Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: epices    28/09/2021    15 recensioni
La storia inizia con il ritorno di Fersen su suolo francese dopo la guerra americana, ma gli eventi non saranno quelli noti, anche perchè il bel Conte non tornerà da solo.
“E l’amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”. (L. Pirandello)
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Forse appena un paio delle stelle che avevano illuminato il cielo quell'ultima notte si erano spente e soltanto una sottilissima lama di luce si intravedeva laggiù, verso Parigi, quando Oscar terminò di allacciare l'ultimo bottone della camicia.
Era troppo presto per recarsi a Versailles e per fare colazione; probabilmente troppo presto per qualunque cosa, tranne per il suo intimo bisogno di addentrarsi in quella zona di confine tra luce e buio e recarsi laggiù, dove aveva imparato a parlare con il vento e ad affidare i propri pensieri ai raggi del sole o alla pioggia, in base al trascorrere delle stagioni; gli unici elementi in grado di far visita, senza preavviso alcuno, a quella terra al di là del mare, nell'irrazionale desiderio di avere, così facendo, una minima possibilità di comunicare con lui.
Lanciò una rapida occhiata al letto sfatto; le lenzuola aggrovigliate e i cuscini sparsi ovunque, tranne nella posizione in cui avrebbero dovuto trovarsi, erano indici inequivocabili di una notte in cui il sonno era stato bandito da quella stanza.
No, quella decisamente non era stata una buona notte per dormire. Non lo erano da anni ma a differenza di tante altre, la stanchezza, per poche ore - decisamente troppo poche - aveva avuto la meglio anche senza il sussidio delle cantine Jarjayes.
Quando aveva aperto gli occhi nel buio, con la coscienza che ancora faticava ad emergere tra l'inconsapevolezza e il sogno, ammesso che sognasse - non lo ricordava mai - non si era resa immediatamente conto di quanto quello fosse un giorno diverso da tutti gli altri vissuti nell'ultima parte della sua vita.
Poi la realtà era capitombolata all'improvviso e senza remore davanti ai suoi occhi. Lui era tornato.
Si avvicinò alla finestra ponendo una mano sul vetro in un tocco lieve, sfiorandone piano le trasparenze come stesse strofinando un'improbabile lampada magica ad evocare le prestazioni di un genio benevolo che le indicasse la cosa migliore da fare (1)
Erano numerosi i pensieri che si rincorrevano in fretta, talmente tanto da non riuscire ad afferrarne nessuno e ci sarebbero state così tante cose da dire senza, tuttavia, nessuna garanzia che lui le avrebbe volute ascoltare.
E poi il dubbio e il timore di non sapere cosa fosse rimasto dell'Andrè che conosceva in quell'uomo affascinante tornato dall'altra parte del mondo.
Le era sembrato così enigmatico a tratti, quel sorriso e, probabilmente, nascondeva già pensieri e decisioni che non la includevano. E non avrebbe potuto essere diversamente; le loro vite si erano divise, senza preavviso alcuno, sette anni prima. E sette anni erano davvero un'infinità di tempo.
E non sapeva proprio quali sarebbero state le parole giuste per dirgli tutto, per dirgli che lì, senza di lui, non era rimasto molto. Per non parlare poi di quella macchia indelebile che le tingeva il cuore. Non se ne sarebbe mai andata.
Nascose il volto tra le mani premendo sugli occhi con le dita, facendole poi scivolare sulle tempie ad imprimere un lieve massaggio, come servisse ad ordinare i pensieri. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva provato ad analizzare ogni frase, ogni parola, per provare a darsi una spegazione.

Lui se ne andrà...
Come può esistere un amore così grande, Andrè? Io non ne avevo idea...

Scosse lievemente il capo sorridendo ironicamente ed esclusivamente a se stessa.
Ora sì che ne aveva un'idea ben chiara.
Ora sì che comprendeva pienamente il tipo di sentimento che aveva visto nascere a Versailles, sotto i propri occhi, di certo inesperti, ma in grado di cogliere sfumature di cui non pensava nemmeno essere in grado di percepire il colore di fondo.
Ora sì che era riuscita a tradurre ogni sillaba del suo cuore di donna, il quale, da consumato oratore, aveva imparato ad esibirsi in monologhi senza fine.
Ma non avrebbe detto nulla. Il momento era passato.
L'aveva percepito così lontano, a tratti rigido, come cercasse di mantenere distanze mai esistite prima tra loro.

Già...prima.

Se ami qualcuno devi essere in grado di lasciarlo libero – era una verità alla quale era giunta, non senza fatica, nelle lunghe cavalcate solitarie che, a dispetto dell'assenza, parlavano soltanto di una vita vissuta in due.
E quella libertà lui se l'era presa da solo, o meglio, era stata lei a fornirgli la chiave per aprire una porta sul mondo che lui aveva spalancato e attraversato, tagliandola fuori.
Ed ora lui viveva là, in quella dimensione alla quale lei non apparteneva, colma di cose che non conosceva e nella quale, con ogni probabilità, già volteggiava leggiadra una donna che non era lei.
Se solo fosse arrivata in tempo allora...ma magari non sarebbe servito a niente.
Si era sentita talmente in colpa, colpevole di tutto. Senza nessuna possibilità di appello.
Non aveva certo detto che dovesse essere per sempre...
Non avrebbe mai immaginato sarebbe andato tanto lontano. Ma cosa si era immaginata in fondo?
Nulla
Aveva parlato soltanto lei quella mattina, non gli aveva lasciato ne il tempo ne il modo di ribattere alcunchè.
Ricordava il suo sorriso, dapprima tenero e preoccupato, poi triste e rassegnato che infine si era spento insieme all'ultimo moccolo di candela.
Non farti carico di colpe che non hai...” E lo pensava davvero, allora. E anche adesso.
Lo avrebbe fermato se avesse potuto farlo...se solo avesse saputo prima. Ma lo aveva fatto apposta, il maledetto.
Maledetto pazzo!
Aveva calcolato perfettamente i tempi. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo che con i numeri e la logica era imbattibile, anche se faceva finta di niente, anche se faceva finta che ogni risposta accuratamente ponderata fosse stata dettata dal caso o che magari fose stata decisa da lei stessa.

Cosa dici Oscar? Potrebbe essere così?”

Io pensavo...ma magari mi sbaglio...”. E invece sapeva già tutto.

Più volte si era chiesta cosa mai sarebbe potuto diventare Andrè con la testa che si ritrovava e con le qualità che possedeva, invece di andare a buttare la vita in un campo di battaglia.
Buttare la vita...
Ed era davvero inimmaginabile come fosse cambiata la sua visione delle cose. Le avevano insegnato, da che aveva memoria, che la guerra significasse gloria e onore, che fosse occasione di fama e prestigio.
Sì ma per gli ufficiali! Per gli ufficiali!
Che ne era dei soldati senza nome, disposti in prima linea, che non sarebbero mai tornati in patria? E che sarebbero stati sepolti, ignoti, nella vastità di quelle terre lontane?
Non ricordava nemmeno quante volte si era svegliata di soprassalto, senz'aria, al pensiero non esistesse nemmeno un posto dove poter andare a parlare con lui. Per dirgli ciò che non aveva avuto occasione di fare. Per poterlo salutare un'ultima volta come, invece, non aveva fatto.

Andrè aveva fatto in modo di informare sua nonna il giorno esatto, chissà, forse nello stesso momento in cui quella dannata nave aveva salpato le ancore.
Aveva ancora davanti agli occhi il viso sgomento della governante la mattina in cui si era presentata alla sua porta, la busta in una mano, la lettera, appena recapitata, nell'altra.
Non aveva capito, non voleva capire...le aveva porto i fogli come se lei avesse avuto la soluzione ad un problema altrimenti indistricabile.
Se ne era andato da diverse settimane ormai.
All'inizio non si era preoccupata affatto, nemmeno un pò. Era un uomo perfettamente in grado di badare a se stesso e stava facendo esattamente ciò che lei gli aveva chiesto.
Anche lei se ne era andata approfittando di parte del congedo concesso periodicamente ai componenti delle guardie reali. Quando era tornata dalla Normandia con la paura smisurata e l'inconfessabile voglia di cedere ai sussurri del proprio cuore, aveva però trovato un'atmosfera fosca.
La nonna, nonostante cercasse di nasconderlo dietro lo zelo abituale, aveva un atteggiamento cupo e scostante.
Sembrava quasi avesse timore di parlare con lei.
Aveva attribuito quell'inspiegabile modo di fare alla preoccupazione per il nipote che ancora non si era fatto sentire.

“Hai avuto notizie di Andrè?”- le aveva chiesto una sera, mentre l'aiutava a prepararsi per il bagno. Era stata una giornata scandita da noiose riunioni, ravvivata soltanto da una seduta di presentazione di nuove reclute, tutte talmente incapaci, a suo avviso, che aveva deciso di lasciare il comando nelle mani del tenente Girodel.
E si era ritrovata a chiedersi da quanto fosse diventata così maldisposta e suscettibile.
E si era ritrovata a chiedersi come avesse fatto a non capire quanto lui le sarebbe mancato.

“No, nessuna”

Era stata una risposta secca ma dal tono indefinibile; vi aveva percepito una miriade di sensazioni impossibili da interpretare anche perchè la governante le stava dando le spalle e sembrava non avesse nessuna intenzione di interrompere ciò che stava facendo.

“Quando è partito non ti ha detto dove aveva intenzione di andare?” - aveva provato ad indagare.

“No...solo che ormai era tempo di provare a seguire le proprie attitudini. Ha detto che te ne ha parlato e tu eri d'accordo...che a lui piacerebbe scrivere. Ha anche aggiunto che avrebbe informato tuo padre di questa decisione”

Lei aveva spalancato gli occhi stupefatta; mai si era immaginata un simile scenario e il sottile sentore che potesse essere vero iniziò ad insinuarsi tra i pensieri, strisciando, insieme alla sorpresa di scoprire che, forse, lui avesse sempre voluto di più dalla propria vita, invece di un posto da attendente al suo fianco.

“Vedrai che scriverà presto...starà aspettando di avere qualcosa di bello da raccontarti”

La nonna aveva annuito in silenzio ma continuando a sistemare gli oggetti da toeletta, come volesse interrompere al più presto quella conversazione.
E a quel punto lei aveva iniziato a preoccuparsi seriamente.

 

Alla fine le notizie erano arrivate ma di bello non c'era proprio nulla.

"E' una lettera di Andrè...dice che partirà...in America. Ma cosa significa Oscar? Perchè dovrebbe andare laggiù...e poi, quanto è lontana l'America?"

Le aveva preso i fogli dalle mani guardandola negli occhi, inizialmente confusa. Ed era poi bastato dare una rapida scorsa alle righe vergate con quella calligrafia ordinata ed elegante a capire che avrebbe dovuto fare in fretta.
Diceva che partiva, di non preoccuparsi per lui. Diceva che era un uomo, anche se era sicuro sua nonna non lo vedesse mai adulto abbastanza. E lì le era sembrato di udire la sua risata impertinente...era riuscito anche a fare dell'ironia, lo sbruffone!
Diceva che anche Oscar avrebbe capito. Capito? Ma che diavolo andava dicendo? Lei capiva solo che non c'era nessuna garanzia sarebbe tornato vivo!

Ma perchè Andrè? Per quale motivo dovresti andare a combattere una guerra non tua? Non hai pensato minimamente...non ti importa davvero nulla?

Era volata fuori dalla stanza terminando di infilarsi la giubba mentre si scapicollava giù per le scale.

Maledizione Andrè! Non ci provare! Ti devo almeno parlare...”

E voleva dirglielo di quell'emozione giù nella gola, così intensa da togliere il respiro; e di quei sorrisi, sempre meno sommessi e sempre più simili a risate argentine che esplodevano nel suo cuore, della sua anima in volo...

Possibile che tu non ci abbia mai pensato?”

Aveva trovato Cesar già sellato poichè le esigenze di Monsieur le Comte andavano soddisfatte comunque, che Andrè fosse presente o meno, e si era precipitata a corte.
In fretta
Ancora più in fretta
Doveva pur esserci qualcuno in grado di saperle dire dove trovarlo, se c'era un modo per poterlo raggiungere. Se aveva ancora un po' di tempo...
Ma di tempo non ce n'era più.
Quello stesso giorno a Versailles era arrivata la notizia della partenza delle navi, accolta con trionfo dal Re e da tutti i fautori di quell'alleanza, fortemente voluta con le delegazioni americane.
C'era, nell'aria, un senso di soddisfazione generale, il sentore della gloria, la promessa di nuove conquiste.
Nel clamore generale soltanto due persone avevano il cuore stretto.
Due giovani donne, schiacciate dal peso di quella notizia, al punto di poter quasi scomparire, fagocitate da tanta euforia, se non avessero rivestito ruoli troppo in vista.
Una, riccamente agghindata, troppo trasparente e spontanea, non era riuscita a trattenere le lacrime, nonostante una corona mai risultata così pesante da indossare.
L'altra, sorretta esclusivamente dalla divisa da ufficiale, non aveva potuto permetterselo; soltanto dopo, nascosta dall'abbraccio ombroso delle fronde del parco, accasciata a terra con la schiena contro un albero, aveva potuto dar sfogo al suo dolore e alla sua angoscia (2)

Oscar gettò il mantello sulle spalle e uscì accostando piano la porta per non far rumore. Non voleva svegliare nessuno che potesse turbare il silenzio di quel tempo sospeso tra il giorno e la notte, del cui silenzio voleva godere pienamente. Lo trovava confortante, un vero balsamo sul suo animo tormentato. Ed estremamente necessario.
Il corridoio del piano nobile era deserto, e diversamente non avrebbe potuto essere visto che lei era l'unica componente della famiglia presente in casa.
Quella mattina però qualcosa stonava nel ritmo regolare dei passi sul marmo. Voci sommesse seguite dal cigolìo di una porta che si apriva la stupirono e la misero in allarme ma rapidamente rammentò che un altro Conte aveva dormito sotto quel tetto. Evidentemente quella era la stanza in cui era stato ospitato Fersen.
Ma non aveva voglia di parlare con lui, non ancora almeno.
Aveva bisogno di quel rituale mattutino che si era creata suo malgrado.
Magari più tardi quando probabilmente, anzi sicuramente, si sarebbe trasformata nell'ospite impeccabile che era sempre stata per lui. Non si chiese neanche perchè fosse già sveglio.
Era ancora sufficientemente lontana da non farsi scorgere e fu semplice fare un passo indietro e nascondersi nel buio, al riparo di un mezzo busto di chissà quale avo.
Ma non era di Fersen la figura che stava uscendo dalla stanza. Fece capolino, invece, una giovane donna, la cuffietta candida tra le labbra, mentre stava cercando di acconciare i capelli lunghi in un crocchio sulla nuca. Le vesti ancora un pò scomposte che tanto in giro a quell'ora non avrebbe dovuto esserci nessuno.
Giselle - le sembrava si chiamasse così – la domestica che aveva riconosciuto Fersen e gli aveva regalato un aggraziato inchino il giorno prima, stava uscendo ad un orario decisamente improprio dalla sua stanza. La situazione non dava certo adito a dubbi di interpretazione.
Fersen non aveva trascorso la notte da solo.
E figurarsi un'altra porta e un'altra donna intenta a riassestare i vestiti fu tutt'uno.
Chiuse forte gli occhi a scacciare l'immagine molesta; non ci voleva proprio pensare in quel momento.
Non appena fu certa di non essere vista proseguì per la sua strada e si diresse alle scuderie.

Oltre quella porta Fersen aveva abbandonato l'idea di rimettersi a dormire, un pò per quell'abitudine alla vita da campo che, verosimilmente, solo il tempo avrebbe cancellato e un pò per il risveglio completo dei sensi che quella mattina gli aveva regalato.
Indossando una vestaglia pesante, necessaria in quell'alba già fresca, si avvicinò alla finestra, scrutando i profili ordinati degli alberi e delle aiuole che stavano iniziando, lentamente, a svelarsi. Era davvero incredibile potessero esistere tale serenità e armonia quando c'erano terre e luoghi feriti al cuore. E lui non aveva visto altro negli ultimi anni.
Lì il tempo sembrava essersi fermato.
Non si sentiva perfettamente a suo agio dopo gli eventi di quella notte; non che si sentisse in torto ma una lieve sensazione di inadeguatezza non lo voleva proprio abbandonare.
Eppure succedeva di continuo, in Francia e altrove. E gli era già capitato in passato.
Conosceva fior fiore di nobili illustri che non si facevano nessuno scrupolo a vantarsi di ricevere “un trattamento di favore esclusivo” quando si recavano in visita in determinate residenze.
A suo avviso, lì a Palazzo Jarjayes il trattamento di favore davvero impareggiabile era sempre stata l'amicizia sincera della padrona di casa che lui cercava di ricambiare al meglio delle sue possibilità.
E non avrebbe voluto davvero nient'altro.
Ma quando Giselle gli si era presentata la sera prima recando tra le braccia asciugamani ancora profumati di bucato, e gli aveva fatto capire chiaramente che era disposta ad allietare le sue notti, non era riuscito a dire di no.
Non ricordava nemmeno quanto tempo era trascorso dall'ultima volta. Di certo non era mai successo da quando aveva intrapreso il viaggio di ritorno verso l'Europa.
“Se avete altre necessità signor Conte, non avete che da chiedere”- gli aveva detto guardandolo negli occhi, il tono un pò incerto, dopo aver appoggiato la biancheria e la cuffietta sul cassettone e iniziando a sfilare le forcine una ad una, permettendo così ad una folta matassa di capelli color miele di ricadere libera sulle spalle. Gli si era avvicinata con fare languido benchè timido, attorcigliando una ciocca attorno ad un dito, forse nell'intento di mascherare l'imbarazzo di quella proposta ardita. Fersen aveva compreso all'istante ma aveva esitato, all'inizio.

Mademoiselle io...non so se...”

“Non vi dovete preoccupare...conosco le regole del gioco e non chiedo nulla in cambio. E nessuno lo verrà a sapere...”

Arrivata ad un passo da lui aveva posato le mani sul suo petto, non senza arrossire, facendogliele poi scivolare lungo la camicia di seta fin dietro il collo, tra i capelli.

“Non pensate male di me ve ne prego; non mi comporto così con qualunque ospite. Ma mi ricordo bene di voi. Come si dimentica un uomo della vosta bellezza?” - e intanto, con movimenti circolari delle dita, aveva iniziato ad accarezzargli la nuca.
Lui aveva provato a restare impassibile ma quella pressione leggera subito sopra il collo e la netta percezione di ogni curva di quel corpo contro il suo, già stavano risvegliando qualcosa che aveva ben poco a che fare con la ragione.
Si era perso nella contemplazione dei lineamenti graziosi del viso, probabilmente più di quanto avesse voluto, tanto che lei aveva iniziato ad indietreggare, scoraggiata da quella mancanza di reazione ma prima che fosse troppo lontana, l'aveva fermata, afferrandole delicatamente il polso.

"Posso sapere il vostro nome mademoiselle?" - gli sembrava davvero il minimo, considerando come avrebbe potuto proseguire quella serata.

"Giselle"

Portandosi la mano della ragazza alle labbra, vi aveva deposto un bacio leggero sul dorso e dichiarato la sua resa.

"Giselle...sarò felice di accettare la vostra generosa offerta"

E poi non era più stato tempo per le parole; si era perso in quel corpo morbido e caldo, tra le lenzuola odorose di lavanda, ancora e ancora, finchè la stanchezza non aveva avuto la meglio su entrambi.
Si era risvegliato solo poco prima, quando l'aveva sentita muoversi per iniziare a rivestirsi. L'aveva afferrata piano per i fianchi, tirandosela addosso in una sorta di ringrazamento per la notte appena trascorsa. Non aveva trovato alcuna resistenza da parte di lei se non poche parole a sottolineare che di tempo non ce n'era poi molto.

“Devo essere in cucina tra poco”

Ma quel poco era stato sufficiente. Il desiderio, a lungo sopito e risvegliato da quelle forme tenere e burrose, era tale da non ammettere nessun ritardo.
Mentre i pensieri vagavano a ruota libera dal corpo di Giselle a quale senso dare ora alla propria vita, intravide Oscar oltrepassare i cancelli al trotto. Solo al di fuori della proprietà lanciò il cavallo al galoppo, lasciandolo ad interrogarsi su dove se ne stesse andando in un'alba appena accennata di fine settembre.

 

  1. “Aladino e la lampada meravigliosa”, racconto de “Le mille e una notte”, appare per la prima volta nell'edizione francese di Antoine Galland (1646-1715). Magari Oscar avrebbe potuto leggerlo...

  2. Riferimento al Capitolo 1

 

Questo capitolo doveva essere un pò diverso ma, tanto per cambiare, mi sono lasciata prendere la mano...sarebbe diventato un qualcosa di lunghissimo! Ho dovuto fare delle scelte e dividerlo, tanto non ci corre dietro nessuno:-)
La cosa positiva è che il prossimo capitolo è praticamente pronto, devo solo rivedere un paio di cose.

Come sempre un ringraziamento a chi passa da queste parti, in modo più o meno evidente e a chi continuerà a seguire da lontano.

   
 
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