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Autore: gabryweasley    26/09/2021    5 recensioni
"Non era pronto, tutto qui.
E qui non c’era niente. C’era a malapena lei con quel cuore nuovo che pareva battesse sotto il suo in mezzo alle rovine delle quali era fatta."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Rovine


Tonks lo sapeva che sua madre non era nota per essere una donna dall’offesa facile. Se avesse dovuto descriverla, avrebbe detto che Andromeda aveva spalle affaticate da una vita di giudizi non richiesti, il volto segnato dalla determinazione nel combatterli, un garbo spontaneo nei gesti che la caratterizzavano. Come l’abbraccio in cui l’aveva stretta quando, nonostante il recente matrimonio, era tornata a casa da sola.
«È uno sciagurato. Non immaginavo. Un disgraziato come gli altri.»
Non immaginava, aveva detto quel giorno, mentre pranzavano. Di certo erano parole sfuggite dai suoi pensieri, perché erano giorni che l’unica preoccupazione per lei era che sua figlia si sforzasse di mettere nello stomaco qualcosa e farcelo rimanere, e osservazioni come quella, a tavola, non avrebbero aiutato.
Tonks lo sapeva, ma non aveva potuto fare a meno di guardarla in modo astioso, come mai avrebbe voluto.
Succedeva, in quei giorni, che tutta la delusione che sentiva dentro si mescolava a rabbia e sconforto e quel groviglio di emozioni diventava aspro all’altezza dello stomaco riportandole alla mente tutte le titubanze dei suoi genitori sul suo rapporto con Remus e le loro paure, più che la loro comprensione.
«Sei diventata degna del cognome che porti?» Aveva sentito le parole sussurrate e sputate dalla sua stessa bocca, come se a pronunciarle fosse stato qualcun altro. E quel nodo amaro nello stomaco l’aveva obbligata ad allontanare il piatto da sé, a lasciare le posate, a portare le mani sul ventre.
«Dora, non essere sciocca, non è una questione di sangue.» suo padre, cauto, che la guardava provando a sedare quella discussione.
«Non di sangue. Di razza, allora?»
«Non era pronto, tutto qui.» aveva ripreso Andromeda.
Non era pronto, tutto qui.
E qui non c’era niente. Solo un voltastomaco senza fine, una centrifuga di emozioni insopportabili che chiedevano solo di venire fuori nel modo più sgradevole possibile.
«Scusate» si era allontanata dal tavolo, la tovaglia si era aggrovigliata alle sue ginocchia e una forchetta era caduta per terra. La risata di Remus non sarebbe arrivata. Non si era preoccupara di raccoglierla, era riuscita solo a sparire da quella stanza prima di dare voce a offese crudeli pronunciate senza pensare.
In bagno aveva rigettato ricordi fastidiosi e tutti i te l’avevo detto taciuti di sua madre, e tutto l’autocontrollo di suo padre.
Era tornata in camera, si era seduta sul suo letto e di nuovo le parole di poco prima erano tornate a intossicarle la mente e ad aggiungersi a emozioni e sentimenti che non le davano tregua.
Non era pronto, tutto qui.
E qui non c’era niente. C’era a malapena lei con quel cuore nuovo che pareva battesse sotto il suo in mezzo alle rovine delle quali era fatta. Sapeva che c’era, che era lì, eppure non sentiva ancora nulla, ed era forte la sensazione che tutto fosse crollato per niente.
Aveva gli occhi persi nel vuoto, le gambe incrociate sul letto, la bacchetta che rotolava sul lenzuolo sospinta dalle sue dita.
Non immaginava di tornare in quella camera dopo così poche settimane.
Non aveva avuto il tempo di abituarsi all’odore di pareti nuove, a scalini da evitare. Non aveva costruito una routine, presa dal lavoro, dai turni di guardia di chi teneva vivo l’Ordine, da quell’amore costruito con fatica. Aveva pensato di aver dato a quei sentimenti la solidità di mattoni e cemento e che, se anche fosse inciampata lei, avrebbe trovato tutto sempre lì al suo posto con fondamenta salde e profonde. Remus le aveva dato una mano, innalzando muri insieme a lei, fra rari sorrisi insicuri e maldestri che comparivano nei momenti più giusti, che mettevano parole dove lui metteva solo silenzi. Si era innamorata di sorrisi rari, ma giusti, che parevano comprenderla.
Era giusto quel sorriso divertito che le riservava ogni volta che inciampava vicino ai suoi piedi, quello confuso quando lei lo aveva baciato senza preavviso una sera durante un turno di guardia, quello vivace quando era attento a cogliere i particolari delle sue trasformazioni.
Non immaginava, Tonks, di aver abitato invece un castello di sabbia, portato via in fretta da una mareggiata inaspettata. Senza pareti, scalini, porte.
Non immaginava, Tonks, il silenzio che si espandeva veloce e denso intorno alle parole pronunciate per dirgli che sarebbero diventati genitori. Non era pronto, Remus, a sorridere alla notizia di quella gravidanza come aveva sorriso quando si erano scambiati gli anelli, di emozione e gratitudine e amore.
Aveva sentito bussare e aveva visto la porta schiudersi senza che lei avesse pronunciato parola, ridestandola da tutti quei pensieri senza inizio né fine.
Sua madre, in piedi sulla soglia, aveva un'espressione dura, specchio della sua.
«Non ti fa bene il dispiacere...» la sentì dire.
Un istinto senza senso le fece impugnare la bacchetta contro di lei, senza chiedersi né capire se quelle parole fossero scuse mascherate d’orgoglio o pure e semplici riflessioni fatte soltanto guardandola. Dopotutto, bastava di certo un’occhiata per cogliere quella magrezza eccessiva per il suo stato e quel terribile grigio topo che non voleva di nuovo saperne di svanire dai suoi capelli.
«Dora, cosa vuoi fare?». Le spalle di Andromeda, seppur affaticate, non si abbassavano mai. Tonks ne invidiava la forza. Avrebbe voluto avere, in quel momento, la stessa disinvoltura che vedeva in lei e trovare una risposta a quella domanda.
Piangere fino a stare male. Urlare fino a fare male.
Perché qui non c’era niente, solo una luce fioca nel suo ventre che ancora non vedeva e non sentiva ma le impediva di odiare Remus, disprezzare sua madre, accanirsi sulla calma di suo padre. Una luce fioca che le permetteva di sopportare sé stessa e resistere a quel buio della guerra che premeva per soffocarla.
Era stata la forza di quella luce a incanalarsi nella sua bacchetta, a trovare la via d’uscita da quel dolore. Un cucciolo di lupo argentato aveva attraversato la stanza, saltellato intorno alle gambe di Andromeda per poi sparire.
Non aveva immaginato, Tonks, di essere riuscita a custodire in quei giorni la forza per evocare un Patronus. Non riusciva nemmeno a capire come fosse riuscita a farlo in quel momento.
Un sorriso si fece strada sulla sua bocca, una mano andò ad accarezzare il ventre. Gli occhi corsero a cercare quelli di sua madre e la risposta alla domanda che le aveva posto era arrivata naturale.
«Rialzarmi, mi voglio rialzare.» aveva detto, mentre finalmente sentiva scorrerle sul viso lacrime calde, la morsa nel suo stomaco si allentava e la mancanza di Remus diventava un po’ più sfocata rispetto all’immagine di quel cucciolo che aveva brillato nella stanza e continuava a farlo dentro di lei, mostrandole quando poco ci fosse di vero in quel niente.


Non aveva immaginato, Tonks, di essere capace di perdonare senza traccia di risentimento quando Remus era ricomparso sulla porta di casa dei suoi genitori.
Non voleva piangere e non voleva urlare, solo sorridere di rimando al suo sorriso imbarazzato che raccontava i suoi errori, i sensi di colpa, le scuse.
«Va tutto bene, adesso.» glielo aveva sussurrato asciugando con le mani le lacrime fitte che avevano cominciato a scorrergli sul volto subito dopo.
«Ti fidi ancora di me?» le aveva domandato, in un abbraccio stretto.
Gli aveva preso il volto fra le mani, gli aveva sorriso ancora e ancora mentre annuiva. Non era pronto, tutto qui.
E qui adesso c’erano solo le labbra di Remus che catturavano quei sorrisi e ricomponevano le mura crollate e le loro stesse vite.
E Tonks non lo aveva immaginato, ma ora lo sapeva, che per ricostruire tutto sarebbe bastata quella luce lieve nel suo ventre, che vedeva e sentiva, sotto il suo cuore e quello di Remus.


*****







Ciao!
Questa fic nasce in seguito al gioco di scrittura a catena "Tutti i gusti+1" del gruppo facebook "L'angolo di Madama Rosmerta". Rosmary mi ha proposto come personaggi: George Weasley, Remus Lupin, Ninfadora Tonks - Citazione: "Il suo sorriso era uno di quei rari sorrisi che capita forse di vedere quattro o cinque volte nella vita. Pareva comprenderti e credere in te tanto quanto tu vorresti essere compreso e ispirare fiducia." tratta da Il grande Gatsby (il film).
Ho scartato George dai personaggi e ho tenuto Ninfadora e Remus.
Spero di aver inglobato bene il senso della citazione, questa fic forse premeva già ma alla fine è uscita perché quella frase mi è parsa molto azzeccata alla mia idea di loro due.
Vorrei spiegare il Patronus. È inteso come magia involontaria, un po' come quella dei bambini maghi. Ho immaginato questa possibilità come possibile "sintomo" della gravidanza di una strega. Un po' come i normali sintomi inspiegabili di una gravidanza normale. Tonks, essendo all'inizio della gravidanza non sente nulla dentro di sé. Quella magia rende invece tutto più concreto ed è quello che le serviva per rimettersi in sesto, almeno un po’. Ha senso? Spero di si. Nella mia testa il senso c’era.
Spero che sia stata una lettura gradita, HP è casa ma scriverci è ancora esperimento! Gestire la magia è proprio una delle cose che temo!
Mano sul cuore,
gabry





   
 
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