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Autore: Aceaddicted_    25/10/2021    0 recensioni
«Questo profumo dà alla testa…» mormorò Ace quasi infastidito più che ammaliato, mentre si dirigevano verso l’ingresso principale. «È proprio questo l’intento…Per una persona che ha poco auto controllo una volta qui dentro è la fine. Brama e lussuria ti divorano, ed è questo lo scopo del gioco.» continuò Izo. (...)
Sbarcati sull'isola di Wa, i famosi comandanti di Barbabianca: Ace, Marco ed Izo, intraprendono un lungo spionaggio nella Capitale dei Fiori, alla ricerca di informazioni per conto del loro Comandante. I tre giovani si ritroveranno ad affrontare una nuova cultura, avvolta da seta pregiata e incensi profumati, ma che nel buio si macchia di gravi peccati ed ingiustizie.
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Nota: Possibile SPOILER Saga di Wano
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izou, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Nove rintocchi si udirono in tutta la Capitale dei Fiori, giunse la mezzanotte. Questa era una delle cose cui i tre comandati ebbero modo di imparare durante il loro soggiorno nel Paese di Wa. Non esisteva un orologio tradizionale con le ventiquattro ore nel paese del sol levante, si scandiva la giornata tramite i quantitativi di rintocchi emessi dal tempio; sei all’alba, nove a mezzogiorno, sei al tramonto e nove a mezzanotte. E con quest’ultimi iniziò una nuova missione per Ace, Marco e Izo.
 
Nella notte si sarebbe tenuto uno dei banchetti privati dello Shogun Orochi, o almeno gli piaceva definirli tali, in modo da nascondere lussuria e malavita in cui era tipico sguazzare. Dopo le informazioni raccolte da Ace in merito ai possessori dei frutti del diavolo, i comandanti di Barbabianca si presero dei giorni per studiare ed organizzare al meglio il proprio da fare. Ormai erano nella Capitale da una decina di notti ed il cerchio attorno a loro prendeva a stringersi momento dopo momento. Era giunto il tempo di agire con un grosso colpo.
 
Izo riuscì a farsi invitare alla festa tramite gli affari che aveva iniziato a tessere con Kyoshiro e la sua cerchia malavitosa. Non era ancora chiaro come funzionasse il giro illegale d’armi a loro carico, così avrebbe indagato dall’interno a stretto contatto con Orochi e i suoi scagnozzi. Indubbiamente, sarebbe stato l’unico dei tre a destare meno sospetti agli occhi dei nemici; la sua terra natia lo riconosceva. Marco ed Ace si sarebbero occupati ci cercare informazioni in giro per il palazzo, perlustrando più posti possibili. Il loro compito era anche quello a maggior rischio. Il palazzo era attentamente sorvegliato: Ninja personali e Ronin pattugliavano qualunque angolo della dimora, per non parlare del fatto che quel palazzo avesse occhi ed orecchie ovunque.
 
Per l’occasione, la coppia di investigatori aveva optato ad un look meno appariscente ed in stile Ronin, decisamente più consono in caso di uno scontro. Dovevano mettere in conto anche questo a discapito della missione. Entrambi indossarono uno yukata nero con dei micro-motivi a tono ed ai piedi optarono per i jika-tabi insieme a dei sandali intrecciati alle caviglie. Calzature molto più comode e simili alle loro canoniche scarpe. Con queste correre, arrampicarsi e combattere sarebbe stato molto più facile. Per nascondere il volto invece, scelsero il classico copricapo ninja simile ad un passamontagna, in modo da lasciare scoperti solo gli occhi. Con sé non avevano armi, o meglio, portavano solo dei pratici kunai; in caso di bisogno estremo avrebbero sfoderato le loro carte migliori.
 
La festa ebbe inizio, fiumi di saké e di donne si riversarono nelle stanze dello Shogun. Vi erano Oiran per tutti i gusti, seguite da quantità smisurata di vivande e uomini pronti a gustarle entrambe. La musica risuonava per tutto il palazzo, talmente forte da diffondersi anche lungo le strade della Capitale dei Fiori. Izo prese parte al banchetto, seduto in un tavolo in compagnia di alcuni mentecatti già alticci ai primi bicchieri di sakè. Sotto raccomandazione di Ace controllò la possibile presenza di Ayame, ma non ebbe grande successo. Per calarsi meglio nella parte si lasciò coinvolgere dall’alcool, cantando ed intrattenendosi lui stesso con le giovani fanciulle in loro compagnia. Non erano prettamente di proprio gusto, ma il lavoro era pur sempre lavoro ed in questo caso avrebbero aiutato la sua copertura.
 
«Mi sembrava di ricordare non ti interessassero le donne!» una voce divertita canzonò Izo, poggiandoli una mano imponente sulla spalla comparendogli da dietro. Era Kyoshiro e a quanto parve aveva una bella memoria.
 
«Ero con i miei sottoposti, non potevo farmi vedere così vulnerabile.» rispose fermamente il comandante, sorseggiando subito dopo l’ennesima coppa di sakè.
 
Kyoshiro lo guardò assottigliando lo sguardo, osservandolo con scetticismo quasi sembrando un felino. Quel forestiero stava mettendo forse in dubbio la sua moralità e la sua serietà? L’uomo dai capelli color indaco indossò un sorriso di cortesia, accodandosi successivamente al vociare del tavolo al quale erano seduti.
 
«Allora… il tuo sottoposto si era divertito con la mia Kitsune?» domandò Kyoshiro prendendosi una Orian tra le braccia con fare viscido e malizioso. Fortunatamente in quella situazione vi era Izo e non Ace, non avrebbe mai retto un tale scempio. «Credo proprio di sì, ne era uscito estasiato… e svuotato!» canzonò Izo ridendo. Aveva in mente di istigare un po’ il malavitoso, cercando di coglierne dei punti deboli o delle falle. L’alcool doveva pur farlo crollare.
«Non ne avevo dubbi, lei è la mia favorita.» rispose beffardamente Kyoshiro, lasciando la frase un po’ a libera interpretazione. I due risero insieme a tutto il tavolo continuando a festeggiare, mentre lo Shogun dinnanzi a loro si intratteneva con la propria cortigiana, Komurasaki.
 
Nel frattempo, Marco ed Ace si divisero in giro per il palazzo, tutti e tre in contatto tramite Lumacofoni per comunicare in caso di necessità. Nel corso della serata era fondamentale che tutti fossero aggiornati costantemente sulle varie situazioni, per coordinarsi.
La Fenice partì dall’ala ovest della casa, in cui secondo informazioni vi erano la sala di guardia con i principali enti di sorveglianza e le sale mediche. Insomma, erano il suo punto forte. Dovevano informarsi su più cose possibili: piani militari, distribuzione degli eserciti dello Shogun e di Kaido ecc.
Ace invece partì dall’ala est, la zona notte della casa con le camere personali ed i luoghi di riunione. Nella stessa area vi erano anche le cucine, e il corvino aveva già preventivato una breve irruzione alla ricerca di cibo.
 
A causa della festa privata vi era un continuo via vai di persone, ospiti ubriachi che si intrattenevano vistosamente con Oiran mai viste prima, servitù che correva a destra e a manca per ottimare il servizio vivande e guardie che monitoravano la situazione.
Il giovane comandante rimase nascosto nell’ombra di un cortile interno, attendendo il momento giusto per infiltrarsi nelle camere. Era una zona abbastanza grande, ben articolata tra corridoi interni e porte comunicanti. Doveva essere vigile e destare meno sospetti possibile. Decise quindi di togliersi il copricapo di dosso, fingere di essere un invitato ubriaco poteva tornargli utile.
 
Si incamminò silenziosamente, passi veloci e leggeri, guardandosi attorno per scorgerne possibili informazioni. Le stanze erano immense, tutte accuratamente adornate con oggetti e tessuti di una certa rarità. Alcune camere prevedevano molteplici futon, probabilmente per la servitù, mentre altre stanze erano fin troppo enfatizzate da aromi e luci dal carattere piuttosto erotico; probabilmente stanze per concubine ed Oiran d’occasione.
Fu proprio in quelle stanze in cui Ace iniziò a sentire dei rumori, mettendolo subito in status d’allerta. Si sentiva parecchio fragore man mano che si avvicinava alla fonte, ma continuò ad avanzare sino a capire esattamente cosa fosse. Ansimi e spasmi di piacere.
 
Ace si nascose dietro la parete, traverso la quale si vedeva benissimo il tutto senza la necessità di entrare. Rise di soppiatto, affacciandosi successivamente a sbirciare. Un uomo di età piuttosto matura se ne stava disteso in fase passiva, mentre due giovani amazzoni lo riempivano di attenzioni, tra cavalcate piuttosto spinte ed altre piacevoli coccole. Inutile negare un po’ d’invidia, insomma Ace era pur sempre un giovane uomo in preda al vigore ormonale, certe situazioni non le disdegnava anche sé poi, erano ben fuori dal suo comfort zone. A differenza dell’impressione che poteva dare, era un tipo piuttosto romantico e monogamo. Si divertì a sbirciare qualche altro minuto, quando il proprio Lumacofono prese a suonare. Fortunatamente il trio era fin troppo impegnato per prestare attenzione a lui.
 
 «Qui Ace…» bisbigliò il corvino, allontanandosi il più possibile per non essere sentito.
«Oi Ace, com’è la situazione lì?» domando Marco.
«Beh, direi esotica.» rispose ridendo il giovane comandante, ripensando alla scena appena assistita. «Oi, cosa cavolo vuol dire?» domandò con lieve preoccupazione la Fenice, non capendo cosa intendesse con esotica. «Niente, vecchio! Ho appena visto un trio darci piuttosto dentro. Nemmeno nel nostro mondo le donne sono così intraprendenti!» scoppiò nuovamente a ridere divertito.
«Oi oi, tieni a freno l’uccello che qui non stiamo scherzando Ace!» lo ammonì Marco, ricordando ad Ace il motivo per cui si trovassero lì. «Yah, guarda che sei tu l’uccello qui, razza di rapace!» brontolò il corvino beffeggiando la Fenice. «Scherzi a parte. Sono nelle stanze private e qui non ho trovato nulla di rilevante, adesso vedo di spostarmi nell’altra ala. Tu hai trovato qualcosa?» domandò il secondo comandante tornando serio. «No, nulla al momento. Ho visto solo documenti di un certo veleno che sembrerebbe abbiano usato per avvelenare il precedente Shogun.» spiegò Marco, con fare un po’ sconcertato. «Ok, ci aggiorniamo poi.» concluse Ace riattaccando.
                                                                                                  
Riordinò le idee, prendendosi qualche secondo per orientarsi nuovamente dal nuovo pit stop appena fato. Queste case orientali erano tutte uguali e perdersi era facilissimo, fortunatamente fin da piccolo aveva uno spiccato senso dell’orientamento. Un nuovo cortile interno, anch’esso abbastanza frequentato, ma questa volta si finse realmente ubriaco e chiese informazioni per il bagno ad un ospite passante per caso. Appena svoltato un angolo buio scattò saltando sul tetto, da lì sopra orientarsi sarebbe stato più facile. Corse per un paio di superfici fino a raggiungere una zona non citata nella planimetria consultata in precedenza. Dove diavolo era finito?
Saltò giù, occhiata a destra e sinistra, e riprese inoltrandosi maggiormente. Davanti a sé si parò una porta massiccia, ben lontana delle classiche porte scorrevoli fatte di cartapesta, vi era pure un lucchetto di ferro.
 
«Bene bene, qui dovrà per forza esserci qualcosa…» mormorò tra sé e sé, riguardandosi attorno mentre velocemente fece scaturire delle fiamme dalla mano destra, sciogliendo la serratura. L’utilità di Mera Mera gli riservava varie alternative d’utilizzo.
 
Il giovane capitano entrò cautamente, socchiudendo la porta alle proprie spalle e facendosi luce con le proprie fiamme. Una stanza piuttosto grande gli si presentò davanti agli occhi, era veramente immensa. Alla sua sinistra vi era una parete interamente ricolma di libri e scartoffie varie, mentre davanti a sé infondo alla stanza, una sconfinata collezione d’armi da poter essere paragonata ad un arsenale. Ace si diede una scrollata, ora avrebbe dovuto esaminare tutto il più velocemente possibile.
 
Sulla parte trovò delle lanterne, che prontamente accese per liberare la mano destra dalle proprie fiamme. Accorse verso le scartoffie, scostandole in massa e sfogliandole velocemente. Atti di proprietà varie, mille miliardi di nomi di gente mai udita: daimyo qua e daimyo là, tassazioni varie, allevamenti e tenute ecc; un’infinità di cose irrilevanti.
Corse dall’altra parte della libreria tra dei grandi manoscritti, passandone uno ad uno alla velocità della luce, finché non fu catturato da un brossurato chiamato “SMILE”. Fin da subito questo nome lo incuriosì parecchio, in primis perché scritto con caratteri linguistici comuni del nuovo mondo, e che per il contesto nella quale si trovavano erano totalmente fuori luogo. Doveva esserci lo zampino di Kaido. Ace prese il volume, poggiandolo a terrà ed accovacciandosi su sé stesso per iniziare a sfogliarlo iniziando a leggerne spezzoni delle prime pagine.
 
“I frutti SMILE sono stati inventati negli ultimi quattro anni dal brillante scienziato e criminale Caesar Clown, sviluppando un metodo per creare Frutti del diavolo di tipo Zoan artificiali con una speciale sostanza chimica da lui stesso creata, nota come SAD. Caesar, lavorò sotto la bandiera di Donquixote Doflamingo” […]
 
“Kaido monopolizzò il commercio degli SMILE nel tentativo di comandare l'equipaggio di pirati più forte del mondo intero, composto interamente da possessori di Frutti del Diavolo. Kaido li diede da mangiare ai membri del suo equipaggio per trasformarli in Gifters, accumulando un esercito di oltre 500 super dotati” […]
 
Ace rimase spiazzato, quello che stava leggendo erano più di un paio di informazioni rubate ad una bancarella di Udon nella Capitale dei Fiori. Quello era la spiegazione del perché Kaido fosse intoccabile. Ma tutto questo dove lo collegava a Wano e con Orochi? Le domande iniziarono a farsi più forti nella testa di Ace, il quale cercò di restare concentrato e approfondire ulteriormente la lettura. Questo libro l’avrebbe successivamente portato con sé nel Nuovo Mondo.
 
“I Pirati di Kaido che mangiarono gli SMILE difettosi vennero costretti a essere sempre felici, diventando i “Pleasures”. Successivamente si è scoperto che gli SMILE difettosi conservano i loro inconvenienti anche dopo essere stati parzialmente mangiati, a differenza dei veri Frutti del Diavolo.
Prendendo atto di ciò, lo Shogun Kurozumi Orochi, prese i frutti difettosi avanzati e li mise insieme agli avanzi che vennero dati ai cittadini poveri. L'obiettivo di Orochi era quello di costringere le vittime del suo regno crudele a esprimere una gioia costante, con l'intenzione di mantenere un volto di felicità in tutto il paese, sopprimendo l’insurrezione popolare.” […]
 
“Quando una vittima mangia un SMILE, è per sempre incapace di esprimere qualsiasi emozione diversa dalla gioia costante, anche in una situazione in cui normalmente esprimerebbe tristezza, paura o rabbia.” […]
 
Dopo aver letto tutto ciò Ace chiuse il libro. La rabbia gli ribolliva nelle vene peggio del magma al centro della terra. Si sentì il sangue al cervello, come se lo avessero appeso a testa in giù per svariato tempo. Il paese di Wano stava sopportando una delle ingiustizie più grandi avesse mai sentito; avevano perso il diritto di poter piangere.
 
Il corvino prese subito in mano il proprio Lumacofono pronto per chiamare Marco, quando sentì un forte rumore in lontananza e dei passi sempre più repentini. Spense rapidamente le torce accanto a sé, mise il passamontagna e si nascose in un angolo buio.
 
«La porta è aperta!» si sentì urlare al di fuori della stanza ed il corvino capì subito di trovarsi in svantaggio numerico. Troppo movimento là fuori. Rimase immobile, cercando di mimetizzarsi il più possibile e temporeggiare per la fuga. Una volta uscito da lì si sarebbe ritrovato accerchiato.
La porta massiccia venne aperta, pesante e cigolante, con un suono distintivo. Le guardie iniziarono ad avanzare, un gruppetto da cinque di cui uno andò ad accendere la prima torcia accanto a loro. Un’ombra rapida si spostò. «È qui! Preparatevi, chiamate i ninja!» urlò uno di questi, irrompendo con ulteriori uomini nella grande stanza. Un’altra torcia si accese, una seconda ed una terza.
Non aveva più angoli bui. Ace scattò verso di loro, libro sottobraccio, si diresse verso il portone cercando una via di fuga. Chiudersi lì dentro lo avrebbe messo in difficoltà. Attraversò la porta senza troppe complicazioni, schivando qualche katana che si librava nell’aria approdando nel cortile interno. Fece giusto in tempo a fermare il corpo, quando un kunai gli sfiorò lo zigomo tagliando il passamontagna. Si voltò rapido come un giaguaro, rendendosi conto di essere circondato da una decina di ninja esperti. Un gruppo d’élite sotto controllo dello Shogun.
 
«Fermati ladro!» gli urlarono, caricandolo con una formazione d’assalto.
 
Ace schivò nuovamente i colpi: katane, shuriken e fendenti vari, il tutto cercando di non opporre troppe resistenze e soprattutto senza utilizzare le proprie specialità. Il Lumacofono prese a suonare, distraendo il corvino che incassò un paio di colpi ferendosi a una gamba ed un braccio, facendolo volare tra la vegetazione con un calcio in pieno sterno.
 
«Dannazione…» brontolò toccandosi la gamba ferita, rendendosi conto di star sanguinando. Nulla di troppo grave, ma era pur sempre una ferita.
 
Gli si scagliarono nuovamente addosso, quattro contro uno a mani nude, non era certo un combattimento equo. Schivò e parò nuovamente, quando sentì un fischio assordante che lo destabilizzò rendendosi conto al primo colpo, che una pioggia di aghi lo stava coinvolgendo. Riuscì a scamparne la maggior parte, ma dovette utilizzare Mera Mera per non aggravare la situazione. Saltò sul tetto prendendo a correre velocemente, gli stavano con il fiato sul collo e quel Lumacofono non gli dava tregua.
 
«Sono impegnato, merda!» esclamò Ace in preda all’affanno dovuto al continuo correre e schivare i molteplici attacchi sincronizzati. Fanculo a quei ninja. «Ace che sta succedendo?! Dove sei?» esclamò Izo, parlando con un tono moderato. Probabilmente si era allontanato dalla festa per poter comunicare con loro. «Mi hanno scoperto! Ho un gruppo di ninja alle costole e non sto riuscendo a seminarli! Voi?» spiegò Ace, tra un salto e un volteggio lungo i tetti del Palazzo.
 
«Qui è scoppiato un casino! Non ho capito bene cosa sia successo, ma Kyoshiro se n’è andato molto agguerrito con la sua cerchia stretta, e lo Shogun si è trasformato in un animale mitologico. Le nostre informazioni erano giuste!» spiegò Izo abbastanza allarmato non sapendo bene cose stesse succedendo. «Oi Ace vattene subito da lì, ti raggiungo!» esclamò in risposta Marco, erano tutti e tre in collegamento. «No Marco! Dobbiamo dividerci, andiamocene. Ace…ho idea ci sia la mano di Kyoshiro dietro al tuo inseguimento, vedi di nasconderti. E non farti ammazzare!» continuò Izo, la voce notevolmente preoccupata. Se li avessero scoperti, tutto il loro lavoro sarebbe stato vano, per non parlare della delusione che avrebbero recato a Barbabianca.
 
Ace non fece nemmeno in tempo a mettere giù la chiamata, che riconobbe dietro di sé la voce del malavitoso dai capelli color indaco. L’adrenalina divampò istantaneamente, quell’uomo non era un facile avversario e lo si percepiva semplicemente dall’aurea che emanava. Doveva sparire prima di essere scoperto. Riuscì a scappare dal Palazzo, infilandosi nei vicoli della Capitale dei Fiori.
Era notte e, a suo sfavore, le vie erano piuttosto silenziose. Doveva trovare un nascondiglio al più presto, ma soprattutto uno veramente sicuro. La propria testa viaggiò rapidamente, cercando di creare una mappa mentale sicura, ma nulla. Solo un posto continuava a palesarsi nella sua immaginazione, la Casa del Piacere. Prese a correre nella direzione opposta rispetto a dov’era, destrandosi tra i vari vicoli che si diramavano lungo la via principale, in modo da depistare il più possibile i suoi inseguitori. Cambiò svariate strade incespicando qua e là negli ostacoli imprevisti: carretti, spazzature, vicoli chiusi. Non conoscere la città era una seccatura. Corse allo stremo fino a saltare sulla muraglia e gettarsi ferocemente nel cortile privato della sua informatrice.
 
«Ayame!» la chiamò con fiato corto e la voce allarmata, non aveva tempo da perdere, ma allo stesso tempo non voleva spaventarla arrivando così. Si rialzò correndo verso la porta scorrevole aprendola rapidamente, sfilandosi il passamontagna dalla testa. La camera era vuota, profumata più del solito.
 
 «Ace?» domandò la giovane Oiran andandogli incontro scioccata da quell’ingresso inaspettato, ma soprattutto nel vederlo così. «Che è successo? Sei ferito!» esclamò prendendogli il viso umido e sporco di sangue tra le mani. Quel tocco così fresco e delicato, un sollievo.
«Sto bene, devo nascondermi. Kyoshiro mi sta cercando.» spiegò rapidamente Ace, svincolandosi da quel dolce tocco sul proprio viso, iniziando a camminare per la stanza puntando alla cabina armadio della ragazza. «No, fermati! Kyoshiro conosce bene la mia stanza e di conseguenza pure i punti per nascondersi.» rispose allarmata Ayame afferrando Ace per un braccio, rendendosi conto che stava sanguinando anche da lì. Non sembravano ferite gravi, ma erano pure sempre delle ferite. Avevano altro a cui pensare in questo momento. Lei stava lavorando, doveva accogliere dei nuovi clienti e Kyoshiro-sama sarebbe arrivato lì da un momento all’altro.
 
«Vieni ho un’idea…se mi reggerai il gioco andrà bene, ok? Ti fidi di me?» domandò senza esitazione Ayame, portando Ace al centro della stanza, spargendo in giro per essa petali di ciliegio e diffondendo nell’aria dell’ulteriore unguento profumato. Bisognava coprire l’odore del sangue e del sudore. Non erano comuni nella stanza di una delle donne più famose di Wano.
«Non sarei venuto qui in caso contrario, non credi?» mormorò Ace a fiato corto, osservando i movimenti della giovane senza comprenderne esattamente il motivo.
 
«Perfetto! Ora nasconditi sotto al mio kimono, non mi muoverò dal centro della stanza. Kyoshiro-sama è abituato a vedermi in questo modo quando sto lavorando, quindi, basterà che tu stia stretto alle mie gambe ed immobile. Al resto penso io, d’accordo?» spiegò Ayame tirando un sospiro per caricarsi e calarsi nella parte. Era pur sempre il suo lavoro.
 
Ace la guardò perplesso, non aveva tempo per pensare a qualcos’altro, soprattutto poiché iniziò a sentirsi parecchio trambusto provenire in lontananza. Ayame sollevò il suo immenso kimono, composto da molteplici strati di seta più o meno pesanti e dai colori sgargianti. Era molto voluminoso, più di quello che Ace stesso le aveva visto indossare la prima volta.
La pelle rosea a liscia si mostrò agli occhi del corvino, che come ordinato abbracciò senza troppe esitazioni le sue gambe, posando il viso alle cosce minute. Una situazione parecchio strana.
 
«Gli uomini della Capitale pagherebbero per essere al tuo posto!» sdrammatizzò la Oiran ridendo divertita, mentre nascondeva adeguatamente il ragazzo sotto le proprie vesti. Sistemò le stoffe, si toccò i capelli accuratamente acconciati e si calò nella parte d’attrice, quando la porta scarlatta venne spalancata brutalmente. Ayame percepì il tocco di Ace farsi più stretto, facendola sussultare leggermente imbarazzata. Da quando quello straniero arrivò, tutto si fece assurdo.
 
«Kyoshiro-sama?» lo chiamò con fare estremamente posato e sensuale, fingendosi sorpresa di vedere l’uomo dai capelli color indaco fare irruzione nella propria camera privata.
«Sei da sola?» domandò Kyoshiro andandole incontro con a seguito un paio dei suoi uomini.
«Sì Kyoshiro-sama, avete bisogno della mia compagnia?» domandò nuovamente Ayame con uno sguardo ammiccante ed un tono di voce molto seducente, cui Ace non aveva mai udito. Lo percepì sfiorarle nuovamente le gambe. Il respiro caldo sulla pelle la fece rabbrividire sotto le stoffe.
«Non ora…» mormorò il malavitoso continuando a perlustrare la stanza e muovendosi attorno a lei con fare investigativo. «Kyoshiro-sama… è successo qualcosa?» domandò fingendosi preoccupata dal comportamento del padrone, guardandolo con sguardo ammaliante standosene imbellettata al centro della stanza dall’alto dei suoi geta.
 
L’uomo le dedicò un’occhiata, squadrandola in tutta la sua interezza, avvicinandosi a lei con un sorrisetto sghembo sulle labbra. Lo sguardo affilato quanto un felino. Le arrivò ad un soffio dal naso, affondando in quegli occhi color zaffiro che lo sostennero incuriosita.
Kyoshiro le si avvicinò ad un orecchio flirtante, inspirando profondamente il profumo della sua cortigiana, mentre le proprie mani si saldarono una sulla mascella della giovane e l’altra sul suo fondoschiena. Possenti e decisamente sgraziate, quel fare rozzo e viscerale le dava il volta stomaco.
«Verrò a tenerti compagnia nei prossimi giorni… non essere impaziente, mia cara.» le mormorò presuntuosamente all’orecchio leccandoglielo, ritraendosi da lei poco dopo.
 
«Hai cambiato fragranza? Non mi piace, cambiala la prossima volta.» esordì Kyoshiro, facendosi botta e risposta da solo, congedandosi dalla stanza con un occhiolino malizioso.
 
Ayame rimase immobile, ancora trattenente il respiro da quando le si avvicinò così pericolosamente. Se l’avesse smossa di un solo millimetro li avrebbe scoperti. Attese un paio di minuti in più, finché dall’esterno non calò completamente il silenzio della notte.
Sospirò.
 
«Ace…» lo chiamò delicatamente sollevando i lembi del proprio kimono, scorgendo il corpo del ragazzo ancora rannicchiato ed aggrappato alle sue gambe.
«C’è mancato poco… che viscido schifoso.» borbottò Ace uscendo allo scoperto, coperto di sudore e sangue. Altro che nuova fragranza.
Il comandante di sollevò, mettendosi in piedi davanti alla sua salvatrice, guardandola amichevolmente. Era nuovamente truccata in modo molto vistoso, i capelli raccolti, quel profumo inebriante che gli dava alla testa. Storse appena le labbra come a scacciare un pensiero inopportuno.
 
«Grazie mille ancora… mi hai salvato.» mormorò sorridendole, allontanandosi dalla sua figura raffinata. Era ridotto ad un feticcio e non voleva recarle altri disturbi. «Scusa, me ne vado subito!» continuò sbrigativo dirigendosi verso la veranda, quando Ayame lo afferrò stretto per un polso. Il tocco delicato e sensuale d’un tratto divenne così determinato.
«Dove diavolo stai andando? Dobbiamo medicarti subito, stai sanguinando.» lo rimproverò seria con occhi preoccupati, guardandolo in continuazione da capo a piedi.
«Non ce n’è bisogno, hai già fatto fin troppo per me. Non voglio metterti nei casini Aya-» cercò di dissuaderla dimenandosi dalla sua morsa, venendo interrotto quando Ayame volontariamente fece cadere un grosso vaso di porcellana accanto a loro, frantumandolo sonoramente.
 
«Sayuri-chan, portami urgentemente dell’acqua bollente, bicarbonato e delle garze!» urlò autoritaria la giovane Oiran continuando a tenere stretto il ragazzo, che prese a guardarla stupito della sua reazione autoritaria. Allora nascondeva un gran carattere sotto quella figura esile e delicata. «Kitsune-sama ha bisogno?! Cos’è stato? Sto entrando…» una voce immatura rispose urlante al di là della porta scarlatta, probabilmente in preda al panico.
«NO!» replicò Ayame. «Ho urtato un vaso e mi sono tagliata con i cocci, niente di preoccupante. Lascia le cose che ti ho chiesto davanti alla porta e congedati nell’altro atrio finché non sarò pronta.» continuò autoritaria, mollando la morsa dal polso del corvino.
 
«Peccato…era un bel vaso.» mormorò Ace cercando di trattenere una risata per non rovinare il momento autoritario, portandosi una mano sul braccio ferito. Fortunatamente non era grave, ma il tatami candido stava iniziando a diventare maculato sotto al proprio corpo.
«Stupido…» lo rimproverò nuovamente, quando sentì bussare alla porta capendo che la propria Maiko aveva ultimato il suo lavoro.
Liberò i piedi dagli altissimi zori, abbassandosi davanti ad Ace di almeno quindici centimetri, correndo successivamente verso la porta trascinando con sé i diversi strati dell’immenso kimono. Era pesante, scomodo per tutto questo. Raccolse il necessario dal corridoio, richiudendo dietro di sé la porta massiccia e raggiungendolo al centro della stanza. Posò il tutto ai loro piedi e quando riguardò Ace negli occhi notò in lui qualcosa di strano.
 
«Ace guardami!» lo chiamò prendendogli il viso tra le mani. Era sudato e caldo, particolarmente caldo. Gli strinse lievemente la mascella tra le mani, notando che lo sguardo del ragazzo era assente e le pupille sembravano disperdersi nel vuoto. Stava per collassare.
«Ehi ascoltami…c’erano dei ninja tra i tuoi inseguitori? Ti hanno ferito?!» iniziò velocemente a domandargli, notando il suo corpo massiccio perdere consistenza ed accasciarsi sempre di più su sé stesso. «Uhm…un…pa-io…» sbiasciò non lucidamente, finché non si accasciò del tutto sulla ragazza facendoli finire entrambi a terra. Fortunatamente la giovane riuscì ad evitare di farlo cadere di faccia.
 
Ayame sospirò rimboccandosi le ampie maniche ingombranti, sdraiando delicatamente Ace su un fianco per farlo respirare meglio, correndo poi dall’altra parte della stanza frugando tra una serie di portagioie. La cosa positiva di essere proprietà di Kyoshiro-san, era conoscere tutte le sue pedine e gli schemi di gioco. L’aveva istruita al fine di potergli essere utile in momenti fatidici, facendole conoscere medicinali, veleni e di conseguenza antidoti vari. Diciamo che oltre ad essere una donna di compagnia, era anche un medico omeopata.
Afferrò una boccetta e una coppa da sakè, correndo accanto al comandante cercando di farlo riprendere giusto il tempo necessario per fargli deglutire l’antidoto. Ci sarebbero volute un paio di ore prima che si riprendesse, facendolo sfebbrare ed espellere tutte le tossine dal corpo.
 
«Kitsune-sama… il cliente è arrivato» la informò la giovane Maiko, da dietro la porta.
 
«Fallo accomodare nell’altra stanza, qui c’è troppo casino. Cinque minuti e ci sono, grazie.» rispose pacatamente Ayame, mentre nel frattempo prese a disinfettare le zone sanguinanti del ragazzo.
 
Passò amorevolmente le garze pulite sul braccio, la coscia e il viso di Ace, il quale inconsciamente sembrò sorriderle. Lo fasciò ed una volta terminato andò a prendere il proprio futon, adagiando il corpo rilassato sul morbido cotone. Gli mise un panno fresco sulla fronte, accarezzandogli il viso. Avesse potuto avrebbe passato la nottata così, accudendolo, ma purtroppo doveva tornare ad adempire ai propri doveri che l’avrebbero occupata durante la notte.
 
«Riposati... ci vediamo dopo, sciocco straniero…» lo canzonò sottovoce, congedandosi dalla propria stanza e richiudendo la porta dietro di sé. Era al sicuro, nessuno avrebbe disturbato il suo riposo.
 
Passarono delle ore quando Ayame tornò nella propria stanza. Ace era esattamente dove l’aveva lasciato, avvolto nel cotone del futon. Si assicurò che stesse dormendo, e velocemente proseguì verso il proprio bagno per lavarsi di dosso tutto ciò che non le apparteneva. Si deterse accuratamente, vestendosi di uno yukata corto dai toni candidi e delicati. I lunghi capelli acconciati in una morbida treccia adagiata sulla spalla, il viso fresco libero da ogni traccia di trucco e la pelle profumata da fragranze delicate.
 
Raggiunse il corvino dormiente, inginocchiandosi accanto a lui, rendendosi conto che l’antidoto aveva iniziato ad avere effetto lasciandolo in un bagno di sudore. Prontamente Ayame iniziò a svestirlo delicatamente, scoprendone la parte superiore del corpo.
Con un panno bagnato prese a ad accarezzargli la pelle, lavandone il sudore e lasciandogli una scia dal profumo delicato. Percorse ogni centimetro di essa, bagnandola e massaggiandola con discrezione e fare apprensivo, stando piuttosto attenta sui punti di bendaggio. Notò così il tatuaggio sul braccio sinistro “ASCE”, a cui passò attentamente il panno quasi avendo paura di lavarlo via. Sicuramente, una volta che Ace si sarebbe riassestato gli avrebbe chiedo di più a riguardo.
Era da sempre molto curiosa, soprattutto su ciò che lo riguardava e man a mano stava scoprendo molte cose sul suo conto, spingendola ad interessarsi ulteriormente.
 
Raggiunse il petto sodo e mascolino, seguendone l’andatura dei muscoli sino al basso ventre; gli addominali scolpiti e la parte pelvica ben delineata. Ammirò il suo corpo rilassato, cercando di scorgerne più particolari possibili. Non era il primo uomo dal fisico prestante che accarezzava, bisognava ammettere che anche Kyoshiro-sama, malgrado l’età più adulta, sotto i suoi canonici indumenti nascondeva un corpo statuario quanto quello di Ace.
La giovane Oiran se ne stava seduta sulle ginocchia, le cosce lievemente coperte sotto l’intrigante seta, dedicandosi completamente alle sue attenzioni. Spostò nuovamente il corpo statuario sistemandolo sul fianco per poterne detergere la schiena, restando sorpresa di quel disegno enorme sulla sua pelle bronzea. L’accarezzò appena con la punta delle dita, lasciandole scorrere leggere e sensuali lungo la spina dorsale del corvino.
 
«Cosa stai facendo?» bisbigliò con un filo di voce Ace, stando immobile nella posizione in cui l’aveva messo. Ayame riprese il panno umido, passandoglielo con disinvoltura sulla pelle.
«Ti sto lavando…l’antidoto ha fatto effetto.» gli rispose con lo stesso tono ovattato. Parlavano a bassa voce, quasi come se stessero raccontando un segreto inudibile. Le voci calde e bisbiglianti.
«Perché lo fai? Non mi è dovuto.» continuò Ace, cercando di riacquistare la sua virilità accantonata dalla situazione di infortunio. «Dormi sciocco straniero.» lo ammonì la giovane dai capelli color pesca, finendo di lavarlo. Vi fu un momento di silenzio tra i due, finché Ace non si voltò leggermente per guardarla, senza lasciare la posizione per paura di essere rimproverato nuovamente.
 
Le doveva molto. Da quando erano approdati nel Paese di Wa, lei si era rivelata una buona informatrice, una compagnia piacevole e perché no, un’amica. Non sapeva nemmeno lui perché, ma quella figura delicata fin dal primo incontro l’aveva messo a suo agio. Lo capiva, lo ascoltava e soprattutto non l’aveva mai giudicato, nonostante le proprie azioni sconsiderate e il suo essere uno straniero.
 
«Ayame… grazie.» mormorò Ace abbozzando un sorriso stanco sul volto ancora pallido.
«Per cosa esattamente?» gli domandò, prendendo delicatamente il corpo del ragazzo e riadagiandolo sulla schiena una volta finito. Ripose il panno nella ceramica ripiena d’acqua e la spostò un po’ più lontana da loro. Il comandante la guardò, notando il suo aspetto pulito e semplice rispetto a quando era accorso nella sua stanza in cerca di riparo. Gli piaceva il suo viso naturale, roseo e armonico. Gli occhi profondi riuscivano a brillare anche nel buio della notte, per non parlare di quelle labbra che avrebbe voluto assaporare, ora più che mai.
«Per tutto quello che stai facendo per me.» ammise Ace.
«Lo sto facendo per me, non per te.» rispose con voce ferma, affilando lo sguardo con fare superiore cercando di non dare molto peso a quello stava sentendo, certa che fosse la febbre a parlare. «Uhm… beh, allora grazie di non essere un mio nemico.» continuò Ace, sorridendole dolcemente. Quel sorriso caldo e coinvolgente era ogni volta un’arma letale.
«Sciocco…» brontolò Ayame dandogli un colpetto sulla spalla sorridendogli.
Era innegabile si fosse affezionata a lui e che per lui provasse una qualsiasi sorta di emozione o simpatia. Nessuno avrebbe rischiato così inutilmente la vita per uno sconosciuto.
 
Ace sospirò appena, chiudendo gli occhi e portandosi il braccio destro sotto la testa.
A torso nudo completamente inerme e rilassato, sotto lo sguardo apprensivo della giovane.
«Quello sulla schiena è il simbolo della ciurma a cui appartengo…il Jolly Roger di Barbabianca» spiegò Ace, sapendo che la ragazza precedentemente ne fosse rimasta sorpresa. D’altronde non tutti si aspettando di trovare un tatuaggio così grande su un corpo, soprattutto non sapendo nemmeno se fosse usanza di questo paese o se fosse solo una tradizione comune nel Nuovo Mondo.
 
«Smettila di parlare…» lo ammonì nuovamente Ayame sedendosi comodamente accanto a lui. Meno impostata e più naturale. Continuò a guardarlo, scostandogli ciuffi ribelli dal viso accarezzandoglielo delicatamente. Gli zigomi lentigginosi, le labbra morbide e gli occhi rilassati persi a guardarla. «Dormi con me?» riprese a parlare Ace con un tono estremamente dolce, amorevole. «No.» obbiettò lanciandogli un’occhiataccia pizzicandogli una guancia.
«Dai, solo stanotte...» continuò supplicandola con occhi languidi ed un sorrisetto sulle labbra, il volto ancora stanco dalla situazione passata, ma decisamente migliorato rispetto alle ore prima. Ayame lo guardò in silenzio, scostando lo sguardo sulle prime luci dell’alba che iniziava a tingere il cielo di un viola caldo. Tornò su di lui, nonostante tutto era così bello.
Ace sciolse il braccio da sotto la testa, distendendolo accanto a sé invitandola ad adagiarsi su di esso. Rimase in silenzio aspettando, quando la giovane si sciolse la treccia color pesca e decise di assecondarlo sdraiandosi accanto a lui.
 
«Non farti strane idee.» lo canzonò guardandolo sdraiata su un fianco, poco prima di essere trascinata da lui verso di sé. Il viso sul petto scolpito e profumato, la mano sinistra del corvino immersa nei suoi setosi capelli morbidi, accarezzandoli dolcemente quasi come fosse una ninnananna.
 
Ayame rimase sorpresa dal gesto fin troppo amorevole, lasciandosi questa volta lei stessa cullare dalle attenzioni di Ace. Era caldo, emanava un tempore gradevole, invadente. Il suo petto marmoreo la sosteneva con fermezza, ondeggiando a ritmo del proprio respiro.
Era così piacevole che socchiuse gli occhi. Il suo unico pensiero era su quelle dita che le pettinavano i capelli. Il proprio corpo cominciò rilassarsi ed abbandonarsi alla stanchezza generale, insieme al respiro di Ace che si faceva sempre più profondo. Si strinse a lui, avvolgendogli la gamba destra con la propria, intrappolandolo in una morsa profumata. Si addormentarono insieme, corpo contro corpo, nel piacevole tepore di Mera Mera.
  
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