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Autore: pummikyu    12/10/2021    0 recensioni
Alla Torre della Carpa Dorata, una sera verso la fine di dicembre, si erano ritrovati insieme vari coltivatori di scuole diverse, in seguito a una Conferenza del Dibattito protrattasi per così a lungo da far rabbuiare il cielo sopra Lanling. Per una causalità di tal fatta, unita al pungente gelo invernale che bloccava il normale scorrimento del sangue, uno di loro, il più sprezzante delle convenzioni e delle etichette, decise di contrastare l’intirizzimento generale in un modo piuttosto singolare, e nondimeno affine alle proprie inclinazioni.
«Giochiamo al gioco della bottiglia!»
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Le impronte alla rinfusa sul terreno innevato erano già state ricoperte da un ulteriore strato di nevischio che aveva conferito di nuovo al cortile del Padiglione della Carpa Dorata un aspetto solenne e immortale. Il bianco lampeggiava regalando al cielo scuro un alone di impalpabilità, combinandosi all’intermittenza con cui la luce degli astri rimbalzava sullo sguardo e lo invitava a sollevarsi per seguirla. La neve cadeva rapida e senza alcun rumore, affastellandosi sui davanzali e le finestre del complesso di palazzi dei Jin. Oltre quelle finestre, ben riparata e al caldo, si scorgeva una silhouette concitata e convulsa in movimenti decisamente troppo euforici per quell’ora tarda.

«Allora, qualcuno mi risponde?», Wei Wuxian ripropose la domanda, «Perché quelle facce lunghe, quanti anni avete ragazzi, su!», i suoi occhi così sgranati da risultare innaturali e sproporzionati e le labbra talmente tese che davano l’impressione che si sarebbero sbeccate non appena il sorriso si fosse crepato.

Lan Wangji si fece più vicino, ammonendolo con uno sguardo impensierito, ma non disse nulla; si limitò a osservarlo attentamente e a sorreggerlo, intuendo immediatamente che l’equilibrio del compagno a quell’ora non era così affidabile, specie dopo aver gozzovigliato per l’intero pomeriggio.

Un rumore sordo zittì all’improvviso i rimanenti schiamazzi. TONF! Seguirono due applausi, poi un altro paio. Wei Wuxian, attonito, si guardò intorno perplesso massaggiandosi con una mano la parte sinistra della guancia e della testa: nessuno stava battendo le mani. I presenti avevano sgomberato lo spazio davanti al portone e si erano radunati presso gli stipiti, dividendo così la folla in due metà approssimate. A terra, poco distante da Wei Ying, giaceva uno stivale nero con un dettaglio viola vicino alla fibbia a forma di loto, e ritto in mezzo alla porta un uomo si fregava la polvere dalle mani con aria compiaciuta, come a indicare di aver adempiuto al proprio compito. Clap, clap, clap.

Wei Wuxian, allibito: «Jiang Cheng!!! Mi hai tirato una scarpa!!»

Jiang Cheng: «Così la prossima volta prima di dire una stronzata ci pensi due volte. E anche prima di ripeterla, caro Patriarca».

Così dicendo, il capoclan Jiang avanzò accompagnato dal mutismo dei presenti e con disinvoltura si riprese la calzatura e si ricompose.

«Se hai voglia di simili passatempi, intrattienitici da solo, non coinvolgere anche chi ti sta intorno — rimarcò freddamente chinando il capo per accomiatarsi — Con tutto il rispetto, Hanguang-jun, noi ci ritiriamo. Vieni, A-Ling», e allargò il braccio quasi per prendere sotto l’ala il nipote il quale, nonostante l’espressione esterrefatta, non riusciva a celare una certa, maldestra curiosità.

Jin Ling era impietrito, o forse orripilato, dalla proposta indecente di Wei Ying e la sua mente stava freneticamente passando in rassegna le varie volte in cui aveva provato una sensazione simile: quando “Mo Xuanyu” aveva detto che i suoi gusti includevano Lan Wangji; quando aveva dovuto trangugiare la brodaglia di riso bollito che gli aveva ustionato il palato per via del piccante; quando aveva visto Wei Wuxian amoreggiare con Lan Wangji sui cuscini del tempio di Guanyin mentre tutti stavano rischiando le proprie vite… A conti fatti, ogni qualvolta la situazione si faceva spiacevolmente imbarazzante, quasi a dire scandalosa, per vie traverse o meno, c’era sempre di mezzo Wei Wuxian. Eppure, quell’aura scabrosa lo attirava più di quanto lui stesso non volesse, e non poteva fare altro che rimanere lì impalato a fissare negli occhi il suo zio acquisito con addosso un’espressione indecifrabile.

«A-Ling!», lo richiamò lo zio non acquisito, colpendolo lievemente sulla testa con la mano serrata a pugno.

«S-sì, zio! Andiamo a dormire…» fece il più giovane dei Jin senza staccare gli occhi dalla faccia, ormai irritata più che diradata, di Wei Wuxian.

«Jin Ling, vuoi giocare?», chiese quest’ultimo sconcertato, ma anche molto divertito, con l’intento goliardico di mettere il ragazzino ancora più a disagio. Alzò un sopracciglio e scandì: «Se convinci tuo zio puoi rimanere anche tu…».

«WAAAAHH! Non ho bisogno del permesso di nessuno, e tu sei osceno, osceno! Non voglio avere niente a che fare con te né con i tuoi giochi da scostumato!», Jin Ling corse via paonazzo, premendosi le mani contro le orecchie e rischiando perfino di scontrarsi con SiZhui che cercava di trattenerlo per calmarlo; anche lui era decisamente scioccato da quella scena e sul suo volto era dipinto a chiare lettere ‘ma perché questo stimato coltivatore deve essere la mia madre adottiva?’, e nondimeno manteneva la sua aria indulgente e serena, rotta soltanto da qualche spasmo impercettibile agli occhi e alle labbra.

All’improvviso, una voce lasciva e sfacciata colse tutti di sorpresa: «Wei Qianbei, io mi sto rompendo il cazzo da ore e qualsiasi cosa mi va bene per movimentare la serata, quindi, visto che sono magnanimo e mi preoccupo per il prossimo, ti potrei anche dare una mano, ma come la metti col fatto che… siamo tutti maschi? … Zitta, A-Qing tu non fai testo».

Ad aver parlato era stato un ragazzo dall’aspetto vivace ma dall’espressione annoiata, che in quel momento stava in piedi, appoggiato con la schiena al pilastro più vicino a Wei Wuxian, le braccia conserte. 

Wei Wuxian: «… Tu?? Cosa… che… Aspetta, ma vuoi seriamente giocare? In tal caso, non so che farci — si grattò la testa abbozzando un sorriso — ‘spiace! Vuol dire che non nasceranno grandi storie d’amore intramontabile!».

Ma la risata fintissima e di pura cortesia con cui aveva concluso la frase, già di per sé imbarazzante, non fece minimamente vacillare i propositi di Xue Yang, il quale si guardò intorno con atteggiamento di sufficienza e annuì distrattamente: «Vabbè». Poi percorse qualche passo fino a raggiungere il centro della stanza e si schiarì la voce, preparandosi a parlare alla folla.

Da qualche parte rintanato in un angolo del salone, lo sguardo perforante di Jin GuangYao che non aveva smesso per un attimo di tenerlo d’occhio, ora era nascosto dalla mano che sorreggeva la fronte in una posizione di visibile e inquieta vergogna, e solo ogni tanto il padrone di casa osava allargare la fessura tra le dita e alzare la testa per spiare il suo vecchio… amico? alleato? compagno? discepolo? complice? Poteva descriverlo con tutti gli appellativi che gli fossero venuti in mente, chiaro era che in quel momento avrebbe voluto non conoscerlo affatto.

“Non ci voglio credere. Che ci fa qui? Come osa presentarsi qui? Dio, ora farà scappare tutti! Ma cosa crede, che sia ancora casa sua? No! No, mio caro, questa è casa mia adesso e col cazzo che ti faccio entrare di nuovo! Brr, ma come fa ad andare in giro in mezzo alla neve così scollato poi…”.

Mentre parlava, le iridi incendiate di Xue Yang brillavano e nessuno avrebbe potuto predire se ardessero di desiderio omicida o di una puerile voglia ludica, o se non si trattasse invece proprio di entrambe le cose allo stesso tempo.

Il tono fermo ma rilassato: «Oh-oh, ve ne state andando? Quanta fretta — sogghignò estraendo Jiangzai dal fodero e puntandola verso il pavimento di legno — Wei Qianbei ha voglia di giocare, e si dà il caso che anche io abbia voglia di giocare. Quindi giochiamo?».

L’intonazione con cui aveva pronunciato queste ultime parole era senza ombra di dubbio interrogativa, tuttavia nel suo sguardo non c’era il ben che minimo accenno di invito, anzi i suoi occhi erano più che mai esigenti, impositivi. Il sorriso che lasciava fare capolino a un canino più acuminato e sporgente del normale conferiva al suo monito un aspetto ancora più intimidatorio.

In quel momento, dei passi affrettati spezzarono la tensione palpabile e catalizzarono gli sguardi spaventati di alcuni dei presenti; un uomo vestito sui toni del giallo e con un cappello scuro si precipitò al centro del salone sfoggiando un sorriso sudato: «Chengmei carissimo!!» 

Un’espressione enigmatica si dipinse immediatamente sul viso di Xue Yang, ma cambiò altresì rapidamente in un’aria sdegnosa e infastidita, destabilizzando per un istante la presa sull’elsa della spada. Intanto il braccio di Jin GuangYao lo aveva già raggiunto e si era appoggiato amichevolmente intorno alla sua spalla. Alzandosi quasi sulle punte, lo strinse a sé sorridendo, anche se tramite quella specie di abbraccio sembrava più volerlo soffocare che non salutare dopo una lunga assenza.

«Come mi hai chiamato?», inquisì Xue Yang cadenzando ogni parola come fosse un rintocco a morto.

«Chengmei, sei venuto da solo? Perché io e te non ce ne andiamo un po’ a fare due chiacchiere e lasciamo libera la stanza a Wei Gongzi per dormire?», suggerì Lianfang-zun sempre con uno spiccato sorriso sulle labbra.

Xue Yang alzò gli occhi al cielo e rispose secco: «No, non sono da solo. Xiao Xingchen è ancora fuori da qualche parte con quell’imbecille di Song Lan. Dei tizi hanno chiesto loro aiuto per sbrigare una roba e loro sono andati. Teste di cazzo, con ‘sta neve rimarranno bloccati. Che poi non voglio che Xingchen mi chieda tra due ore di aprirgli la porta perché no, francamente spero di essere già sbronzo da un pezzo».

Jin GuangYao inarcò un poco le sopracciglia e la sua voce si inasprì: «Quante volte ti ho ripetuto di non minacciare i coltivatori? Non so se hai saputo le novità più recenti ma la mia reputazione è sul filo di un rasoio — si avvicinò all’orecchio di Xue Yang — Me la rischio a tenerti qui, intesi? Sono disposto a farti alloggiare in casa mia per stanotte a patto che non disturbi più nessuno per il resto della serata, che spero comunque si stia per concludere».

Xue Yang: «Io e Wei Wuxian vogliamo giocare».

Jin GuangYao riacquistò in un baleno il suo sorriso composto e domandò pudico: «Scusa se mi permetto, ma come mai questa smania di giocare a tutti i costi a un gioco simile?».

Le labbra di Xue Yang si arricciarono, come se stesse fosse impaziente di ricevere quella domanda; con il viso di Jin GuangYao ancora vicino al suo, il ragazzo rispose con quanta più innocenza possibile: «Nulla, perché bacio bene».

Lo disse con una tale spontaneità e scioltezza da passare davvero per un innocuo, ordinario ragazzino di quartiere sul punto di fare la sua cosa preferita. Sul volto del capoclan era tornata la vergogna iniziale che aveva pietrificato il suo sorriso in una smorfia addolorata. Jin GuangYao non sapeva se ridere o piangere (semicit.), scattò all’indietro allontanandosi da Xue Yang, che dopo quell’uscita gli risultava ancora più ripugnante del solito. Strizzò un paio di volte gli occhi, poi si ricompose nuovamente, incrociò le mani dietro la schiena e, con deferenza, propose al giovane di seguirlo nella propria stanza, dove gli avrebbe offerto tutto il liquore che voleva in cambio della sua completa reclusione fino all’indomani. Resosi conto però che siffatta proposta andava più in direzione di un’avance che di un tentativo di arresto domiciliare, sulla sua fronte, vicino al marchio rosso dei Jin, comparve una sottile vena bluastra.

Xue Yang lo guardava con gli occhi stralunati e la bocca aperta a mezz’aria: «Jin GuangYao, guarda che se vuoi giocare anche tu basta dirlo…»

L’imbarazzo era più forte di qualsiasi resistenza alla provocazione e Jin GuangYao, suo malgrado, acconsentì sospirando a che si desse inizio alla festa.

Tornarono in mezzo agli altri invitati che avevano ancora gli occhi puntati su Wei Wuxian e c’era chi tentava di dissuaderlo, chi di minacciarlo e chi di farlo ragionare. Lan Zhan lo assisteva facendo di tanto in tanto respiri profondi. 

Xue Yang non aveva ancora rinfoderato la sua spada e, una volta tornato in mezzo agli altri, che ormai si erano già ripresi dallo sgomento di averlo visto tra le file dei coltivatori, esordì con fare spazientito: «Sentite, non fatemi perdere altro tempo, per favore. Non ho troppa voglia di uccidervi tutti, uno a uno, siete tanti, troppi… Se mi ci mettessi ora sprecherei l’intera nottata, quindi adesso qualcuno prenda una cazzo di bottiglia e la metta qui al centro».

Si levarono delle urla, allibite, oltraggiate dall’attitudine sprezzante e irrispettosa del ragazzo. Uno in particolare, che di certo avrebbe sempre preferito combattere piuttosto che dedicarsi a simili… esperimenti, e che aveva tra l’altro un conto in sospeso con Xue Yang, soverchiò imponente le altre voci.

Era Nie Minjue, che non aspettava altro che mettere le mani e la lama sul collo di quel ragazzo davvero troppo sfrontato.

Nie Minjue: «Basto io per ucciderti. Gli altri possono andare a fare quello che vogliono». La luce della luna si specchiava su Baxia, ben salda nella mano contratta del suo padrone.

Xue Yang, colto quasi di sorpresa, rise sguaiatamente tenendosi la pancia con la mano libera: «Proprio tu parli?! Che vuoi palesemente farti Jin GuangYao», disse mentre sul suo viso si dipingeva l’abbozzo di un sorriso sornione e schernitore.

Nemmeno quando suo fratello lo circuiva ogni giorno fingendo di praticare la sciabola e invece stava in veranda a dipingere i ventagli che GuangYao gli regalava, nemmeno quando quest’ultimo aveva finto di suicidarsi per poi coglierlo alla sprovvista e sigillargli i poteri spirituali, nemmeno quando era stato trascinato davanti a Wen Ruohan e preso a calci fino a farlo inginocchiare (sempre da GuangYao), nemmeno allora! Nemmeno allora era mai stato così apertamente umiliato e insultato nella sua persona.

Lianfang-zun stava giusto per uscire dalla porta laterale e imboccare il corridoio quando udì un simile affronto. Tornò precipitosamente indietro e si gettò quasi ai piedi di Nie Minjue che, sconvolto, non riusciva né a dire una parola né a muovere un muscolo. Solo le vene sulle mani e sulla faccia pulsavano a ritmo con quelle sul collo; il respiro era teso, corto, gli occhi iniettati di sangue e i denti digrignati. Sapeva benissimo che stava per rischiare un’altra degenerazione del qi, grazie al cazzo, ci era morto, eppure in quel momento non gli importava. Voleva solo fare a pezzi Xue Yang e strappargli dalla faccia quell’espressione soddisfatta e canzonatoria che in quel momento esibiva ancora come un trofeo.

«Chifeng-zun?!?!?? — strillò Jin GuangYao correndo trafelato verso di lui, perdendo  anche l’ultimo briciolo di dignità che gli era rimasta — vuoi che ti suoni la Canzone della Chiarezza??».

«…»

Gli occhi rossi di Nie Minjue si posarono con uno scatto su quelli, atterriti, di Jin Guangyao, con un movimento meccanico del collo. Non disse niente, ma era più che eloquente.

Jin GuangYao: «No… no no no! Stavolta sono serio, intendevo quella vera! Davvero, DaGe, credimi!»

Nie Minjue, cercando il più possibile di trattenere i nervi di fronte a HuaiSang, che nel frattempo era scappato a nascondersi dietro una tenda, monitorando la scena da distante: «Preferirei credere al diavolo che a te. Ah no, ops… tanto siete la stessa persona».

«Ge, credimi! Non avevo scelta, se non gli lasciavo via libera per indire quesa stupida festa lui mi avrebbe…», piagnucolò teatralmente disperato Jin Guangyao, con le lacrime agli occhi, mentre dentro di sé implorava Lan XiChen di salvarlo per l’ennesima volta.

«MENG YAO IO TI AMMAZZO!! Possibile che tu abbia la faccia come il culo anche dopo tutto quello che è successo??? Sei esasperante!», tuonò Nie Minjue sferrando un pugno dritto in faccia al fratello giurato, il quale per clemenza della sorte lo schivò di striscio.

«Ah, l’amore», mormorò intanto Xue Yang, con le mani dietro la testa, fissando quella sfuriata che faceva tremare tutti i muri di Jinlintai, fermamente convinto di quello che aveva appena sputato in faccia a Chifeng-zun. Annoiato della scenata, si molleggiava in giro per la stanza in cerca del Patriarca di Yiling e intanto bisticciava con A-Qing, che effettivamente era l’unica ragazza del gruppo e stava giustamente manifestando contro la strampalata idea di Wei Wuxian.

Xue Yang, visibilmente tediato: «Se non la pianti ti uccido di nuovo. Chissenefrega se sei l’unica femmina scusa! Non giocare, tanto sei piccola, vattene coi ragazzini».

Sfruttando l’occasione, la ragazzina dagli occhi bianchi lo apostrofò, un misto di derisione e saccenteria: «Perché insisti tanto che me ne vada? Non sarà che forse vuoi un’opportunità per stare con Xiao Daozhhgfdfg…!!!» 

Non era riuscita a completare la frase perché in un battito di ciglia la mano sinistra di Xue Yang le si era schiantata addosso alla faccia, tappandole la bocca con le quattro dita.

«A-Qing, ti avverto. Prova ancora a pronunciare una cosa simile e giuro che ti mozzo di nuovo la lingua», ruggì il ragazzo, con i lineamenti deformati in un ghigno ferino. Che stridevano con il tono glaciale della sua voce.

«Tu azzardati — continuò tetro — e io renderò la tua vita un inferno palpabile». Poi, notando che la ragazzina stava cercando di annuire ed era paralizzata dalla paura, si addolcì: «Capito, finta ciechetta? Fai la brava e tieni chiusa la bocca», e così dicendo levò la presa le imboccò forzosamente un dolcetto sgraffignato dalle rimanenze del banchetto. A-Qing quasi si strangolava e passò il seguente quarto d’ora a tossire, pensando sconsolata e furibonda al motivo per cui i Cieli non le avessero fatto incontrare un coinquilino normale ed equilibrato, e quanto avrebbe voluto che Daozhang fosse intervenuto a interrompere il sopruso. Pensò anche di avere ragione riguardo a quello che aveva detto poco prima, e che probabilmente Xue Yang aveva reagito in maniera così rabbiosa perché era stato colpito nell’intimo e nell’orgoglio. Riflettendoci meglio, però, quando era che Xue Yang non aveva una reazione spropositatamente rabbiosa? Smise di pensarci e domandò a Lan Jingyi dove fosse il bagno.

   
 
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