A spoonful of
sugar helps the medicine ‘go down’
“Levi, Hange non si sta divertendo.”
Considerato però il ghigno inquietante con cui la quattrocchi di merda lo fissa
dal fondo del suo letto, per Levi è difficile da credere.
“Dico bene, Hange?”
“Affatto.”
Erwin solleva un sopracciglio, poi saggiamente lascia che l’ambiguità di quella
risposta evapori insieme ai fumi balsamici che ha sul comodino.
“Se è qui a chiederti questo, è perché ha una buona ragione.” continua, calmo e
convincente. “Non è così, Hange?”
“Assolutamente.”
Hange balza in piedi prima che le labbra di Erwin possano dar vita alla
vocale che andrebbe ad accompagnare l’indice sollevato.
Circumnaviga il letto, lo raggiunge.
Levi ha l’impressione di vedere un fremito di gioia sui suoi polsi mentre li
solleva trionfanti di fronte a sé.
“Io e Moblit ci stavamo lavorando già da mesi, ma è solo grazie a te e alla tua
febbre continua se siamo riusciti a trovare la giusta formulazione. È un
farmaco straordinario. Straordinario. Riesce a far scendere la
temperatura, anche alta, in pochissimo tempo e a mantenerla sotto una certa
soglia. Solo che…”
“Solo che…?”
“Per il momento, dobbiamo fare i conti con una sua peculiarità.” Hange addenta
il labbro inferiore con gli incisivi, cerca di non gioire troppo. “Funziona
solo se la tua temperatura corporea è compresa tra i 38.3 e i 39.2. Non un
grado di più, non un grado di meno. In caso contrario, perderebbe qualsiasi efficacia.”
Erwin ascolta la spiegazione interessato, poi torna a fissarlo come solo
lui sa fare.
Levi sospira, rilassa le spalle contro il cuscino quando sente il
sopraggiungere di un crampo ai muscoli del collo.
“Dunque dovrei tacere e lasciare che questa psicopatica mi infili la sua amata bacchetta di vetro su per il culo?”
Erwin piega la testa da un lato e poi dall’altra, distoglie lo sguardo,
“Beh, sono sicuro ci siano modi più corretti per poterne parlare, ma…”
“Come ti dicevo anche prima, non durerà che un
paio di minuti.”
Interviene Hange, spingendo gli occhiali sul naso.
Sotto le ciglia umide, Levi decide pigramente di darsi comunque una seconda
possibilità. Così. Giusto per poter un giorno dire di averlo fatto: ispeziona
la stanza, l'ubicazione di porte e finestre. Valuta la velocità con cui
il servo rincoglionito dalla perenne espressione costipata si
abbatterebbe su di lui dallo stipite della porta, le possibilità che ha, senza
il suo coltello, di sfuggire contemporaneamente alla sua presa, a quella di
Erwin, di Hange, ed anche a quella dell’ammucchiata di reclute che casualmente si
trova a ciarlare giusto fuori dalla porta, e che di
sicuro, se chiedesse, gli direbbero che non li hanno affatto piazzati lì per
qualsiasi evenienza come crede.
A fargli capire di non avere alcuna speranza di fuga però, sono i suoi polmoni,
che come se non fossero stati suoi per tutti quegli anni, adesso vanno lì, a
gracchiargli contro e a chiedere il conto di tanta insofferenza.
E maledizione.
Maledizione.
Si ritrova aggrappato con una mano alla spalla di Erwin e con l’altra a
quella della quattrocchi prima ancora che il suo orgoglio abbia anche solo il
tempo di chiedergli ‘ma che cazzo stai facendo!?’
“Coraggio, Levi— vieni qui, stenditi.”
Non è ancora pronto, ma questo a Erwin non sembra importare.
Tra ciò che vuole e ciò che crede di non volere, c’è un velo
sottile quanto il tessuto da quattro soldi dei pantaloni del pigiama che
indossa, o meglio – indossava, prima che le dita di Erwin si
insinuassero sotto l’elastico eliminandone qualsiasi ambiguità.
“A-aspetta!” azzarda, forse con troppa enfasi per essere preso davvero sul
serio. Il ritrovarsi però bloccato sul grembo di Erwin con la metà inferiore
esposta senza ritegno agli occhi di tutti è uno schiaffo che lo raggiunge in
ritardo.
Precisamente, lo raggiunge quando sente il fiato della psicopatica di merda
farsi troppo vicino al suo culo.
“Levi,” Erwin prende in una mano il suo viso, ne impone una rotta
differente da quella impostata. “Rilassati. Nessuno ti farà del male.”
E Levi lo distoglierebbe pure, lo sguardo dai quegli occhi buoni. Lo
farebbe molto volentieri, considerato che il mondo alle sue spalle continua a
girare, le borse ad aprirsi, ferraglia e barattolame
a crepitare, ma lui di tutto ciò, ha solo un lieve accenno sonoro, e questo è
sufficiente perché il suo cuore assuma un ritmo che va di pari passo al
martellare delle tempie, e non va bene.
Ma c’è qualcosa, oltre alle dita che Erwin ha dispiegato sotto al suo mento che
non glielo permette.
Qualcosa che può ritrovare anche nella mano con cui Erwin sta scorrendo la
sua schiena scoperta – e diamine, da quando è scoperta!? (l’eco del
‘togliamogli tutto, Erwin – la temperatura interna dev’essere quanto più
autentica possibile’, gli rimbomba nella testa solo adesso, terribile
e sconvolgente come solo una frase simile scartata dalla sua mente a priori può
esserlo).
“Ho detto aspetta, cazzo—” ringhia, non ci sono occhi né mani di Erwin che
riescano a tenerlo fermo quando delle dita impertinenti vanno a premergli
l’interno delle cosce affinché le allarghi.
O forse sì. Forse, ci sono eccome.
“Se aspettiamo è peggio,” spiega la quattrocchi con una calma professionale
altamente fastidiosa. “Rilassati, vedrai che non sentirai niente,”
“Levi—” Il pollice e l’indice di Erwin arretrano, raggiungono pericolosamente
la base del suo collo, lo inarcano al limite del sopportabile. “Guardami. Guarda
me.”
E non è casuale. Al contrario suo, Erwin vede. E vedendo, può anche
immaginare quali sarebbero le reazioni di una persona normale nel momento in
cui una sostanza gelida e viscida gli viene fatta colare contro l’ano.
“Cazzo, smettila!” ritira le anche come un bruco, rabbrividisce. La mano di
Erwin scivola severa sulla sua natica. Qualunque cosa abbia fatto, con quella
mano lì piazzata, non la farà più.
“Scusa, è un po’ freddino.” cantilena, non troppo dispiaciuta, “Farò in
fretta, tranquillo. Moblit?”
“Sì, Caposquadra?”
“Vieni qui, fa in modo che non muova le gambe.”
“Agli ordini.”
“Cosa cazz– fanculo, prova solo a
toccarmi e sei morto, rincoglionito di merda! Sei morto! – Erwin!”
Erwin.
Prima di domandarsi come diavolo gli sia venuto in mente di chiamare il suo
nome, dovrebbe domandarsi come diavolo gli sia venuto in mente di chiamare il
suo nome con una voce così incrinata, così rotta.
Così disperata.
Come se non fosse lui la causa di tutto. Come non fosse lui la causa del suo
cervello in pappa.
“Moblit, non è necessario.”
Dovrebbe farlo stare meglio, ma la verità è che quasi più umiliante così.
China il capo tremante, Erwin lascia che lo affondi contro il suo grembo senza
una parola.
Ascolta i suoi polmoni congestionati tornare a respirare.
“Erwin, il termometro è in vetro. Hai idea di cosa accadrebbe se dovesse
rompersi a causa di un movimento sconsiderato?”
“Non accadrà. Non è così, Levi?” le dita di Erwin giocherellano con i
capelli sulla nuca bagnata, tracciano righe, spirali, e tutta una serie di
segni che vanno di pari passo con quelli che Levi vede scintillare
nell'oscurità delle sue palpebre serrate. La stessa in cui lascia morire la
domanda.
“Procedi, Hange.” La mano di Erwin sulla natica destra; quella di Hange, sulla
sinistra, “Sii delicata.”
“Un bel respiro, piano—” La punta dà l'illusione di essere la
parte peggiore, ma non è così. Levi sente le sue carni scollarsi, la bacchetta
risalire impietosa su per un varco innaturale, stretto, inospitale.
“Non ostacolarlo. Scivolerà da sé, se ti rilassi—” E Levi non sa
perché stia ancora ad ascoltarla, quella psicopatica. Ha certamente a che fare
con i ‘bravo, sei molto bravo, Levi—’, che Erwin gli elargisce
sfiorando con le nocche e con la voce, ogni singolo anello della sua spina
dorsale.
“Ah!” è quanto sfugge alle sue labbra quando quel cazzo di
strumento di tortura va a disturbare luoghi del suo corpo che non credeva così
suscettibili.
“Fatto. È dentro. Non è stato così brutto, no?”
Il commento a quella frase, Levi lo articola solo ad Erwin, e lo fa
esalando un ansito bagnato contro il suo bel pantalone in pregiato gabardine,
che avrà un alone interessante, dopo questo.
“Quanto dovrà restare dentro?” domanda Erwin, in sua vece.
“Almeno tre minuti.”
L’idea di rassegnarsi arriva quando le dita di Hange battono un paio di volte
giocose e sonore su una sua natica rigida. “E tu, Levi, stringi queste chiappe
e vedi di non spingerlo fuori, o dovremo ricominciare tutto da capo e non sarà
piacevole.”
La sua lingua ha già il nome di Erwin sulla punta. Freme e stride per
uscire più di quel coso che, con il suo benestare, gli hanno ficcato nel buco
del culo.
Questa volta, però, si arresta prima che possa articolarlo.
Questa volta però, vince lui.
La sua vittoria, si dice, non ha nulla a che fare con il fatto che Erwin,
il suo nome, lo abbia sentito già nel vibrare dei suoi muscoli tesi, e nel
silenzio interrotto solo da dei respiri che portano ancora la sua supplica, e
fanno rumore.
I tre minuti scorrono lenti come il cervello dell’assistente del cazzo che
sta lì, impalato, in attesa di chissà cosa.
“Ehi, tu. Ma non hai proprio un cazzo di meglio da fare che guardarmi mentre mi
seviziano il culo? Sei uno di quelli a cui piace guardare, forse?”
Probabilmente sa di avere quel tipo di carnagione che non maschera neanche
il benché minimo rossore.
Il coglione aggrotta il viso, distoglie lo sguardo in un miscuglio di imbarazzo
e disgusto. Non risponde.
Almeno questa soddisfazione, Levi se la prende.
“Moblit è esattamente dove dovrebbe essere.” Interviene, Erwin. La mano con cui
gli pettina i capelli all'indietro diventa irritante più di quanto avrebbe
fatto il semplice rimprovero. “Sei stato tu, con la tua mancanza di
collaborazione, ad esserti giocato qualsiasi prospettiva di riservatezza, lo
sai.”
Levi sfiata un sospiro pesante, lo spettro di una rabbia che impiegherà
ancora molto tempo a smaltire.
Ripensa alla quattrocchi che si presenta nella sua camera pimpante come una cazzo di fatina, con una bacchetta magica più
lunga del solito, un blaterare insensato e volgare che crea nella sua mente l’esatta
immagine di quanto sta vivendo adesso– e fanculo.
Fanculo, non immaginava avesse la chiamata ai rinforzi così
facile, quella psicopatica del cazzo.
Levi sospira, e sospira ancora.
I pezzi di rabbia da esalare però, si appiccicano ai suoi polmoni come
fuliggine: tossisce un po’, ma non si scollano.
“Va bene, dovrebbe essere sufficiente così.” La sensazione che produce il
termometro nell’abbandonarlo è ancora più disgustosa di quanto lo sia stato
nell’introdursi. Il suono, gli provoca direttamente un conato.
“Vediamo, vediamo—”
“Posso rialzarmi?” cade inascoltato sotto i gridolini di gioia della
psicopatica.
“Trentanove! La tua temperatura è di trentanove gradi esatti!”
Levi si sforza a considerarlo consolante. Lo sforzo diventa maggiore quando
nota che la mano di Erwin continua a restare piazzata sulla sua nuca.
“Posso rialzarmi adesso?”
Prova a ruotare il bacino, ma tutto ciò che ottiene, è uno ‘Sshhh’ arrotondato, soffiato con la leggerezza di
chi non vive il dramma in prima persona, e il braccio di Erwin che si accomoda
sotto al suo petto, lo cinge, sfrega piano le sue costole sporgenti. “Non
correre.”, dice.
Non vede cosa Hange stia cercando alle sue spalle, e questo è fastidioso.
“Moblit, mi raccomando, appunta tutto. Affianca le note da qualche schizzo, se
necessario. Non omettere alcun dettaglio.”
“Sì, Caposquadra.”
Un tappo di sughero casca sul pavimento. Non comunica niente di buono.
Ancora di meno buono comunica il fatto che psicopatica di merda
abbia di nuovo le dita scortesi tra le sue natiche
“I calcoli sono esatti, Moblit. Sono esatti. Devono essere esatti. Sarà una
scoperta sensazionale,” balbetta; la voce si incrina dall’emozione, a stento
articola tutto il resto.
Il riverbero di tanta eccitazione, Levi lo ritrova trova anche sui polpastrelli
che molesti, vanno di nuovo lì ad imbrattare suo orifizio con uno dei suoi
luridi impiastri maleodoranti, e…
“Che diamine stai facendo, quattrocchi di merda?!” grida, la disperazione gli
salta addosso come Erwin Smith aveva fatto tra le fogne prima di bloccare i
suoi polsi.
E di Erwin Smith, adesso ne porta anche il volto.
“Levi, stai fermo.” Ed è incredibile
come riesca a spegnere qualsiasi suo muscolo con la sola voce, il solo sguardo,
il solo arco tra pollice e l’indice sotto il suo mento.
“Hange sta solo somministrando il medicamento che ha
preparato per te.”
“E lo fa continuando a stuprarmi il cu—ah!”
“Rilassati!” rimprovera la stronza, di fronte
alla resistenza dei suoi muscoli serrati in protesta. “Diamine, ma perché ti è
così difficile farlo?”
“Difficile?!”
“Shhhh, Levi. Non
innervosirti. Ci vuole solo un attimo—”
Sotto la camicia che ha appena fatto ritorno sulla sua
schiena, le mani di Erwin producono un fruscio strano, come un linguaggio
cifrato rivolto solo ad alcuni elementi seppelliti in profondità dentro di sé.
Il suo cuore rallenta; il suo corpo lo tradisce di
nuovo.
“Moblit, segna: una volta a contatto con le mucose il
composto perde compattezza in un arco di circa 5 secondi – dobbiamo impegnarci
a farli più resistenti.”
“Signorsì”
“Allora, Levi. Riproviamoci con più serietà.”
Levi stringe i pugni quando sente di nuovo qualcosa
premere, le dita di Erwin si chiudono sul suo costato.
Le altre, sui suoi polsi.
“Respira,”
L’aria che ha bloccato in gola fuoriesce in piccoli
tocchi. Qualunque cosa la quattrocchi abbia infilato dentro di sé insieme a una
o due delle sue falangi, il suo corpo l’ha già accettata.
“Ascoltami, Levi – vorrei che tu adesso mi descrivessi
esattamente che sensazione ti dà. Fa male? Se sì, che tipo di dolore? È più un
bruciore, una fitta o un prurito?”
“Hange, per favore—”
“Ho bisogno di saperlo, Erwin. È importante. Mi serve
per poter valutare la scelta della formulazione di rivestimento ed
eventualmente, migliorarla.”
“Valuta tutte le formulazioni che vuoi, ma fallo dopo
che avrai tirato fuori il tuo cazzo di dito dal mio culo!” La mano di Erwin
sulla schiena cerca di dissuaderlo dal contrarre e agitare in quel modo le
anche.
“Ancora un paio di secondi.” cantilena lei, fermamente
ancorata. “Meglio essere prudenti. Annota anche questo, Moblit.”
“A-agli ordini, Caposquadra.”
E i secondi scorrono, scorrono le dita di Erwin sulla
sua pelle, scorrono come i vari ‘è tutto finito,’, ‘ancora un attimo,’,
‘presto starai bene’, ‘guarirai presto’. E
un’altra serie di inutilità che spezza il suo corpo tra dignità e orgoglio, che
gli dicono di non voler sentire nulla di tutto ciò, e tutto il resto, che
invece, stupidamente, tentenna.
“Fatto!”
Il suono di quella frase mette tutti i suoi sensi
d’accordo. Li mette a tal punto da soprassedere anche alla nuova pacca che la
quattrocchi di merda ha giocosamente voluto consegnare alle sue natiche tese
prima di raddrizzare la schiena e avvicinarsi al lavamani in un angolo della
camera.
Levi preme sui gomiti, torna a sedere prima ancora che
Erwin finisca di riportare per lui l’elastico dei pantaloni al suo posto.
“Evita di evacuare per almeno un paio di ore o i
risultati verranno falsati.”
“Dunque, prima di andare a cagare, dovrò
chiederti il permesso?!”
Hange si asciuga le mani, controlla il suo orologio da
taschino.
“Se da qui alle prossime tre ore, sì. O a me o a
Moblit. Lo trovi nel laboratorio qui di fianco. Verrà ogni ora a prenderti
la temperatura.”
“Ascellare. Prenderò quella ascellare,
capitano.” Si affretta a specificare l’uomo, a palmi sollevati e dita tese come
le zampe di un pollo appeso.
Levi sospira. Ha i sapori della nausea in gola, i
brividi di febbre che tornano a chiedergli il conto di tutto quel casino, e un fastidio;
un prurito che prima non c'era.
Erwin ha abbottonato per lui la camicia del suo
pigiama: non si fa ripetere due volte l’invito del comandante a tornare sotto
le coperte.
Quando la psicopatica abbandona la sua camera
armeggiando e trafficando con gli appunti dell’altro smidollato, e le sue
membra tornano a percepire il familiare peso di Erwin su un angolo del
materasso come confortante, Levi sente il proprio corpo tornare al mittente,
riacquistare ordine e appartenenza.
“Come stai?”
Sa che non è una domanda di circostanza. Si volta su
un fianco, rifugia lo sguardo sull’intonaco scrostato che ha di fronte a sé,
ove esseri strani di un mondo distante prendono vita e lo trascinano via.
“So che sei arrabbiato, ma è stato per il tuo
bene."
“Anche farmi infilare dentro le porcherie dalla
quattrocchi psicopatica di merda? Ho il culo in fiamme!”
Erwin ridacchia, “Sì, se serve a rimetterti in
salute.”
Levi chiude gli occhi, lascia che il fanculo
che ha sulla punta delle labbra muoia insieme a qualsiasi altra protesta. Ha
solo voglia di respirare, e la colonia di Erwin è pure meglio dell’ossigeno.
È così vicino quando gli poggia quella pezzuola sulla
fronte, che se continua a restare ad occhi chiusi, gli sembra quasi di averlo
disteso lì, sul letto accanto a lui, in quell’universo scrostato in cui la
grande mano fresca che preme sulla guancia rimane immobile lì, per lui, per
sempre.
Fine
Note: NON BETATA, NON CORRETTA. Ambientata un mese dopo No
Regrets.
Può essere considerata anche un sequel della mia Il sole, prima
che sorga ma in realtà, è un lavoro indipendente.
Scritta per il Writeptember del gruppo Hurt/Comfort Italia;
parole chiave #Culofic #NonCorrere – venite a trovarci!
È una di quelle che io chiamo affettuosamente culofic, e lo è in piena regola.
Non ho scuse per giustificare questo disastro. Ma poi, perché mai dovrei
giustificarmi? V_V
Spero vi abbia divertiti!