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Autore: Urdi    02/09/2009    2 recensioni
Presumibilmente una raccolta, ma in realtà è una fic unica. Potete leggere ogni capitolo singolarmente, oppure tutti insieme a seconda anche dei personaggi che preferite (se la leggete tutta potrebbe sembrarvi un po' una telenovela in effetti, ma concedetemelo). Anyway la storia si basa principalmente sulle relazioni tra gli "adulti" (ma anche gli adolescenti non mancheranno!) di Naruto in un ipotetico Giappone moderno.
11^flash: KakashiYamato - E dai...
“Tenzo…” mormorò Kakashi tra un bacio e una carezza, cercando di mettersi seduto, ma l’altro gli premette una mano sul petto scoperto, tirando via con l’altra, di malo modo, un pezzo di camicia.
“Che c’è?”
“Dovremmo andar… - un attimo di pausa non appena avvertì la cintura sfilarsi dai passanti dei jeans - … Niente, chissenefrega!”

10^flash: KakaIta, ItaIno, KakaIno - Mercy Overdose [ Prima classificata al Kakashi and numbers contest indetto da Bravesoul]
9^flash: YamaAnko - Asistolia
8^flash: OroAnko - Vuoto e sangue (in polvere)
7^flash: KakaRin - Accetti o ignori? [Prima classificata al "Chat contest" indetto da Iaia]
6^flash: YamatoTayuya - Noia, io la tua ex la strozzerei
5^flash: ZetsuAnko – Fame rossa d’abbandono [Prima classificata allo ZetsuConest di NekoRika e Happyaku]
4^flash: KakaYama – Ricordi amari di liquori
3^flash: OroAnko – Spire [Seconda classificata e premio Miglior attinenza al tema al contest “Orochimaru’s Pairing” di Compagniescu]
2^flash: AsuKure - KakaKure - YamaAnko – KakaYama– Strage di San Valentino [Terza classificata e Premio Originalità alla 5^edizione del contest “2weeks” di Kurenai88]
1^flash: Yamato-Tayuya – Di noia, cotte ed altre sostanze [Prima classificata alla 4^ edizione del contest “2weeks” di Kurenai88]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Altri, Anko Mitarashi, Kakashi Hatake, Kurenai Yuhi | Coppie: Tenzo/Yamato
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di noia, cotte e altre sostanze'
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Di noia, cotte ed altre sostanze

Di Urd

8. Vuoto e sangue (in polvere)




Ma c'era un male in lei
Che non si cura mai
Nè coi baci nè con la cocaina sai
Senza lacrime senza regole
E' soltanto male in polvere



Era un rumore sordo quello che la seguiva per il corridoio. Sembrava rimbalzasse sulle pareti piegate dalla droga e sfocate dalle lacrime. 

Tu-tum
Tu-tum
Tu-tum

Anko, gli occhi sbavati dal rimmel e i lunghi capelli neri arruffati sulle spalle, si lasciò scivolare a terra. 
Il primo istinto era stato quello di fuggire via, ma ora che non aveva più davanti la scena, il mondo le appariva come una voragine terrificante ornata di denti affilati.

Tremante osservò le proprie mani sporche di sangue, chiedendosi di sfuggita dove fossero finiti i guanti di raso. 
Un conato di vomito si fece prepotentemente strada attraverso i suoi sensi e dovette piegarsi in avanti per lasciarlo uscire. Le sembrò di rimettere non solo la propria anima, ma anche le vite passate, la sua infanzia, tutto il dolore e il movente stesso dell’omicidio appena compiuto. 

Aveva ucciso colui che si era sempre preso cura di lei. 

Troppa cura…
L’aveva rapita che aveva solamente quattro anni e da allora aveva compiuto qualsiasi esperimento e abuso per i suoi farmaci e la sua perversione. E lei, non distinguendo bene e male, aveva sempre subito, nonostante la ribellione insita nel suo carattere. 
In un tempo che sembrava ormai lontanissimo, era persino riuscita a fuggire, a costruirsi un futuro con un ragazzo che aveva condiviso il suo stesso tremendo destino. Ma il fato non voleva vederla felice e così si era trovata nuovamente a perdere tutto: quel ragazzo, che era divenuto uomo crescendo assieme a lei, l’aveva abbandonata. 

Persa, inghiottita in problemi che sembravano avere fondamenta solide come granito, ma che in realtà erano solo sabbia, non aveva potuto fare a meno di trovarsi nuovamente in quella villa. 

Orochimaru, il suo tutore, maestro e seviziatore, era ancora a piede libero per la città, a capo di 
una delle organizzazioni criminali più conosciute di tutta Tokyo. Temuto e rispettato, viveva ancora nella stessa residenza dall’intonaco lavanda.


Anko, che per la disperazione aveva ricominciato con la cocaina - perché la droga non la tradiva mai, se non quando terminava - allora era corsa da lui. Aveva bisogno di farsi. Aveva bisogno di lenire il dolore. Ma ancor più di questo, aveva bisogno del veleno contenuto in quegli occhi, in quei capelli, in quell’uomo tanto affascinante quanto terribile.

Si era infiltrata ad una festa voluta proprio da Orochimaru in favore di… di..? 
Non aveva importanza. 
Traballando su tacchi forse troppo alti, la mora aveva fatto subito amicizia con il vino pregiato servito dai camerieri. Si era lasciata trasportare nell’oblio leggero della sbronza, prima di rintanarsi nella cucina, a causa del frastuono di tutta quella gente appartenente alla Tokyo-bene.

Lì si era chiesta cosa non andasse, perché si fosse lasciata convincere dall’astinenza a tornare… e si era data un’unica risposta: era disperata. Ridendo di se stessa, mentre chiacchierava stupidamente con uno dei topolini in gabbia che sarebbe stato cibo per la serpe, non aveva fatto caso all’avvicinarsi del suo mentore. La sensazione d’essere osservata era arrivata dopo, riflessa sulla superficie curva del calice che aveva in mano.




Nel corridoio, l’aria si era fatta densa e pesante, si chiese quasi se non stesse respirando burro. Ripensare a quello che era successo le pareva difficile, quanto inevitabile. Il cervello, colto alla sprovvista, cercava di ricondurre a quella scelta un motivo valido.

Aveva avuto senso ucciderlo? 
Era l’unica soluzione.


Orochimaru la amava.
Nessuno lo avrebbe mai capito, ma lei sì. Anko lo sapeva da sempre, era per questo che non aveva mai potuto ribellarsi davvero. Aveva combattuto, si era dimenata, a volte lo aveva ferito (ed era stata picchiata). Ma alla fine aveva preferito fuggire, mettere in un angolo quello che aveva passato, convincersi che subire quelle violenze poteva essere un qualsiasi evento di vita, come rompersi per la prima volta un osso o decidere di avere un figlio. Scioccamente quando faceva l’amore con l’altro aggrappandosi alle sue spalle sperava di poter comprendere cosa fosse l’affetto vero e di dimenticare quanto facesse male il resto. 
Illudersi era il tipico atteggiamento della bambina che era rimasta. 
Eppure ogni gesto veniva ricondotto, da quello stesso cervello che adesso lavorava per metabolizzare l’accaduto, ad Orochimaru. Quando lui, che aveva per lei parole ciniche e gesti di inaudita violenza, le accarezzava finalmente una guancia con delicatezza, diveniva tutto l’amore che Anko conosceva e così anche il suo metro di paragone con il mondo “esterno”.

Orochimaru la amava, ma non sapeva dimostrarlo. E siccome lei lo capiva - nonostante lo odiasse a morte, sputasse veleno mentre la violentava, gli piantasse le unghie nelle braccia fino a farlo sanguinare – lo giustificava. Quanta pena provava per quell’essere tanto solo, che sembrava camminare in un mondo di sconfinata desolazione. Quanta immensa tristezza, vedere quegli occhi spenti cercare nella scienza e nello stupro l’antidotto a quella condizione.



Anko iniziò ad ansimare, cercando il respiro. Il burro si era fuso ed era sceso nei suoi polmoni. Era sicura che se fosse affogata avrebbe provato quella stessa sensazione. 
Dov’era l’ossigeno? 
Gemette, portandosi le mani imbrattate alle labbra, tremando ancora più forte. Quasi non riusciva neppure a capire se stesse piangendo o urlando. Le lacrime c’erano: le avvertiva asciugarsi sulla pelle, mischiandosi al trucco in una macchia indistinta. 

E poi quel suono, quella bolla di angoscia - che forse era il suo cuore, forse era la corsa del suo io profondo che cercava di fuggire - assordante. Rimbombava. 
Ma era fuori o dentro? 
Fuori?
Dentro?
Fuori o dentro cosa? 
Chi?

C’era così tanta confusione nella sua testa, che si sentiva cento volte ubriaca e cento volte più piccola.




Quando quella sensazione, piano piano si fece più leggera, Anko cercò di respirare con calma. 
Passò una mano sul petto, avvertendo il battito accelerato, ma non smise di essere sconquassata dal tremore.

L’adrenalina partita a mille lungo le sue vene, aggrovigliandosi nello stomaco, si fece sentire all’improvviso.

“L’ho ucciso…” mormorò fissando la parete sporca di vomito, senza vederla realmente. 
“L’ho ucciso.” Ripeté, mentre volgeva lo sguardo alla porta della stanza che racchiudeva lo scenario di quella fine.


Lo aveva ucciso davvero, l’uomo che l’aveva amata. 

Erano saliti in camera, lui le aveva consigliato di andarsene – perché lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva! Che avrebbe finito per violentarla di nuovo – e lei lo aveva provocato. 

Lo aveva attirato nel letto e si era lasciata violentare, per quanto fosse un controsenso.

Poi lo aveva ammazzato.
Nella foga con cui le aveva strappato di dosso l’intimo, schiacciandole il viso contro al cuscino, lei aveva desiderato ardentemente di poter eliminare una volta per tutte quella creatura disgustosa e bellissima che si cibava della sua carne. Aveva preso coraggio, aveva attinto alla follia e al disgusto e aveva lasciato che una forza oscura la invadesse fino a renderla cieca. 

Ripensandoci, Anko non riusciva a vedere con chiarezza quello che era accaduto, sapeva solo che Orochimaru-sama era morto per mano sua.

“L’ho ucciso, cazzo!” urlò all’improvviso prendendosi il volto fra le mani.
Poteva dire di essere appagata adesso che la fonte di tutti i suoi dubbi - sul genere umano e se stessa - era finalmente scomparsa?
“Oddio… oddio, oddio, oddio…” gemette, quasi fosse un mantra, scotendo la testa impazzita. Le sarebbe esplosa se continuava così, tanto che quasi poteva avvertirla crescere, come un palloncino troppo gonfio di pensieri che “poof!” scoppiava nell’aria. 








Dopo qualche ora, in cui aveva persino dato testate contro la parete, Anko si staccò dal muro nel tentativo di rialzarsi. Odiava piangere e buttarsi giù, era sempre stato il suo motto. Non sopportava le ragazzine dalla lacrima facile, era amica dei maschi e si era fatta una reputazione proprio a causa del suo carattere forte e scontroso. Ma uccidere un uomo era tutto un altro paio di maniche. Uccidere LUI poi… 
Tante volte aveva odiato fino a sentire quel desiderio crescere in petto, eppure non immaginava che un giorno lo avrebbe fatto veramente. 

Per anni aveva pensato che se Orochimaru non fosse mai esistito, la sua vita sarebbe stata migliore. 
Ora, mentre cercava di recuperare i pensieri più razionali, stufa di essere ubriaca di confusione, capiva che non si sentiva affatto meglio. 
Le gambe, ancora tremanti, erano molli e fragili, macchiate del piacere di lui e della sofferenza di lei. 
Le braccia la sorreggevano appena contro al muro. 
Il collo doleva. 
Gli occhi bruciavano. 
I polmoni desideravano ossigeno vero. 
La testa scoppiava. 
Le orecchie erano piene di quel suono sordo. 
Il cuore rimbombava. 
Le spalle portavano un peso troppo grande.

E sì, si sentiva schiacciare, ma si impose di rimettersi in piedi e non voltarsi. 
Magari…

…magari era ancora…

…magari…
…era…
…ancora…
…vivo.

/Anko Mitarashi, non ti voltare!/ ordinò a sé stessa. Doveva solo fuggire via, al resto avrebbe pensato dopo. 

Scese le scale, sentendo la musica ancora alta e il vociare degli invitati fastidioso stuzzicò il suo mal di testa. 
L’avrebbero vista.
Quando quel pensiero venne messo completamente a fuoco, si guardò attorno smarrita alla ricerca di un rifugio.
Non trovando di meglio si infilò in un bagno al piano terra e si chiuse dentro. Doveva solo pensare un attimo, no?

Il panico subentrò non appena notò la striscia di sangue sulla maniglia.
“Cazzo!” imprecò inorridita, correndo verso il lavandino.

Immediatamente abbassò lo sguardo e tremando si appoggiò al piano in marmo.
“Cazzo.” Ripeté, scotendo la testa. 
Così era quello il panico!
E tutte quelle volte in cui aveva subito, costretta a mentire? 
No, quella era agonia. Era oppressione. 
Il panico era diverso. Il panico non dava speranza o via d’uscita, la inseguiva come una bestia feroce e lo avrebbe fatto costantemente fino alla fine dei suoi giorni. Il resto poteva negarlo, poteva giustificarlo, poteva quasi dimenticarlo. Ma non quello.
Non seppe neppure come ci riuscì, ma aprì l’acqua e vi cacciò sotto le mani, tornando a guardarsi negli occhi dello specchio.
“Anko. Questa volta hai esagerato con la rabbia…” ma il sorriso che di norma aveva una sfumatura sarcastica, questa volta venne deturpato dal pianto. 
Le sfuggì un gemito, mentre le lacrime tornavano prepotenti a rigarle le guance. 

Sfregò la pelle per far andare via quel colore dai palmi e dalle dita con il sapone alla mandorla. 
Odiava le mandorle e con quel ricordo le avrebbe odiate ancora di più.
Sfregò, passò il sapone, si asciugò il naso con il dorso della mano, sfregò ancora e di nuovo sapone.
Vai, via. Via da me!, sembrava urlare la ragazza.

Quando le sembrò che ogni traccia fosse scomparsa, per quanto possibile considerato che non poteva cancellare nulla per davvero, si asciugò con alcune salviette di carta.

Cercò di respirare profondamente, pulendosi il viso e dandosi una sistemata alla buona. Non poteva rimanere lì, doveva fuggire. 

Le conseguenze. Ecco con cosa non aveva fatto i conti. 

Arresto… ti dice nulla?! Le ricordò il suo riflesso nello specchio.
Lei si morse il labbro, ma non rispose. 
Doveva solo pensare ad uscire.
Doveva solo scappare.





Pulì le tracce che aveva lasciato nel bagno e uscì nel corridoio.
Nessuno si era accorto di nulla, constatò, camminando lentamente, cercando di non sembrare troppo sconvolta. 
Per uscire avrebbe dovuto passare obbligatoriamente per il grande salone, per cui non aveva molta scelta. Pensò per un attimo ad una porta secondaria dalla cucina, ma quando vide un paio di camerieri entrarvi per riportare i vassoi, scartò l’idea. Si girò immediatamente dando loro la schiena e continuando dritta per il corridoio.

Il vociare e la musica di sottofondo arrivavano sempre più forti, ma possibile che il percorso si allungasse così tanto? Possibile che il suo cuore battesse tanto forte, si fermasse e poi ripartisse?

Superando lo scalone che portava al piano superiore, ebbe la tentazione di tornare sul luogo del fatto. Aveva lasciato impronte? Che domande, avevano avuto un rapporto sessuale, certo che c’erano impronte! 

Ok, ok, doveva solo raggiungere la porta. 







Fuori faceva freddo e il buio avvolgeva ogni cosa. 
La villa era l’unica cosa che brillasse in quella notte primaverile. 
Ed Anko ancora non capiva come fosse riuscita a trovarsi lì.
Era assurdo come quella serata andasse avanti a frammenti. 

La sbronza. 

Tu-tum

L’incontro in cucina.

Tu-tum

“Anko, vai via.” Il consiglio.

Tu-tum

Cocaina e sperma.

Tu-tum

Vuoto.

Tu-tum

Sangue.

Tu-tum 
Tu-tum
Tu-tum

Lacrime, vomito, sangue, ricordi.

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Fuggire.

Tu-tum

Bagno.

Tu-tum

Specchio.

Tu-tum

Fretta.

Tu-tum tu-tum tu-tum

Fuggire.

Tu-tum 
Tu-tum
Tu-tum

FUORI !






I lampioni orlavano la strada e lei, i piedi nudi sull’asfalto freddo e tagliente, camminava con sguardo perso. Non sapeva dove stava andando, non sapeva cos’avrebbe fatto, ma voleva allontanarsi ed ora che le forze venivano meno, non riusciva neppure a correre.

/Bella fuga la tua, Anko!/ si disse, abbozzando un sorriso, che venne inghiottito dall’oscurità.

Andò avanti per ore senza che accadesse qualcosa. Non aveva visto neppure macchine passare per quelle vie di norma trafficate. Una volta uscita dal terreno di quella villa, piccola oasi dentro la megalopoli, aveva ritrovato la luce delle insegne, i negozi dalle serrande chiuse, i locali con le insegne accese.

Le uniche persone che incrociava erano ragazzini alticci o uomini che portavano a spasso il cane o donne che come lei, senza scarpe, smaltivano la sbronza – o fuggivano da un omicidio?. Forse poteva fermarne una e chiederle cos’avrebbe fatto, così… piccola indagine di mercato. 

Ma neppure l’ironia, tipica del suo pensare, poteva fare qualcosa adesso. Aveva toccato il fondo. Quasi le venne in mente di andare da Tenzo, citofonare nel bel mezzo della notte – alba – e chiedergli asilo politico. Ma forse lui aveva da fare a quell’ora, forse non era neppure in casa. 
E poi per dirgli cosa? Che aveva ucciso un uomo?

Tu-tum.

Cazzo.
Il panico le addentò lo stomaco e dovette tenersi ad un muro per non cadere.
Era lì, il bastardo, era lì a ricordarle che aveva fatto la più grande delle cazzate della sua vita.

Sana di mente non lo era mai stata. Lo avrebbe detto chiunque dei suoi amici, da Asuma, passando per Kurenai, Kakashi, Gai, Raido, Hayate e Hyugao.

Ma quello… 

/Merda!/ pensò così forte, che quasi ne sentì l’eco. 

Si rimise in piedi e si guardò attorno. Com’era strana la città di notte. Era l’esatto negativo dell’immagine che dava di giorno, eppure pulsava. 

D’un tratto, distante, le apparve l’insegna del locale dove lavorava quel vecchio amico. Come si chiamava? Boh. In quel momento non avrebbe ricordato di certo un particolare così insignificante. In ogni caso era un night club, un luogo dove poteva immergersi nel buio di un angolo e forse riflettere meglio su quello che avrebbe dovuto fare.



Altro cambio di scena.
Nel taglio della pellicola, Anko perse la fase di “attraversamento della strada” questa volta, e si ritrovò dentro.

Nessuno le chiese i documenti e nessuno la fermò. 
“La fortuna è dalla mia parte!” rise sguaiatamente, appoggiandosi al bancone.
Il barista la guardò dall’alto.
“Cosa prendi?” le chiese.
Anko rimase a fissarlo senza rispondere per qualche secondo. Cosa? Dove? Come? Sì, ogni tanto perdeva dei passaggi!
“Cosa prendi?” ripeté il ragazzo dai capelli chiari e gli occhi… che strano colore avevano quegli occhi!
“Ehi, sei sobria?”
“Eh?”
“Ordinazione obbligatoria, honey. O ordini, o ordini. Non hai alternative.”
Anko quasi sentì parlare la sua coscienza.
Non aveva alternative.
“Qualcosa di forte, qualsiasi cosa. Doppio. Anzi, triplo.” Disse infine, sedendosi sullo sgabello. 

C’era anche lì musica alta, di un genere che non riusciva a distinguere, e alcuni ballerini, nella sala che si apriva pochi gradini al di sotto del bar, illuminavano con il loro spettacolo gli occhi di donne un po’ brille. 

Ma il trambusto non poteva sovrastare quello che Anko sentiva. Appoggiò i gomiti sul banco e sospirò, aveva voglia di piangere. 


Nel sesto bicchiere di whisky galleggiava la sua immagine increspata e traballante. Ecco, come si sentiva. E poi c’era l’astinenza. Perché non si era portata via almeno un po’ di quella polvere? Forse l’avrebbe aiutata a ragionare meglio. Le avrebbe dato la carica per fuggire davvero via, per lasciare la città…e chissà cos’altro… L’avrebbe sentita arrivare dritta al cervello e poi di corsa… via!

Aveva ucciso Orochimaru. Tre parole che allargavano con le unghie il ventre della sua disperazione.

“Un altro.” Chiese, spingendo il bicchiere verso il barista, che non esitò ad accontentarla.

D’improvviso ebbe voglia di tornare indietro. Di non uscire, di non lasciarsi abbindolare dalla voglia di amore. Ecco cos’aveva ottenuto.

Rimorso, benvenuto! Si disse, pensando con rabbia a tutte le fasi della pazzia che stava attraversando. 

Ormai l’alcol, misto a tutto quello che era accaduto, aveva preso a fare effetto. La testa le girava fortissimo, la pancia le doleva e avrebbe volentieri vomitato di nuovo. 

“Prima che tu svenga, ricordati di pagare.” Brontolò il ragazzo che l’aveva servita, senza curarsi del fatto che fosse una ragazza sull’orlo di una crisi profonda. 

“Metti tutto sul mio conto…” sospirò lei, alzandosi in piedi.
“Quale conto? Ehi! Dove vai?”
“Al bagno, tranquillo. Non sono mica una ladra!”

E detto questo Anko scoppiò a ridere, trattenendosi dall’urlare: “sono un’assassina!”


Il corridoio che portava ai bagni era stretto e illuminato da luci rosse. 
La mora, ormai non ce la faceva più.
Non dopo quella assurda serata.
Le mancavano le forze, le palpebre volevano chiudersi e le gambe stavano per cederle.



Ci sarebbe stato un altro ciack, nel film di quella serata. Un ciack buio, che partiva da lei che cadeva in avanti in quel corridoio ed arrivava al coma. 

Ormai priva di qualsiasi forza, anche la più flebile delle speranze si arrese e il suo corpo si spense. 
La luce vitale brillò un secondo, come un neon che si accende, per poi scomparire. 
Gli occhi si chiusero, le gambe cedettero e lei si abbandonò in avanti, convinta di cadere nel vuoto. 
O forse ci sperava che ci fosse il vuoto?


Tutto, tutto si aspettava; pensava sarebbe morta e ne fu sollevata. Invece furono due braccia a prenderla saldamente, mentre una voce la chiamava lontana.
No, lasciami qui! Avrebbe voluto dire. Voglio solo morire adesso. Spegnermi e basta e non pensare a nulla. Cosa vuoi? Io non ti ho cercato, quindi vai via. Lasciami!


Stronzo!




Continua…



Questa fanfic particolarmente delirante era stata scritta per il contest “donne assassine”, ma siccome mi sembrava incompleta non l’ho spedita. Mi mangio le mani, perché ora a rileggerla mi piace e mi convince e potevo anche inviarla così… insomma, sono una deficiente.

Ad ogni modo, questa fanfic và di pari passo con il resto della storia (se la state leggendo di fila) ed è importante per il proseguimento (anche no!). 
Anko si salverà?

Lo saprete solo andando avanti nella lettura di questa assurda AU!

Colgo l’occasione per ringraziarvi ed invitarvi nel mio forum: urd cafè, per scoprire anteprime, pezzettini di fanfic, miei disegni, ecc., ecc.

Vi ricordo che Naruto non mi appartiene e tanto meno la canzone Male in Polvere degli Afyerhours che viene citata all’inizio in corsivo!

Urdi



Risposte ai commenti:
Slice:
Vero che Kakashi è troppo stupido? Lo adoro! Se tuo cugino è come Kakashi, parliamone. XD haha… No, comunque quella scena piace un sacco anche a me. E’ troppo scazzato... haha…sì, calza perfettamente! Anche se in questa storia con le età ho un po’ barato… gliel’ho abbassata ò_ò dovrebbero avere massimo 25-26 anni, anche se poi gli adolescenti (nasuto, satura and co) sono invece leggermente più grandi (tipo 17-18 anni), vedremo andando avanti e SE compariranno. Grazie mille stellina, senza di te come farei?
Hiko-chan: oh, compagna di contest! Sono felice che la fanfic ti sia piaciuta. Io a rileggerla non c’ho capito niente (ma si può?). Davvero, sono felice che ti sia arrivato tutto quello che volevo descrivere… a volte mi sembra di essere troppo poco descrittiva e a volte invece di essere prolissa. Se sei in fissa con le KakashiTenzo non puoi non venire a fare un salto sul forum, anche perché lì ci metto anche i disegni (o se vuoi c’è il mio deviant art ID che è realurd)… io li adoro e non so perché sono 3 giorni che scrivo di loro ininterrottamente. Sto impazzendo! Haha… grazie mille della recensione!
Beat: ciao, grazie mille, mi segui sempre e sei sempre stracarina… spero ti piaccia anche questo!^^

  
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