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Autore: LaserGar    24/10/2021    0 recensioni
Yunix Braviery ha 16 anni. Dopo aver perso la memoria in circostanze ignote, il ragazzo, completamente solo, si è ritrovato a vagare in un mondo dominato dai Quirk, alla ricerca di una sistemazione stabile. La sua unica certezza è di aver commesso un crimine terribile, perciò mantiene un profilo basso, cercando di non avere contatti con nessuno. Dopo due mesi di vagabondaggio giunge alla sua meta che spera ponga fine alla sua 'fuga' intercontinentale: lo stato/città indipendente di Temigor, nella punta meridionale dell'isola del Kyushu. La città in questione, chiamata Kotetsu dai Giapponesi, per l'acciaio speciale che vi si ricava all'interno, è una metropoli ricca di persone provenienti da ogni dove. L'HG è l'accademia per eroi della città, capace di rivaleggiare contro lo U.A, per il titolo di scuola migliore per eroi. Nel frattempo, un cimelio del passato rinvenuto nella giungla sudamericana rischia di far sprofondare nel caos non solo Temigor, ma tutta la società degli Heroes. Yunix non sa ancora cosa l'aspetta quando si ritroverà faccia a faccia con il suo futuro e ovviamente il suo passato.
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Prologo


Era ormai l’alba. Lo si capiva non solo dalla luce soffusa, che filtrava dove il fogliame era meno fitto, ma anche dalla ricomparsa della nebbia fumosa, che si era dispersa durante la notte. Da qualche parte, si sentì il richiamo di un uccello esotico, ma era lontano. Gli animali giravano ormai a largo del cantiere e non c’era affatto da stupirsi di questo. Tre lunghi mesi di lavoro avevano creato un nuovo piccolo ecosistema nell’area verdeggiante, ancora intaccata per la maggior parte, ma ora colpita nel cuore da un dardo dei più letali: l’umanità. L’uomo col berretto rabbrividì. La sua patetica giacchetta non serviva quasi a nulla contro quell’atmosfera gelida e inospitale, ma non poteva permettersi una pausa. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe andato a congelarsi il culo in Amazzonia? Non si aspettava quel clima quando era arrivato in quella giungla, che di giorno faceva sudare ben più di sette camicie. Eppure, l’alba era sempre dominata da quell’umidità malvagia, che non lasciava scampo. Che ci provasse pure quanto voleva. Nulla lo avrebbe smosso contro la sua volontà: tendeva a fermarsi esclusivamente per riprendere fiato. Per il resto del tempo, era sempre al lavoro. La superficie che gli scavi avevano raggiunto era incredibile: più di quattro stadi, per certo. I problemi maggiori erano le rocce. A quelle dovevano pensare lui e gli altri con poteri simili. Finché non pioveva, non c’erano troppi problemi. Una settimana prima, avevano dovuto fermare i lavori per due interi giorni e sembrava che ogni progresso fatto fosse andato in fumo. Colpa di quell’acqua del cazzo. Il giovane dai capelli biondo-sporco si asciugò la fronte, come poteva. Sudare poteva essere fatale in quel momento della giornata o, se non altro, avrebbe potuto garantirgli un simpatico raffreddore di quelli che non se ne vanno mai. D’altra parte, la maggior parte dei suoi colleghi era in malattia in quel momento. Ma lui no. Lui voleva portare tutto alla luce... Da che mondo e mondo, Clayde non era certo una persona istruita e non aveva timore di ammetterlo. Avevano bisogno del suo potere, ecco tutto, e lo stesso riguardo riservavano ai suoi compagni. A lui andava bene, però. Per la prima volta nella sua vita si sentiva utile in qualche modo. Non era tanto disperato da fare il villain, né un patetico disoccupato. E ora persino la sua nuova umile mansione pareva a rischio. Dopo il ritrovamento del giorno precedente, gli scienziati sembravano pronti a smantellare tutto da un momento all’altro. Clayde ci aveva pensato, riverso sulla brandina, un’intera notte; non era d’accordo. E se ci fosse stata un’intera città sotto di loro? Chissà quali segreti avrebbero potuto svelare... Nelle sue idee, Clayde immaginava un popolo vivo. E perché no? Tutto poteva essere. Quanto ci sarebbe voluto non gli interessava. Lui non aveva chissà cosa da fare, in fondo. Una città sotterranea? Scommetteva che in un anno avrebbero potuto farle conoscere la luce, ammesso che tale città ci fosse stata ovviamente, ma Clayde questo lo dava per scontato. Non sapendo leggere, si accontentava delle immagini e quel disco di pietra rinvenuto... oh, se ne aveva di immagini o bassorilievi o come diavolo si diceva. Non faceva altro che pensarci... Aveva scoperto di amare i reperti, in quel cantiere. Ne aveva visto uno e lo aveva trovato affascinante, quindi doveva amarli per forza. Una sorpresa, sì... Ma non delle peggiori. Questo senza dubbio era un segno del destino. Forse, dopo tutto quello, si sarebbe dedicato alla sua istruzione e sarebbe diventato un ricercatore. “Ma non qui... Non in questa maledetta giungla.” Starnutì. Quel freddo lo stava facendo impazzire. La roccia che stava frantumando era un vero e proprio macigno, più duro di quelli incontrati finora. Persino il suo potere stava incontrando una certa difficoltà a farsi largo in esso. Se non altro lavorava all’aperto. Questo lo metteva in una posizione molto conveniente, in quanto si trovava nelle prossimità del laboratorio principale. Il disco era lì. Ora che non c’era nessuno a controllarlo, non avrebbe certo guastato un’altra occhiata... Interruppe il suo lavoro. Il suo Quirk, Winter Excavator, si disattivò con semplicità. Clayde soffiò sulle mani congelate, per poi assicurarsi che i paraorecchie coprissero bene quello che dovevano coprire. Una piccola pausa poteva anche permettersela. Il reperto era a pochi metri, in fondo. “Un’altra occhiata... Solo un’altra occhiata...” A Clayde di norma non piaceva esimersi dal lavoro. Non tanto perché gli importasse, ma più che altro per una disposizione naturale a darsi da fare. A Temigor aveva lavorato per un certo periodo nella miniera d’acciaio e non aveva mai saltato un giorno. Certo, se la sua dedizione era così grande, lo era anche l’intolleranza verso gli scansafatiche. Quando se l’era presa con la persona sbagliata era finito sul lastrico, con la schiena non lontana dall’essere spaccata. Che si fottesse quel dannato signorotto. I giorni bui della sua vita erano lontani per fortuna. Allontanò dalla fronte i capelli biondi che spuntavano dal berretto scarlatto, a ciuffi appuntiti. Anche un reietto come lui poteva avere dei sogni. Senza timore di farsi scoprire, si incamminò a grandi falcate verso il laboratorio inferiore, dove le scoperte migliori venivano radunate. Come al solito, la sua noncuranza aveva avuto la meglio. Se Clayde doveva essere colto sul fatto, avrebbe accettato a testa alta le conseguenze. Il cantiere sembrava ancora addormentato. I tendoni e le piccole abitazioni bianche sembravano quasi accoglienti, in quell’atmosfera mattutina. Erano non meno di venti complessi. Come si poteva pensare di abbandonare la missione, dopo tutta la fatica che avevano fatto per installare quella ‘città’ nel cratere che avevano creato? Il laboratorio inferiore era solo parzialmente all’aria aperta. Pannelli bianchi oscuravano la vista a tutti, ma se c’era qualcosa che piaceva al giovane lavoratore, era la fortuita mancanza delle misure top secret, che ci si sarebbe aspettati di trovare in un cantiere come quello. L’entrata era chiusa, certo, ma da stringhe di plastica e solo un timido muretto di cemento circondava la struttura contorta del laboratorio. La politica di Temigor era davvero bizzarra. Quell’operazione andava presa alla leggera o no? Di quello che aveva detto il sindaco, nell’unica apparizione che aveva fatto, Clayde ricordava solo qualche frase. Aveva nominato i Quirk, le potenzialità infinite... forse aveva accennato alla cultura e altre cazzate simili. Se avesse parlato lui, avrebbe certamente discusso della possibilità di scoprire una seconda Temigor, nel sottosuolo. Lo stato indipendente sarebbe passato da una sola città a ben due. Il possesso di quella terra ce l’avevano già, quindi non ci sarebbero stati problemi. A quel punto, non sarebbe stata impensabile una sua candidatura come sindaco del nuovo mondo. In ogni caso, la mancanza di controlli faceva proprio al caso suo. Scavalcò rigidamente il muretto e tagliò con audacia le stringhe, ma solo quelle inferiori, in modo da celare almeno superficialmente l’intrusione. A quel punto, fece passare la sua figura sciatta e scheletrica nell’apertura. Senza problemi, fu oltre i pannelli del laboratorio. La luce mattutina filtrava attraverso le fessure e a illuminare il resto erano rudimentali luci d’emergenza, che si adoperavano anche nelle miniere di Temigor. Notò con fastidio che il cibo era già stato preparato per quel giorno, accatastato alla parete come immondizia... E lo era in effetti. Clayde ne aveva piene le tasche del cibo sudamericano, confezionato per di più. Che si fottesse anche l’adeguarsi alla cultura del posto. Non vedeva l’ora di un bell’hamburger di quelli che aveva provato una volta nel distretto est... Gli bastò pensarlo per sentire un sottile brontolio e si ricordò di aver saltato la cena. Quando sarebbe tornato, ne avrebbe presi cento di hamburger. Doveva recuperare tutti i pasti saltati. Non era colpa sua, a dir la verità. Era capace di non mangiare per giorni, senza sentirne il minimo bisogno. Lo diceva sempre: se c’era qualcosa per cui sarebbe potuto eventualmente morire, sarebbe stata la fame. Superò l’ingresso, sorridendo al pensiero. Ogni tanto si sorprendeva della sua stessa sagacia. L’area all’interno era piuttosto incasinata. Era praticamente impossibile avanzare, senza urtare qualcosa nel percorso. C’erano più reperti di quanti immaginasse... Iscrizioni e bassorilievi a non finire, ma il suo bersaglio era il disco in fondo alla stanza. Diede un calcio a un vaso di coccio e a una bacinella piena di resti, sul percorso. “Perdono tempo su questa robaccia, quando lì potrebbero scrivere la storia. Se solo potessimo proseguire qualche altro giorno...” Ma ci sarebbero voluti ben altro che pochi giorni, per il progetto che non osava suggerire. I lavori erano già rallentati, per i progressivi ricoveri dei lavoratori. E nessuno si degnava di dargli notizie. Una richiesta avventata avrebbe potuto determinare il secondo licenziamento in tronco della sua stupida carriera. “Ma non saranno loro a fermarmi. Io continuerò a lavorare, giorno e notte.” Clayde soffocò uno sbadiglio e scostò la patetica tendina che nascondeva alla vista il disco. La visione lo animò di fierezza e orgoglio. Era bellissimo. Non sapeva cosa ci trovasse di così stupendo, ma l’idea che un popolo antico avesse battuto scalpelli su quella pietra, per darle una forma compiuta era inspiegabilmente affascinante. Con esitazione, posò una mano sul bassorilievo dipinto. Chissà come avevano fatto i colori a conservarsi per così tanto tempo... Non ci diede troppo peso. Non era mica un archeologo. L’opera era in gran parte rovinata, ma uno degli scienziati aveva accennato a una meticolosa attività di restauro, per fortuna. La polvere si sollevò al tocco e iniziò a volteggiare nell’atmosfera stentatamente illuminata, accarezzandogli il braccio, come un invito a proseguire. Fece correre la mano sul corpo della figura in alto a destra. Era difficile distinguerne i contorni, ma la sua statura ridotta lo portava a credere che fosse un ragazzo. Folti capelli verdi crescevano sulla sua nuca, ma gli altri dettagli del viso non erano meglio definiti. Una sfera luminosa levitava sulla sua mano. Dall’altra parte vi era una seconda figura, rovinata per metà dal tempo. Clayde riconobbe capelli biancastri. A differenza del primo individuo, permeato di una luce chiara, il secondo era come circondato da ombre, senza uno schema preciso. Era inutile provare a leggere le iscrizioni al di sotto. Una lingua sola lo metteva sufficientemente in difficoltà. Sembrava che le due figure si stessero confrontando per qualcosa, ma l’allampanato minatore non voleva perdere troppo tempo, essendo decisamente più interessato alle figure al di sotto, più piccole, come se lo scontro principale fosse già avvenuto. La storia vera e propria però si decideva senz’alcun dubbio lì. Prive di collocazioni simmetriche o apparentemente ragionate, numerosi individui, uomini e donne compievano azioni, che Clayde davvero avrebbe voluto analizzare per molto tempo. Appariva di nuovo il ragazzo dai capelli verdi e un paio di volte anche quello dai capelli bianchi., ma c’erano anche esseri mostruosi, giganteschi e minuscoli. Il disco era veramente troppo rovinato per capirci qualcosa. Ancora al di sotto... Gli occhi bianchi si illuminarono, attirati da un dettaglio particolare. «Oro... È davvero oro questo...» La sorpresa per Clayde fu spropositata, tanto che nemmeno si fermò ad ammirare l’immagine. Incastonato nella pietra, vi era un oggetto dorato di distinta grandezza... Era come un totem o una statuetta. Un rubino era incastonato a sua volta nell’oggetto, nel punto in cui si biforcava. Un desiderio profondo di impossessarsene colmò il giovane, ma non era solo avidità. C’era qualcosa di più primordiale che lo attraeva: qualcosa che non aveva mai avvertito prima. Era sempre stato lì quell’oggetto? No. Era impossibile. Quando avevano portato il disco al laboratorio avrebbe dovuto notarlo. Che diavolo era successo? Il suo cuore si stava riempiendo di sentimenti improbabili, sconosciuti. Mistico. Primordiale. Le parole rimbombavano nella mente di Clayde, senza che nemmeno le avesse pensate. Mistico. Primordiale. Il battito del suo cuore acquisiva musicalità. Mistico. Primordiale. Clayde si sentì fuori posto. Che ci faceva lì? Era come assistere a qualcosa di sacro, eppure la stessa sequenza si ripeteva ancora e ancora, solo per lui. Mistico. Primordiale. Percepiva il corpo protendersi in avanti, come se il tesoro dorato lo stesse risucchiando. Si sentiva febbricitante, manchevole, incompleto. Perché non si lasciava andare? Sarebbe bastato un tocco e si sarebbe colmato. Smise di trattenere il braccio irsuto, proteso verso il metallo. Ci fu un’ultima combattiva resistenza, come se il corpo dell’uomo si stesse dividendo in due, poi la mano raggiunse e afferrò la statuetta. Con un sussulto, Clayde sentì un profondo cambiamento dentro il suo corpo. Il suo Quirk... Che stava succedendo? La statuetta si legò immediatamente alla sua mano, come colla. Era un legame energico, più profondo di un qualunque vincolo concreto. Percepiva il potere della reliquia fin dentro le ossa e il calore che sprigionava e persino un secondo battito armonico. Sembrava che l’oggetto avesse volontà propria. Per un attimo, solo per un attimo, Clayde raggiunse un gradino superiore. Si sentì fluttuare, come non gli era mai accaduto prima. Il suo corpo perse di significato, la sua vita perse di significato. Solo il contatto con il cimelio contava. «Dove sono?» credette di dire. C’erano esseri che lo circondavano. Avevano bisogno di aiuto o era lui ad aver bisogno di loro? No. Erano ombre, nulla di più. Non avrebbe dovuto essere lì... «Tutto accadrà assieme allora.» disse con voce vaga. Ebbe un sussulto. Stava forse impazzendo? Era stato lui a parlare? Non poteva essere altro che così. L’istante sembrava non finire mai. Era un limbo, un limbo di penombra, come la transizione tra sogno e incubo. Non esistevano lo spazio, il tempo, lui come persona. «Ma non sei tu...» constatò Clayde, aprendo bocca contro la sua volontà. Sentiva di stare perdendo tutto. Ancora poco e sarebbe diventato un’ombra, svuotata della vita, del ricordo, dei pensieri. Rimaneva aggrappato al legame, ma stava già dimenticando chi era... Come tutto era iniziato, tutto finì. L’area sembrava più buia ora. Uno spiffero gelido fece rinsavire il giovane, spaesato, di fronte al disco. Sentiva una paura folle, primitiva, come quella che instilla il lupo nelle greggi, scemare lentamente. Invero, tutto era come prima. La statuetta era nelle sue mani, ma non emetteva calore. Era fredda come il ghiaccio. Clayde l’avvicinò agli occhi e la ispezionò. Non c’era nulla al di fuori dall’ordinario. Fischiò per il sollievo e un po’ di colore riaccese il suo viso. Un’allucinazione... Per quanto ne sapeva, potevano anche averlo drogato. A volte lo facevano con gli schiavi. Era un metodo per farli andare avanti, nonostante la fatica, poiché la loro produttività era l’unica cosa che interessava ai loro padroni. Glielo aveva accennato un malavitoso pochi mesi prima. Ci vollero alcuni secondi perché si riprendesse del tutto. Clayde non si era mai sentito così sollevato di essere un essere umano. Tutto quello che voleva fare ora era andarsene. Guardò la statuetta ancora una volta. Era innocua: un pezzo di metallo. Ma era pur sempre di valore e ce n’erano di modi per liberarsene, traendone profitto. Clayde si sforzava di non pensare. Quello che era accaduto... Voleva solo dimenticarlo. Scostò la tenda. Andarsene... Andarsene subito da lì. Quella era la priorità. Un unico lungo mormorio, improvviso, monotonale, gli fece accapponare la pelle. Clayde quasi svenne. Si mise terrorizzato una mano sulla bocca. Cos’era stato? Era un uomo... un animale? Sentì le proprie unghie scavare nella pelle. Non si mosse... Aspettò immobile che la voce si ripresentasse. Furono minuti interminabili, ma di una cosa era certo... Non era solo in quell’angusto laboratorio. La tensione crebbe in Clayde, che si accorse di stare tremando da capo a piedi. Era bloccato. Ma almeno era certo che nessuno avrebbe potuto avvicinarsi, senza che se ne accorgesse. «La morte arriva per tutti...» Accanto a lui?! Clayde saltò di lato, scaraventando per terra una quantità smisurata di reperti. Era una voce umana, profonda e sembrava così vicina... Non era tipo da urlare, ma dopo l’esperienza appena vissuta non aveva alcuna certezza su chi aveva di fronte. «Chi è là?» La sua voce si incrinò. Le luci di emergenza erano spente... Forse rotte? Clayde si accorse di essere terribilmente allo scoperto, lì in mezzo alla stanza. Anche la luce esterna aveva smesso di illuminare l’area. Il buio lo avvolgeva. «Chi cazzo sei? Fatti vedere!» Il panico lo stava colmando. Arretrò, girandosi a più riprese, ma la visuale limitata lo riempiva di paura. Strinse la statuetta nella mano. “Dov’è l’uscita? Ho bisogno dell’uscita...” «Morirai nell’oscurità. È il destino di chi sa troppe cose...» Clayde voleva piangere. Non riusciva a capire da dove venisse la voce. Continuava a far cadere oggetti. Quell’entità... Sapeva dove si trovava, in ogni momento. Doveva fare luce. Doveva uscire. Doveva... Doveva... Quel qualcosa brancolava nel buio. Poteva essere due metri alla sua destra, quattro alla sua sinistra. Sopra di lui. O alle sue spalle. Quand’è che avrebbe attaccato? Non c’era scampo. Non così. Perché? Non era giusto. Lui non aveva fatto niente... Clayde lanciò un grido disperato e sferrò un calcio di fronte a sé. Colpì qualcosa di duro. Il corpo solido si spostò. La speranza si manifestò come un raggio di luce solare, di intensità maggiore, ogni secondo che passava. Il disco... Con il calcio, aveva colpito il disco, che cadendo all’indietro aveva sfondato il tessuto plasticato. I frammenti del reperto erano sul pavimento, inservibili. Clayde si voltò... Dov’era? Dov’era quel dannato... Due falci di tenebre gli squarciarono il petto. Le ombre erano vere allora... Questo fu il suo primo pensiero, quando vide il sangue zampillare dalle due ferite. Cadde in ginocchio. La luce... Che ingenuo pensare che avrebbe potuto salvarlo. Uno più furbo avrebbe preso tempo, parlando. Guardò in avanti. Ormai non poteva più muoversi. Tra il caos che si era venuto a creare, avanzava con lentezza un essere. Strisciava, camminava... Non si capiva. A Clayde, sulla soglia dell’altro mondo, sembrò l’incrocio tra una lumaca e un mollusco. L’interezza del suo corpo era un deformarsi vorticoso di tentacoli, pinne melmose, colori che andavano dal nero al turchino. Non era mostruoso come se lo immaginava. Una serie di occhi guardinghi lo scrutavano da due specie di spesse antenne, orizzontali a quella che poteva definirsi la fronte. I contorni dell’essere divennero più definiti, poco alla volta. Clayde sentì il bisogno di parlare, per quanto gli costasse un’inverosimile fatica. «Figlio di puttana... Sì... Ti chiamo come mi pare...» Non voleva morire lì, in quello stupido laboratorio, ma non voleva nemmeno andarsene senza dire nulla... «Riesci a parlare? Non a caso ti hanno tenuto per ultimo.» La voce del demone era composta, ragionevole. Non si addiceva alla sua parvenza mostruosa. «Clayde Jockey... Conosci il mito di Dedalo e Minosse?» Clayde trovò la forza di ridergli in faccia. «Cosa potrebbe... fregarmi di una favoletta... del genere?» Pronunciare ogni parola era come una pugnalata al petto... Il dolore stava diventando insopportabile. Il mostro mutante non cambiò espressione. «Te la faccio breve, perché stai morendo, va bene? Io leggo molto. E ti assicuro che paragonarti a Dedalo, nonostante quello che sei, mi rode un po’, ma fidati di questo paragone.» La surrealtà del tutto e il disgusto che stava provando in quel momento lo trattenevano nel mondo dei vivi, ma non sarebbe durato a lungo. Ora, seppur sfocato, vedeva bene il suo carnefice. Le antenne erano tentacolate, quattro occhi gialli per lato. Era più grande di un essere umano, ma non molto più imponente in fondo. I tentacoli si erano raggruppati a formare gambe spesse e un corpo più o meno umanoide. I colori della sua pelle erano davvero affascinanti: verde acqua, turchese, zaffiro e punti bianchi qua e là. Non aveva braccia, ma pinne tentacolate al loro posto. Se Clayde l’avesse conosciuto in altre circostanze, probabilmente ne sarebbe rimasto ammaliato. Era ormai a pochi metri da lui. «Minosse era il re di Creta. Il minotauro, nato dall’unione insolita tra la moglie del re e un toro, era un essere mostruoso e aveva bisogno di una sede dove essere rinchiuso. Il re chiese quindi a Dedalo, rinomato costruttore, di costruire un labirinto da cui era impossibile uscire. Una volta che riuscì a edificarlo, il re imprigionò il costruttore in quelle pietre che lui stesso aveva progettato, in modo che non ne svelasse i segreti... Mi stai seguendo, per ora?» Clayde stava realizzando che sarebbe morto. Sarebbe davvero morto lì... Non riusciva a distogliere gli occhi dall’essere. Quella voce tranquilla, persino umana, era la cosa che lo irritava di più. «Ancora... non... capisco...» Sentire la voce così simile a un gorgoglio gli fece paura. «Tu sei Dedalo, proprio come i tuoi compagni. Il re di Temigor vi ha portati qui per portare alla luce quel disco e voi l’avete fatto, ma sapete troppo. Non vuole rischiare. È un uomo molto prudente il mio re. Dedalo era una persona importante, tu non proprio. Rinchiuderti non avrebbe per lui alcun valore. È stato meglio eliminarvi, uno per volta...» Sangue scarlatto, dello stesso colore del berretto, bagnava il pavimento impolverato. «Tu... Tu sei...» Un colpo di tosse lo trafisse come una lancia. L’essere si avvicinò ancora. Era difficile dirlo, ma sembrava che la sua sofferenza lo allietasse. I suoi occhi scintillavano, come oro. «Come dici? Faccio fatica a comprendere le tue parole.» Clayde si morse la lingua, ma non poteva esimersi dal parlare. «Sei un fottuto... Hero.» Vide gli occhi mostruosi accendersi. «E’ come dici... Sono il Pro-Hero, Ancient One, ma ormai tutti mi chiamano con il tiepido nome di Hunti. Cacciatore, formica... Pensami come ti pare. Ci dev’essere sempre qualcuno che fa il lavoro sporco, no?» Clayde stava cominciando a rantolare. «Bastardo... Tu...» Gli occhi si stavano annebbiando. Aveva ancora la statuetta in mano. Non l’avrebbe salvato, ma fino alla fine l’avrebbe tenuta stretta. Il mostro si divertiva a guardarlo, sull’orlo dell’oblio. Mascherava i suoi desideri oscuri con quella falsa freddezza e intelligenza. Il mondo era davvero un posto terribile. Ripensandoci, Clayde riconobbe che quella voce non aveva nulla di umano. Non era nemmeno una voce vera e propria. L’Hero non aveva nemmeno una bocca, quindi le parole che sentiva erano tutte nella sua testa. «Almeno... sei... in grado... di parlare... stupida melma...?» rantolò. Le antenne del mostro si dipanarono in una specie di orrendo sorriso, poi la vera voce mostruosa dell’essere si udì, come se provenisse dalle profondità del suo corpo. «Giudica da solo, Clayde... Io vivo per un’ideale, tu lavori come uno schiavo per tua stessa scelta... Dimmi, chi è lo stupido qui?» Era come ascoltare una trasmissione fuori fase: un agglomerato di voci messe assieme, canzonatorie e superbe. “Sei tu lo stupido...” pensò, con il petto ridotto a un colabrodo. “Ti credi superiore a noi, ma non sei meno schiavo di quanto lo sono io...” Avrebbe pagato per dirglielo in faccia, ma la paura di morire lo stava paralizzando. Hunti incombeva sopra di lui. Clayde voleva urlare, invocare pietà, ma non riusciva più a pronunciare una sola parola. Gli occhi gialli erano tutti fissi nei suoi. “Merda... Non voglio andarmene.” Il freddo stava finalmente scemando. L’alba era passata. Clayde forzò un sorriso di superiorità, sperando di ottenere un’ultima rivalsa, poi chinò il capo e il suo cuore smise di battere.
   
 
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