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Autore: Signorina Granger    07/10/2021    9 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
21 Dicembre 2019.
Due Auror, a seguito di una missione in Germania, salgono su un treno che da Berlino li porterà a Nizza, in Francia. I loro piani e quelli degli altri passeggeri vengono però sventati completamente quando sul lussuoso Riviera Express viene rinvenuto il cadavere di una donna. Fermato il treno in mezzo ad una bufera, il Ministero tedesco, d’accordo con quello britannico, assegna ai due il compito di rivolvere il caso trovando il colpevole che, di certo, viaggia sui loro stessi vagoni.
[Storia liberamente e umilmente ispirata a “Assassinio sull’Orient Express” di Agatha Christie]
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 12 – Prospero
 

 
25 Dicembre, 8.30 pm
 
 
“A cosa pensi?”
La voce di Delilah lo riportò bruscamente alla realtà, distogliendolo dal turbinio di pensieri che gli affollavano la mente. Le esili braccia coperte da un maglione nero incrociate, i gomiti appoggiati sulla tovaglia bianca, Delilah teneva gli indagatori occhi nocciola fissi sul suo migliore amico che le sedeva di fronte.
Abbozzando un sorriso, Prospero infilzò con la forchettina da dessert un pezzo della sua fetta di Tarte Tatin servita con gelato alla vaniglia – Delilah aveva spolverato la sua porzione nell’arco di pochi minuti – mentre riportava lo sguardo sull’amica:
“Al fatto che a breve godrò del sommo privilegio di stare nella stessa stanza da solo con Asriel Morgenstern.”
“Nei tuoi sogni, forse. Ci saranno anche gli altri Auror.”
“Ah, vero. Che disdetta…”
Prospero si portò il pezzo di torta alle labbra esalando un sospiro affranto, dichiarando le sue speranze disilluse mentre Delilah accennava al maglione dell’amico con puro scetticismo:
“E avevi seriamente intenzione di incontrarlo conciato così?”
Il mago chinò lo sguardo sul suo maglione – di un intenso rosso sangue, dove spiccava un lama con occhiali da sole e una ghirlanda di luci natalizie avvolta attorno al collo – prima di portarsi la mano destra sul cuore e dare sfogo alla sua miglior espressione offesa e addolorata:
“Stai insinuando che il mio set di maglioni natalizi coi lama sia brutto e che mi renda poco avvenente, Laila?”
Un set? Perché, ne producono addirittura più di uno di maglioni natalizi coi lama?!”
“Fingerò di non aver sentito nulla, del resto la tua è tutta pura invidia.”
Prospero distolse lo sguardo e liquidò il discorso con un gesto, fingendosi sostenuto mentre l’amica lo scrutava dubbiosa: a dire la verità la sua era sinceramente invidia, ma non tanto per il possedere o meno un maglione simile quanto più per la capacità di Ro di indossare con classe qualsiasi cosa. Anni prima lei e Cecil gli avevano regalato un pigiama coperto di alci, ma a nulla era servito il loro tentativo di renderlo ridicolo: Prospero aveva dichiarato di adorarlo e si era aggirato con quel tremendo pigiama addosso per la Sala Comune per tutto l’inverno senza che nessuno osasse prenderlo in giro.
“Hai ragione, sogno da sempre di indossare cotanta bellezza, peccato non averne ancora mai avuta l’occasione!”
Delilah allungò la forchetta da dessert per cercare di sottrarre all’amico l’ultimo boccone di torta di mele, ma Prospero fu più rapido e bloccò la forchettina sulla tovaglia utilizzando la sua.
“Dai Ro, non fare il tirchio!”
Il tono lamentoso e implorante della strega non fece breccia nel cuore dell’amico, che anzi la guardò sbigottito sollevando entrambe le folte sopracciglia scure:
Tirchio?! Ma se quando vieni a trovarmi a Roma ti faccio trovare sempre un vassoio di maritozzi! E quella volta che mi hai svegliato in piena notte lagnandoti che volevi una pizza e ho messo in moto la cucina solo per te?!”
“Ma io voglio la torta di mele… Dammela, dai.”
“Non pensarci neanche!”
 
Seduta a qualche metro di distanza, Clodagh osservava scettica l’ultimo, enigmatico passeggero da interrogare in compagnia della sua migliore amica e impegnato in una sorta di duello con le forchettine da dessert per difendere il suo ultimo pezzo di torta.
Quell’indagine assumeva toni più assurdi ogni ora che passava.
“Prima di parlare con De Aureo voglio chiedere alle francesi di parlarci della sorella di Renèe e del suo rapporto con Alexandra, vediamo se qualcosa non torna. James, hai scritto a Achilles?”
“Ho già spedito la lettera, gli ho chiesto di risponderci con urgenza. Pensi che Renée mentisse?”
“No, ma meglio esserne sicuri. Vado a chiedere alla Signorina Picard e alla Signorina Leroux di fermarsi per qualche minuto a parlare con noi quando tutti avranno finito di cenare.”
Asriel appoggiò il tovagliolo candido vicino al piatto ormai vuoto – James non aveva mai visto nessuno spolverare un hamburger enorme con tanta rapidità – e si alzò scostando leggermente la sedia dov’era seduto. Il più giovane lo guardò avvicinarsi al tavolo dove Clara e Corinne stavano discutendo fitto fitto in francese – la mora si stava gustando la seconda fetta di torta –  prima di rivolgere la sua attenzione a Clodagh, impegnata ad osservare pensierosa Prospero De Aureo e Delilah Yaxley.
“Stai pensando a cosa chiedere a Prospero, Clo?”
“Sì e no. Stavo pensando alla sfera che abbiamo trovato nella valigia di Alexandra. E al motivo per cui mi trovo qui.”
Osservando la collega e amica, James si rese conto di non averle mai chiesto in modo approfondito perché l’avessero incaricata di seguire Prospero sul treno. La sorpresa nell’incontrarla sul Riviera Express era stata enorme, e l’entusiasmo che ne aveva conseguito gli aveva quasi fatto scordare di chiederle come fossero andate le cose.
Quando gli era stato detto che avrebbe dovuto accompagnare Asriel in Germania, James ne era stato sorpreso ed entusiasta allo stesso tempo: era rarissimo che l’Auror viaggiasse con qualcuno che non era la loro pimpante collega dai capelli ramati e subito l’ex Tassorosso si era chiesto il motivo di quel cambiamento, ma era così felice all’idea di poter imparare qualcosa da Asriel che di certo non si era sognato di fare troppe domande a Potter.
“Quando mi hanno dato l’incarico mi sono chiesto perché avessero scelto me e non te. Mandano sempre te e Asriel insieme. In effetti quando l’ha saputo Brontolo non era poi così felice.”
No, Asriel di certo non aveva ricambiato l’entusiasmo di James: appresa la notizia del suo cambio di partner, era entrato nell’ufficio di Potter per uscirne più di mezz’ora dopo e con un’espressione così furente che nessuno aveva avuto il coraggio di rivolgergli la parola o di intralciare il suo cammino per tutto il resto della giornata.
“Te l’ho detto, è una persona estremamente abitudinaria. Non ama i cambiamenti, soprattutto quelli improvvisi.”
Clodagh accennò un sorriso divertito mentre giocherellava con la sua forchetta, lanciando un’ultima occhiata a Prospero prima di sporgersi sul tavolo verso James:
“Pare che sapessero che avrebbe dovuto vendere qualcosa.”
“E come?”
“Questo Potter non me l’ha detto. Era strano, molto strano.”
 
 
“Clodagh, ho bisogno che tu tenga d’occhio una persona. Salirà su questo treno tra pochi giorni, ti ho fatto procurare un biglietto per seguirlo.”
In piedi davanti alla scrivania del suo superiore, Clodagh allungò una mano pallida per prendere la busta che Harry le porgeva. Aprendola, la strega estrasse il biglietto ferroviario leggendo con un sopracciglio inarcato la stazione di partenza e quella d’arrivo:
“Berlino-Nizza? Di chi si tratta?”
“Prospero De Aureo. Lo conosci?”
“Mi ricordo di lui a scuola, è una di quelle persone… difficili da dimenticare. Che cosa ha fatto?”
Curiosa, Clodagh richiuse la busta e la infilò con cura nella tasca interna della sua giacca mentre qualche vago ricordo di un gentile, alto e sorridente Serpeverde dai capelli scuri tornava a farle visita. Prospero De Aureo. Era tanto tempo che non sentiva quel nome.
“Niente, per ora. Sospettiamo che viaggi trasportando qualcosa che deve vendere, qualcosa di illegale e di potenzialmente pericoloso.”
“Ovvero?”
“Non ne abbiamo idea.”
“Devo recuperare qualcosa di cui non so assolutamente nulla, Signore?”
Non era sua intenzione risultare scettica o irrispettosa, ma Clodagh non poté fare a meno di inarcare un sopracciglio con perplessità mentre Harry, dietro la scrivania e con le mani intrecciate, accennava un sorriso:
“La cosa più importante è impedirgli di vendere, Clodagh. Per quello che ne sappiamo Prospero è piuttosto innocuo, ma nelle mani sbagliate ciò che De Aureo possiede potrebbe diventare un grosso problema.”
 
 
 
“Come faceva Potter a sapere di quella specie di maledizione?”
“Questo non me l’ha detto. Ma da quando ho visto te e Asriel sul treno continuo a chiedermi se la nostra adorabile vittima non fosse coinvolta in qualche modo. Forse era lei l’acquirente e lei e Prospero si sono accordati per viaggiare sullo stesso treno come copertura.”
“Ma Alexandra non l’ha comprata… anche se avesse voluto, non ne ha avuto il tempo. Anche se Prospero avesse pianificato di tenersi la maledizione per sé e di ucciderla lo scambio non è avvenuto e non ha avuto il denaro, perché ucciderla senza prima essersi fatto pagare?”
“Farsi trovare con dei soldi avrebbe alimentato i sospetti su di lui. Ma se l’avesse uccisa per tenersi la maledizione perché farcela trovare? Avrebbe dovuto nasconderla, non mettercela sotto al naso.”
Le braccia strette al petto, Clodagh scosse la testa mentre fissava il suo piatto da dessert vuoto senza realmente vederlo, troppo concentrata sul mistero che legava il suo iniziale incarico, l’omicidio di Alexandra e quella misteriosa maledizione.
Era impossibile che Alexandra e Prospero non fossero legati in qualche modo, si sarebbe trattato di una coincidenza troppo assurda per poter essere reale. Doveva solo capire quale fosse il nodo da sciogliere.
 

*

 
May, avvolta nel secondo maglione natalizio che aveva portato con sé, attraversò il vagone della I classe per bussare con leggero nervosismo alla porta della cabina di Elaine: dopo aver lasciato il vagone ristorante, terminata la cena più frettolosamente del solito sotto esortazione degli Auror, la strega era tornata nella propria cabina cercando di far passare il tempo in solitudine, ma invano.
Pearl e Brutus e la loro vita di tutti i giorni cominciava a mancarle troppo, persino le mattinate in cui si prendeva a letto e accompagnava in ritardo Pearl all’asilo, guadagnandosi gli sguardi velati di disapprovazione delle maestre, persino le alzatacce all’alba quando la nipotina si ammalava ed entrava in camera sua per svegliarla, scuotendola e mormorando di sentirsi male.
 
“Zia! Zia, Brutus sta male!”
“Cosa? Che cos’ha?!”
May sedeva a gambe incrociate sul proprio letto, impegnata a leggere il mensile dedicato al Quidditch a cui si era abbonata, ma gettò la rivista e scattò in piedi quando la nipote fece irruzione nella stanza decretando che il suo cane, il suo amatissimo Brutus, stava male.
L’ex Grifondoro guardò la bambina con gli occhi azzurri sgranati e terrorizzati ma Pearl, calmissima, annuì seria prima di indicare fiera lo stetoscopio giocattolo rosa che teneva allacciato attorno al collo:
“Respira male, ma se vieni ti faccio vedere che gli do la medicina.”
“Ah sì?”
“Sì, vieni.”
Sollevata – anche se una parte di lei maledisse la nuova vocazione della nipotina, che da quando lo aveva ricevuto perseguitava chiunque le capitasse a tiro col suo stetoscopio rosa – May lasciò che Pearl la prendesse per mano e la conducesse in salotto, dove trovò il povero Brutus completamente disteso sul pavimento e con l’aria di chi non ne può più di fare da cavia.
“Tranquillo Brutus, adesso ti curo.”   Talmente seria da risultare quasi comica, Pearl frugò nella sua borsetta da veterinaria in erba e sedette accanto al cane tenendo in mano una siringa giocattolo arancione. May, promettendo silenziosamente al cane un biscottino extra, sorrise mentre si chinava per accarezzare dolcemente la testa dell’animale:
“Per fortuna che c’è lei Dottoressa Hennings, Brutus sta visibilmente male.”
Due minuti dopo Pearl asserì che Brutus stava di nuovo benissimo, e congedò il suo paziente – che corse in cucina alla velocità della luce, illudendosi di potersi nascondere nonostante la sua stazza – prima di iniziare a chiedere alla zia se poteva avere un camice della sua misura. Piuttosto certa che non li producessero, qualche giorno dopo May le allungò una camicia bianca che non portava più col nome della nipote ricamato su un lato e con le maniche accorciate di diversi centimetri. Fortunatamemte Pearl non si accorse di nulla e lo accolse con entusiasmo, ma May si ritrovò con un altro problema da risolvere quando la bambina iniziò a non volerselo togliere neanche per fare la doccia.
 
 
Quando Elaine aprì la porta e la guardò con sincera curiosità negli occhi verdi egregiamente truccati, all’ex Grifondoro non restò che accennare un sorriso colpevole mentre stringeva nervosamente le mani dietro la schiena:
“Ciao Nel. Ti disturbo? Non mi va di stare da sola, senza bacchetta mi sento troppo indifesa… ed è ancora Natale, mi rattrista passarlo da sola.”
“Certo che non disturbi, entra pure.”
Elaine ricambiò il sorriso dell’ex compagna di scuola e si fece da parte, facendole cenno di entrare. May non se lo fece ripetere due volte e accettò ben volentieri l’invito, superandola per addentrarsi nell’enorme cabina della cantante.
“Ogni volta che vengo mi sembra che la tua cabina si allarghi e la mia rimpicciolisca… dici che è possibile?”
Entrando May lasciò che Ailuros le facesse l’onore del suo comitato d’accoglienza, strusciandolesi brevemente sulle gambe, prima di andare a sedersi sul bordo del letto rifatto dell’amica, facendo attenzione a non creare troppe pieghe mentre Elaine chiudeva la porta.
“A me sembra sempre uguale, a dire il vero. Vuoi qualcosa?”
Elaine accennò al frigo-bar ma la bionda scosse il capo, declinando educatamente la proposta mentre osservava l’amica:
“No, grazie, non bevo più vino e superalcolici. Sai, avevo quasi scordato che senza tacchi sei più bassa di me… è strano vederti senza i tuoi trampoli.”
May sorrise mentre indicava le costosissime Christian Louboutin rosse dell’amica sistemate con cura accanto alla porta, ridacchiando quando scorse la smorfia sul volto della Tassorosso mentre Elaine apriva il mini frigo per versarsi qualcosa da bere:
“Detesto mettere le scarpe basse… sono così scomode, ma come fa la gente a portarle?!”
 
Elaine non vedeva spesso la sua unica zia materna, ma ogni volta non poteva che ammirare le bellissime scarpe che Theodora sfoggiava con tanta eleganza. Anche sua madre era piena di abiti e scarpe meravigliosi, ma alla piccola Elaine non era permesso di toccare assolutamente nulla. La prima volta in cui andò a trovare lei e lo zio Armand, Theodora le mostrò il suo enorme, gigantesco armadio ridendo di fronte all’espressione di pura meraviglia della nipote e invitandola a prendere tutto quello che voleva.
“Posso toccare?”
Certa di aver capito male Elaine sollevò la testa e guardò confusa la zia, indicando l’interno della cabina-armadio con una piccola luce di speranza negli occhi chiari. Sorridendo, Theodora annuì dandole una lieve carezza sui capelli ramati:
“Certo. Non che qualcosa possa starti, ma se vuoi giocare e provarti qualcosa sei libera di farlo.”
Elaine ignorò i bei vestiti colorati della zia, correndo dritta verso gli scaffali che contenevano una lunga serie di scarpe di ogni genere. Restò lì dentro a provarsele e a incespicarci dentro per più di un’ora, finchè la voce di sua madre non la richiamò alla realtà ordinandole di scendere per tornare a casa.
“Quando sarai grande ti regalerò un paio di scarpe bellissime se ti piacciono tanto, ok?”
“Ok. Grazie zia!”
Sorridendo piena di entusiasmo, Elaine sedette sul pavimento e si rimise le proprie per tornare dai genitori un po’ più felice rispetto al solito. mentre usciva stringendo la mano della madre e salutando gli zii con quella libera, la bambina si domandò ancora una volta perché ai suoi genitori Armand e Theodora non piacessero: per lei erano le persone migliori del mondo.
 
 
Scossa la testa con evidente disapprovazione, Elaine prese una minuscola bottiglietta di vodka – sembrava quasi un complemento della cucinetta giocattolo di Pearl, solo che doveva costare il triplo, pensò May – e ne versò il contenuto in un bicchiere di cristallo dall’aria costosissima – May ormai aveva in casa quasi esclusivamente bicchieri di plastica, o al massimo coperti da pinguini e fiorellini colorati, tanto che guardò l’oggetto sentendosi ormai disabituata alle cose costose e da adulti –.
“Renée come sta?”
“Non mi sembrava particolarmente turbata dopo l’interrogatorio, a cena, quindi immagino che sia andato bene… ma ho preferito non disturbarla, mi ha detto che voleva riposarsi un po’. Penso che la sua famiglia le manchi molto, non ha modo di vederli molto spesso durante l’anno e di solito torna sempre a Londra per le feste, è uno dei pochi periodi che passano tutti insieme.”
Elaine, sedutasi sulla poltroncina foderata di velluto color terra bruciata accavallando le gambe fasciate dai pantaloni di raso del pigiama, si portò brevemente il bicchiere alle labbra mentre osservava distrattamente fuori dall’ampio finestrino che aveva accanto:
“Io non ricordo molti Natali passati tutti insieme, ai miei genitori non piaceva passare il tempo con mia zia e mio zio. Mi dispiace solo che lui sia solo, adesso.”
L’espressione della strega si rabbuiò, stringendo il bicchiere che teneva tra le dita. Persino da morta Alexandra era riuscita a infliggere sofferenza a lei e a suo zio, tenendoli separati durante il primo Natale senza sua zia.
May, gli occhi chiari fissi sull’amica, si mordicchiò a disagio il labbro inferiore prima di chinare lo sguardo sulle proprie mani, tormentandosele prima di mormorare qualcosa a bassa voce:
“Mi dispiace molto, Nel. A me Morgan manca sempre molto più del solito, a Natale… suppongo che sia normale. Un po’ invidio Pearl che non può sentirne la mancanza.”
Elaine si voltò, guardandola senza dire nulla mentre l’ex Grifondoro si stringeva debolmente nelle spalle: si rendeva conto che non aveva assolutamente nulla da invidiare ad una bambina che sarebbe cresciuta senza madre e senza padre, ma una piccola parte di lei non poteva fare a meno di pensare a quanto fortunata fosse sua nipote a non soffrire ad ogni Natale o a tutti i compleanni di Morgan. Soprattutto, sua nipote non doveva sentire sua nonna piangere di nascosto ad ogni festività trascorsa senza la figlia maggiore.

“So che è orribile da dire, perché non ha avuto la possibilità di conoscerla… ma a volte vorrei avere la sua spensieratezza. Io amo il Natale, tantissimo, da quando ero piccola, ma non poterlo condividere con mia sorella lo renderà sempre meno speciale.”
“Un giorno finirà. Un giorno ti chiederà di tua sorella e ne sentirà la mancanza, anche se non l’ha mai conosciuta. Per certi versi nemmeno io e mia madre ci siamo mai conosciute davvero. Certo tua sorella non sarebbe stata come Juliet, lei sarebbe stata una madre affettuosa.”
Una smorfia carica di disprezzo piegò le labbra carnose di Elaine prima che la strega vuotasse il contenuto del bicchiere, decisa a relegare il più possibile sua madre in un angolo molto remoto della sua memoria. May, guardandola e pensando alla sua infanzia, non poté far altro che rabbrividire all’idea che Pearl, un giorno, pensasse a lei con lo stesso disprezzo che Elaine riversava su sua madre nelle rarissime occasioni in cui la nominava.
“Sì, lo sarebbe stata. Mia madre continua a ripetere che presto Pearl comincerà a chiedere sempre di più di Morgan.”
Elaine annuì mentre si alzava, attraverso la breve distanza che le divideva per sedersi accanto a lei sul bordo del letto e metterle una mano sulla spalla con un sorriso comprensivo:
“Beh, è normale, sta crescendo. Sono sicura che sarà difficile parlarne e condividere i tuoi ricordi con Pearl, ma magari attraverso di lei riuscirai a riavere un pezzetto di Morgan. Non saranno mai la stessa persona, certo, ma avete ancora qualcosa che vi lega… e sono sicura che tua sorella sarebbe commossa da tutto l’amore che dai a sua figlia. Io vorrei averlo ancora, un pezzetto di zia Theodora. Sei fortunata, May.”
May annuì, sorridendo senza volerlo nel pensare alla sua vivace e intelligentissima nipotina che, ne era sicura, l’avrebbe riempita di soddisfazioni. Era la zia più fortunata del mondo con una nipote del genere, lo sapeva.
“Lo so. Dopo che Morgan morì tutti ripetevano che Pearl era fortunata ad avermi, ma io ho sempre pensato che fossi io ad essere fortunata… sarebbe stato molto più difficile superare il lutto senza lei a tenermi impegnata. Ma se ci tieni ogni tanto puoi farmi da babysitter tra un concerto e l’altro.”
Le sue parole riuscirono a strappare una risata dalle labbra di Elaine, che annuì con gli occhi verdi leggermente più sereni mentre May le appoggiava, felice di averle sollevato il morale, la testa sulla spalla:
“Ti farò sapere quando avrò una settimana libera. Magari viene anche Renée.”
“Voi due e i vostri abiti di lusso sareste ridicole come babysitter… sai quante volte Pearl mi ha tirato il cibo o mi ha sbavato addosso?”
“Bleah. Non ci tengo a saperlo, grazie.”
 

 
*


Détends-toi, Coco.”(1)
Il sussurro di Clara non aiutò Corinne a tranquillizzarsi, o a smettere di far dondolare nervosamente la gamba destra accavallata sulla sinistra. Le due streghe sedevano una accanto all’altra nel vagone ristorante che ancora non era stato sgomberato: i tavoli della cena da sparecchiare erano ancora tutti al loro posto, e le due sedevano a quello dove gli stessi Auror avevano cenato.
Dopo essere stata convocata per due volte dagli Auror nel giro di un paio d’ore nemmeno Clara si sentiva poi così tranquilla, ma si sforzò di mantenere un contegno più disinvolto mentre sosteneva con decisione lo sguardo di Asriel, che si schiarì la voce prima di parlare con tono annoiato e tenendo gli occhi chiari fissi sulla bacchetta che si stava rigirando tra le dita:
“Signorine, v’informo che la mia collega, qui, parla francese, quindi vi sconsiglio di parlare tra voi pensando di non essere capite e dire cose che potrebbero mettervi nei guai.”
Asriel accennò a Clodagh senza guardarla e con un pigro cenno del capo mentre James, perplesso, aggrottava le sopracciglia e lanciava un’occhiata piuttosto stranita in direzione della collega, chiedendosi da quando in qua parlava francese mentre Clara stringeva nervosamente le labbra e Corinne borbottava mestamente un assenso.
In un primo momento anche l’irlandese fu colta dallo stesso pensiero – chiedendosi quando avesse scordato di aver imparato il francese –, ma fortunatamente le bastò un istante per capire le intenzioni del collega, e complici anni di collaborazione alle spalle non dovette nemmeno guardare Asriel per stamparsi un sorriso sulle labbra e annuire.
“Precisamente. Signorina Picard, Signorina Leroux, vi abbiamo convocate per chiedervi se avete qualcosa da dirci su Corinne Ollivander. Ha frequentato Beauxbatons nei vostri stessi anni e pare che fosse amica della vittima.”
Oui. Corinne ha un anno meno di me, se non sbaglio. Al momento possiede una boutique a Parigi.”
“La conosce, Signorina Picard?”
Clodagh rivolse la sua attenzione sull’ex Spezzaincantesimi, parlandole con gentilezza mentre Clara scuoteva la testa e Corinne si fissava in silenzio la punta delle scarpe tenendo la mascella serrata.
“Non in maniera particolare, a scuola non ci siamo mai frequentate e non ho mai acquistato uno dei suoi abiti. Trop coûteux… Come si dice… troppo costosi.”
“Quindi non la vede da anni?”
“Abito a Parigi anche io e qualche volta mi è capitato di incontrarla al Ministero o in qualche locale per maghi… ma niente di particolare. Sapevo che era amica di Alexandra perché me l’ha detto Coco e le ho viste insieme a teatro una volta, ma non ho altro da dirvi.”
Clara parlò stringendosi leggermente nelle spalle e Clodagh, annuendo lentamente, la osservò per un istante prima di rivolgere la sua attenzione su Corinne:
“E lei, signorina Leroux? La vittima e la Signorina Ollivander erano amiche e voi stavate insieme. Ha da dirci qualcosa in più su di lei?”
“Non siamo mai state amiche, a scuola. Onestamente non la trovavo molto simpatica, da ragazzina. Ho acquistato diversi vestiti da lei negli ultimi anni, ma ho smesso… dopo che tra me e Alexandra è finita.”
“Perché?”
“Sapevo che erano amiche. Molto amiche. Mi metteva a disagio, con tutto quello che Alexandra avrà detto di me in giro.”
Corinne strinse le labbra mentre si stringeva nervosamente le mani, cercando di reprimere la frustrazione che la colpiva ogni volta in cui ripensava a come erano andate le cose tra lei e la sua ex mentre Clodagh, Asriel e James continuavano ad osservarla.
“Sa come si sono conosciute lei e Alexandra?”
Oui, è stato grazie a me. Alexandra mi chiedeva sempre dove comprassi i miei vestiti e un giorno l’ho portata alla boutique delle Ollivander. Si sono conosciute così e hanno legato subito. Alexandra conosceva il fratello maggiore di Corinne che aveva studiato ad Hogwarts ed era affascinata dalla sua famiglia.”
Perché la cosa non mi sorprende?”
Clodagh ignorò il sarcastico borbottio di Asriel – Clara invece accennò un sorriso con le labbra, non potendo fare a meno di trovarsi d’accordo –, parlando senza smettere di osservare l’ex fantina:
“Per quel che ne sa lei erano ancora in buoni rapporti al momento del decesso?”
“Non ho motivo per pensare il contrario. E prima che me lo chieda no, della sorella minore di Corinne presente sul treno non so assolutamente niente. Non credo che siano in buoni rapporti dai discorsi che ricordo di aver sentito tra Corinne e Alexandra o tra Corinne e le loro altre due sorelle, ma non so nulla di preciso sulla famiglia Ollivander.”
“Allora le chiedo solo la sua opinione, Signorina Leroux. Lei conosceva molto bene la vittima, pensa che fosse amica di Corinne Ollivander per un affetto sincero o per saperne di più sui segreti della sua famiglia?”
Corinne esitò, fissandosi la punta delle scarpe per qualche secondo prima di sollevare lo sguardo e incontrare gli occhi azzurri dell’Auror che la osservavano in attesa. Non l’aveva mai chiesto ad Alexandra, non direttamente, ma Clodagh aveva ragione nel dire che l’aveva conosciuta bene, forse meglio di chiunque, e proprio per questo motivo si era posta quella domanda più di una volta.
“Ad Alexandra Corinne piaceva molto, ne sono sicura. Ma mi sono spesso chiesta anche io la stessa cosa.”
“Quindi è più propensa verso la seconda opzione?”
“Credo di sì.”
Clodagh annuì, e le sorrise come se avesse ricevuto esattamente le informazioni che si aspettava. Dopo essersi rivolta brevemente ad Asriel e a James parlando a bassa voce mentre lei e Clara si scambiavano una silenziosa occhiata dubbiosa, Corinne guardò l’Auror tornare a rivolgerlesi con il suo solito sorriso garbato:
“Grazie per il vostro tempo, per ora potete andare.”


Lasciato il vagone ristorante – entrambe nettamente sollevate rispetto a pochi minuti prima – Clara si chiuse la porta scorrevole alle spalle prima di rivolgere all’amica un’occhiata dubbiosa:
“Come pensi che sia andata?”
“Non ho idea di che cosa pensassero o di cosa volessero sentire, ma abbiamo detto la pura e semplice verità, questo conta. Non avevo mai visto Renée Ollivander prima di salire su questo treno, e se ci sono stati attriti tra lei e Alexandra o tra Alexandra e gli Ollivander io non ne ho mai saputo nulla.”

 
                                                                                                                                         *   
     
 
Quando Prospero aveva appreso di non doversi fermare a parlare con gli Auror subito dopo la fine del servizio serale aveva esposto a Delilah le sue lamentele: si era dato tanta pena per sistemarsi i capelli, si era fatto la barba, insomma era pronto per il suo colloquio con l’Auror più bello del Dipartimento britannico e invece si era ritrovato a dover aspettare.
Dopo aver bevuto l’ultimo caffè della giornata Delilah, dal canto suo, aveva deciso di fare compagnia all’amico, aspettando insieme a lui fuori dal vagone ristorante. I due avevano occupato il divanetto a due posti, e la strega stava mangiucchiando della liquirizia con la sua macchina fotografica tra le mani, impegnata a scorrere le foto contenute nel rullino mentre Prospero, accanto a lei, tamburellava le dita sul bracciolo senza smettere di lanciare occhiate alla porta scorrevole dietro le quale erano sparite le francesi.
“Di che cosa staranno parlando con gli Auror, secondo te?”
“Mpf, alla fine verrà fuori che sono state loro, te lo dico io.”
“Ah, certo, la tua brillante teoria dell’altro giorno, come dimenticarla…”
No, Prospero non avrebbe scordato facilmente l’immagine della sua migliore amica impegnata ad esporgli la sua teoria sull’omicidio della Sutton utilizzando foto scattate appositamente per l’occorrenza e un puntatore che non era sicuro di aver capito come si fosse procurata.
“Certo che non la dimenticherai, anche perché alla fine capirai che ero nel giusto. Ro, ma mi spieghi COME fai ad uscire bene in ogni singola foto?!”
Sconcertata, Delilah prese a scorrere più rapidamente il rullino, in particolare tutte le foto che aveva scattato all’amico nei momenti di noia dei giorni precedenti. Aveva provato di tutto, persino a fotografarlo mentre mangiava o in procinto di starnutire, ma niente: Ro appariva perfetto in ogni scatto.
Fogliolina cara, per me è geneticamente impossibile venire male in foto. È un superpotere che ho sviluppato nel tempo.”
Prospero sorrise, sistemandosi i capelli compiaciuto mentre l’amica, decisa a credere che dovesse esserci una sorta di incantesimo sotto, gli scoccava un’occhiata assai sospettosa.
“Qui stavi sbadigliando, io… io ti ho visto! COME è possibile che tu nella foto stia sorridendo se stavi sbadigliando?”
“Magari tu sei semplicemente la più meravigliosa dei fotografi, amica mia.”
Delilah gli assestò una poderosa gomitata, agitando la macchina fotografica per intimargli di non provare a fregarla con le moine mentre l’amico spalancava gli occhi scuri in tutta la sua innocenza, asserendo di non sapere di cosa stesse parlando.
La strega stava per dirgli che un giorno avrebbe scoperto il segreto dietro le sue pose e i sorrisi smaglianti – si sentiva decisamente satura dopo vent’anni di foto in cui l’amico appariva puntualmente perfetto mentre lei, accanto a lui, sfoggiava sempre espressioni improbabili e decisamente poco attraenti, come la foto di fine sesto anno quando Cecil le aveva praticamente starnutito addosso e lei era stata immortalata per l’eternità voltata verso il gemello e impegnata ad imprecare sonoramente – quando dal vagone ristorante uscirono Clara e Corinne parlando tra loro in francese.
Delilah avrebbe pagato fiumi di Zellini (no, non disponeva di una somma sufficiente di Galeoni per sperperarli in quel modo) per sapere che cosa si stessero dicendo le due, e le guardò allontanarsi dubbiosa prima che Asriel facesse la sua apparizione sulla soglia.
Bastò quella visione per far scordare ad entrambi la faccenda delle foto, e i due ex Serpeverde sorrisero imbambolati mentre Asriel invece li guardava impassibile:
“Può seguirmi, Signor De Aureo?”
Se me lo chiede lei, come rifiutare?”
Asriel alzò gli occhi al cielo, facendo dietro front per tornare all’interno nel vagone mentre Prospero si alzava sbattendo le lunghe ciglia e Delilah, indignata, lo guardava sentendosi tradita nel profondo:
Ehy, mettiti in fila!”
Delilah scoccò un’occhiata torva all’amico, intimandogli di fare la fila per entrare nelle grazie di Manzo Apocalittico. Prospero tuttavia le indirizzò lo stesso sorrisino che gli aveva visto sulla faccia tutte le mattine in cui, ad Hogwarts, le aveva soffiato i dolci migliori prima di seguire l’Auror salutandola con un lieve movimento delle dita, lasciando la fotografa sola con la sua macchina fotografica e privata della sua compagnia.
“Che noia… Anche da morta rompi le palle, stupida panterona.”

 
*

 
“Allora Signor De Aureo…”
“Può chiamarmi Prospero.”
“Preferirei chiamarla per cognome.”
“Come preferisce.”
Un sorriso amabile e garbato addolcì i bei lineamenti di Prospero, che sedeva di fronte agli Auror con gli occhi scuri – visibilmente divertiti – fissi su Asriel e le gambe accavallate con eleganza. La mano destra stretta sul ginocchio corrispondente e il gomito sinistro sistemato mollemente sul bracciolo della sedia, l’ex Serpeverde sembrava più a suo agio di tutti gli altri passeggeri, tanto che Asriel quanto Clodagh e James si domandarono se quello fosse o meno il suo primo interrogatorio.
“Ci può dire il suo nome completo, per favore?”
“Il mio nome completo è un po’ complicato, Signor Morgenstern.”
“Allora provi a semplificarlo.”
Il timbro della voce di Asriel rimase immutato, ma l’Auror strinse leggermente gli occhi con un principio di nervosismo: era tardi e non aveva nessuna intenzione di tirarla per le lunghe, anche se con lo strano mago che aveva davanti aveva la pessima sensazione che si stava solo illudendo.
“In tal caso, urge fare una piccola premessa. Sono nato a Roma, mia madre è una strega Purosangue italiana… mio padre è un Nato Babbano inglese, ma le sue origini non ci sono del tutto chiare.”
Prospero chinò lo sguardo, spolverandosi distrattamente i pantaloni fatti su misura – si lamentava spesso di avere le gambe troppo lunghe e che molti pantaloni fatti in serie gli andassero corti, e si era già sorbito le battutine di Delilah sull’acqua alta ad Hogwarts, con i pantaloni della divisa troppo corti di alcuni centimetri – mentre James si massaggiava confuso il mento: aveva le terribile sensazione che trascrivere quell’interrogatorio sarebbe stato estremamente confusionario.
“In che senso?”
“Non ho idea di chi sia mio nonno. Nessuno lo sa, mia nonna se lo porterà nella tomba.”

 
*

 
Prospero non ci aveva messo molto tempo, da bambino, per capire qualcosa di semplice quanto fondamentale: la sua era una famiglia strana. Dopotutto tutti non facevano che ripetere quanto il bambino fosse sveglio per la sua età, ed era deciso a non deludere le aspettative di nessuno.
Sua nonna Lucinda era inglese, beveva litri di tè e aveva un accento molto marcato. A Prospero sua nonna Lucinda piaceva, tranne quando lo tormentava con le buone maniere e perché stesse seduto dritto a tavola. Per non parlare di quei tremendi sandwich coi cetriolini che gli rifilava a merenda, una vera schifezza. Nonna Lucinda era sposata con nonno August, che aveva origini scozzesi e un accento ancora più strano. Prospero non avrebbe mai dimenticato la volta in cui l’aveva visto indossare una gonna e aveva fatto il madornale errore di scoppiare a ridere: il nonno si era offeso parecchio e aveva minacciato di dargliele di santa ragione. I suoi nonni inglesi vivevano in Italia da prima che nascesse – anche se nessuno gli diceva perché –, ma suo padre aveva studiato ad Hogwarts, e a quanto sembrava anche lui ci sarebbe andato.
I suoi nonni di Hogwarts non ne sapevano proprio nulla: i nonni paterni erano entrambi Babbani, e quelli materni non avevano studiato in Scozia. Gli unici racconti su cui Ro poteva fare affidamento erano quelli di Harrison, suo padre, che a quanto pareva era stato un Tassorosso profondamente atipico, annoverato tra gli studenti con più risse alle spalle di tutta la storia. Nonno August diceva fiero che erano le origini scozzesi, e Prospero non capiva perché nonna Lucinda alzasse gli occhi al cielo ogni volta. Forse non le piacevano gli scozzesi, aveva dedotto il bambino.
Sua madre, Cornelia, era italiana ma amava viaggiare e parlava e capiva tantissime lingue, lingue che stava facendo insegnare anche al suo unico figlio. Prospero sognava di seguire i suoi genitori nei loro viaggi come nient’altro, e si dedicava con impegno ed obbedienza a tutte le lezioni che gli venivano impartite.
E poi c’era l’altra nonna, nonna Filomena. Lei per fortuna non gli rifilava i cetriolini e quando lo portava fuori gli comprava gelati e maritozzi ignorando la disapprovazione della figlia, che le intimava di non dare troppi zuccheri al bambino. Nonna Filomena lo guardava mangiare asserendo di vederlo sciupato: Prospero non sapeva cosa volesse dire, ma finchè la nonna gli dava i dolci era ben felice di esserlo.

 
*

 
“Mia nonna è una Babbana inglese e ha origini nobiliari. Quando viveva in Inghilterra lavorava per la famiglia reale ed ebbe mio padre fuori dal matrimonio. Il padre biologico di mio padre è di sicuro un qualche nobile facoltoso che comprò il suo silenzio, ma non ha mai voluto svelarne il nome a nessuno di noi. Ad ogni modo, dopo lo scandalo che seguì la nascita di mio padre mia nonna si trasferì e iniziò a lavorare all’ambasciata a Roma, ed è lì che ha conosciuto mio nonno, che ha adottato mio padre. De Aureo è il cognome di mia madre, Mac Gregor quello di mio padre. O meglio, quello di suo padre adottivo. Mio padre ha studiato ad Hogwarts, quindi ho avuto diritto ad iscrivermi anche io, nonostante sia nato in Italia.”
“Perché si firma solo col cognome di sua madre?”
Prospero allacciò le lunga dita delle mani pallide in grembo, facendo dondolare leggermente il piede destro mentre si stringeva placidamente nelle spalle:
“Il cognome di mia madre lo uso nel mondo magico… la sua famiglia si occupa di vendere tesori da tempo ed è molto noto nel nostro settore, quindi è piuttosto utile. Quello di mio padre lo uso quando ho contatti col mondo Babbano, è un cognome meno altisonante e che mi risparmia dalle domande dei curiosi.”
“Ci può parlare meglio del suo lavoro, Signor De Aureo?”
Un piccolo sorrisetto simile ad un sogghigno si fece largo sulle labbra di Prospero, che annuì divertito:
“Con piacere.”

 
*
 
Prima di andare ad Hogwarts Prospero viaggiava con i suoi genitori, guardandoli vendere cose bellissime che aveva quasi paura di toccare, per circa sei mesi all’anno. Sapeva di essere fortunato e di poter imparare più di ogni altro suo coetaneo, ma la nostalgia dei nonni e di Roma era sempre tanta, e Ro era sempre ben felice di tornare a casa.
Il viaggio che più lo colpì in assoluto fu la sua prima trasferta in quello che un giorno sarebbe diventato il suo Paese preferito: il Giappone. Prospero tornò in Italia con la promessa di Cornelia di insegnargli presto la lingua e pieno di regali e racconti per i suoi nonni, ma l’accoglienza fu molto diversa rispetto alle sue aspettative: Ro aveva attraversato di corsa la galleria di marmo che lo avrebbe condotto nel salotto dove le nonne stavano bevendo il tè, ma quando fece irruzione nella sala con un enorme sorriso ad illuminargli il volto la nonna materna si portò inorridita le mani alla bocca.
A quanto pareva il viaggio in Giappone lo aveva reso, secondo Filomena, ancor più sciupato del solito. Quella sera, a cena, a Prospero non fu permesso di lasciare la tavola senza prima aver finito una porzione di carbonara più grande di lui.
“Nonna, ma perché la mamma sta sempre attenta alla dieta e io invece mangio così tanto?”
“Perchè tu devi crescere!”
“Mamma, è già alto quasi quanto me e ha solo 10 anni!”
Esasperata, Cornelia guardò con disapprovazione la minestra che sua madre le aveva fatto preparare prima di lanciare un’occhiata carica d’invidia alla pasta del figlio. Tuttavia, constatò la donna, le era comunque andata meglio rispetto al pasto a base di interiora dei suoi suoceri, verso i quali Filomena lanciava occhiate disgustate.
“Prospero non mangerà mica quella schifezza ad Hogggwars, vero?”
“Hogwarts Nonna.”
Sorridendo allegro, Prospero arrotolò con cura un’enorme quantità di spaghetti mentre Cornelia, accanto a lui, mordeva un grissino integrale sospirando:
“Non so mamma, non ci sono stata, ricordi?”
“Harry, caro, come si mangia ad Hogwarts?!”
“Rispetto a qui, veramente di merda.”
Mentre Lucinda intimava al figlio di parlare come si doveva a tavola e August ridacchiava Filomena, inorridita, si appuntò mentalmente di spedire scorte di cibo al suo preziosissimo nipotino ogni mese. Di sicuro non poteva permettere che quei britannici glielo sciupassero!

 
*

 
“Mia madre viaggiava molto, prima sola, poi con mio padre. La sua famiglia è una grande estimatrice d’arte e di tutto ciò che è bello in generale. Adorano collezionare e sfoggiare cimeli e opere d’arte… forse siamo un po’ esibizionisti, dopotutto. Ho iniziato a studiare molte lingue fin da subito per poter seguire la sua strada, e prima di andare ad Hogwarts viaggiavo tantissimo… ho visto cose che i bambini normali neanche si sognano.”
“Noi cerchiamo cose antiche, cose di valore, magiche e non. Le troviamo, le facciamo nostre e poi le vendiamo a chi, come noi, ama circondarsi di cimeli.”
“Esattamente come le “fate vostre”?”
Il sarcasmo nella voce di Asriel fu così palpabile da far sorridere l’interrogato, che lo guardò divertito prima di rispondere con la sua consueta, pacata dolcezza:
“Al giusto prezzo si può trovare qualsiasi cosa. Non c’è nulla che non si possa comprare, Signor Morgenstern. Ad ogni modo, io di solito mi occupo dell’Oriente, non opero spesso in Europa o in America, al fronte Occidentale pensano mio zio o alcuni dei miei cugini.”
“E allora che cosa ci fa su questo treno, Signor De Aureo? Che cosa l’ha portata Berlino?”
“Disgraziatamente non mi prendo spesso il lusso di viaggiare per diletto… sono qui per lavoro. Come ho detto, di norma il mio itinerario va più che altro dal Giappone alla Turchia, ma per certi incarichi particolari la mia famiglia fa un’eccezione. Sono appena tornato dal Giappone, mi sono fermato a Cracovia per recuperare un manufatto per un cliente importante che vive a Nizza.”
“E il manufatto in questione lo ha con sé, al momento?”
Di nuovo sarcasmo, ma Prospero non si scompose, fingendosi persino offeso:
“Le sue parole mi feriscono. Io non affido un oggetto che devo vendere a terzi. Non mi separo mai dalla merce, mi ritengo un “corriere” estremamente affidabile.”
“Allora quando avremo finito non sarà un problema mostrarci ciò che deve vendere, suppongo e dirci a chi sta consegnando cosa.”   Questa volta fu Asriel a sorridere e Prospero, asserendo qualcosa sui vincoli del contratto e sulle restrittive condizioni di privacy che la sua famiglia garantiva per tutelare i clienti, ricambiò senza battere ciglio:
“Non posso fare nomi o mostrarvi granché, ma finito qui farò il possibile. Volete chiedermi qualcosa sulla vittima, adesso?”
“Prima vorrei sapere se oltre a Delilah Yaxley c’è qualche altro passeggero che ritiene di conoscere bene.”
“No.”
“Non è un’incredibile coincidenza che lei e la sua amica vi siate incontrati casualmente su un treno?”
“Direi di sì, ma io e Delilah siamo incapaci di stare lontani troppo a lungo, in un modo o nell’altro finiamo sempre per incontrarci. No Signor Morgenstern, non avevo idea di trovarla qui e ne so quanto voi, ovvero che fosse a Berlino per scattare delle foto per lavoro.”
“Ci parli di lei.”
“Di Delilah? Non dovrei parlare della vittima?”
Per la prima volta Prospero apparve vagamente confuso, guardando l’Auror smettendo di muovere il piede e aggrottando le folte sopracciglia scure. Asriel però scosse la testa, osservandolo con minuziosa attenzione:
“No. Voglio sapere se la ritiene capace di uccidere qualcuno, visto che vi conoscete così bene.”
Dopo aver parlato Asriel provò un piccolo moto di soddisfazione, reprimendo a fatica un sorrisetto: le sue parole colpirono nel segno, perché finalmente l’eterna compostezza di Prospero svanì nel nulla.
 

 
*
 
“Buona questa roba, come hai detto che si chiama?”
“Maritozzo.”
“Maritoccio?!”
“Ma-ri-toz-zo.”
“Mh, buono, beato te che hai tutta quella roba.”
Delilah, la bocca piena di panna, si gustò il dolce paradisiaco che l’amico le aveva offerto mentre Ro vuotava il pacco che nonna Filomena gli aveva spedito, tutto pieno di cibo e di maglioni: la donna aveva sentito che in Scozia faceva molto più freddo che dalle sue parti e gli aveva fatto avere un set di maglioni ai ferri fatti a mano in quattro e quattr’otto. Ro sapeva che sua nonna era una strega e che era anche schifosamente ricca, ma era anche sicuro che dovesse avere qualche ignoto superpotere.
Il ragazzino si stava domandando, sconcertato, come avesse fatto la nonna ad infilare nel pacco un’intera scrocchiarella perfettamente sopravvissuta al viaggio mentre Cecil e Delilah si aggiravano per la stanza osservando le sue cose e facendogli domande a ripetizione, chiedendogli da dove venissero, quanto fossero costate e quanto le aveva comprate.
“Quello me l’ha portato la mamma dal Portogallo… ero piccolo e mi lasciava ancora a casa con i miei nonni, ma fino all’anno scorso andavo sempre con i miei genitori in giro per il mondo.”
Prospero indicò il gallo di Barcelos di ceramica dipinto a mano che Delilah stava sfiorando con gli occhi scuri luccicanti, desideroso di tornare presto a vedere il mondo mentre la ragazzina riportava curiosa lo sguardo su di lui:
“E non ti dà fastidio dover stare qui dopo tutto quello che hai visto?”
“Un po’, ma devo imparare la magia, no? E mio padre dice che adorerò stare qui.”
“Beato te, noi non siamo mai andati da nessuna parte! Ma un giorno lo faremo, vero Cecil?”
“Penso di sì.”
“Beh, io ci andrò in giro per il mondo, con o senza di te.”
“Magari ci andiamo insieme, io parlo tante lingue e posso essere utile.”
Delilah annuì e indicò il compagno di Casa al gemello, asserendo che Prospero le piaceva di più ogni giorno che passava. Ro fino a quel  momento di tempo per farsi amici veri non ne aveva avuto molto, spesso in viaggio con i suoi genitori, e sorrise pieno d’orgoglio.
“Volete assaggiare la scrocchiarella?”
“Che cos’è?”
Sconcertato, si domandò come i gemelli fossero sopravvissuti fino a quel momento. Nonna Filomena dunque aveva ragione, quando guardava i consuoceri mangiare schifata e gli allungava i soldi per il gelato: gli inglesi, di cibo, non ne dovevano capire granché.

 
*

 
“Non è stata Delilah.”
A Prospero non piaceva affatto innervosirsi. Gli venivano le rughe, e sapeva di non risultare affatto piacevole quando era nervoso. Eppure, l’insinuazione che la sua cara Fogliolina potesse aver ucciso qualcuno era assolutamente inaccettabile, e le parole gli uscirono più in fretta e con più rabbia di quanto non avrebbe voluto.
“Era con lei la notte dell’omicidio?”
“No, l’ho vista solo la mattina dopo, non ci siamo incontrati per tutta la sera, e nemmeno sulla banchina. La cosa non mi sorprende, probabilmente è salita sul treno appena in tempo prima che partisse.”
Chissà perché, l’immagine di Delilah che correva per la stazione in ritardo e urlando ai tedeschi di spostarsi dalla sua traiettoria non era difficile da contemplare.
“Allora come fa ad esserne tanto sicuro, Signor De Aureo?”
Asriel parlò rigirandosi la bacchetta tra le dita, guardandolo amabilmente mentre James, accanto a lui, si arrendeva e incantava la penna affinché prendesse appunti da sola: tutto quel parlare gli aveva mandato la mano fuori uso. Prospero, improvvisamente rigido sulla seria, parlò a denti stretti e con le mani strette sui braccioli, le nocche bianche:
“Non è stata Delilah.”
“Ha un qualche suggerimento su chi possa essere stato, allora?”
“Come ho detto, non conosco bene nessun altro dei presenti. Non ho idea di come possano essere andate le cose, o non starei qui a perdere le poche ferie che ho… Ma di certo non è stata lei. Non aveva motivo di farlo, e al massimo sarebbe in grado di uccidere involontariamente una povera pianta.”
“Come le ho già detto, qualche giorno fa ho chiesto la stessa cosa alla sua amica, ricorda? E lei ci ha detto una cosa molto interessante.”
Asriel allungò una mano verso James, facendogli un cenno senza staccare gli occhi da Prospero. Il collega gli passò rapidamente un foglio che Asriel prese, leggendo senza esitare una riga che aveva sottolineato più volte:
“ - Se fosse stato Prospero, non avreste mai trovato il corpo -. Non la trova un’affermazione curiosa, riferendosi al proprio migliore amico? A quanto pare lei non ritiene la Signorina Yaxley capace di uccidere, ma lei non pensa lo stesso.”
“A Delilah piace scherzare, e come vi ho già detto a volte sfoggia una sottile vena drammatica. Dubito che lo pensi davvero, e se anche fosse un copro lo avete, mi pare.”
Prospero mentiva: Delilah lo pensava davvero, lo sapeva. Non era sicuro, tuttavia, di come si sentisse a riguardo.
 

*
 
 
Un limpido cielo terso sovrastava la Città Eterna, dove il caldo estivo aveva iniziato a farsi sentire da poco meno di una settimana. Seduto sul bordo di pietra della piccola fontana, Prospero osservava l’acqua resa scintillante dal fondo ricoperto di monete d’oro che si erano accumulate nel tempo. La mano destra del mago scivolò all’interno della tasca dei pantaloni che indossava, estraendone una moneta d’oro lucidissima e rigirandosela distrattamente tra le dita senza smettere di osservare il luccichio che la luce del Sole produceva sull’acqua riflettendosi sull’oro.
Di tutta la sforzosa, immensa e ricca d’arte residenza della sua famiglia, quello era forse il suo posto preferito, nonché il più semplice di tutti, forse perché uno dei più tranquilli e silenziosi. Prospero lanciò la moneta, riprendendola distrattamente al volo mentre il rumore di passi leggeri sulla ghiaia che circondava la fontana presagiva l’arrivo di qualcuno.
“Signore?”
Prospero non rispose, limitandosi a voltarsi per accennare un sorriso educato al maggiordomo, che si schiarì la gola prima di parlare:
“Abbiamo individuato i suoi amici, ma pensiamo che stiano avendo qualche difficoltà nel trovare l’ingresso.”
“Davvero? E dire che gli avevo dato istruzioni dettagliatissime.”
Per nulla seccato – al contrario, sorridendo divertito – Prospero scivolò con grazia dal muretto che circondava la fontana, sistemandosi distrattamente la camicia di lino bianco che indossava prima di assicurare all’uomo che ci avrebbe pensato personalmente. Allontanandosi, il mago si lanciò la moneta alle spalle, udendo il leggero tonfo quando quella entrò a contatto con l’acqua senza voltarsi indietro: i suoi parenti, da generazioni, lanciavano una moneta quando ritenevano di aver bisogno di fortuna.
Quando si trattava dei suoi migliori amici Prospero sapeva di aver sempre bisogno di un po’ di aiuto dalla provvidenza. Ma cavolo, quanto gli erano mancati gli Yaxley.
 
 
“Le istruzioni di Ro-Ro fanno schifo! Non capisco un cazzo!”
Sbuffando come una ciminiera, Delilah strapazzò la cartina di Villa Borghese che teneva in mano mentre camminava nervosamente in tondo e Cecil, appoggiato mollemente ad un albero, si faceva aria con la mano:
“Questo caldo mi uccide, ma come fa la gente che abita qui?!”
“Io avevo detto a Ro che forse dovevamo venire in autunno ma lui noooo, no Laila, dovete vedere Roma in estate! Peccato che moriremo qui e che non lo troveremo mai, visto che non sto capendo nulla!”
Ormai vicina ad una crisi di nervi, Delilah trattenne l’impulso di stracciare la cartina piena di annotazioni e freccette che Ro le aveva spedito la settimana prima mentre Cecil si lamentava sommessamente:
“Ma eravamo partiti così bene… Cosa avremmo sbagliato?”
“Qui dice di arrivare a quel Tempio di Sputacchio del cavolo…”
“Di Esculapio.”
 “… Attraverso il ponticello e l’abbiamo fatto… e poi di fare 300 metri a sud-ovest.”
“E il sud-ovest sarebbe…”
Dubbioso, Cecil guardò la sorella aggrottando la fronte mentre Delilah, sbuffando, imprecava mentalmente contro la famiglia dell’amico: naturalmente vivere in un posto normale con una normale casa in vista come le persone normali non faceva per i De Aureo, no, a loro i numeri civici non piacevano e dovevano costruirsi la residenza segreta piena di ingressi segreti per impedire qualsiasi contatto umano.  
Quei tizi dovevano proprio essere dei gran misantropi, constatò la strega prima di inveire contro il gemello, asserendo che non era un marinaio e che non aveva la più pallida idea di dove fosse il sud-ovest.
“E poi che accidenti vuol dire 300 metri? Secondo lui giro con un metro da sarta?!”
“Non pensi che la casa possa avere un ingresso subacqueo, vero?!”
Cecil lanciò un’occhiata dubbiosa alla distesa d’acqua che circondava l’isolotto e Delilah, inorridita, spalancò gli occhi nocciola pregando che il gemello si sbagliasse: aveva fatto la piega il giorno prima e non aveva nessuna intenzione di farsi una nuotata.
 
“La mia famiglia ha molti pregi, ma siamo ancora lontani dal sviluppare le branchie, temo.”
In tutta la loro vita, Cecil e Delilah Yaxley non furono sollevati di sentire la bassa e rassicurante voce del loro migliore amico come in quel caldo giorno di giugno.
I due si voltarono, meravigliati, sorridendo alla vista dell’amico che li osservava con le mani in tasca e un placido sorriso sulle labbra, un scintillio profondamente divertito negli occhi scuri.
“Ro!”
I gemelli corsero simultaneamente ad abbracciare l’amico, che sorrise e ricambiò con piacere la stretta prima che Delilah, abbandonato il ricongiungimento strappalacrime, arrotolasse la sua cartina per colpirlo sulla spalla – alla sua testa ricciuta non era in grado di arrivarci, disgraziatamente –:
“Ma che razza di istruzioni del cavolo mi hai mandato, si può sapere?! 300 metri a sud-ovest… al massimo saremmo finiti ad Atlantide!”
Sbuffando, la strega indicò l’acqua mentre Prospero, sospirando, le prendeva la cartina dalle mani e la dispiegava, indicandole la traiettoria che aveva disegnato e che indicava di fare il giro del Tempio che Delilah naturalmente non aveva visto:
“Avreste dovuto andare a sud del Tempio di Esculapio, Laila… ho disegnato tutto quanto con cura ma non fa nulla, per una volta è bello fare da guida. Venite.”
Sorridendo allegro, Prospero fece cenno ai due di seguirlo mentre Cecil si avvicinava alla sorella per mormorarle qualcosa all’orecchio, confuso:
“Ma da dove è saltato fuori?!”
“Ci sarà una botola da qualche parte… Ma come mai non c’è nessuno qui?!”
Delilah parlò affrettando il passo, cercando di sostenere l’ampia falcata di Prospero mentre l’amico li conduceva dietro al tempio, rispondendole senza voltarsi.
“Perché l’accesso è vietato. Una vera fortuna, a noi i visitatori inaspettati non piacciono.”
“Ma come fa il postino a mandargli le bollette da pagare?!”
“Lo sanno tutti che i ricchi restano tali evadendo il fisco, Cecil.”
 
Dieci minuti dopo, dopo aver attraversato un buio e gelido tunnel sotterraneo a cui si accedeva attraverso un vano nel tempio – Delilah aveva sospirato per tutto il tragitto, asserendo che con quell’umidità di sicuro la sua piega sarebbe andata a farsi benedire – i tre amici giunsero finalmente a destinazione. Prospero non poté far altro che ridacchiare nel guardare le mascelle dei suoi due ospiti snodarsi, sorridendo mentre il suo braccio disegnava un ampio arco verso l’immensa residenza, tutta archi, colonnati, portici, marmi e affreschi.
“Benvenuti nella mia umile dimora.”
“Prospero! Figlio di buona donna, vivi in un posto simile e ci hai messo dieci cazzo di anni ad invitarci?!”
Delilah asserì che mai, mai gli avrebbe concesso il suo perdono. Qualche ora dopo, tuttavia, distesa in un gigantesco letto a baldacchino con addosso una vestaglia di seta e una scatola di cioccolatini costosissimi in mano, decretò che dopo una pizza avrebbe anche potuto ripensarci.
 

*
 

 
“Signor De Aureo, che rapporti aveva con la vittima?”
“L’ho conosciuta ad Hogwarts, naturalmente. Avevamo un rapporto civile, ma non le sono mai piaciuto.”
“Perché?”
Prospero sapeva benissimo perché. Per anni si era sentito ripetere quanto la sua presenza nella Casa verde-argento fosse insolita. Per anni si era sentito ripetere che fosse un Serpeverde atipico, che forse sarebbe stato meglio in un’altra Casa, magari proprio quella che molti suoi compagni erano soliti denigrare e che anni prima aveva accolto anche suo padre. Ironico, dal momento che Harrison era stato un Tassorosso assolutamente atipico a sua volta.
I suoi parenti avevano previsto che sarebbe stato Smistato a Corvonero – i suoi cugini erano soliti definirlo “il secchioncello” della famiglia –, ma le aspettative di tutti erano state disilluse. A volte persino Delilah lo diceva, che era un Serpeverde troppo educato, troppo gentile, troppo paziente.
Ma Alexandra no. Alexandra, quando si ritrovavano allo stesso tavolo nelle serre o nell’aula di Pozioni, quando si incrociavano nei corridoi o anche nella stessa Sala Comune del ragazzo, lei lo guardava con fastidio dirompente, dicendogli silenziosamente che non avrebbe mai potuto ingannare lei.
La gente non capisce niente, è troppo stupida. Tu ti trovi esattamente dove devi essere, De Aureo.”
“La gente mi ha sempre definito una persona gentile, direi. Alexandra sosteneva che fingessi di essere qualcosa che non ero e che facessi il carino per nascondere qualcosa.”
La cosa più difficile era riconoscere che quell’odiosa strega aveva per certi versi sempre avuto ragione. Prospero e sentimenti come l’ira e il rancore viaggiavano su due linee distanti ma che talvolta si incrociavano, e quando accadeva Prospero non guardava in faccia niente e nessuno, implacabile. Forse la prima a comprenderlo davvero era stata sua madre, quando i bambini che non volevano giocare con lui o che lo prendevano in giro correvano a casa piangendo per essersi fatti male o per aver perso i loro giochi, ma non ne aveva mai parlato a voce alta.
A volte Prospero si chiedeva come avesse fatto a scorgere un lato di lui che persino Delilah, a volte, si rifiutava di vedere.
“E ritiene che avesse ragione?”
“Certamente non sono un santo, ma ritengo anche che Alexandra non mi abbia mai conosciuto abbastanza bene per poter esprimere giudizi precisi su di me. Non ci facevo caso, sputare sentenze le è sempre piaciuto… negli ultimi anni, quando ci vedevamo le suggerivo sempre di intraprendere la carriera di Giudice, le sarebbe calzata bene.”
 
*
 
 
“Posta per lei, Signor Prospero.”
“Grazie Matilda.”

Prospero si sporse sulla scrivania e rivolse un candido sorriso cortese all’anziana cameriera, prendendole lo spesso plico di buste dalle mani prima di abbandonarsi nuovamente contro lo schienale della sedia girevole nera.
“Allora… Vediamo chi ci cerca, piccolo?”
Rimasto solo nello studio, Prospero diede una leggera carezza sulla testa del suo inseparabile gatto, che si era sistemato sulle sue ginocchia abbandonando la testina sulla sua gamba sinistra, prima di iniziare a sfogliare rapidamente le lettere leggendo i nomi dei mittenti.
Grafie, nomi e lingue diverse, lettere dall’Italia, dall’Inghilterra fino all’Asia. Si stava domandando da qualhe questione avrebbe iniziato quando i suoi occhi scuri indugiarono sulla penultima busta.
Prospero seppe da chi proveniva la lettera ancor prima di leggere il nome del mittente: conosceva quella grafia da quasi vent’anni, quando lui e la sua proprietaria facevano i compiti seduti nella buia Biblioteca di Hogwarts, le teste vicine mentre ridacchiavano, bisbigliavano e disturbavano i vicini.
“Fogliolina. È tanto che non la vediamo, vero Kiki?”
Mentre abbandonava le buste sulla scrivania di mogano, il mago rivolse un sorrisetto in direzione del suo gatto: Kiki sollevò la testa, lanciandogli però un’occhiata piuttosto torva mentre il padrone, ridendo, prendeva il tagliacarte dal cassetto:
“Via, non fare così… dovresti proprio darle una possibilità, sai?”
La “maledizione felina” della sua amica – così l’aveva definita Cecil molti anni prima, quando ancora erano studenti di Hogwarts – costituiva per lui una fonte di grande ilarità da molti anni, anche se si era ritrovato spesso a consolare Delilah quando il gatto di turno – Kiki compreso – la graffiava o comunque rifiutava le sue attenzioni.
Prospero sorrideva quando aprì la lettera, curioso di leggere ciò che la sua amica aveva da dirgli. Man mano che procedeva con la lettura, tuttavia, l’espressione di Prospero si fece sempre più tesa, la fronte aggrottata, fino a concludere la lettera con un’espressione livida sul volto.
 

*

 
II classe
 
Stesa sul letto della sua cabina – piuttosto in disordine, con la valigia aperta sotto al finestrino semi ghiacciato, vestiti neri sparsi ai piedi del letto e una lettera indirizzata a Cecil lasciata a metà dal giorno precedente finita sul pavimento – Delilah teneva gli occhi fissi sul soffitto, impegnata a pensare a suo fratello, al suo migliore amico, alla sua quasi cognata (un brivido le percorreva la schiena ogni volta in cui formulava quel pensiero) venuta a mancare.
Avrebbe voluto dormire con tutta se stessa, vista la fatica che impiegava a prendere sonno da quando si trovava sul treno, ma Delilah sapeva che le sarebbe risultato completamente impossibile vista la miriade di pensieri e idee che le affollavano la mente.
Fuori era già buio da un pezzo, e la strega non faceva che pensare al fratello gemello rimasto a Londra e al suo migliore amico, che a soli un paio di vagoni di distanza stava parlando con gli Auror.
Delilah pensò alla lettera indirizzata a Cecil che stava cercando di scrivere senza successo – che cosa si dice al proprio gemello per consolarlo dopo la dipartita della sua fidanzata? Soprattutto quando la suddetta fidanzata non ti è mai piaciuta e non hai mai provato a nascondere la disapprovazione per la loro relazione… - chiedendosi se non fosse la più orribile delle sorelle. Per una volta nemmeno Ro poteva aiutarla, dal momento che non aveva fratelli.
Si stava domandando come se la stesse cavando suo fratello quando qualcuno bussò freneticamente alla porta chiedendo il permesso di entrare. Confusa, la strega si sollevò per mettersi a sedere sul letto e guardare la porta della cabina con la fronte aggrottata: nessuno, a parte Ro, le aveva mai fatto visita da quando era salita sul treno.
“Sì?”
Alzatasi in piedi, la strega raggiunse l’entrata della cabina e aprì la porta piena di curiosità, ritrovandosi a guardare un facchino dall’aria nervosa che le parlò con un marcatissimo accento tedesco:
“Signorina Yaxley?”
“Sono io.”
“C’è una telefonata per lei.”
“Una telefonata per me?!”
Frastornata, Delilah si domandò se per caso non avesse frainteso – del resto l’accento del ragazzo era così marcato che poteva anche aver capito male –, ma il facchino annuì e le fece cenno di seguirlo lungo il corridoio.
“Ma chi è che mi ha telefonato? Me lo dice o no?! Stupidi crucchi…”
Sbuffando, la strega si chiuse la porta alle spalle e seguì spazientita il facchino lungo il corridoio chiedendosi chi accidenti le stesse telefonando nel bel mezzo di un’indagine per omicidio, bloccata su un treno circondato dalla neve.

 
 
*

 
“Non ho tempo da perdere per visite fuori programma, tantomeno se si tratta di una visita sgradita.”
“Non ti ruberò molto tempo.”
In piedi davanti alla finestra, Prospero sollevò un piccolo mappamondo da scrivania per osservarlo da vicino. Era fatto di vetro soffiato, ogni Continente modellato con un colore diverso. Era un oggetto delizioso, e il mago lo posizionò al suo posto con cura mentre Alexandra, seduta dietro la scrivania, gli chiedeva stizzita di non toccare le sue cose.
“Bellissimo. Un regalo? Non ti ci vedo a comprare qualcosa del genere.”
“Non sono affari tuoi. Dimmi che cosa vuoi. Se un tuo cliente è nei guai, digli che non ho tempo al momento.”
“Non sono qui per lavoro. È personale.”
prospero fece il giro della scrivania per sedersi di fronte all’Avvocato, che lo guardò stralunata mentre il mago la scrutava. Da che lo conosceva Alexandra non lo aveva mai visto così serio, e si vide costretta a distogliere lo sguardo per la soggezione prima di parlare:
“Tra me e te non ci sarà mai niente di personale.”
“Io credo di sì.”  
Alexandra sapeva di non piacere a Prospero, ma non le era mai importato. Tuttavia, l’ex compagno di scuola le si era sempre rivolto con garbo, con i suoi soliti sorrisi gentili che mostravano i denti bianchi e che ispiravano simpatia e fiducia a tutti. Prospero, così magnetico ed elegante, era sempre riuscito a conquistare praticamente chiunque. Un po’ come lei, seppur in modo differente. Forse era per quel motivo che si disprezzavano in silenzio da sempre.
In quel momento non v’era alcuna traccia di sorriso sulle labbra sottili di Prospero, che per la prima volta la guardava comunicandole i suoi veri sentimenti nei suoi confronti: Alexandra era abituata ad essere guardata con odio e con disprezzo, ma fino ad allora non c’era stato quasi nessuno in grado di farla rabbrividire.
 
Quindici minuti dopo Prospero lasciò che il pesante portone gli si chiudesse alle spalle mentre finiva di abbottonarsi il Belstaff Mildorf che indossava. Allacciatasi la sciarpa di cashmere attorno al collo sbuffando contro il pessimo clima britannico che affatto gli era mancato, Prospero si passò distrattamente una mano tra i capelli neri prima di sollevare lo sguardo sulla finestra dell’ufficio che aveva appena lasciato.
Coma da previsione, Alexandra lo fissava attraverso il vetro, forse con lo sguardo più truce che le avesse mai visto, le braccia strette al petto e per nulla preoccupata che lui l’avesse vista. Affatto sorpreso o impressionato – ci voleva ben altro che Alexandra Sutton per impressionarlo – Prospero sorrise dolcemente prima di portarsi le dita alle labbra e scoccarle un bacio.
Livida in volto, la strega rispose sollevando il dito medio nella sua direzione scatenando una genuina risata da parte del mago, che scosse il capo e si allontanò sul marciapiede in tutta calma mentre la bionda tirava le tende per levarselo dalla vista.
Fatti alcuni metri, il sorriso gentile e rassicurante che riusciva a conquistare la fiducia di chiunque lentamente svanì dal volto pallido di Prospero.

 
 
*

 
“Non so praticamente niente di come funzionino questi cosi, ma sono qui da dieci minuti ad aspettare! Se i Babbani li usano ogni giorno da decenni non dovrebbero andare meglio di così?”
“Signorina, il telefono è vecchio e le condizioni atmosferiche non aiutano. Senza contare che per due volte è stata la persona che ha telefonato a riattaccare senza motivo.”
Delilah alzò gli occhi al cielo, domandandosi con un borbottio chi fosse l’idiota che stava cercando di contattarla mentre stava in piedi nella stanza del capotreno, in attesa che quel dannato telefono squillasse di nuovo dopo ben tre tentativi di rispondere alla chiamata andati a vuoto.
Per nulla abituata ai telefoni, la strega sobbalzò quando quello strano affare riprese a squillare, prendendo la cornetta nera con leggera titubanza quando il facchino che l’aveva accompagnata glielo porse:
“Tenga. Deve premere qui, ha capito questa volta?”
“Non mi parli come se fossi scema, non ne ho mai usato uno!”
Offesa, Delilah avrebbe voluto ribadire che non solo era una strega Purosangue poco avvezza alle tecnologie Babbane, ma che quel telefono doveva essere più vecchio di lei e che non c’era da stupirsi se non ne aveva mai usato uno.
La strega accostò la cornetta all’orecchio destro mentre il facchino, borbottando in tedesco qualcosa che Delilah non comprese ma che non suonò particolarmente lusinghiero, usciva per lasciarla sola qualche minuto.
“Pronto?! Chi parla?!”
“LAILA?”
La strega sussultò e allontanò di scatto la cornetta dal suo orecchio, imprecando per il suo udito irrimediabilmente compromesso mentre suo fratello, dall’altro capo del telefono, continuava imperterrito ad urlare il suo nome.
LAILA? CI SEI?”
“Ma che cazzo… Cecil, che cazzo urli?!”
In parte felice di sentire la voce del gemello e in parte esasperata, la strega si tenne a debita distanza dalla cornetta mentre Cecil continuava imperterrito ad urlare:
PRONTO?”
“Cecil, smettila di urlare, non capisco niente e mi stai fracassando un timpano!”   spazientita, la strega abbaiò al gemello di abbassare il tono – non era ancora diventata sorda – chiedendosi perché mai Cecil avesse deciso di cimentarsi nelle telefonate quando evidentemente non aveva del tutto chiaro come funzionavano.
“Ah, scusa. Allora mi senti?!”
Finalmente Cecil prese a parlare con un tono di voce normale, sembrando quasi stupito che la gemella riuscisse a sentirlo e di essere finalmente riuscito a mettersi in contatto con lei. Delilah, invece, sospirò stancamente mentre si attorcigliava il filo nero del telefono attorno all’indice:
“Ti hanno sentito anche i morti nell’oltretomba, Cecil. Ma da dove mi chiami?!”
“Scusa, è solo la seconda volta che uso questo coso e continuo a chiudere la chiamata per sbaglio. Provo a chiamarti da mezz’ora e stavo perdendo le speranze, è da ieri che cerco di mettermi in contatto con te!
Delilah alzò gli occhi al cielo quando sentì il gemello sospirare, trattenendosi dal rifilargli una battuta scortese solo per via del suo lutto recente:
“Sono dieci minuti che cerco di capire chi mi sta chiamando. Che telefono stai usando?!”
“Ti ricordi che tempo fa ne avevo fatto mettere uno nel magazzino? Sento delle strane interferenze… PRONTO?!”
Di nuovo, Delilah imprecò allontanandosi di scatto la cornetta dall’orecchio, chiedendosi perché suo fratello avesse preso un telefono col solo scopo di rompere i timpani alla gente:
“Sì Cecil, sono qui, finiscila di urlarmi nell’orecchio! Sì, mi ricordo. Io sto bene, se chiami per questo. Mi… mi dispiace per Alexandra.”
Delilah chinò il capo, fissando a disagio il filo del telefono mentre lo tormentava nervosamente. Sperava che Cecil non l’avesse chiamata solo per avere una spalla su cui piangere e sospirò quando udì il fratello piagnucolare dall’altro capo del telefono:
“Oh Laila, è terribile! Il mio bignè non c’è più! Sono a pezzi!”
Il tono lacrimoso del fratello avrebbe dovuto addolorarla, ma sentirlo chiamare Alexandra Sutton in quel modo le provocò solo un’ondata di reflusso gastrico e un conato di vomito che andò a strozzarlesi alla base della gola:
“Se la chiami di nuovo così morirò stecchita anche io, Cecil. Perché mi hai chiamato?!”
“Laila, è terribile. Sono venuti da me, da mamma e papà, ci hanno fatto un sacco di domande su di te e ci hanno elencato i nomi degli altri passeggeri chiedendoci se conoscessimo qualcuno.”
Accantonato il dolore per la perdita di Alexandra il timbro della voce di Cecil mutò, facendosi quasi tremante mentre la sorella aggrottava le sopracciglia:
“Sì, c’è Ro.”
“Laila, devi ascoltarmi, sono due giorni che provo a contattarti per dirtelo, sono preoccupatissimo per te!”
All’improvviso la sincera preoccupazione – per non dire il terrore – nella voce di Cecil la colpì, e la strega si sforzò di mostrarsi abbastanza sicura per entrambi, sorridendo anche se il gemello era troppo distante per vederla:
“Dirmi cosa? Cecil, non ti agitare, va bene c’è un assassino sul treno ma ci sono gli Auror, e c’è anche Ro con me, andrà tutto benissimo.”
Sarebbe andato tutto benissimo? Delilah non aveva chiuso occhio per tutte le notti precedenti, il pensiero del cadavere di Alexandra troppo ingombrante nella sua mente e la consapevolezza di trovarsi vicino ad un assassino troppo terrificante per riuscire a prendere sonno. Fino a quel momento non avrebbe giurato che tutto sarebbe andato per il meglio, ma all’improvviso la consapevolezza di non essere sola, che con lei ci fosse Ro, le diede una sicurezza del tutto nuova.
Del resto era sempre stato così: niente poteva andarle storto, se c’era Ro con lei.
Lo disse per tranquillizzare se stessa e anche Cecil, che però non reagì come si sarebbe aspettata: suo fratello gemette gravemente, e all’improvviso a Delilah parve quasi di poterlo immaginare, seduto stringendo nervosamente un oggetto che non sapeva usare mentre deglutiva a fatica e il labbro inferiore gli tremava. Cecil era terrorizzato, sinceramente terrorizzato.
“Laila, lui l’ha vista! Due giorni prima che morisse, lui l’ha vista!”
“Chi ha visto chi, Cecil?”
La stretta di Delilah sulla cornetta si intensificò e la strega, gli occhi che fissavano il vuoto, parlò mentre un principio di senso di nausea iniziava a risalirle lo stomaco.
“Prospero! Prospero ha visto Alexandra, Laila, a Londra! È venuto a Londra senza dirci niente e l’ha vista, non capisci?!”
“Ro non è mai venuto a Londra senza dircelo.”
La gola secca, la mente improvvisamente vuota, incapace di realizzare appieno ciò che suo fratello le stava dicendo, Delilah parlò così piano che la stupì che Cecil avesse udito la sua voce, ma quando parlò di nuovo la voce agitata del fratello le giunse sempre più distante, come se non si trovasse davvero lì. Il suo corpo era lì, fermo accanto al telefono, ma la sua mente vagava lontana sul suo migliore amico, su Alexandra e su tutto ciò che gli aveva sentito dire da quando lo aveva incontrato su quel dannato treno.     

“Non è questo il punto Laila, non capisci?! Si sono visti e Alexandra era terrorizzata, ha scritto che…”
“Che cosa ha scritto?”
Questa volta anche la sua voce tremò un poco, ma Delilah non ebbe il tempo di udire la risposta del gemello: un brivido gelido le attraversò la schiena quando una mano s’impossessò del telefono, strappandoglielo con dolcezza mentre una seconda mano andava a posarsi con delicatezza sulla sua spalla.
“Facciamo che questo adesso lo prendo io, va bene Fogliolina?”
Delilah lasciò impotente che le prendesse il telefono, alzando lentamente lo sguardo su di lui mentre udiva Cecil chiamarla preoccupato prima che Prospero riagganciasse. A quel punto l’ex Serpeverde chinò il capo verso l’amica, indirizzandole il più gentile dei suoi sorrisi:
“Penso proprio che dobbiamo parlare.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(1): “Rilassati, Coco”
 
 
 
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Angolo Autrice:
Buonasera!
Eccoci finalmente al tanto atteso capitolo di Prospero, che naturalmente ho voluto tenere per ultimo – o me lo avreste votato tutte alla prima occasione disponibile se ve ne avessi data la possibilità – che chiude i capitoli dedicati ai vostri OC. Naturalmente i flashback non sono finiti e nemmeno i colloqui tra gli Auror e i sospettati, ma dal prossimo ci saranno più flashback su più personaggi in uno stesso capitolo, a differenza dei precedenti.

Mi scuso se questo capitolo presenta più flashback rispetto ai precedenti, non è mia intenzione creare disparità tra le rappresentazioni dei personaggi, ma come avrete capito su Ro c’era parecchio da dire, spero che nessuno si sia offeso, e già così ho dovuto tagliare tantissime cose della sua scheda T.T (Phoebe perdonamiii)
Detto ciò vi saluto, a presto con il seguito o su altri lidi!
Signorina Granger  

 
   
 
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