollevandosi impercettibilmente a destra, dove compare la fossetta del bugiardo. Sirius, sempre lui, l’ha soprannominata così da quando anni prima aveva sorpreso Regulus in soggiorno, i cocci del vaso di camelie sparsi sul pavimento e la fossetta ben in vista mentre continuava a ripetergli che non era stato lui. Di fronte all’ostinazione di Sirius, ancora più cocciuto di quel vaso, il fratello minore aveva finalmente ammesso il suo crimine, e continuando a sorridere strafottente aveva ammesso di non amare le camelie. 
 
Regulus non ha mai capito che non c’è bisogno di rompere ciò che non gli piace, che basta invece cambiare prospettiva, o cambiare i contenuti del significante con qualcosa di più fedele alla propria verità, o di costruirci sopra una storia plausibile che possa sostituirvisi. Insomma, avrebbe potuto rimpiazzare i fiori o provare a pensare che il vaso avesse un valore affettivo per qualcuno, prima di schiaffarlo a terra senza sentimento. 
Quando Sirius glielo ricorda, lui sfinito dai continui rimproveri che sanno di burle, si abbandona con eleganza sul divano in pelle e borbotta qualcosa che il maggiore non riesce a sentire. 
 
 
II.
 

Regulus sembra incorporeo, così leggero che il letto sembra addirittura non piegarsi sotto al suo peso. Cammina e lascia le impronte sulla sabbia ma sembra già un fantasma. 
La sua noncuranza ha sempre preoccupato Sirius, così come l’incapacità (infondo spera apparente) di costruire qualcosa che duri, di tessere legami, di legarsi lui stesso a qualcuno o a qualcosa. E il peggio è che questa incapacità – Sirius ne è convinto – è sempre più alimentata dalla sua totale assenza di curiosità. Perciò non riesce proprio a spiegarsi il motivo di quello sguardo triste e vuoto, forse rubato a una vita destinata al patibolo. Regulus non ha mai perso niente, semmai si è perso da solo, perciò – ne è sicuro – lo sguardo mesto stona con la sua natura boriosa. 
 
 
III.
 

“Tanto non ti importa se me ne vado”
“Non hai mai capito niente, fratello
“Spiegami, allora”
Sirius, con la valigia in mano, trema un po’ al suono di quelle parole. Prova a guardarlo negli occhi ma non ci riesce, deve fare questo per sé stesso e crede che suo fratello sia irrecuperabile. Ciò nonostante, non riesce a non supplicarlo di aiutarlo a capire, di aiutarlo ad aiutarsi.
“Vattene”
È meglio che non capisca, Regulus ne è convinto. Non avrebbe il tempo di spiegargli per filo e per segno cose che persino lui comprende a metà. Come spiegargli che lui non sa fare altro che distruggere ciò che reputa sbagliato, come trovare una giustificazione a quello strano, primitivo piacere che per un periodo ha provato nel far appassire fiori?
Come spiegargli che a un certo punto qualcosa è scattato, e che adesso sta cercando di rimettere insieme i pezzi e capire cosa gli è sfuggito.
Non può, perché suo fratello non avrebbe le risposte, e il pregiudizio ha il passo più felpato del suo, quando si tratta di giudicare ciò che non conosce. Sirius crede invece di conoscerlo, lo ha riempito di significati che a Regulus sono sempre stati stretti, la realtà è ben diversa. 
 
 
IV.
 

Vivienne lavora nella deliziosa pasticceria all’angolo di Battersea Park, e da quando la conosce, Regulus ha perso il conto di quanti tiramisù ha mangiato. Si è sempre limitato a chiederle del caffè freddo, a volte una porzione di dolce. Seduto al tavolino a sinistra dall’entrata, il ragazzo esile e triste si rigira un pound tra le mani, ingannando il tempo a sorsi di caffè e cucchiaini che stridono sull’orlo della tazzina. 
 
“Un penny per i tuoi pensieri”, gli aveva detto Vivienne una volta preso coraggio. Stava pulendo il tavolino accanto a quello dove era seduto lui, nel locale erano rimasti in pochi e le luci che costeggiavano Battersea Park sembravano stessero per spegnersi. 
Regulus non aveva previsto la possibilità di scambiarsi qualche pensiero. Per lui la comunicazione non verbale rappresentava l’equilibrio perfetto; dal silenzio alle parole la rovina era praticamente assicurata. Aveva dato un’occhiata sbrigativa al bancone, i cui colori aveva ormai memorizzato alla perfezione.
“Ti piacciono le camelie o è una politica della pasticceria?”
Vivienne lo guardava di sbieco, un po’ divertita un po’ insicura. Regulus frequentava la pasticceria da un po’, ma non si erano mai spinti più oltre di timidi discorsi accennati. La sua aria sempre moggia e un po’ arrabbiata, mescolata all’aspetto straordinariamente curato la intimidiva, all’inizio.
“Forse il vaso è un po’ sporco, è vero. A te non piacciono?”
Quella babbana rispondeva alle domande con altre domande, e sentiva che non l’avrebbe mai capita del tutto. L’esperimento che aveva davanti lo guardava come se fosse una persona interessante, da sviscerare e scoprire per bene. Regulus ancora non si fidava, ma i suoi originari, gloriosi propositi – diffondere il verbo del Signore Oscuro– li aveva temporaneamente sospesi a metà tra un caffè freddo e un tiramisù. Dannata curiosità.
“E io che credevo fossero i fiori, il problema”, aveva risposto, più a sé stesso che alla ragazza. 
 
Adesso che sono passati due mesi e Sirius è andato via, Regulus sente che il significato della sua dimora si è decisamente impoverito, non potrà mai ammetterlo alla luce del sole, ma di notte, quando fissa il Tamigi, vi trova un rassicurante confidente e può lasciarsi andare nel buio di quelle acque misteriose, chiedendosi quanti altri prima di lui abbiano fatto la stessa cosa, e quante ossa troverebbe laggiù, che attendono pazienti le sue.
 
 
V.
 

Un giorno si è accorto, guardando gli occhi grigi di Vivienne con la stessa meticolosa attenzione con cui guarda quelli del fiume, che non si deve nemmeno sforzare di subissarla di altri significati, che la verità nascosta tra le sue ossa basta, e pur essendo straordinariamente letale per tutto ciò in cui fino a un giorno prima credeva fermamente, non vuole spezzarla. 
Adesso l’aspetta fuori dalla pasticceria, perché gli va di bere qualcosa di forte, tanto quanto lo è il macigno nel cuore che gli ha fatto perdere il sonno. 
“Non servo niente di quel genere purtroppo, ma stacco alle 19” gli ha detto poco prima. 
Vivienne non finisce mai una frase, dannazione. Probabilmente si accompagnerebbe bene a un indovino e il fatto che lui sia un mago è doppiamente ironico, perché la Divinazione non gli è mai piaciuta; a lezione trangugiava il thè con avidità e nascondeva le foglie avanzate nella tasca della divisa per poi confonderle al tabacco e fumarsele al riparo da occhi indiscreti.
 
Finiscono in un locale lì vicino, seduti di fronte al bancone. Regulus si è ormai abituato ad avere babbani intorno (la colpa è solo tua, Vivienne Price), ma non riesce a comprendere se questo lo disturba così tanto come avrebbe dovuto. Ordinano due gin tonic, anche se Regulus avrebbe preferito un Whiskey Incendiario, ma questo drink lo intriga proprio perché ne ignora il gusto. Strano pensare che fino a poco tempo fa la sola idea di assaggiare cose nuove gli provocava la nausea. 
“Che hai”, le chiede Regulus, anche se dall’intonazione non sembra affatto una domanda.
“Sono un po’ stanca”, Vivienne ha un sorriso molle, gli occhi sono più lucidi del solito, forse infastiditi dalle nuvole di fumo che li circondano. 
“Definisci stanca”, la fossetta impertinente fa capolino sul suo viso e Vivienne rimane qualche secondo a fissarla, perché non ricorda di averlo mai visto sorridere. Sorride anche lei istintivamente, soddisfatta di quella nuova scoperta. 
Stanca nel senso che ho coperto due turni in più questa settimana, e gli esami imminenti di matematica mi stanno prosciugando l’anima”. 
Se avesse realmente conosciuto il significato di quell’espressione, pensa il mago, Vivienne non avrebbe nemmeno la forza di parlarne. 
Regulus si affaccia nei suoi occhi limpidi e vede sé stesso, i capelli un po’ arruffati, lo sguardo contrito e le mani che torturano la moneta, e pensa che sarebbe bello invertire i ruoli una volta, essere la vittima indifesa e ignara del predatore che le siede accanto, sarebbe bello poterle prendere le mani senza aver paura che queste brucino al suo contatto, sarebbe bello confondersi in lei, rifugiarsi nei problemi di matematica, avere una coperta d’ossa e di carne calda con cui coprirsi, in cui perdersi e dimenticarsi.
“È un esame difficile?” la cosa che stupisce entrambi e che a Regulus interessa davvero saperlo.
“Se sei un genio in matematica suppongo non lo sia” la ragazza scherza e gli da una leggera gomitata, così i suoi capelli ruggine finiscono per sfiorare il suo maglione nero.
“Allora non posso aiutarti”, non sa dove la trova la forza di ribattere con il suo stesso tono scherzoso, ma sembra funzionare, perché il viso di Vivienne si illumina di un sorriso intenso. Regulus cerca di mandare giù un fastidiosissimo groppo in gola con due generosi sorsi di gin tonic – che constata, non è niente male – mentre lei sfila il tabacco dalla sua tasca dei jeans senza chiedere permesso, sussurrando timidamente che il nero gli sta molto bene. 

 
VI.
 

Regulus osserva attentamente quei movimenti goffi mentre lei armeggia con la sigaretta, e gli viene un po’ da ridere sentendola tossire al primo tiro. Tuttavia, non ride, si trattiene mordendosi il labbro inferiore e comincia a chiedersi perché debba fingere di fumare se poi non sopporta il fumo nei polmoni, rabbrividendo al pensiero che possa averlo fatto per apparire più interessante ai suoi occhi. Perché farsi del male per piacere? Allunga la mano verso la sua e gli sfila la sigaretta dalle dita ossute, stando attento a non sfiorarle nemmeno con le nocche. Il marchio è ben coperto dalla stoffa pesante del maglione, ma per essere più sicuro trattiene l’estremità con le dita. 
“Amo questa canzone”, Vivienne rompe nuovamente il silenzio, ha gli occhi chiusi e leggere perle di sudore attaccate come condensa sulla fronte liscia. 
“Perché?” chiede Regulus, e viene subito spontaneo a Vivienne chiedersi chi mai pone una simile domanda così intima, ma non le dispiace nemmeno un po’.
“Te lo mostro”, allunga una mano verso di lui e si alza dallo sgabello barcollante. I merletti del suo vestito floreale assecondano quel movimento invitante e lui dapprima incerto e fottutamente spaventato, allunga la mano che adesso Vivienne stringe forte nella sua e trascina poco più in là dal bancone. La moneta cade sul tavolo facendo un tonfo sordo e la sigaretta appassisce nel posacenere.
“Ti piace questa canzone solo perché ci puoi ballare sopra? Lo puoi fare con tutte quante”. Regulus deve per forza dire qualcosa di spiacevole per riuscire a smorzare quella tensione che gli attanaglia le viscere. Le altre poche persone nel locale non lo preoccupano, non è di loro che gli importa, ma la ragazza che ha davanti gli si è aggrappata alle spalle, la distanza tra i loro corpi va annullandosi pericolosamente ad ogni passo e lui non riesce a frenare il movimento di muscoli istintivo che lo obbliga a poggiarle le mani sui fianchi, quindi si, deve dire qualcosa di brutto per farla allontanare.
È tutto sbagliato. 
“Mi piace perché posso ballarla con te. E anche per le parole”, il mago non è per niente abituato a quella fresca spontaneità. Si chiede se tutti i babbani siano così pericolosamente sinceri o se è una cosa che definisce solo lei.
“Ti faccio sentire triste a volte?”, ironizza Regulus seguendo le parole della canzone, e inarca un sopracciglio sembrando quasi appagato da quella nuova scoperta. Farla sentire triste è l’unica cosa in cui riuscirebbe senza sforzi. 
“Ma mi fai sentire anche felice”
“Dubito che io possa riuscirci con qualcuno”, il ragazzo non le da nemmeno il tempo di finire la frase, perché è semplicemente inconcepibile per lui, avere quella capacità così innaturale. Contrae la mascella in un movimento teso, come le mani poggiate sul suo vestito tutto fiori e merletti.  
“Posso farti una domanda?” Vivienne chiede e lui acconsente; in un’impercettibile frazione di secondo ragiona poco lucidamente sul fatto che se lei chiedesse, lui potrebbe arrivare a darle tutto senza nemmeno mettersi da parte le briciole.
“Il tuo nome è veramente Regulus? Cioè, porti davvero il nome di una stella?”
“È un vizio di famiglia”, la sua ironia si fa sempre più tagliente in sua presenza, la fossetta ricompare sul volto ma a lei sembra più addolcita. 
“Mio fratello si chiama Sirius, mia cugina Andromeda, e così via”, il mago si spiega meglio.
“Sai, è un po’divertente”
“Cosa?”
“Ho controllato sul libro di astronomia a scuola, porti il nome di una stella della costellazione del Leone”
“È così. Che c’è di divertente?”
“Non hai proprio la prestanza di un Leone”
“Forse lo prenderò come un complimento”, i muscoli del viso si rilassano di nuovo, sollevato e infondo anche un po’ divertito di questa situazione a dir poco assurda in cui due corpi così diversi ondeggiano uniti imitando il ritmo delle onde. 
“Scemo…volevo dire che non avrai lo stesso temperamento, ma il coraggio si”, la ragazza si spiega meglio, mentre il rossore delle sue guance non accenna a stemperarsi.
“Tu dici?” Regulus sembra essersene accorto, ma invece che ritrarsi scottato come avrebbe fatto solo pochi minuti prima, preferisce bruciare un altro po’ di fronte a quelle braci che ha al posto delle guance. 
“Certo! Sei riuscito ad invitarmi a uscire dopo quanto? Tre mesi che vieni nella mia pasticceria?”
Per la prima volta da quando si conoscono, per la prima volta dal suo quinto anno ad Hogwarts, Regulus scoppia a ridere. È una risata diversa rispetto a quelle a cui Vivienne è abituata, la voce roca è un po’ tremolante, strizza gli occhi blu e sul viso compaiono delle rughe d’espressione genuine. Non l’ha proprio invitata, perché nemmeno Regulus finisce le frasi, ma l’interpretazione di lei è forse quella giusta.
Tu sei divertente Vivienne Price, ma io non sono come...” il tono di voce divertito gli muore in gola improvvisamente, gli occhi prima limpidi tornano ad oscurarsi.
“Come tuo fratello che se n’è andato?” Il mago aveva raccontato alla babbana della fuga improvvisa ma piuttosto calcolata del fratello maggiore, è successo una sera in cui lei stava per chiudere il locale ma lui non accennava ad andarsene e aveva il viso più spento del solito. 
“A me sembra solo che questo Sirius di cui mi hai parlato sia fuggito dalle sue responsabilità, il che non lo rende molto coraggioso”. Se Vivienne avesse saputo l’intera storia forse non lo avrebbe giudicato così. Di fronte a quell’ammissione senza esclusione di colpe, le crepe nel cuore di Regulus scricchiolano più forte.
“È che reagisce di impulso e…” lo sta davvero difendendo? È come se Vivienne sia diventata lui per un attimo, come se Regulus fosse uscito temporaneamente dal suo corpo e dai suoi vestiti neri, come se avesse cominciato ad indossare camicette floreali come quegli hippy che vede per strada, e sia diventato una persona completamente diversa. Una persona dalle prospettive diverse, che prende le parti del fratello egoista.  
“E tu non lo fai?” Vivienne ha la capacità di saltare di palo in frasca, da un argomento all’altro, forse ispirata dalla sensualità non troppo implicita della canzone nel jukebox che lentamente striscia verso di lui e si inerpica sui pantaloni. 
“No, non di solito”. 
Di solito un mago non balla con una babbana in un bar poco frequentato, di solito un Mangiamorte tortura o uccide persone come lei, di solito Regulus ha gusti diversi, ma il sapore del gin tonic gli ha annebbiato la mente, sostituendosi a quello del sangue.  
“Se è così sei davvero un genio in matematica”. 
Regulus sorride con i denti ben in vista, facendosi più vicino a quel corpo in cui comincia a riconoscere la stessa fottuta e decisamente inappropriata ironia. E in effetti d’inappropriato in quella strana combinazione c’è proprio tutto. Sono così sbagliati insieme, che l’errore di calcolo inizia a piacergli in modo insanabile. 
“Se fossi bravo in matematica azzarderei che la misura di questa distanza non è affatto quella giusta”, non potrebbe essere più sincero di così. Ma Vivienne interpreta male il senso, o forse è proprio il suo punto di vista che Regulus agogna di nuovo. 
Senza perdere altro tempo, il mago risolve il problema e lo riempie di silenzio e significato. Vivienne lo bacia sulla bocca come lo bacerebbe su una guancia, le sue labbra scottano e infondo ha paura perché sanno talmente poco l’uno dell’altra, ma i loro corpi ne sanno un po’ di più, perché si stringono come se si conoscessero da una vita, come se si fossero scambiati le ossa molto prima di incontrarsi e adesso se le stiano restituendo una ad una. 
“Baciami sul serio Price, non come una ragazzina”, la provoca il mago, staccatosi parzialmente da lei solo per farle capire che c’è una differenza. La provoca perché ormai è davvero fottuto e il cuore di coccio è caduto ai suoi piedi infrangendosi in mille pezzi. La lascerà un giorno, la ferirà moltissimo, ma lui stanotte ha bisogno di qualcuno che lo tenga al riparo da sé stesso, che lo conosca per quello che non è ma che potrebbe essere se non. 
“Noi siamo ragaz..”, Vivienne lo riporta alla realtà ma solo per un attimo, poi le labbra di Regulus uccidono le parole e lei inizia a comprendere il significato di quel nome straniero, mentre lui vuole conoscersi e vedere cosa si prova a stare comodo nella mente di chi non conosce la maledizione della magia. 
Sono davvero solo dei ragazzini, ma si toccano come se non lo fossero, volando oltre gli occhi indiscreti e le risatine soffocate dei clienti habitué ormai dimentichi di quel genere di cose, affogate in chissà quante bottiglie di vino. 
Sono dei ragazzini, e Regulus, che di solito sembra portare gli anni di qualcun altro, ha perso quelli in più nell’istante in cui ha baciato Vivienne, scoprendo che le sue ossa e il suo sangue hanno più significati di quanti pensasse, e che Sirius potrebbe aver ragione, ma non glielo dirà, perché non ha ancora così tanto coraggio.
Il fiume con la sua sete d’ossa dovrà attendere.
  
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