Anime & Manga > Candy Candy
Segui la storia  |       
Autore: moira78    31/10/2021    3 recensioni
Un piccolo castello nascosto nei boschi di Lakewood. Una storia che affonda le sue radici in un lontano passato. E un sopralluogo che porterà Candy e gli altri a confrontarsi con eventi soprannaturali. Una mini-fic di Halloween dove tutto può accadere...
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La torcia rotta giaceva di certo ai suoi piedi, ma Albert non ne aveva più bisogno.

Nella sala da ballo c'erano lampadari di cristallo che illuminavano le coppie intente in un valzer che non aveva mai sentito. Sbatté le palpebre, certo di avere le allucinazioni: forse aveva battuto la testa e ora stava sognando. Sì, doveva essere così.

Come spiegare, altrimenti, la visione di quei volti privi di lineamenti

come fantasmi

che si muovevano quasi senza fare rumore?

E come spiegare la musica incalzante senza la presenza di un'orchestra?

Ma, soprattutto, come accettare la vista dei suoi genitori che danzavano come fossero ancora vivi?

Aveva ricordi lontani ma indelebili del padre perché era vissuto fino ai suoi otto anni. Ma non aveva conosciuto sua madre se non attraverso i dipinti, perché era morta poco dopo averlo dato alla luce. E ora eccoli là, le uniche due figure che riusciva a distinguere in quel ballo bizzarro, allacciati mentre si guardavano negli occhi con qualcosa che sfiorava l'adorazione.

Così simili a lui e Candy quando avevano ballato insieme.

William C. Ardlay indossava un completo scuro, un cilindro nero a coprirgli il capo, ma senza nascondere i capelli biondi che gli adornavano le guance in due lunghe basette. Sua madre Priscilla, invece, aveva un ampio abito color champagne che ondeggiava a ogni movimento. I capelli, trattenuti da un semplice fermaglio dorato, sembravano risplendere come fili d'oro; poté notare la mano guantata di suo padre indugiare in una breve carezza, intrecciandosi su una ciocca dietro la schiena.

"Sei bellissima, mia cara. La gravidanza ti rende ancora più deliziosa". Il suono della voce che non udiva da più di vent'anni gli fece salire le lacrime agli occhi.

Ma fu quando sentì finalmente la voce di sua madre che Albert fu sopraffatto dalla commozione.

"Tu mi aduli, William... non sono certo leggiadra come durante il nostro ultimo ballo".

Un violino finemente accordato, il canto di un colibrì, il suono fresco di una cascata di ruscello... non aveva paragoni migliori per definire la voce della donna che gli aveva dato la vita sacrificando la propria.

"Madre... padre...", mormorò in un singhiozzo, desiderando che il sogno o l'allucinazione durasse il più possibile. Dall'età giovane dei due poté dire che il leggero rigonfiamento che spuntava sul ventre di Priscilla Ardlay riguardasse sua sorella e non lui.

La musica cessò e i genitori si volsero a guardarlo nel medesimo istante: cosa gli avrebbero detto? Gli avrebbero parlato? E lui poteva conversare con loro come fossero vivi?

Forse sono morto io e questo è il Paradiso...

"Non piangere, figlio mio", mormorò sua madre avvicinandosi e allungando una mano per asciugargli le lacrime che gli scendevano sul viso.

La mano era calda, tangibile, ma quando alzò la propria per toccarla lei la ritrasse. Suo padre gli stava sorridendo.

"Sei cresciuto molto, figliolo. Ormai sei tu il capofamiglia e puoi prendere le decisioni al posto di tua zia Elroy", dichiarò con il tono deciso che non aveva dimenticato.

Albert si passò un braccio sugli occhi, cercando di ricomporsi: "Cosa sta succedendo?", chiese cercando di restituire loro il sorriso, riempiendosi gli occhi della loro immagine.
I due si guardarono con aria complice, come se stessero avendo una muta conversazione.

"Vogliamo solo che tu sia felice, tesoro", disse la donna volgendo su di lui le iridi identiche alle proprie.

E finalmente riuscì ad afferrarla, la mano di sua madre, portandola alle labbra per darle un bacio struggente. Un bacio che conteneva tutti quelli che non aveva mai potuto darle. E gli abbracci, e i sorrisi e l'affetto che non aveva avuto modo di esprimerle.

Altre lacrime coprirono la pelle morbida che stringeva come se non volesse più lasciarla andare e fu d'impulso che le disse, con voce rotta: "Ti prego, dopo Rosemary non cercare di avere altri figli. Non morire a causa mia".

Quando riaprì le palpebre serrate, vide gli occhi pieni di dolore di lei brillare per il pianto: "Non ripetere mai più un'assurdità simile", disse con voce bassa e tremante.

"Tua madre ha ragione. Non dire sciocchezze, William Albert!". Il tono duro del padre lo colpì ma gli fece anche comprendere che non c'era modo di tornare indietro.

Ma allora perché sono qui, davanti a me?

"Sii coraggioso come sei sempre stato, Albert. Il tuo destino si compirà solo se tu lo vorrai davvero". La voce ora sembrava provenire più da lontano e anche la luce sembrava più debole.

"Madre?", la richiamò allungando un braccio e incontrando solo il vuoto, passandole attraverso.

"Coraggio, Albert", intervenne William senior togliendosi il cilindro come se lo stesse salutando, iniziando a svanire anche lui.

"No, non andate!", disse Albert allarmato, facendo un passo verso di loro.

"Segui il tuo cuore", fu l'ultima frase che udì dalla voce mai ascoltata di Priscilla Ardlay, il palmo della mano sinistra poggiato per un breve istante all'altezza del suo petto.

Mamma, papà, tornate qui! Non lasciatemi di nuovo solo! Avrebbe voluto gridare il bambino che era dentro Albert e che aveva soppiantato l'uomo di fronte alla visione dei genitori defunti.

Ma fu solo un verso strozzato che gli uscì dalla gola mentre cadeva in ginocchio con le mani a terra, scosso da singhiozzi silenti e profondi. Tornò l'oscurità ma lui se ne rese conto a malapena, tentando di ricordarsi quando era stata l'ultima volta che aveva pianto così miseramente.

Fu la comparsa di un'altra luce, molto più fioca della precedente a farlo tornare se stesso, quasi fosse ridiventato di nuovo adulto.

Alzò il viso e vide quello che doveva essere il vero aspetto di quei sotterranei dove poco prima c'era una sala da ballo: pareti nude, con torce appese che emanavano una luce arancione e sinistra.

Quando sono arrivato qui era tutto buio, come è possibile?

Alzandosi in piedi con il corpo e il cuore intorpiditi dal dolore, Albert zoppicò verso quella sorta di cantina umida appena conscio delle stilettate che s'irradiavano lungo la gamba destra.

Un passo, due. Al terzo passo udì un lamento lontano, appena dietro a una pila di casse di legno marcio. Si appoggiò al muro: sembrava la voce di una donna e pareva davvero sofferente. Ma non credeva si trattasse di sua madre.

"Dov'è, cosa le avete fatto?!", tuonò un uomo dalla parte opposta, dove intravide delle scale in pietra.

I suoi passi veloci erano pervasi dall'eco ma Albert fu comunque sorpreso quando si ritrovò d'improvviso faccia a faccia con il volto stravolto di un ragazzo che di certo era più giovane di lui.

Ma non fu questo a farlo inorridire.

Il suo capo, deformato in modo orribile, sanguinava e da un lato della testa poté vedere quella che senza ombra di dubbio era materia cerebrale. Gli occhi, blu come la notte, sembravano lampeggiare d'ira e la bocca si spalancò gridando: "Dov'è la mia Sophia?!".

Fu più di quanto Albert potesse sopportare.

Rivedere i suoi genitori era stato strano ma liberatorio. Ma trovarsi al cospetto di uno spettro infuriato e mutilato spezzò le ultime fila della ragione e si precipitò semplicemente lontano da lì, ripercorrendo il corridoio appena attraversato col respiro pesante.

E zoppicando nel buio pesto che lo accompagnò finché crollò addosso a qualcuno che stava gridando.
 
- §-
 
"Candy? Sei tu? Mi dispiace! Ti sei fatta male?".

Questa voce...

Era Albert che le era praticamente caduto addosso, avvolgendole un braccio dietro la schiena all'ultimo istante per attutire l'impatto? La sua torcia era caduta e rotolata in un angolo lontano ma il fascio di luce, seppure debole, le fece distinguere i capelli biondi dell'uomo mentre si rialzava aiutandola a mettersi seduta.

Candy lo avrebbe riconosciuto lo stesso, perché la solidità del suo torace e il profumo che le ricordava la legna appena tagliata erano i medesimi di ognuno dei loro abbracci.
"Sto bene", mormorò un po' in imbarazzo.

"Sicura? Mi sembrava...".

"Sto bene, davvero, non preoccuparti", lo tranquillizzò.

 Albert si mosse per raggiungere la torcia poco distante da loro, allungando un braccio e poggiando la schiena al muro. Lei lo imitò.

"Come hai fatto a finire quaggiù?", chiesero a una voce, scoppiando a ridere subito dopo.

Albert fece un cenno con una mano, invitandola a cominciare: "Ti stavo venendo a cercare, perché Georges è uscito fuori dicendo che non ti trovava più da nessuna parte. Io e Annie siamo venute nella zona delle torri e abbiamo scoperto il passaggio segreto. Subito dopo il pavimento si è aperto e... ma credo sia la stessa cosa che è accaduta a te", disse guardandolo e notando che aveva gli occhi un po' arrossati.

Che diamine gli è accaduto? Se non lo conoscessi direi che ha pianto...

Lui annuì, voltandosi di profilo: "Quando mi sono ritrovato quaggiù ho pensato che dovevo trovare un'altra via d'uscita, così mi sono incamminato per il corridoio". Aggrottò le sopracciglia, facendo ondeggiare il pomo d'Adamo come se stesse deglutendo, indeciso su come continuare.

Candy si sporse un poco per guardarlo: "E...? Sembravi inseguito da tutti i diavoli dell'Inferno, scusa se te lo dico". Rise un poco, sperando di sciogliere un po' di quell'anomala tensione che vedeva in lui.

Albert si volse ancora, mostrandole i suoi occhi limpidi e mozzandole il fiato: le parve di nuovo il ragazzo smemorato che occupava la stanza numero zero del Santa Joanna.
"Niente, non c'è niente di là. Solo topi. Ma la mia torcia si è rotta e voglio controllare se per caso... magari ci sono davvero delle scale...". La sua voce risuonava incerta e lei sbatté le palpebre, sicura che le stesse in parte mentendo.

"Stavi fuggendo dai topi, Albert? Perdonami, ma fatico a crederlo...", lo apostrofò alzando un sopracciglio.

"Non stavo fuggendo", rispose sembrando quasi urtato da quell'affermazione. Si chinò un poco e tentò di togliersi uno degli stivali con una smorfia di dolore. "Accidenti!".

Solo allora, nell'oscurità appena rischiarata dalla torcia posta in mezzo a loro, Candy notò il suo viso sofferente mentre si toccava la caviglia.

"Ti sei fatto male? Fammi vedere!", disse con tono urgente, mentre l'infermiera che era in lei prendeva il sopravvento.

"Credo di aver preso una storta quando sono caduto qui, nulla di grave", rispose cercando di nuovo di togliere lo stivale.

"Ti aiuto", dichiarò decisa, inginocchiandosi di fronte a lui e afferrandolo per il piede. Fece scivolare una mano all'altezza del tallone e l'altra in punta.

"Non... c'è bisogno, faccio da solo", protestò lui.

"Andiamo, non fare il bambino, ti ricordo che ho una certa esperienza con gli stivali ribelli", ridacchiò facendogli l'occhiolino.

"Sì ma... abbiamo camminato a lungo e... insomma...". A Candy parve persino che arrossisse e le fece quasi tenerezza.

"Non importa, sono un'infermiera, non dimenticarlo!". E, detto ciò, tirò con tutte le sue forze mentre lui spingeva indietro la gamba con una smorfia. 

Ci vollero quattro tentativi prima che, finalmente, lo stivale le finisse in grembo e la caviglia gonfia di Albert fosse visibile già sotto al calzino.

Albert sembrava a disagio e dolorante ma parve fare di tutto per non darlo a vedere: "Dunque, signora infermiera, quanto è grave?", chiese.

Candy aggrottò le sopracciglia tastando la pelle gonfia e arrossata e, quando lui dichiarò di sentire un po' di dolore in risposta alla pressione, cominciò a riflettere.

"Non credo ci sia nulla di rotto...", cominciò.

"...se non il tavolo su cui sono precipitato". Bene, aveva voglia di scherzare: buon segno.

"... ma solo un medico potrà dirlo. E ci sarebbe bisogno di ghiaccio, ma qui a parte l'umidità e qualche vecchio mobile non ne troveremo di certo. Per cui...".

Rifletté velocemente e cercò nelle tasche: il suo fazzoletto era troppo piccolo, così chiese ad Albert se ne avesse uno anche lui. Strappò alcune strisce di stoffa da entrambi e cominciò a fasciare la caviglia per immobilizzarla, quindi gli fece indossare di nuovo la calza per avvolgerla ancora meglio.

"Grazie, Candy. Non meritavo tanta gentilezza dopo esserti rovinato addosso in quel modo", disse con un sorriso nella voce.

Lei lo fissò con attenzione. Forse il viso tirato e pallido poteva essere dovuto alla luce scarsa o magari al dolore che cercava di dissimulare. Ma il fatto che sembrasse davvero spaventato da qualcosa quando era spuntato da quel corridoio continuava a martellarle il cervello.

Albert non si era mai spaventato di nulla, aveva persino affrontato un leone come se stesse trattando con un gattino.

Quindi, cosa diamine aveva visto alla fine di quel corridoio che lo aveva fatto correre su una caviglia slogata?

Nonostante fosse terrorizzata dall'idea, Candy decise di metterlo alla prova. "Posso lasciarti al buio per un po'? Mi sembra che abbiamo una torcia sola", gli disse cominciando ad alzarsi in piedi.

"Dove vuoi andare?", le chiese con una nota di panico che non le sfuggì.

"Hai detto che laggiù forse ci sono delle scale. Voglio andare a controllare".

"No". Candy aveva appena fatto in tempo a finire la frase che lui era già in piedi, poggiando parzialmente la caviglia offesa, con un cipiglio deciso che aveva visto solo in poche occasioni.

"Albert, non possiamo rimanere qui!", ribatté evitando ancora il fulcro del problema.

"Certo che no, ma non ti lascerò andare lì da sola", dichiarò chinandosi per prendere la torcia e saggiando la sua stabilità con un paio di passi zoppicanti.

"Tu ci sei andato da solo e senza neanche una luce", gli ricordò Candy.

"Ce l'avevo la luce, mi è... caduta", spiegò passandosi una mano tra i capelli.

Lei sospirò, scuotendo la testa: "Albert, io ti conosco da tanto tempo e questo comportamento non è da te! Per favore, dimmi cosa c'era di così pericoloso laggiù da farti correre a quel modo".

Lui si congelò per un attimo con il capo chino da un lato, gli occhi socchiusi come se riflettesse, quindi disse piano: "Non stavo correndo, ma ti confesso che non vedevo l'ora di andarmene. Quando sono arrivato qui la caviglia mi faceva molto male e sono inciampato".

"Cosa hai visto, Albert?", riformulò la domanda con voce tremula, quasi temendo la risposta. Cominciava ad avere dei sospetti, vista la stranezza dei passaggi nei quali erano caduti, ma non voleva né poteva portarli a livello cosciente perché era troppo spaventoso.

Invece, lui si volse per guardarla negli occhi e disse esattamente ciò che temeva, con tono fermo e controllato, come se parlasse del tempo: "Ho visto un fantasma". Fece un risolino nervoso. "Anzi, a dire il vero ne ho visti almeno tre".

I sensi cominciarono a venirle meno e, stavolta, fu lei ad accasciarsi direttamente fra le braccia pronte del suo principe.
 
- §-
 
Con Candy tra le braccia, Albert sedette di nuovo e le sostenne la testa nell'incavo del destro.

Perché gliel'ho detto in quel modo?!

Scosse il capo, ripetendosi che se i sotterranei erano davvero infestati lo avrebbe comunque scoperto da sola.

Quello che non capiva era cosa ci facessero lì i suoi genitori assieme a quello che, ne era quasi certo, doveva essere Lord Scott Ardlay in persona.

Mentre realizzava quel pensiero, Albert si rese conto di quali ragionamenti assurdi stesse tentando di fare: lui, così pragmatico e realista, che si concedeva solo di sognare la natura e i viaggi intorno al mondo. E che non aveva mai creduto a nulla di più soprannaturale che non fosse il Dio che lo aveva ricondotto da Candy mentre era senza memoria, a miglia da Chicago.

Perlomeno fino a mezzora prima.

Per quanto fosse strano quel castello e drammatica la storia a esso legata, non aveva pensato per un solo istante che potessero esserci delle strane apparizioni.

Magari ho immaginato tutto...

Eppure, l'emozione che lo aveva pervaso vedendo i genitori era tangibile tutt'ora e lo riempiva, al contrario della seconda visione, di un gran senso di pace. Aveva anche ben capito il messaggio che volevano dargli, pur se sul momento era stato tanto commosso che era regredito di diversi anni e avrebbe voluto stare con loro ancora un po'.

Dando dei piccoli colpi alle guance di Candy, chiamandola con gentilezza per nome, Albert ritenne una fortuna che ad avere l'apparizione peggiore fosse stato lui e non la ragazza.

Per un istante rabbrividì, immaginando in quale barbaro modo avessero assassinato il poveretto per ridurlo... in quello stato. Subito dopo, gli balenò alla mente il proprio incidente avvenuto in Italia e rifletté che poteva andargli molto peggio.

La mia testa sarebbe potuta esplodere, invece ho solo perso la memoria.

Non andava bene, si disse mentre Candy emetteva un lieve lamento muovendosi tra le sue braccia. Era lì da poco più di un'ora e già faceva pensieri assurdi se non persino lugubri!

Certo, aveva pur visto degli spettri, ma non doveva perdere il filo, soprattutto perché lei aveva bisogno che fosse forte.

Candy aprì gli occhi e le sorrise, sperando che la luce sempre più fioca della torcia fosse sufficiente a rassicurarla.

Per un attimo, sotto al suo sguardo smarrito, ad Albert parve di nuovo la ragazzina che aveva salvato dalla cascata: "Ehi, non hai alcuna scusante per svenire di nuovo: non ho né barba né occhiali, adesso", scherzò riferendosi a quel loro primo incontro.

Ma lei non colse il lato divertente della cosa e gli si rannicchiò sul petto tremando come una foglia: "Di...dimmi che stavi scherzando!".

La strinse volentieri, sospirando: "Mi spiace, Candy, vorrei poterti dire che è così ma... no, non stavo scherzando. Potrei mai farlo su una cosa simile?".

Alzò su di lui il viso spaventato e pallido, le palpebre spalancate come se stesse vedendo a sua volta un fantasma: "Non potevano essere persone vere?", chiese come se volesse convincere se stessa.

Albert la prese con gentilezza per le spalle: "Candy, mi conosci: sai che non sono un tipo che si suggestiona con facilità. Ma, a meno che non siamo entrambi già all'altro mondo... mi spieghi come avrei potuto vedere i miei genitori?".

E un uomo che urlava nonostante avesse la testa sfondata. Ma quello lo avrebbe tenuto per sé.

Lei si portò una mano alla bocca con un ansito strozzato: "Hai... hai visto...?".

Annuì: "Sì, Candy, e ti assicuro che non sono impazzito, né ubriaco. Ho persino sentito la mano di mia madre che mi toccava. Sembrava così reale...". Chiuse gli occhi, perdendosi di nuovo in quell'emozione.

Lei non disse più nulla, ma lo abbracciò come se volesse dargli un muto conforto e gliene fu grato.

Albert sentì la solidità del corpo di Candy contro il proprio e pensò che il cuore gli sarebbe balzato dal petto: era certo che lei lo sentisse battere forte contro il viso. Di certo immaginava che fosse per aver rivisto i genitori e in parte era vero. Ma lui sapeva anche che una parte di sé adorava stringerla come se fosse quello il suo posto. Come fosse già sua.

Aprì la bocca, deciso a dare finalmente voce ai sentimenti che stavano davvero per traboccargli dall'anima, quando la torcia si spense, gettandoli nel buio.

Per lui non sarebbe stato un grosso problema dichiararsi nell'oscurità, anche se avrebbe voluto vedere il suo bel viso mentre parlava e soprattutto trovarsi all'aperto e non in uno scantinato, ma Candy sembrava di nuovo terrorizzata. Il suo corpo si tese e gli s'incollò di nuovo addosso tremando.

Non che gli dispiacesse.

"Stai tranquilla, adesso cerco la mia sacca e vediamo se trovo la pila di ricambio", le disse chinando il capo perché lo udisse meglio.

"Non... non mi lasciare", mormorò lei stringendosi di più.

Albert chiuse gli occhi, affondando il naso nei suoi capelli che profumavano di rose e pensò che sarebbe potuto rimanere così per sempre.

"Non ti lascerò mai, Candy. Non avere paura", le rispose in tono vibrante, imprimendovi tutte le frasi non dette.

La tenne contro di sé finché non smise di tremare e avanzò inginocchiato e a tastoni fino a dove c'era il tavolo rotto e quindi il sacco. Mosse le mani con cautela per non ferirsi con il legno marcio e finalmente toccò il tessuto teso.

"Lo hai trovato?", gli fece eco Candy da dietro.

"Sì, dovrei... eccola!". Toccò l'oggetto cilindrico in fondo alla sacca e lo tirò fuori. Prese anche la borsa e la portò con sé. Mentre tornava indietro batté la caviglia slogata su un angolo del tavolo e strinse i denti soffocando un'imprecazione.

Nel silenzio, lei dovette sentire il verso strozzato perché gli chiese subito cosa fosse accaduto.

"Nulla, nulla... sto arrivando, cerca di aprire la torcia". Dopo un paio di tentativi, la luce tornò a illuminare la stanza e li raggiunse il boato del vento.

"Come è possibile?", commentò Albert guardandosi attorno.

"Cosa?".

"Il rumore del vento... lo senti? Pare proprio che nessuno riesca a udire noi ma da qui possiamo ascoltare persino i rumori che provengono da fuori". Spostò il fascio di luce sul soffitto e poi davanti a loro, proiettando sul muro lunghe ombre che avevano qualcosa di spettrale a loro volta.

"Io non sentivo i rumori della natura nemmeno in giardino", disse Candy lentamente, annuendo piano. "E se ne sono accorti anche Annie e Archie. È come se tutto il castello fosse circondato da... non lo so, un'aura magica. E i fantasmi!". D'improvviso, parve ricordarsi di quel particolare macabro e gli si strinse di nuovo al braccio.

Potrei abituarmi a questo...

"Penso di averti sentita urlare il mio nome, prima che finissi quaggiù, sai?", confessò voltandosi a guardarla.

"Davvero?", fece lei in un sussurro, fissandolo con gli occhi spalancati come una bambina.

Annuì, stringendola più forte con un braccio e rimase per qualche istante così, riflettendo e guardando verso il corridoio, illuminandolo: "Candy, devo tornare di là ma sarai tu a dover rimanere al buio. Pensi di...".

"Andiamo insieme, oppure ci vado io. Tu hai una caviglia slogata", protestò subito come riprendendo coraggio.

"Sai benissimo che non mi fermerò per una storta e comunque posso camminare", rispose, cominciando ad alzarsi. "E poi potrebbero esserci... altre apparizioni".

Candy si alzò in piedi a sua volta: "Ci sarai tu, quindi non ho paura", disse risoluta riempiendolo di orgoglio, anche se non sapeva quanto stesse fingendo.

Albert rivide il capo pieno di sangue di Lord Scott che gli urlava a pochi pollici dal viso e tentò, senza successo, di dissuaderla, finché non fu costretto ad assecondarla.

Così, con Candy sottobraccio, si avviò zoppicando nel corridoio umido, sperando di ritrovare al massimo i suoi genitori volteggiare in un valzer di oltre trent'anni prima e non uomini selvaggiamente uccisi.

Ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato così.
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Candy Candy / Vai alla pagina dell'autore: moira78