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Autore: _aivy_demi_    05/10/2021    7 recensioni
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Questa raccolta partecipa all'iniziativa del Writober 2021 indetta da Fanwriter.it.
31 OS RPF Kpop Groups multifandom: Monsta X, Stray Kids, Ateez, SuperM.
Slash pairings.
Contiene smut, violenza, tematiche delicate sparsi tra i vari prompt.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Can you smile one more time?

Angst

 

 

Essere un artista era sempre stato il sogno di Kang Yeosang: da piccolo si dilettava a esibirsi con canti, balli e filastrocche durante le feste e le rimpatriate in famiglia, convincendo con entusiasmo i genitori a gettare una base per una futura carriera impegnativa ma potenzialmente molto remunerativa. L’infanzia smise di essere tale però nel momento in cui il suo nome e cognome comparvero nell’elenco di corsi di recitazione, danza e canto, accostati al normale percorso scolastico statale.
Troppo piccolo per comprendere quanto pesante potesse essere un bagaglio simile, ne avrebbe pagato le conseguenze in seguito, maledicendo le sue stesse scelte.


Tutto bene?
Quante volte se l’era sentito chiedere Yeosang nell’ultimo periodo?
Tante? Troppe.
Non in modo molesto, assolutamente no: i suoi colleghi si erano spesso mostrati pacifici e poco insistenti nel cercare di sondare il suo stato d’animo, più buio del color ebano con cui l’avevano costretto a tingersi i capelli per l’ultimo comeback. Non che gli dispiacesse, se avesse dovuto elencare tutte le tonalità provate avrebbe riempito un quaderno intero, sottolineando che la nuance attuale rispecchiasse maggiormente l’umore che più gli si addiceva da qualche mese a questa parte.
Ciò che più gli dava fastidio, in realtà, era la mancanza di scelta.
Quello pesava più di ogni altra cosa.
Il suo non era un lavoro, era una catena al collo, un prezioso, ingioiellato collare a scorrimento fatto di metallo lucido e splendente: bello in apparenza, di una sofferenza inumana proseguendo oltre. Più volte s’era chiesto se il successo fosse valso davvero ogni singolo sacrificio: carenza di amici fidati, impossibilità ad amare e dedicare il giusto tempo a una relazione stabile, vivere sotto ai riflettori rinunciando al concetto stesso di privacy avevano creato una gabbia stretta alla vita, su fino allo sterno rinchiudendo il cuore e giù inchiodandolo al pavimento di quell’azienda che gli stava costantemente col fiato sul collo.


Ti va di provare con me la nuova coreografia?
Seonghwa aveva palesato la richiesta con una punta di irrequietezza: parlare a Yeosang era diventato difficile, gli scatti d’ira che spesso accompagnavano un semplice dialogo erano ormai all’ordine del giorno. Il collega tentava di spronarlo, coinvolgerlo nelle attività il più possibile accompagnando ogni singola interazione con il più sincero dei sorrisi.
Sincero, o qualcosa che si avvicinava, almeno.
Il volto femmineo di Yeosang scattò di lato, osservando con una certa attenzione colui che lo aveva affiancato: il vinaccia brillante fresco fresco di parrucchiere che ora contraddistingueva Seonghwa forse stonava, l’aveva sempre preferito con una tinta più naturale, più sua, ma anche se avesse espresso un concetto tanto semplice non sarebbe servito a niente. Si faceva andare bene qualsiasi cosa, un’opinione lì dentro aveva un valore prossimo allo zero.
Sai, avrei bisogno di una mano a ripassare dalla quarta battuta, e pensavo tu potessi darmi una mano.
Naturalmente Yeosang rispose sì, ma gli occhi sempre coperti da quelle iridi artificiali di un azzurro innaturale non lasciavano trasparire alcuna alterazione nelle emozioni: che Seonghwa stesse parlando o meno con lui, il suo sguardo pareva sempre lo stesso, atipico e fisso.


Sono preoccupato.
Era un pensiero comune ormai, condiviso tra i vari compagni del gruppo.
Sai se si fa seguire da qualcuno? Io penso abbia bisogno di uno psicologo.
Una curiosità espressa da più d’uno dei ragazzi che conoscevano Yeosang da qualche anno, e l’avevano visto cambiare nel corso del tempo senza dare peso inizialmente a certi aspetti. Un errore non da poco.
Yeosang si tratteneva in sala prove più degli altri, e tendenzialmente mangiava solo: che fosse per carenza di attenzione, bisogno di migliorarsi e lavorare su di sé tanto da non presentarsi nemmeno in sala pranzo, dubitavano. Era un ottimo ballerino, aveva sempre dato il 110% in ogni performance ma mai s’era trattenuto più del dovuto, se non prima di qualche spettacolo importante. Il gruppo cominciò a valutare una interpretazione differente: lui non voleva passare più del tempo strettamente necessario con loro, e questo venne accolto come un dato di fatto, e non più una supposizione da sfatare.
Yeosang si svegliava all’alba, faceva colazione da solo, s’infilava in doccia prima di chiunque altro, e mentre il mondo si stava svegliando, lui si era nuovamente chiuso in camera a fare chissà cosa, lontano da sguardi indiscreti. A ogni invito a uscire, le ultime risposte erano sempre le stesse: magari la prossima volta, accompagnato da un sorriso spento.
Il dubbio si trasformò in certezza quando Seonghwa notò la porta leggermente schiusa della stanza da letto – casuale? Yeosang era sempre stato attento – dove solitamente quest’ultimo passava il tempo quando non era impegnato con gli oneri giornalieri da idol; si fermò, sapeva che non era la cosa giusta da fare, ma vedere quel volto luminoso e sorridente trasformarsi piano in una cerea ombra di sé, lo stava spaventando.
C’era qualcosa che non andava, e doveva scoprire cosa fosse: sentiva di doverlo fare, come ne dipendesse della salute dell’altro, e non soltanto quella fisica.


Yeosang si sentiva particolarmente stanco quella sera, gli allenamenti erano stati sfiancanti ed era certo di aver esagerato ancora una volta. Dopo la breve sosta agli spogliatoi dello stabile aveva ricercato l’intimità della sua stanza, una camera relativamente piccola rispetto alle altre, dai colori tenui e le tinte pastello sostituiti da una apatica scala di grigi e dalle pareti bianche e spoglie. Aveva eliminato peluches, regali, cornici, fotografie della famiglia e dei compagni da ogni angolo e superficie, col solo risultato di una asetticità al limite dell’alienante. Si sedette alla scrivania posta oltre il letto estraendo da un cassetto chiuso a chiave un blocco note di fogli bianchi, scribacchiato innumerevoli volte. Ipnotizzato scrisse, scrisse ancora e di nuovo, consumando la punta della matita stretta tra le dita stanche.

 

Voglio andarmene, odio tutto quanto.
Lasciatemi stare, non ce la faccio più. Non parlatemi, vi prego,
non parlatemi.
Voglio solo che mi lasciate stare.
Credevo di riuscire a sopportarlo, vivo solo per lavorare, per compiacere gli altri, per seguire quello che tutti hanno da dire.
E io? La mia voce? Cosa ho da dire io?
Tanto non frega un cazzo a nessuno, figuriamoci: vi pare? Dai vostri piedistalli di vite perfette, dai soldi, dal successo, siete soltanto capaci di far finta di interessarvi, ma in realtà…
Che io ci sia o meno…


Non cambierebbe nulla, a nessuno.

Una volta, ditemi una sola volta in cui siete riusciti a capire ciò che sto provando… forse Seonghwa, ecco, lui è l’unico che riesce più o meno a farmi stare meno male.
Non bene, ma meno male.
Non so nemmeno cosa significhi stare bene… continuano a insistere a mandarmi a parlare con qualcuno… non sono malato, cazzo, non ho bisogno di quei medici che pensano di sapere cosa sia meglio per me. Ti imbottiscono di farmaci, vogliono farti parlare, ti costringono a pensare a cose belle, a lavorare su te stesso.
Puttanate.
Cosa vorrebbero cambiare di me, ancora?
Non sono io, questi non sono i miei capelli, o i miei occhi, i miei sorrisi sono per quelle telecamere di merda e basta.
Devo fare finta di farmi piacere questa vita solo perché sennò ci rimettereste voi, andrebbe di mezzo la vostra reputazione:
“Toh, guardali, uno se n’è andato, si vede che non lavorano bene. Magari lo trattano male, o sono stati stronzi con lui.”
Non è vero, lo so io, lo sapete pure voi, però questo schifo non riesco a levarmelo di dosso…
E non posso dirvelo, altrimenti cambierebbe tutto.
Che merda…

 

Richiuse il quaderno scaraventandolo contro la finestra chiusa, le tende tirate a nascondere l’ora tarda e il buio di una Seoul silenziosa e atipica durante la notte. I vetri vibrarono sonoramente scatenando una improvvisa emicrania al ragazzo, costretto a reggersi il capo con le mani tremanti di chi non sapeva cosa stesse accadendo. Le gambe iniziarono a farsi pesanti, e il formicolio diffuso proseguiva rapido verso il centro del corpo.
Aiuto…
La gola si stava serrando, avvertiva distintamente una morsa fisica a stringergli il collo mentre la vista si stava appannando.
Aiutatemi… aiutatemi cazzo…!
Provò ad alzarsi ma un capogiro lo colse costringendolo ad aggrapparsi alla scrivania, respirando pesantemente e senza alcun risultato. Non era fiato corto da sforzo, stava entrando in iperventilazione e la paura di sensazioni sconosciute e orribili lo stava mandando fuori di testa. Si mosse verso la porta, unica via d’uscita da un incubo vissuto da sveglio, pregando di incontrare chiunque.
Seonghwa.
Chiunque nella sua strada.
Seonghwa, ti prego…
Miriadi di puntini volteggiavano sul suo campo visivo, rendendogli difficile capire se stesse abbastanza bene da arrischiarsi a muoversi ancora, o semplicemente lasciarsi abbandonare al panico e accasciarsi lì, solo, sul pavimento.
Cedette, stanco di combattere contro se stesso.


Seonghwa si precipitò non appena vide Yeosang cadere lentamente a terra, come avesse smesso di lottare: raccolse l’amico tra le braccia, sventolandogli una mano sul volto cercando di fargli aria.
Pensa. Cosa si fa adesso?
Chiamò a gran voce il nome di tutti i colleghi, sperando almeno uno di loro potesse svegliarsi per la confusione e raggiungerlo, aiutarlo.
Slaccia i primi bottoni della camicia…
Lasciagli spazio per respirare, stendilo a terra.
Fagli sentire che ci sei, ma non scuoterlo.
Ciò che sapeva delle crisi di panico l’aveva imparato leggendo su internet a riguardo, non ricordava nemmeno in quale occasione, ma si ripeteva mentalmente ciò che aveva colto sperando di essere utile in qualche modo.
Qualsiasi modo.
Lo accarezzò più volte, sussurrandogli di essergli accanto, di non aver paura. Lo chiamò per nome, gli baciò la fronte e gli zigomi stringendo le loro dita in modo protettivo, bisognoso. Soprattutto non doveva dimostrare di avere paura, di essere terrorizzato dalla sofferenza dell’altro.
Perché sapeva.
Tutti sapevano che c’era qualcosa che non andava, che qualcosa in Yeosang s’era rotto, ma questo pensiero scemò quando tutti i ragazzi li raggiunsero in camera; l’ultimo briciolo di attenzione che Seonghwa dedicò al mondo esterno servì a cogliere uno di loro chiamare il Pronto Intervento.


Come stai oggi?
La tazza di tea fumante liberava nell’aria un aroma gradevole, e l’infuso alle erbe e fiori dalle proprietà rilassanti era diventato un’abitudine gradita a Seonghwa, da quando aveva scoperto che poteva servire a stendere i nervi, tranquillizzare. Si era informato su parecchie cose nei giorni precedenti, quando Yeosang aveva deciso infine di cominciare un percorso terapeutico da uno specialista.
Dicono che questa combinazione di odori funzioni, sai? Vuoi un po’ di miele, magari?
Il cenno di assenso di Yeosang fu una piccola vittoria, il pallore sul volto si era accentuato così come le occhiaie violacee sotto alle iridi nocciola, naturali, distolte dal solito mascherarle con le lenti a contatto; il ragazzo si massaggiò le tempie e respirò a pieni polmoni, prima di socchiudere le palpebre e bere.
Caldo, liquido caldo a scendere in uno stomaco gelido e che accettava poco cibo.
Ieri San è caduto su Wooyoung, sono scivolati entrambi all’indietro e hanno spaccato due sedie. Sono i soliti imbranati, dovevi vederli!
Yeosang sorrise senza farlo davvero, gli occhi restavano impassibili e concentrati su ciò che stava facendo come si stesse trattando di un compito difficile: le spalle curve, le mani intrecciate a massaggiarsi nervose, una disattenzione vaga parevano essere normale reazione iniziale alla cura farmacologica, ma questo a Seonghwa non importava… anche se lui non gli avesse dato più alcuna attenzione, gli avrebbe comunque dedicato tutto il tempo che possedeva al di là della schedule di lavoro.
E lo stava facendo.
Il ragazzo raccolse le mani dell’altro, stringendole con delicatezza e portandosele alle labbra: le carezzò per poi sfiorarle, una delicatezza infinita, un gesto incerto.
Yeosang non strattonò, non scappò, lo guardava malinconico, mezzo addormentato, e sorrise.
Stavolta era sincero, Seonghwa ne era certo, glielo leggeva in quella luce tremula che aveva colto nel suo sguardo dopo tanti, troppi giorni.
Puoi sorridermi ancora una volta?

   
 
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