Capitolo 2:
I close my eyes and the flashback starts
La luce del sole filtrava attraverso le pesanti tende
color rosa pallido e illuminava la stanza con il suo chiarore naturale.
Marinette mugugnò qualcosa e si rigirò nel letto stropicciandosi gli occhi
assonata, poi sbadigliò e si stiracchiò. Guardò fuori dalla finestra e vide i
raggi del sole che giocavano tra le foglie del vecchio albero di melo che si
intravedeva fuori dalla sua finestra.
Il letto era
così comodo e caldo che Marinette avrebbe voluto passarci l’intera giornata,
semplicemente sonnecchiando, ma sapeva che avrebbe dovuto alzarsi perché
doveva…
Doveva fare qualcosa, di questo era certa, ma non
ricordava bene cosa. Si mise a sedere e nascose il viso tra le mani, il cuore
iniziò a batterle più in fretta. Qualunque cosa fosse era sicura che fosse
importante, molto importante, e non riusciva a credere che fosse andata a
dormire quando doveva…
Aspetta, cosa doveva fare? Non riusciva davvero a
ricordare.
Si batté la mano in fronte una, due volte, nel
tentativo di riportare quel qualcosa in mente.
Cosa aveva fatto la sera prima?
Era stata di pattuglia con… le venne in mente
l’immagine sfocata di un ragazzo vestito completamente di nero. Corrugò la
fronte, quello non poteva essere giusto.
Era stata con Rena, giusto, nessun ragazzo, erano
sempre state solo loro due.
Avevano corso per le strade di Parigi in cerca di
qualche crimine da sventare, come facevano ogni notte. Avevano effettivamente
catturato un ladruncolo che aveva provato ad aggredire una ragazza e lo avevano
lasciato in custodia alla polizia.
Avevano entrambe indossato i loro soliti costumi per
nascondere le loro identità: Marinette un mantello che aveva cucito lei stessa
con due vecchie tende rosse con delle toppe nere e maglia e calzoni neri oltre
a una fascia rossa sugli occhi e Rena il suo lungo cappotto di un marrone
aranciato che finiva a punta come se fosse una coda e maglia e calzoni bianchi
con una maschera dello stesso colore del cappotto sul viso.
A mezzanotte, quando le campane della chiesa avevano
suonato, si erano divise per tornare ognuna a casa propria.
Marinette sospirò di sollievo. Ora ricordava
perfettamente cosa fosse accaduto e sapeva che non aveva lasciato niente
incompiuto, eppure la strana sensazione non voleva lasciarla. Decise che
prepararsi per la giornata e scendere in panetteria ad aiutare i suoi genitori
fosse la cosa migliore.
Indossò un semplice vestito di cotone color celeste
chiaro e si raccolse i capelli in uno chignon alto. Si guardò al vecchio
specchio soddisfatta e notò i suoi orecchini di perla che indossava sempre
scintillare quando furono colpiti dai raggi del sole. Poi abbassò lo sguardo
sulla gabbietta di vetro posta sul comodino.
«Ciao Tikki» mormorò con un sorriso e picchiettando il
vetro con un dito. La coccinella all’interno sembrò voltarsi verso di lei per
un secondo, poi riprese a camminare sulla sua fogliolina.
Marinette aveva quella coccinella da quando aveva
memoria. No, aspetta, non era possibile, le coccinelle non vivevano così a
lungo. Aggrottò la fronte pensierosa, cercando di ricordare, poi schioccò le
dita quando le venne in mente. Non era sempre la stessa coccinella! Marinette
ne prendeva una nuova quando quella precedente era morta, lo faceva da quando
era piccola. Si grattò la testa un po’ preoccupata. Quella mattina si sentiva
molto strana e faceva fatica a ricordare le cose, si chiese se la notte prima
non avesse battuto la testa durante il combattimento ma scartò subito l’idea.
Catturare quel ladruncolo era stato semplice per Ladybug e Rena Rouge.
Fece spallucce e si recò nella panetteria. Una volta
scese le scale avvertì immediatamente l’odore di pane caldo e biscotti appena
fatti e ridacchiò quando sentì il suo stomaco brontolare per la fame.
«Buongiorno mamma!» disse abbracciando da dietro
Sabine che stava disponendo dei dolcetti in una vetrina.
«Buongiorno papà!» baciò la guancia di Tom che sorrise
distrattamente alla figlia mentre era impegnato a infornare delle pagnotte.
Marinette mangiucchiò una delle brioche appena
sfornate e si legò alla vita un grembiulino bianco, poi andò verso l’ingresso
della panetteria e spalancò la porta.
Un gran vociare si diffuse immediatamente nell’aria,
proveniente dalla piazza in cui si trovava il loro negozio. Un ragazzino stava
gridando verso chiunque gli dava ascolto i titoli dei giornali che aveva in un
pacchetto accanto a sé nel tentativo di venderli; le bancarelle di frutta,
verdura, carne e pesce iniziarono a riempirsi mentre i proprietari esponevano
la loro merce; in lontananza si sentivano gli zoccoli dei cavalli e le ruote
dei carri sul ciottolato mentre i contadini iniziavano a partire verso i campi.
Marinette prese un
respiro profondo assaporando l’aria pulita di Parigi e poi ritornò dietro il
bancone con un sorriso, aspettando il loro primo cliente.
La campanella sulla porta tintinnò nuovamente.
Marinette diede il pane al signor Ramier e si girò per dare il benvenuto al
nuovo cliente ma si fermò con un sorriso sulle labbra quando si accorse chi
fosse entrato.
«Ciao ragazza» la salutò Alya.
Marinette salutò frettolosamente il signor Ramier e
poi corse verso la sua miglior amica, abbracciandola; Alya scoppiò in una
risata allegra ricambiando l’abbraccio.
«Ci siamo viste qualche ora fa!» disse Alya.
Aveva ragione, non era passato molto da quando si
erano divise dopo la pattuglia. Eppure, Marinette sentiva che la presenza
dell’amica fosse la cosa migliore che poteva accaderle in quel momento. Ma
certo! Se c’era qualcuno che poteva aiutarla a capire cosa le fosse preso
quella mattina era sicuramente Alya.
Quando però ripensò alle parole dell’altra ragazza
aggrottò la fronte.
«Shhh! Parla piano» mormorò Marinette e prendendo la
mano di Alya la condusse di sopra in camera sua, dopo aver chiesto il permesso
ai suoi genitori di allontanarsi.
Nessuno sapeva che Alya e Marinette erano in realtà
Ladybug e Rena Rouge. Era importante che assolutamente nessuno dovesse anche
solo capire le identità delle due eroine. In realtà per quanto fossero amate
dal popolo di Parigi le due erano considerate delle fuorilegge ricercate dalla
polizia su ordine del Re.
Marinette non capiva perché il Re le odiasse così
tanto da mettere una taglia sulle loro teste quando tutto ciò che loro facevano
era assicurarsi che Parigi fosse sicura, ma credeva fermamente che i loro
genitori non dovessero scoprire le loro identità per non metterli in pericolo.
Soprattutto i genitori di Alya! Sua madre era la
migliore cuoca di tutta Parigi e anche se aveva iniziato con una propria
locanda ora cucinava personalmente per il Re. Anche il padre lavorava al
castello come guardiano dei cani e girava voce che stesse addestrando
addirittura una pantera. Ma quelle erano solo dicerie.
I due erano troppo vicini al Re per poter essere messi
al corrente di cosa la figlia facesse di notte. Era meglio che li lasciassero
nella loro ignoranza, era più sicuro.
I genitori di Marinette erano dei semplici panettieri
ma neanche loro dovevano sapere. Per qualche motivo il Re odiava soprattutto
Ladybug.
Marinette chiuse la porta della sua stanza a chiave e
le due si sedettero sul letto per parlare. Quel giorno Alya indossava il suo
solito vestito a quadri rosso e bianco e teneva i capelli raccolti sotto uno
spesso velo di cotone bianco che le fasciava la testa. Al collo portava una
collana con un ciondolo a forma di coda di volpe che Marinette le aveva
regalato. La ragazza non se ne separava mai, come Marinette con i suoi
orecchini. Entrambe sentivano inspiegabilmente che fosse importante che non si
separassero mai dai propri gioielli. Era una sensazione assurda ma le due
avevano deciso di seguire il loro istinto.
«Come sta Trixx?» chiese Marinette.
Trixx era la volpe di Alya. Era comparsa qualche
giorno dopo che le aveva regalato la collana, Alya l’aveva trovata… nel bosco,
certo, e da allora se ne era presa personalmente cura. Era strano che un
animale selvatico seguisse in questo modo un umano ma Trixx non aveva più
lasciato il fianco della ragazza da quando l’aveva trovata e Alya la portava
dappertutto. Tranne alla panetteria perché a Tom e Sabine non piaceva che
l’animale entrasse, in quanto spaventava i clienti.
«Sta bene, questa mattina ha ucciso un topolino e me
l’ha fatto trovare sul letto. Sembra un gatto invece di una volpe!» ridacchiò Alya.
Marinette si unì a lei e le due chiacchierarono del
più e del meno per un po’, anche se la ragazza era ancora distratta dalla
strana confusione che la attanagliava da quando si era svegliata.
Decise finalmente di parlarne con Alya, le spiegò
tutte le volte che si era sentita confusa da quando si era alzata quella
mattina.
Alya ascoltò pensierosa per tutto il racconto,
annuendo di tanto in tanto.
«Anche io mi sento così… è come se mancasse un pezzo,
ma non riesco a capire cosa sia» rispose alla fine.
Marinette annuì energeticamente. Era esattamente così
che si sentiva! Da una parte era sollevata di non essere l’unica ma dall’altra
era estremamente preoccupata. Che cosa stava succedendo esattamente?
«Dobbiamo ripercorrere ciò che abbiamo fatto ieri,
stasera andremo di nuovo a pattugliare le strade» decise alla fine Marinette
«Ciò che non ricordiamo deve essere collegato a quegli eventi in qualche modo».
«L’unica cosa degna di nota è stato quel ladro…
potremmo interrogarlo» disse Alya.
Marinette ci pensò su, sarebbe stato difficile visto
che era nelle prigioni e le guardie sarebbero state più inclini a catturarle
invece che ad aiutarle, ma forse con un diversivo…
Avrebbero fatto così: avrebbero ripercorso la strada
fatta la sera precedente e poi, se non avessero trovato niente, sarebbero
andate nelle prigioni.
Comunicò il piano ad Alya
ed entrambe convennero che era il modo di agire migliore per il momento.
Parlarono per un’altra
ora dei dettagli e si fermarono solo quando Sabine salì in camera per dire alle
due ragazze di scendere per pranzare.
Alya si scusò dicendo di
dover andare a casa e di nascosto strizzò l’occhio a Marinette con un
sorrisino, mimando con la bocca le parole: “ci vediamo stasera”.
Era una serata particolarmente tranquilla, la luna
splendeva indisturbata nel cielo e Parigi era silenziosa, i suoi abitanti ormai
andati a letto da un bel pezzo.
Ladybug, accovacciata su un tetto, scrutava
l’orizzonte alla ricerca di qualcosa fuori posto. Stava aspettando Rena Rouge
al loro solito punto di incontro su un edificio vicino la Tour Eiffel.
Dall’alto la città era illuminata da minuscoli puntini di luce che pian piano
andavano a spegnersi, la vista era a dir poco mozzafiato. Ladybug adorava
andare lassù e osservare il paesaggio, era forse la cosa che preferiva della
sua identità segreta. Oltre a combattere i cattivi, certo.
La mia città, pensò con affetto mentre l’amore che
provava per Parigi le riscaldava il petto.
All’improvviso sentì rumore di passi dietro di sé e si
girò di scatto, ma era solo Rena che era appena arrivata. La volpe sogghignò
divertita nel vedere la reazione dell’altra ma si accovacciò accanto alla
compagna.
«Allora, iniziamo?» chiese Rena.
Ladybug annuì e le due si arrampicarono giù dal tetto
per cominciare a camminare tra le strade addormentate di Parigi. In giro non
c’era anima viva, anche se alcune luci si riuscivano a intravedere dalla finestra.
Ultimamente c’erano state un aumento di criminali nelle strade e il capo delle
guardie aveva istituito un coprifuoco, nessuno poteva uscire per le strade
senza permesso ufficiale dopo il tramonto.
La pattuglia era quasi noiosa, in quanto sembrava che
loro due fossero per strada, e con un cenno di intesa si dissero di iniziare il
piano per andare nelle prigioni quando sentirono un rumore. Dalla via davanti a
loro giungeva il suono di zoccoli sul selciato e le due si nascosero in fretta
dentro un vicolo, nelle ombre.
Ladybug si chiese chi fossero a quest’ora i coraggiosi
che osavano sfidare in modo così plateale il coprifuoco.
All’improvviso ci fu un forte boato e il cavallo deviò
spaventato, impennandosi e scalciando in modo tale da fare rovesciare il carro
su un lato.
Ladybug lanciò un’occhiata sulla sua spalla nel
tentativo di capire cosa fosse stato e, tra il denso fumo bianco, li vide.
Erano due uomini, alti e muscolosi, che si avvicinarono in modo minaccioso al
carro.
La ragazza scattò fuori dal suo nascondiglio brandendo
la lunga frusta che portava sempre con sé, Rena invece sembrò nascondersi
ulteriormente, quasi svanendo nell’oscurità.
I due uomini si girarono e impugnarono delle lunghe
mazze di legno quando videro la ragazza, ghignarono divertiti dal pensiero che
fosse sola e poi si gettarono su di lei.
Alla fine, il combattimento durò poco. Ladybug
schioccò la sua frusta, che colpì i piedi dell’uomo più vicino. L’uomo cadde a
terra e Ladybug si avvicinò fulminea colpendolo con il manico della frusta su
una tempia facendolo svenire. L’altro si fermò esitante alla vista di ciò che
era successo al suo compagno e indietreggiò esitante alzando la sua mazza in
una posa difensiva. Dietro di lui, come se fosse spuntata dal nulla, si avventò
Rena che colpì l’individuo alla nuca con il lungo bastone che portava di solito
per combattere. Il brigante cadde a terra a pochi passi dal suo amico.
Le due eroine si sorrisero, poi batterono il pugno
come facevano di solito per festeggiare. A Ladybug sembrò però che mancasse
qualcosa, o meglio, qualcuno. Nella mente le passò fugacemente l’immagine del
ragazzo a cui aveva pensato quella mattina, ma di cui però non riusciva a
vedere il volto. Scosse il capo, irritata dalla sua immaginazione. C’erano sempre
state solo lei e Rena, nessun ragazzo.
Si riscosse dai suoi pensieri quando l’amica le toccò
il braccio e le indicò con un cenno della testa il carro, ancora rovesciato su
un lato. Le due corsero verso il calesse, che era completamente chiuso e
anonimo. Rena aprì con forza la porta, che era rimasta bloccata dal colpo che
aveva ricevuto, e davanti a loro apparvero due persone.
La prima, una donna, era accucciata protettivamente
davanti all’altra. Era vestita con una camiciola bianca, pantaloni grigi e una giacca
elegante dello stesso colore. I capelli neri erano raccolti in modo elegante
sul capo, tranne la frangetta che aveva una ciocca di capelli rossi.
Ladybug e Rena spalancarono occhi e bocca, sbalordite.
Davanti a loro c’era quella che era senza ombra di dubbio la consigliera
personale del Re, Nathalie Sancoeur.
Anche la donna rimase per qualche minuto sorpresa di
vedere chi fossero le loro salvatrici, dopo qualche secondo però le si formò
un’espressione determinata sul volto e strinse un pugno, facendo per alzarsi.
Ladybug e Rena Rouge si misero sulla difensiva, aspettandosi un attacco che
tuttavia non arrivò. Sulla sua spalla le si era posata una mano e l’altro
occupante della carrozza la scostò gentilmente permettendo alle ragazze di
vederlo.
Le due rimasero pietrificate nel vedere il ragazzo e
entrambe smisero di respirare.
Davanti a loro c’era il
Principe del loro regno, Adrien Agreste.
Note dell’autrice
Sono stata occupata con lavoro e scuola e ci ho messo
più tempo di quanto pensassi a finire di scrivere questo capitolo. Spero che vi
piaccia.
Ringrazio chi ha recensito la storia e chi l’ha messa
nelle seguite e le ricordate.
Al prossimo capitolo!