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Autore: _aivy_demi_    01/10/2021    16 recensioni
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Questa raccolta partecipa all'iniziativa del Writober 2021 indetta da Fanwriter.it.
31 OS RPF Kpop Groups multifandom: Monsta X, Stray Kids, Ateez, SuperM.
Slash pairings.
Contiene smut, violenza, tematiche delicate sparsi tra i vari prompt.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Cinnamon honey milk

Enemies to lovers

 

 

Due sole parole avrebbero potuto sottolineare in modo efficace il rapporto che s’era instaurato tra Chae Hyungwon e Im Changkyun: odio incondizionato.
L’ingresso di Changkyun non era certo stato tra i più concilianti: il programma a eliminazione No.Mercy della Mnet, atto a scoprire talenti e creare un nuovo gruppo da gettare letteralmente in pasto all’industria della musica Kpop, s’era preso la briga di inserire il ragazzo a metà progetto, così, dal nulla. Una inattesa notizia da dare ai colleghi già in gioco da mesi. L’equilibrio così venne spezzato, e l’umore generale toccò soglie mai raggiunte prima, neppure nel peggior contesto di gara.
Chae Hyungwon era colui che aveva incassato peggio lo smacco da parte dell’agenzia, ingoiando amaramente e giocando a guardia e ladri con il proprio orgoglio e l’improvvisa mancata voglia di svolgere qualsiasi attività inerente alle sfide. Avrebbe dovuto impegnarsi come e più degli altri per farsi spazio e arrivare in finale, strappare dalle mani degli avversari uno dei posti disponibili come artista e così sfondare nella carriera di idol che tanto bramava stringere tra le dita. Gareggiare contro coloro con cui conviveva, si allenava e si preparava ogni giorno da intere settimane era uno stimolo, un confronto continuo, ma vedere il nuovo arrivato appropriarsi di camere e spazi comuni… quello no.
No.
Hyungwon non l’avrebbe tollerato, e non si sarebbe certo fatto alcun problema a dimostrarlo.


Im Changkyun, classe 1996, cantante rapper emergente introverso e ligio al dovere, era costantemente concentrato sul proprio lavoro e su come tentare di instaurare un rapporto qualsiasi con chi lo circondava; i capelli scuri a incorniciare un volto pallido, insicuro, il fisico atletico di chi aveva imparato a ballare allenandosi insistentemente, le movenze di chi avrebbe voluto sparire sotto alle assi del pavimento della stanza. Il ragazzo aveva tentato a più riprese di attaccare bottone con qualcuno – uno qualsiasi, chiunque, indifferentemente – ma a poco erano valse le prove di socialità imposta… si sentiva estremamente solo, ed era peggio ancora di ciò che aveva immaginato. Sapeva a cosa sarebbe andato incontro accettando la proposta offerta, ma il comportamento di Hyungwon era ingestibile persino rispetto a quello di tutti gli altri messi assieme; quest’ultimo, tendenzialmente abituato a essere al centro dell’attenzione e a dar sfoggia della propria bravura, famoso per l’aspetto all’apparenza angelico, santo quanto le acque del fiume Stige, non mancava d’ostentare l’ostilità che provava nei suoi confronti, rifiutandosi di mangiare nella sua stessa stanza, di sostare più del dovuto nelle sale prove, e soprattutto, di rivolgergli la parola.
Non un buongiorno usciva da quelle labbra piene, perennemente coperte da un filo di trucco roseo e velenoso. Non un cenno di assenso da un capo perfettamente ordinato in ogni singolo ciuffo castano. Niente. Non uno sguardo si posava su Changkyun, gli occhi scuri toccavano tinte buie e inquietanti, eppure brillavano durante l’allenamento, le prove di canto, brillavano spesso.
Questo Changkyun lo sapeva, perché non poteva fare a meno di soffermarsi a osservare il soggetto di un astio grande tanto da superare ogni altro sentimento positivo.


In una sola occasione Hyungwon aveva voltato lo sguardo sul compagno di lavoro, quando quest’ultimo era caduto rovinosamente da uno dei tavoli disposti in sala allenamento per l’esecuzione di una prova particolarmente ostica. L’unica cosa a non aver fatto crack in quel momento era stato l’insieme di ossa doloranti: la sedia sfasciata, il buonumore, l’orgoglio e la fiducia in sé che Changkyun aveva ottenuto a fatica in quelle settimane s’erano incrinati, e con essi la possibilità di partecipare al prossimo episodio di No.Mercy come parte integrante dell’esibizione. Il ragazzo si alzò trattenendo a stento le lacrime, il dolore al costato gli spezzava il fiato, e il ginocchio s’era avventato sul metallo della struttura della sedia, rischiando di andare in frantumi; avvolse il busto con il braccio, aggrappandosi all’anca con tutta la forza che aveva, così da concentrarsi su altro che sul dolore generalizzato che ormai lo teneva stretto in una morsa pulsante e sempre più forte. Col capo chino a non mostrare debolezza scansò l’aiuto dei colleghi, anche di chi s’era prodigato nell’issarlo offrendogli appoggio; raggiunse la porta cozzando e stridendo denti e giunture, sperando in cuor suo di dribblare Hyungwon e il suo atteggiamento indolore e offensivo. Fu stupito di sentire una presa salda, calda, ferma, a strattonarlo.
Sibilò, ancor prima di rendersi conto che si trattasse di Hyungwon stesso.
Abbassò nuovamente la testa dopo aver osservato per interminabili secondi la nuca scoperta, i capelli per la prima volta scompigliati, e un certo fremito nervoso da parte dell’altro.
«Muoviti, devi farti controllare.»
Il “non ce n’è bisogno” non uscì nemmeno dalle labbra di Changkyun, troppo impegnato a incespicare sui propri passi, inciampare nuovamente e aggrapparsi alla camicia oversize a scacchi bianchi e neri che penzolava dai pantaloni di Hyungwon.
«Veloce.»
Voce atona, come sempre.
Non fosse stato per un leggero tremolio avvertito sul finale.
«La… lascia stare… sono capace d-» un colpo di tosse interruppe le parole del giovane, impegnato a riprendere fiato per la fatica immane data da un tracciato tanto corto quanto duro da affrontare, «di camminare…» strattonò invano quel lembo di tessuto che ancora stringeva convulsamente, sussurrando un “fermo” poco convinto.
Hyungwon si voltò fulminandolo con lo sguardo, le iridi infuocate di rancore si sciolsero un momento, raffreddandosi quel tanto da permettere un primo, lungo, inaspettato contatto visivo tra i due. «Obbedisci, o ti lascio qui a rantolare a terra. Potresti aver fratturato una costola, lasciati aiutare.» La breve pausa separò la frase da un “cazzo” ben scandito poco dopo. Lui riprese a percorrere a passo di marcia la distanza avanzata fino a raggiungere lo spogliatoio dello stabile, fortunatamente vuoto.
«Ora ti siedi qui, e stai zitto.»


Nessun danno sembrava aver coinvolto il corpo e le articolazioni di Changkyun, se non un numero non esiguo di ematomi, di cui uno particolarmente doloroso all’altezza del fianco: il più duro a guarire, ma mai quanto l’orgoglio spezzato dell’aver permesso a un incazzato e ormai non più insofferente Hyungwon di avvicinarglisi. La ripresa fu rapida, l’esonero dalla sfida si concluse una settimana dopo l’esibizione permettendo un adeguato riposo e il reintegro al successivo allenamento. L’ingresso del ragazzo in sala prove venne applaudito dai colleghi che lo accerchiarono e si assicurarono di poterlo considerare nuovamente parte integrante attiva del gruppo.
Calore.
Affetto, una qualche lieve forma di affetto umano.
Attenzione interessata.
Le ultime settimane s’erano uniti ancor più nello stesso obiettivo, nella passione per il proprio lavoro e nel rispetto e riconoscimento delle capacità che sarebbero stati sicuramente in grado di dimostrare.
Hyungwon si fece avanti, premendo con il dito il fianco di Changkyun: un AHI accompagnato da un sonoro sbuffo contrariato portò quest’ultimo a voltarsi, ritrovandosi il volto dell’altro a una decina di centimetri. Pietrificato da una vicinanza inattesa e mai palesata prima, lo sospinse via con eccessivo vigore, sbilanciandosi all’indietro; venne recuperato prima di precipitare a terra, per poi essere trascinato verso l’alto con poca difficoltà.
«Non ho intenzione di trascinarti di peso un’altra volta, sta’ attento.»
Il sorriso di sfida di Hyungwon donò un nuovo colore allo sguardo, un colore che Changkyun avrebbe cercato più e più volte, tentando di non farsi notare.


L’allenamento era stato sfiancante, l’ultima sfida aveva messo a dura prova i ragazzi: un altro dei compagni se n’era andato, e in pochi erano rimasti. Un paio di esibizioni ancora, e tutto sarebbe finito.
Tutto anzi sarebbe cominciato.
E questo i partecipanti lo sapevano.
La tensione rendeva Hyungwon irrequieto, anche se non l’avrebbe mai dato a vedere; stava ricercando in ogni modo un angolo di serenità che l’avrebbe aiutato a passare l’ultima sessione del programma senza soccombere alla frustrazione e alle paranoie. S’era appena preparato per la notte, e una tazza di latte bollente con miele e una spolverata di cannella l’avrebbe aiutato a recuperare un certo equilibrio d’umore, prima di andare a dormire. Era tardi, il dormitorio non risuonava di rumorosi echi come durante le ore diurne, la quiete data dal silenzio era rilassante: incredibile come tutto coincidesse in maniera perfetta per riuscire a rendere la serata di Hyungwon il più piacevole possibile. Camminava piano per il corridoio, la mug fumante di ceramica azzurra era stretta tra le dita intorpidite dalla fatica, le ciabatte scivolavano stancamente sul tappeto scuro che seguiva la linea della pavimentazione ovattandone i suoni dei passi; il pigiama di un verde pastello ricadeva mollemente sui muscoli nascosti dal tessuto largo, una comoda alternativa al girare in vestaglia dove avrebbe potuto malauguratamente incontrare ancora qualcuno. Raggiunta la sala comune, illuminata a malapena dai lampioni che sfioravano le tapparelle chiuse malamente, entrò senza badare a una presenza ormai familiare.
Changkyun era rannicchiato su una delle poltrone, la testa tra le mani e le ginocchia strette al petto dai gomiti: tentò goffamente di cambiare posizione e apparire il più naturale possibile, fallendo miseramente. La postura scomposta, gli occhi lucidi nonostante la presenza di una luce flebile rendevano il quadro relativamente chiaro agli occhi di Hyungwon.
Changkyun aveva un problema, e pareva essere qualcosa di estremamente soffocante.
Il ragazzo sospirò, sapendo di star mandando a puttane la propria serata “perfetta”, e poggiò la tazza sul tavolino di vetro in mezzo alla stanza, accomodandosi al sofà accanto alla poltrona. Ogni singolo colore era smussato, sfocato, mentre i suoni si disperdevano nell’aria con chiarezza cristallina.
L’ospite inatteso stava singhiozzando.
Hyungwon detestava le persone deboli che perdevano tempo a lasciarsi andare alla propria emotività.
Le odiava visceralmente.
Avrebbe voluto alzarsi e risvegliare a suon di schiaffi quella passività melensa che gli si era parata davanti.
Non lo sopportava.
Non l’aveva mai sopportato.
Ma stava piangendo.
Gli avrebbe dedicato quindi un paio di parole di conforto, due o tre al massimo, per poi recuperare il proprio latte bollente, la voglia di dormire e dirigersi in camera, dove il letto e il piumone lo stavano attendendo con nostalgia. Nulla di più.


Changkyun tentò di mascherare il volto come poteva, consapevole dello sguardo indagatore di Hyungwon. Si sarebbe fatto risucchiare volentieri dalla poltrona, dentro e giù, fino in fondo, piuttosto che farsi vedere in quello stato da qualcuno.
Da lui.
Uno dei pochi momenti in cui non aveva le telecamere puntate addosso era rappresentato dalla notte, ed era l’unico lasso di tempo in cui poteva cercare di dar voce alla propria ansia sfogando le ore di lavoro, i dolori ai muscoli e l’afonia parziale data dall’aver esagerato con le corde vocali. Nel buio della sera tarda nessuno l’avrebbe giudicato, perché nessuno poteva guardarlo, e tutto sarebbe andato liscio, non fosse stato per l’arrivo dell’unica persona che sentiva ancora distante rispetto alle altre.
Hyungwon.
Tra tutti coloro con cui era riuscito a legare, proprio lui doveva presentarsi quella sera?
Changkyun stirò le gambe cercando una posizione comoda, naturale, per poi fermarsi a osservare le movenze dell’altro con finto disinteresse.
Perché in realtà guardava ogni mossa del suo corpo con una certa attenzione.
Asciugò rapidamente il volto ancora umido con la manica della felpa grigia che gli fasciava il corpo, per poi attendere.
Aspettava qualsiasi cosa.
Un insulto probabilmente, o una frase cinica: qualcosa, qualsiasi cosa.
«Vieni. E zitto.» Hyungwon stesso si alzò dal divano, raccolse la tazza dal tavolino porgendogliela con aspettativa. «E soprattutto bevi, aiuta a far passare il fastidio alla gola. Andiamo.» Se lo portò appresso in direzione del corridoio, spalancando poi con noncuranza una delle due stanze adibite a camera da letto. Attese in piedi che Changkyun bevesse il contenuto – tutto – battendo ripetutamente a terra il piede con impazienza per poi strappargli di mano il contenitore vuoto, abbandonandolo sul morbido tappeto; spinse il collega in direzione del proprio letto, indicandogli di sedersi.
L’espressione interrogativa dell’altro fu più che eloquente, chiara anche nella luce pallidissima che filtrava a fatica dalle minime aperture della finestra.
Qui?
«Ma il mio letto è di là.»
«Lo so. Stenditi.»
La pressione delle dita sicure e frettolose di Hyungwon fece fremere Changkyun come quando si fece male in sala prove, lo stesso tipo di sensazioni: il formicolio improvviso alle mani, un lieve tremore dato da una invadente spinta dallo sterno verso gola e stomaco, e in ultimo la totale immobilità. Il fondoschiena poggiava ancora sul morbido piumone blu notte a coprire il materasso del letto singolo di Hyungwon. Il ragazzo lo spintonò ancora una volta con maggior forza, sfiorandogli il volto con il proprio per un attimo, per poi assestarglisi accanto, sollevare la pesante coperta e avvolgere entrambi nel calore di un posto letto troppo stretto per due.
«Ora dormi.»
Ma nessuno dei due ci riuscì davvero.




   
 
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