#Writober
2021 ~ pumpBLANCK list ~ 21 ottobre,
prompt: Fiammiferi
Di
fiammiferi e di una secchiata d’acqua
Da piccolo mi
piacevano i fiammiferi.
Mi stupiva
vedere che bastava sfregare forte il cerino colorato perché il fuoco si
accendesse all’istante. Quei piccoli bastoncini di legno avevano quell’unica
utilità, ma era sufficiente per sorprendermi: la fiammella che emettevano per
qualche secondo era come una lucina nel buio, e poi se accostata a una candela
continuava a brillare nella miccia che diventava nera sciogliendo a poco a poco
la cera.
Mi piacevano un
po’ meno se servivano ad accendere le sigarette di mamma: non volevo che lei
fumasse, detestavo l’odore di nicotina e poi sapevo, grazie a un libro, che
faceva male ai suoi polmoni. Io glielo dicevo di smettere, eppure capì presto
che una fissazione del genere, un brutto vizio era duro a
morire.
Da adolescente
mi successe un fatto, precisamente all’interno dell’ambiente scolastico, che mi
aveva fatto paura, pur riguardando i fiammiferi che tanto adoravo vedere da
bambino.
Premesso che la
scuola sarebbe un ambiente stimolante e perfetto se solo non ci fossero i bulli,
se non circolassero quegli studenti prepotenti e con l’ego gonfio come una
mongolfiera che infastidivano coloro che ritenevano più deboli di
loro.
Chi erano queste
persone per giudicare gli altri? Chi cavolo si credevano di
essere?
Ebbene, sì,
avevo avuto la sfortuna di essere preso di mira da un gruppetto arrogante e per
nulla empatico. Per quale motivo poi? Non avevo mai parlato male né dato
fastidio a nessuno, ero sempre stato sulle mie, avevo creduto di passare
inosservato.
Poi
d’improvviso, un giorno, avevo ignorato un saluto senza capire che fosse rivolto
proprio a me, il saluto di uno di questi tre e loro, forse prendendola sul
personale, mi avevano accerchiato.
Era una
sensazione sgradevole trovarsi in una situazione del genere: non hai vie di fuga
e per cercare di superarla in qualche modo devi per forza usare la voce.
Perciò li avevo
pregati di lasciarmi andare.
Fortunatamente
in quell’occasione mi avevano soltanto preso in giro e avevano riso di me,
finché, vedendo che io non reagivo alle loro provocazioni, non come speravano
loro forse, mi avevano liberato.
Tuttavia,
purtroppo, non era finita lì.
Dopo una
settimana in cui avevo udito il trio di bulli ridacchiare alle mie spalle quando
passavo, oppure fare commenti poco carini su mia madre – come facevano a sapere,
poi, i nostri fatti privati? Ci spiavano? Sarebbe rimasto un mistero, poiché non
mi ero mai azzardato a chiedere loro niente, poiché non gli dovevo dare peso o
sarei caduto in un abisso di rancore e commiserazione in cui sinceramente non
desideravo finire.
Già mi dicevano
che sembravo una persona cupa, ma questo perché non mi conoscevano: anch’io
sapevo ridere, avevo i miei interessi e le mie passioni, volevo degli
amici.
Essere
introversi però rendeva poco invitanti agli occhi dei coetanei,
evidentemente.
In ogni caso,
dopo una settimana accadde una cosa spiacevole.
Non si erano
limitati ad accerchiarmi all’uscita della scuola come la prima volta, ma mi
avevano trascinato in un luogo appartato nel retro dell’edificio e qui, sempre
ridacchiando, mi avevano strappato di mano la cartella.
Non sapevano che
in quella cartella conservano dei fogli volanti in cui, a volte, mi dilettavo ad
appuntare la sceneggiatura di un film. Lo facevo per non dimenticarla. A casa
ero pieno di questi fogli: preferivo trascrivere tutto a penna piuttosto che
dentro un computer, lo trovavo rilassante.
Dunque, per la
prima volta ho provato paura quando uno dei bulli aveva estratto un pacchetto di
fiammiferi, ne aveva acceso uno mentre l’altro gli passava i miei fogli. Quel
giorno erano solo tre pagine di sceneggiatura, ma mi dispiaceva ugualmente
vedere che la mia idea andava riducendosi in cenere.
Avevo chinato il
capo per non lasciar trapelare le mie emozioni in quel
momento.
In fondo ero
anche arrabbiato, perché non li avevo fermati?
Allora mi ero
sentito tirare dai capelli e un altro aggiungere malignamente a cosa potevano
dare fuoco dopo – ai libri e ai quaderni? Alle matite? A tutta la cartella? Alla
mia divisa?
All’ultima
richiesta avevo scosso forte il capo, davvero sconvolto. Erano impazziti per
caso?
Finalmente avevo
urlato e nello stesso momento da una finestra, sopra di noi, era caduta una
secchiata d’acqua fredda che aveva preso in pieno lo studente che teneva in mano
il pacchetto di fiammiferi. A quel punto avevamo alzato gli occhi in
contemporanea: non dimenticherò mai lo studente affacciato, con il secchio tra
le mani e l’espressione accigliata. Il mio misterioso giustiziere aveva
commentato ad alta voce che sperava di aver risvegliato i loro neuroni perché
stavano davvero esagerando. Poi li sfidò ad affrontare lui se ne avevano il
coraggio. Nessuno lo aveva fatto, anzi mentre scappavano udì chiaramente questa
frase: «Quello è Itadori del club di pugilato. Non ci conviene farlo arrabbiare
o chiederà manforte ai suoi senpai!».
Per il sollievo
le gambe non mi avevano retto ed ero caduto a terra, rimanendo
seduto.
«Oi, tu stai
bene, vero?» si premurò di chiedermi, sempre ad alta voce. «Se aspetti qualche
minuto, arrivo. Non mi fido di quei bastardi: ti riaccompagno a
casa».
«Non c’è
bisogno. Non penso mi daranno più fastidio per oggi!» replicai, alzando anch’io
la voce per farmi sentire, però lui aveva già chiuso la finestra, chissà se mi
aveva sentito.
Istintivamente
mi ero ritrovato a gattonare per terra, poiché avevo notato che i fiammiferi
ormai bagnati erano caduti loro. Decisi di raccoglierli comunque, insieme alle
mie cose che avevo rimesso dentro la cartella. Fortunatamente non si era rotta,
l’avevo chiusa senza problemi.
Non sapevo
perché l’avessi fatto, forse mi piaceva l’idea di avere un oggetto simbolo che
mi ricordasse di questo giorno: il giorno in cui avevo fatto amicizia con il mio
salvatore sulla strada per il ritorno a casa.
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Mini-shot dedicata a Shade. Oggi mi ispirava scrivere in prima persona, penso che per un’idea del genere renda meglio della terza. Il POV è del tuo adorato, quindi spero che ti piaccia ^^ <3