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Autore: Kodama_    29/09/2021    5 recensioni
[AtsuHina | post-apocalypse!AU]
''Noi una scelta non l'abbiamo mai avuta. C'è sempre la morte, alla fine della strada.''
(Di vuoti che custodiscono parole taciute, di mani che non si lasciano andare.)
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Shouyou Hinata
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Metamorfosi


Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non m'è rimasto
neppure tanto

Ma nel mio cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato

(Ungaretti, San Martino del Carso)





Sparare è facile. Prendi la mira, premi il grilletto, bang. Lo fanno tutti.
Sparare è diventato facile. Prima non lo era per la maggior parte di loro. Prima non potevano farlo tutti.
Atsumu non c'è riuscito finché suo fratello non è stato morso. Dopodiché imbracciare un'arma da fuoco è diventato necessario. Atsumu non stringe acciaio fra le dita, ma salvezza morbida come piuma, ogni proiettile che schizza via dalla canna è liberazione. Atsumu spara, Atsumu respira.
I bossoli che si riversano a terra, in quel clangore affievolito dall'erba, sono gli scheletri della speranza. Non rimane nulla, solo un vuoto in cui fluttuano parole taciute che non potrà più dire. La tranquillità della vita precedente é uno spettro impalpabile che odora di lacrime e sangue, i sogni sono ossi di seppia sollevati dalla marea: aridi, muti. Hanno bruciato e poi sono appassiti con lui.
Cosa c'è, oltre la curva della morte? Niente, i cadaveri sono cadaveri e i vivi aspettano di diventare tali.
Atsumu ha smesso di credere in un dopo, di vagheggiare un qualcos'altro. La crudeltà a cui ha assistito è troppa. Non sarà mai più felice, né in questa né in un’altra esistenza.
Non c’è nessuna strada che conduce a un nuovo inizio, nessuna aiuola fiorita, nessuna primavera eterna. Atsumu, per suo fratello, non ha avuto neanche un funerale, nè un corpo su cui piangere, perché mentre fuggi da un'orda brulicante di esseri affamati non hai tempo per trascinarti dietro i morti - però te li trascini dentro, per sempre.
Per questo, per questo, sparare dritto in mezzo agli occhi di Suna e fargli esplodere il cervello non è un problema. Prima non ci sarebbe riuscito. Adesso è facile.
Suna lo guarda. Lo supplica con le ciglia che tremolano umide. È stato morso all'avambraccio e non vuole diventare uno di loro. È stato morso e vuole rimanere umano. È stato morso ed é pronto a morire pur di fermare quel cambiamento, quella metamorfosi di orrore, anche se perderà il cielo, il sole, il battito del cuore (si lascerà alle spalle tutto, anche il dolore).
Suna lo scongiura. La sofferenza incagliata nella curva delle pupille sempre più dilatate, come una conchiglia sotto la sabbia. 
Suna boccheggia - fallo, fallo, fallo. Ti prego.
Atsumu non ha bisogno di essere pregato. Non dopo Osamu. Non dopo tutto quello schifo.
Preme il grilletto. La pallottola lo trapassa come il suo sguardo. Suna muore con le labbra schiuse, come se dalla gola stesse per sfuggire un mormorio. Atsumu l'ha stroncato prima che potesse udirlo.
La sua è un’esecuzione perfetta. Suna si accascia, il corpo vuoto come un'esuvia di cicala, come il bossolo che scivola dalla sua pistola e trova l'erba. Niente cuore, niente anima. C'è poi tanta differenza, fra lui e quel cadavere riverso a terra?
Atsumu volta la testa verso la strada. Non hanno tempo per seppellirlo. Kita rimarrà con la bocca serrata in una linea stretta, Aran singhiozzerá in silenzio lasciandosi alle spalle un sentiero di lacrime finché Atsumu non gli ringhierà di piantarla - perché quelli percepiscono il dolore, la disperazione. Devono fare silenzio. Imbottigliare tutto, reprimere gli spasmi dell'animo nell'oblio, nel vuoto dove restano sospese tutte le cose perdute - le briciole.
Devono continuare a correre, ad avanzare, a fuggire da quella marea infetta, fatale.
Atsumu muove il primo passo. Poi ne fa un secondo, un terzo. Nessuno lo segue. Non c’è tempo per i sentimentalismi, vorrebbe gridare. Dobbiamo muoverci. Dobbiamo restare vivi.
Quindi si volta, i denti scoperti e le lacrime che gli bruciano le guance - troppo pesanti per essere fatte di acqua e sale, è una colata di sangue e cenere.
Dietro di lui, però, non c’è nessuno. Solo un cadavere dal viso irriconoscibile, senza ombra. Un buco a forma di Suna. Tutto quello che ha lasciato di sé nel mondo.
Ah già, pensa Atsumu. Lui era l’ultimo.

*

Shouyou vuole vivere. Vuole vivere anche se ha perso tutto.
C’è qualcosa nel sole che continua a sorgere, nel tempo che si è svuotato di significato ma che continua a scorrere, nella terra che continua a girare intatta nonostante l'apocalisse, che lo spinge a inspirare grandi boccate d'aria. Persino a cantare, delle volte, in quella perpetua ricerca di non sa neanche lui cosa. Però sa che non si deve fermare.
È solo che ci sono ancora troppe cose che vuole fare, nonostante il dolore. È vivo, il sangue pulsa contro i polpastrelli delle dita, ha il collo sudato perché in macchina si muore di caldo. Tutto è cambiato dopo la fine del mondo, dopo che quelli sono arrivati, ma alcune cose dentro di lui sono rimaste immutate. Shouyou si aggrappa a esse, solleva il diaframma sebbene faccia male, sebbene le ferite sgorganti dentro il suo cuore non si rimargineranno mai. Il suo malessere però è la prova che lui un cuore c'è l'ha ancora, e deve tenerselo stretto, ha perso tutto e non vuole perdere anche se stesso.
Shouyou lo trova sdraiato vicino a un campo di girasoli selvatici. Frena all'improvviso, schizza via dalla macchina e si avvicina.
Non sembra ferito, è rannicchiato su un fianco, il respiro pesante, la guancia imbrattata di sangue - non è il suo.
Dev’essere esausto, pensa Shouyou. Per addormentarsi così allo scoperto, da solo.
A giudicare dalla posizione alta del sole, deve essere quasi mezzogiorno. Il tempo ha perso di significato, è vero, ma non del tutto. Adesso sono albe e tramonti i rintocchi di campana che contano, gli allarmi a cui devono prestare attenzione, perché è di notte che quelli arrivano, che quelli uccidono, non appena i raggi dorati di luce si spengono oltre l'orizzonte.
Hanno ancora parecchie ore prima del buio.
Shouyou si siede accanto a lui. Gioca con i fili d’erba mentre lo ascolta respirare. Il mondo di giorno emette un bel suono, più intenso. I cinguettii dei pigliamosche, il fruscio delle foglie, l’assenza umana ha permesso alla terra di tornare a vibrare, a cantare, a essere cristallo e usignolo. Gli uomini hanno iniziato a morire, la terra si è riappropriata dell'ossigeno al loro posto.
La notte, però, fa solo paura. Ci sono grida, il rumore della carne che viene strappata, gli spari delle armi da fuoco che riecheggiano fra le alture. E poi il silenzio. Il silenzio che sa di morte. Di eterno. Qualcosa che neanche il tempo si azzarda a intaccare.
Il ragazzo accanto a lui si sveglia di soprassalto. Sobbalza e non appena lo vede serra la mano attorno all'impugnatura della pistola. Mira alla sua testa. Shouyou sgrana gli occhi e rimane immobile.
''Non sono uno di quelli,'' mormora dolcemente, come se volesse quietare un animale selvatico. ''C’è il sole, vedi?''
Il puro terrore impiega qualche istante prima di sbiadire dalle sue iridi, e Shouyou non lo biasima di certo. Infine getta un’occhiata al cielo per assicurarsi che sia effettivamente giorno, poi si guarda intorno confuso come se cercasse qualcuno.
''Scusa,'' gli dice. ''È stato istinto.''
Shouyou scuote la testa. ''Non preoccuparti. Sei da solo?''
''No, io-''
La voce gli muore in gola, poi punta lo sguardo a terra. ''Sì, sono da solo.''
Sembra che stia per scoppiare a piangere, pensa Shouyou.
''Come ti chiami?''
''Atsumu.''
''Atsumu come?''
''Atsumu e basta.''
''Okay, Atsumu-san e basta,'' risponde. ''Io sono Hinata Shouyou.'' Quindi estrae dalla sacca la penultima confezione di biscotti. ''Ne vuoi uno?'' chiede, scartandola.
Atsumu sgrana gli occhi. ''Dove li hai trovati?''
Shouyou incurva le labbra. ''Li conservo per le occasioni speciali.''
Atsumu accenna un sorriso che però non è un sorriso vero, e ne prende uno. Lo mastica in silenzio, dopo ne prende un altro e se lo ficca in bocca intero. Gonfia le guance come uno scoiattolo, si lecca via le briciole. Poi la prima lacrima silenziosa gli scivola lungo la guancia. Poi una seconda. Poi una terza. Infine si nasconde la testa fra le gambe, la mano che trema mentre stringe convulsamente i fili d'erba.
Shouyou non dice niente. Rimane immobile, a impastarsi la lingua di biscotto e ad ascoltare il canto delle cicale che non è abbastanza forte da coprire i singhiozzi di Atsumu. Quelli sono dolori immensi, niente potrebbe aiutarlo, spera solo che Atsumu sia abbastanza forte da rifiutarsi di affogare.

*

Shouyou gli propone di viaggiare insieme. Atsumu è solo, Shouyou pure. Non si viaggia da soli durante un'apocalisse zombie. E soprattutto non si viaggia a piedi, e Atsumu la macchina l'ha perduta insieme a suo fratello. Perciò accetta, soprattutto per i biscotti che Shouyou nasconde nella sacca.
Solo per qualche giorno, si dice. Il tempo di racimolare nuovamente provviste. E di trovare una macchina.
E di provviste ne racimolano abbastanza. I supermercati sono perlopiù vuoti, ma di borse e buste sporche di sangue lungo la strada se ne trovano a bizzeffe, con annessi i cadaveri in decomposizione di chi è morto senza tramutare in zombie. Poi pescano, o raccolgono la frutta dagli alberi. E trovano pure delle macchine, Atsumu tuttavia non riesce ad andarsene.
Domani, si ripete. Domani.
Poi a furia di albe scoccate smette di crederci. Non può lasciare Shouyou da solo. Non vuole lasciarlo da solo. Non vuole essere solo.
Da qualche parte deve esserci un rifugio. Sono poche le persone ancora vive che incontrano lungo la strada, ma tutte mormorano della stessa notizia, una foglia che fruscia di bocca in bocca. I gruppi di persone sono poco numerosi, perché viaggiare soli è rischioso, ma viaggiare in più di quattro o cinque individui lo è ancora di più. Quelli sentono l'odore della paura. Cinque ragazzi in preda alla disperazione fanno più rumore di uno solo. Forse è per questo che i suoi amici sono tutti morti.
Di giorno, lui e Shouyou riposano a turno. Nessuno di loro ha mai sentito o assistito ad attacchi diurni, tuttavia la prudenza non è mai troppa. Sonnecchiano al sole, sgranocchiano gallette, giocano con un vecchio mazzo di carte sporco di sangue. Shouyou canta e balla. É un concentrato di energia. Atsumu si è scoperto persino in grado di ridere, ogni tanto. C'è quella sofferenza atroce e martellante che gli dilania le ossa, ma Shouyou riesce a fargliela dimenticare per qualche istante. Gli concede il privilegio di sentirsi leggero, un barlume dorato in cui si scorda quello che ha intorno.
Shouyou è spumeggiante, gesticola esageratamente quando parla, ha gli occhi brillanti anche dopo le notti in cui sopravvivono a malapena. Probabilmente è la follia, pensa Atsumu. È il suo modo di combattere la depressione, di riempire il vuoto. Non può essere vero, il suo buonumore.
Ad Atsumu va bene così. É più facile chiudere gli occhi, riposare qualche ora, quando sai che qualcuno veglia accanto a te. Essere in due ti concede un briciolo di garanzia, inoltre Shouyou è davvero in gamba. Non è avventato sebbene sia forte, si muove nel modo più prudente a discapito del suo entusiasmo travolgente, e soprattutto spara bene. Il problema di essere in due, il problema di mettere la tua vita nelle mani di una persona, è la sofferenza atroce che scaturisce alla fine, quando la morte giunge e afferra coloro a cui hai messo il cuore in mano, trascinandoli oltre la curva.

*

La notte, c’è la paura. Shouyou ha imparato a interiorizzare quel tipo di terrore, perché la sopravvivenza è per metà volontà, e per metà spietata freddezza. Quando di notte quelli si schiantano contro il vetro della macchina, la bocca senza labbra spalancata, Shouyou deve soffocare ogni istinto di mettersi a urlare, di rannicchiarsi su se stesso e di premersi le mani sulle orecchie per non sentire. Quando di notte invece quelli non arrivano, Shouyou deve mantenersi abbastanza concentrato da domare costantemente il panico.
Nonostante abbia imparato a chiuderlo a chiave in un cassetto della propria anima, non basta. Sul corpo ha mille finestre attraverso cui il terrore può sgorgare, Shouyou ne chiude una ma poi basta una folata violenta per far spalancare tutte le altre.
Il cuore accelera, i denti battono, ma deve rimanere in grado di prendere la mira, di valutare la strada più sicura.
Aspettano l’alba come corvi appollaiati sui fili elettrici, quando d’inverno attendono i primi raggi del sole per scrollarsi il gelo dalle piume. Shouyou sussurra. Parla ad Atsumu, gli fa domande, vuole distrarlo e distrarsi dall'ansia che monta. Quando il panico assale entrambi, sforzarsi di formulare frasi dotate di senso li aiuta ad aggrapparsi a quella briciola di lucidità e a tenerla stretta fra i denti. Per Shouyou, è come se Atsumu gli stringesse il polso tenendolo lontano dal buco nero che vuole inghiottirlo. Shouyou sa che per Atsumu è lo stesso.
Ci sono notti in cui il dolore è più intenso. Atsumu respira a fatica e tenta di controllarsi, di mantenere una facciata composta, rigida come il tronco di una quercia, ma Shouyou vede i suoi occhi sgranati che tremano, che inglobano la luce lattiginosa della luna e non la restituiscono indietro. La corazza di Atsumu si trasforma in un velo di seta, troppo leggero per la tramontana, per quel vento che sputa loro in faccia aghi appuntiti.
Il dolore si gonfia come una marea. La macchina si allaga, respirare diventa uno strazio.
Quando succede, Shouyou non può aiutarlo. È così palpabile, l’immensità di quella sofferenza, che aprire la bocca non servirebbe a nulla. Ci sono certe cose da cui non si può guarire.
Perciò, Shouyou lo tocca. Gli sfiora piano il collo o la guancia, gesti appena percettibili che non hanno la pretesa di rincuorare, non hanno la pretesa di fare rumore, ma servono semplicemente a ricordargli che in quella macchina sono in due.
Atsumu non gli ha mai domandato della sua famiglia, o dei suoi amici. Shouyou ha fatto lo stesso. Quel poco che conosce, Atsumu l’ha rivelato non volendo, e Shouyou ha iniziato a mettere insieme i pezzi di un puzzle sperando che un giorno gli restituiscano un’immagine completa. Ma i tasselli sono ancora troppo pochi, e probabilmente quelli perduti non li riavranno mai indietro.
Quando finalmente il sole sorge, e quella notte eterna s’offusca, appassisce per qualche ora, Shouyou sospira e Atsumu sospira con lui.
Di solito, Shouyou si stiracchia come un gatto. Scaccia via la frustrazione che gli ha intorpidito le spalle e la mascella distendendo le braccia. Quel giorno, però, Shouyou cerca la sua mano. La trova, gli allarga le dita per incastrarci le proprie.
Atsumu non dice nulla. Guarda dritto davanti a sé, non scivola via dalla sua presa ma neanche la contraccambia.
Sii coraggioso, pensa Shouyou, senza staccargli gli occhi di dosso. Infine Atsumu scuote la testa e si stacca, portando la mano sulla pistola. Shouyou s'intristisce, abbassa lo sguardo, però non può biasimarlo: fra la mano di un’altra persona e la sensazione di acciaio sotto le dita, quale ti concede più sicurezza?

*

Sono sdraiati in un campo di girasoli selvatici. Somiglia a quello dove si sono incontrati la prima volta. È sconvolgente quanto il mondo riesca ancora a essere bello e pittoresco, con quelle chiazze gialle e arancioni che richiamano la luce dorata del sole, sebbene sia l’apocalisse. Poco lontano, lungo la strada, ci sono chiazze vermiglie di interiora che imbrattano l’asfalto.
Shouyou ha gli occhi chiusi, i riccioli rossi che gli incorniciano il viso. Sembra uno di loro, pensa Atsumu. Se rimanesse immobile, anche quelli lo scambierebbero per un girasole.
E lui? Lui a cosa somiglia? Non più a se stesso, questo è sicuro. Se si guardasse allo specchio, probabilmente non si riconoscerebbe neppure.
Atsumu vorrebbe infilarsi una mano nel petto e stringerla attorno al cuore, giusto per vedere se c’è ancora. Il più delle volte non gli sembra vero, di essere ancora vivo. Magari è stato attaccato, magari sta morendo, magari le corolle brillanti che vede non sono altro che una proiezione del suo inconscio, per impedirgli di avvertire il dolore.
Delle volte, Atsumu vorrebbe infilarsi una mano nel petto e stringerla attorno al cuore, non tanto per vedere se c’è ancora, quanto piuttosto per capire se sia in grado di provare qualcosa. Perché Shouyou è bellissimo in maniera quasi straziante, e Atsumu vorrebbe solo chinarsi e baciarlo, immergersi nel tepore della sua pelle come se fosse un bagno caldo.  Eppure Atsumu rimane immobile, il dolore che anestetizza, che soffoca, l’istinto di cercargli la mano. C’è una corazza, intorno alle sue ossa, una corazza spessa e invisibile che lo imbalsama come se fosse uno stampo di gesso. È c’è una foschia strana a soffiargli dentro, come se la sua anima fosse imprigionata in una gabbia fatta di nubi.
Atsumu vede i bordi delle costole di Shouyou premere contro la maglia leggera. Vorrebbe passarci il dito sopra, contarle, proseguire lungo l’addome, poggiare le labbra nella curva del collo. Però non lo fa, ha le braccia di pietra. Atsumu si chiede se sarà mai in grado di toccare di nuovo qualcuno.
''Shouyou-kun,'' lo chiama dunque, e l’altro apre un occhio per ascoltarlo. ''Ma tu ogni tanto non pensi che morire sarebbe la cosa migliore?''
''No,'' risponde Shouyou immediatamente. ''A me vivere piace molto.''
''Anche così?''
''Anche così.''

*

Atsumu gli piace. Da quando si sono incontrati è trascorso un mese, forse due, ma nessuno si preoccupa più di contarli: le uniche cose che contano davvero sono le ore che separano la notte dal giorno.
Atsumu gli piace e non se n’è più andato. E mentre lo osserva sonnecchiare al sole, i raggi che fanno brillare le sue ciglia scure, Shouyou pensa che Atsumu sia davvero davvero davvero bellissimo.
Si avvicina e gli strofina la fronte contro la spalla. Ha la pelle tiepida, imbevuta di calore, perciò ci strofina la fronte più forte come un cucciolo esausto che finalmente trova una tana dopo giorni di gelo. Tra Atsumu e la pistola, Shouyou sceglierebbe Atsumu: è quanto più lontano ci sia dalla paura.
Atsumu volta il viso e lo fissa. Shouyou gli sorride, Atsumu non contraccambia.
''Tu mi piaci,'' gli dice dunque, per renderlo chiaro.
''Anche tu mi piaci, Shouyou-kun.''
''A me tu piaci nel senso che voglio baciarti.''
Atsumu non risponde. Un’ombra mesta gli offusca le iridi. A Shouyou quell’ombra non piace, l’ombra gli fa pensare alla notte, e la notte alla morte. Quindi serra le palpebre e sporge il viso in avanti finché non gli trova le labbra. Sono morbide, intiepidite dalla luce e dall’estate.
Shouyou gli preme più forte la bocca contro, ma Atsumu rimane immobile.
Shouyou si allontana appena. Inchioda i suoi occhi screziati di verde ai propri, poi scava alla ricerca di qualcosa che però non trova. Infine, testardo, lo bacia ancora, ma Atsumu non si scioglie sotto il suo respiro, rimane congelato.
''Lo sai, se non ti piace basta dirlo,'' gli dice dunque Shouyou, accennando una risata per stemperare il momento. Atsumu sospira, scuote la testa, e Shouyou prova una frustrazione immensa che gli fa bruciare lo stomaco come se avesse bevuto una tazza di acido. Atsumu è a pochi centimetri da lui eppure pare distante anni luce. Shouyou non sa come raggiungerlo. Shouyou odia quando non riesce a raggiungere qualcosa.
''Non è che non mi piace,'' spiega Atsumu. ''È solo che io ti guardo, e penso solo al momento in cui dovrò spararti in testa.''

*

Adesso è Atsumu a guidare. Shouyou ha gli occhi chiusi e la bocca aperta, la testa che ciondola a peso morto come un pendolo. Tic-tac, tic-tac. La testa di Shouyou oscilla, gli istanti si susseguono come foglie soffiate via dal vento. Che poi, cosa dovrebbe farci lui, con il tempo? Atsumu ci pensa spesso, a come la sua realtà sembri immobile: assomiglia a un videogame messo in pausa. C’è una grande, grandissima desolazione intorno a lui, e il buio e il giorno sono leggeri segmenti a matita che però non separano nulla da nulla poiché tutto è equidistante dato che è privo di fine.
Non sa quanto tempo sia trascorso da quando si sono conosciuti. Sicuramente più di tre mesi, perché adesso gli alberi sono arancioni o spogli, e l’aria che respira fa pensare più all’inverno che all’autunno. Continuano a cercare il presunto rifugio, spostandosi lungo il Giappone senza seguire un itinerario preciso. Atsumu non crede che esista, ma dopotutto non hanno un piano migliore.
Shouyou non ha più parlato del bacio, e Atsumu nemmeno. È come se non fosse mai accaduto. Come se non fosse mai esistito. E non gli piace, vorrebbe riprenderlo indietro, preservarlo come un tesoro, perché sa che le cose tiepide e belle vanno tenute strette perché sono divenute rare come i biscotti. Però Atsumu non ci riesce, non riesce a baciare le labbra di qualcuno che considera un cadavere, non riesce a baciargli la fronte - vorrebbe, vorrebbe, ma non ci riesce - quando sa che probabilmente dovrà aprirgli un buco proprio lì, fra le sopracciglia dall'arco gentile.
''A cosa stai pensando?''
La voce di Shouyou è inaspettata, Atsumu si volta a guardarlo e vede un mezzo ghigno affiorare dalla sua bocca arricciata.
''Penso che sei bravo a baciare,'' risponde.
Il sorriso di Shouyou diventa più largo, le guance arrossiscono. ''Potremmo rifarlo.''
Atsumu scuote la testa. ''Nah, non credo.''
''Perché no?''
Atsumu scrolla le spalle, senza rispondere. Non sa come spiegargli della nebbia che gli soffoca il cuore.
Shouyou si ficca in bocca una galletta stantia. ''Credo che dovresti lasciarti andare un po’.''
''Lasciarmi andare?''
''Sì,'' risponde Shouyou. ''Sai, posso fare altre cose. Oltre a baciare, intendo. E sono pure bravo. E lo so che lo vuoi anche tu, solo che sei... annodato.''
''Annodato,'' ripete Atsumu. Poi schiocca la lingua, stizzito, e una grande rabbia gli monta dentro. ''Scusami se è morta tutta la mia famiglia e noi rischiamo di finire sbranati ogni secondo. È un po’ difficile lasciarsi andare, quando l’unica cosa a cui riesco a pensare è che noi faremo la loro stessa fine.''
''Lo so,'' risponde Shouyou. ''Lo so, anche io ho perso tutto, ma questo non mi impedisce di provare a essere felice.''
''Non puoi essere felice. Non vivendo così. Tu fingi di essere felice, menti a te stesso solo perché non sei abbastanza coraggioso per accettare lo schifo che hai intorno.''
Shouyou inarca le sopracciglia. ''Guarda che anche tu fai parte dell’insieme di cose che mi stanno intorno.''
Atsumu apre la bocca, la richiude, poi sbuffa. ''Io non faccio schifo. Tutto lo schifo che hai intorno, eccetto me.''
Shouyou non risponde. Atsumu arrossisce, si morde la guancia finché non sente il sapore del sangue. ''Scusa,'' biascica poi. ''Non è vero che non sei coraggioso. È tutto il contrario.''
Shouyou annuisce. Di’ qualcosa, pensa Atsumu. Ti prego, non tenermi il muso.
''Atsumu-san, io sono felice,'' spiega l’altro, come se l’abbia ascoltato. ''Non sono sempre felice, è ovvio. Ed è altrettanto ovvio che io sia terrorizzato. Ma ci sono cose che mi fanno stare bene, cose che mi piacciono. E tu mi piaci un sacco. Puoi frenare un momento?''
Atsumu obbedisce, accosta sul ciglio della strada (per abitudine, non perché sia davvero necessario, dietro di loro non c’è nessuno) e punta gli occhi sullo sterzo.
''Guarda me,'' gli dice Shouyou. Atsumu obbedisce di nuovo, sposta lo sguardo nei suoi occhi caldi e rimane intrappolato.
''Senti,'' comincia Shouyou. ''Noi una scelta non l’abbiamo mai avuta. C’è sempre la morte, alla fine della strada. Solo che prima ci sembrava una cosa lontanissima, mentre da un giorno all’altro ci siamo svegliati e l’abbiamo trovata che bussava alla porta di casa. E io capisco, ti giuro che capisco il senso di sconfitta, e anche io mi domando perché continui ad aggrapparmi così stretto a qualcosa che tanto un giorno perderò comunque. Però io voglio combattere. E quando mi guardi voglio che tu mi veda vivo, perchè è quello che sono e perché quando io ti vedo ti associo a qualcosa di luminoso, qualcosa che scaccia via la paura. E vorrei che tu guardassi me allo stesso modo.''
Shouyou solleva la mano e la agita. ''Vedi?'' aggiunge. ''È solida, tangibile. Posso muovere il corpo. Sono vivo, respiro, e sono accanto a te.''
Atsumu gli prende la mano - sì, è in grado di toccare qualcuno - e la stringe forte.

*

''Dove andiamo?'' gli domanda Shouyou, non appena Atsumu sterza bruscamente.
''Al mare,'' risponde lui. ''Primo appuntamento.''
Shouyou sorride come se Atsumu gli avesse messo fra le braccia l’intero sistema solare. Poi allunga una mano per accarezzargli i capelli, e Atsumu spinge la nuca contro le sue dita facendo le fusa come un gatto.
Dopo che hanno parcheggiato sul bagnasciuga, Shouyou si slaccia le scarpe e schizza verso il mare, correndo scalzo sulla sabbia. Atsumu vede i capelli rossi che lampeggiano contro l'azzurro profondo delle onde amalgamato a quello trasparente del cielo, l’acqua che sfavilla riflettendo i raggi del sole invernale. Atsumu osserva la sua sagoma e pensa: ora mi metto a piangere.
È solo che c'è così tanta bellezza, persino in quel mondo sottosopra. La terra arida, gonfia di morte, ora gli appare anche calda e rigogliosa.
Atsumu capta ogni dettaglio, si sofferma su ogni conchiglia, si fissa nella retina persino la forma delle nuvole: quel quadro idilliaco sarà l'immagine a cui si aggrapperá se le dita di Shouyou dovessero essere lontane. C'è il per sempre, in quello che vede, c'è qualcosa che rimarrà in lui e nel tempo a prescindere dal continuo e ineluttabile cambiamento che scuote l'esistenza. Quella è una linea fatta con il pennarello indelebile. Si è stampata sulla sabbia, nel cielo, e l’oceano ne è stato testimone.
Se adesso Atsumu si infilasse una mano nel petto, troverebbe un cuore che batte. Un cuore così pulsante di vita da far tremare le montagne, un cuore grondante di amore e sangue.
Atsumu non si infila nessuna mano nel petto, ma Shouyou lo raggiunge con la sabbia sulle guance e gli poggia sopra la sua. È un tocco delicato ma saldo. Shouyou chiude gli occhi, come se si stesse concentrando per ascoltare il suo battito.
''Ho paura di morire,'' gli dice Atsumu. Si confessa, si libera, lo accetta. ''Ho paura che tu muoia.'' E fa male, fa male ammetterlo, fa male percepire quella marea gonfia e improvvisa di attaccamento, di amore per la sua stessa vita e per quella di Shouyou, perché vita significa anche sofferenza e perché prima o poi le perderà per sempre, entrambe.
''Spero davvero che troveremo il rifugio, Shouyou,'' aggiunge poi. ''Sarebbe carino passare qualche giorno in vacanza.''
''Lo troveremo,'' risponde l'altro. Poi si avvicina e gli schiaccia la testa contro il petto, Atsumu lo circonda con le braccia - il sole, il vento dell'inverno, lo scroscio del mare. ''Però per adesso sono molto felice di aver trovato te. Sai di casa.''
 


Note di Cora
Ciao! Questa storia è piena di difetti, avrei dovuto approfondire centinaia di aspetti, inserire almeno una scena con gli zombie, ma non volevo che fosse più lunga di tremila parole e superate le quattromila mi sono proprio imposta l'ALT. Mi dispiace!!! Grazie mille per esservi fermati a leggere e per essere arrivati sin qui, nonostante ci siano più buchi e roba sconnessa che altro! Come sempre ringrazio time_wings (do me, baby) che si è sorbita tutti i miei esaurimenti.
Vi lascio il link della playlist
Alla prossima, see ya! ♥


   
 
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