XI: La Giustizia – Dike di sangue
Shura
diede le spalle al Gran Sacerdote e uscì dalle
sue stanze. Gli elogi che gli aveva appena rivolto erano stilettate,
molto più
taglienti della sua Excalibur. Non li meritava e non lo facevano stare
meglio.
Niente avrebbe potuto.
Uscì
dall'edificio e la brezza fredda della notte
greca gli scompigliò i corti capelli scuri. Fece per
sfiorarsi il volto, ma si
bloccò: la mano era ancora sporca di sangue, silenzioso
monito delle azioni di
quella notte. Ne aveva su tutta l'armatura, sulle guance, il collo e
fin sotto
le unghie delle dita. Sangue di Aiolos, sangue di traditore.
Il
sangue del maestro.
Un
conato gli risalì in gola. Si appoggiò a una
colonna e rimise il poco che aveva nello stomaco. La gola gli bruciava
e la
sensazione di nausea e sporco erano ancora avvinghiati al suo corpo.
Ancora
odore di sangue, ancora un conato. I sensi di
colpa lo punzecchiavano come mille spine acuminate, una voce suadente
sussurrava al suo orecchio lodi che non meritava.
Lacrime
calde che non avrebbe voluto versare colarono
sul sangue rappreso che gli marchiava il volto.
«Shura?»
Shura
sussultò e si affrettò ad asciugarsi bocca e
occhi con il dorso della mano. Sperò che Aphrodite non
l'avesse visto e si
voltò per affrontarlo. In quel momento avrebbe preferito
affrontare la rabbia
di Aiolia invece dello sguardo preoccupato del Santo di Pisces. La
rabbia la
meritava, e una parte di lui la desiderava anche, ma non riusciva a
dire la
stessa cosa per la pietà. In fondo aveva appena assassinato
il maestro.
«Stai
bene?» insistette l'altro. «Sei-»
«Ricoperto
di sangue» terminò Shura per lui, senza
osare alzare lo sguardo. Serrò le labbra. «Sto
bene, grazie.»
«Aiolos…»
«Traditore»
lo corresse, gelido. «L'ho ucciso.
Ho portato a termine gli ordini.»
Fece
per dargli le spalle, ma Aphrodite lo bloccò per
un polso. Neanche in quel momento ebbe il coraggio di alzare gli occhi
e
guardare il volto dell'amico, e si sentì un debole.
Piantò
i denti nel labbro inferiore, nuovo sangue si
mescolò a quello già versato.
«Non
dovresti stare alla Dodicesima Casa?» gli chiese,
rigido.
«Non
se tu stai soffrendo.»
Una
risata amara lasciò le sue labbra e sfiorì subito
dopo. Lo guardò, abbozzò un sorriso.
«Io
sto bene, non vedi?»
Aphrodite
sollevò appena le sopracciglia perfette, poi
un lampo di tristezza gli attraversò gli occhi.
«Io
vedo solo un ragazzino coperto di sangue e in
lacrime.»
«Io
non…» Deglutì e gli diede le spalle.
«Io non sto
piangendo. I deboli piangono, io sono forte.»
Silenzio.
«Hai
vomitato.»
«È
stato l'odore del sangue. Ne sono ricoperto.» Shura
strinse i pugni, le lacrime che stillavano già dai suoi
occhi. «Ho ucciso un
traditore e ho portato giustizia. Come Santo di Atena.
Come…»
Tacque.
Ho
ucciso il maestro.
Era
troppo per lui, non poteva continuare a fingere.
Ho
ucciso lo stesso uomo che mi ha
insegnato a manipolare il Cosmo.
Non
ne era capace.
Si
accasciò sui gradini della scalinata, le mani
giunte al petto squassato dai singhiozzi che ormai non riusciva
più a
trattenere. Perché non riusciva a togliersi di dosso quella
sensazione di
sporco? Perché aver fatto la cosa giusta lo stava
schiacciando in quel modo?
Ho
ucciso un mio fratello.
«Shura?»
Le
mani delicate e tiepide di Aphrodite gli sfiorarono
una guancia.
«Ti
prego, dimmelo, dimmi che uccidere Aiolos… Che
uccidere il maestro…» Affondò le unghie
nella pelle esposta del braccio. «Non
ho sbagliato, vero, Dite? Per favore, dimmelo… Io ne ho
bisogno…»
Aveva
bisogno di sentirsi dire che aveva fatto la cosa
giusta, che ubbidire agli ordini e ucciderlo non era stato un errore.
Che era
la volontà di Atena ad aver guidato la sua mano.
Che
tutto il sangue che gli impiastricciava l'armatura
e le mani, che si stava rapprendendo sotto le sue unghie e gli
torturava le
narici, era davvero sangue di traditore.
Le
braccia esili di Aphrodite gli cinsero il busto, la
sua testa gli si adagiò sulla spalla, ma la risposta non
arrivò.
Oh
Excalibur, tu che ti ergi in difesa della giustizia, ti ho portato
onore questa
notte?