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Autore: Shireith    31/10/2021    2 recensioni
Papillon è stato sconfitto, ma le dinamiche non sono chiare a nessuno. La stessa Ladybug nutre dubbi a riguardo. Per di più, senza che gliene spieghi il motivo, un giorno Chat Noir la abbandona.
Cinque anni dopo, il passato ritorna per entrambi.
• Long what if? che non tiene conto della quarta stagione perché quando mi è venuta l’idea ancora non era andata in onda. Lovesquare in tutte le salse con tanta Adrienette e Ladynoir. Scritta seguendo i prompt del #Writober2021 di Fanwriter.it (lista pumpBLANK – prompt misti scelti tra le quattro liste presenti).
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Alya, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tredicesimo


(31 — credere)
  
 Marinette si assicurò che Plagg e Tikki si fossero nascosti – gli chiese anche, qualsiasi cosa stessero discutendo, di discuterne dopo – prima di andare ad aprire. A quell’ora poteva essere solo Adrien o Alya che era venuta a riscattare il resto delle sue domande. Sarebbe stata contenta di rivedere Alya, ma fu ancora più contenta di vedere Adrien.
 «Ho due notizie per te, una buona e una cattiva», lo accolse mentre Adrien entrava e si richiudeva la porta alle spalle.
 Lo sentì ridere. «Devo preoccuparmi?»
 «Quella cattiva è che per colpa tua sono quasi stata licenziata, stamattina.»
 «Non credo che non lavorare più per la Belladonna sia classificabile come cattiva notizia…»
 Marinette gli lanciò lo straccio che stava usando per asciugare i piatti della cena. «Quella buona è che i miei genitori sanno di noi – non chiedere – e ci hanno invitato a cena. Domani sera alle otto.»
 «Immagino che il “no” non sia contemplato.»
 Marinette non aveva un secondo straccio da lanciargli.
 «Sto scherzando, non vedo l’ora», disse Adrien con un sorriso – cosa che lei aveva capito già perché Adrien era sempre stato fan dei suoi genitori, in particolare della cucina di suo padre. «A proposito di “noi”…»
 Marinette si volse nel sentire il suo tono di voce cambiare e vide Adrien stringersi nelle spalle. «C’è qualche problema?» domandò accigliandosi.
 «È successa una cosa, ieri, subito dopo il nostro appuntamento. Una… amica aveva bisogno di aiuto. Non proprio un’amica. La ragazza che amavo. Ci siamo… rivisti. Voglio mettere le cose in chiaro con lei, ci sono delle cose che non le ho mai detto e che merita di sapere. Non voglio farlo alle tue spalle, però.»
 Marinette si sentì pizzicare dalla gelosia nel ripensare alla ragazza di cui non conosceva né volto né nome che un tempo aveva fatto battere il cuore di Adrien come lei mai era stata capace di fare. Era un pensiero egoista e si detestò per questo, ma pure tutta la gelosia del mondo si sarebbe sciolta come neve al sole di fronte all’onestà di Adrien.
 Anche lei doveva dirgli di Chat Noir? Sarebbe stato complicato. Poteva dirgli che era un collega di lavoro e che forse sarebbero tornati a lavorare insieme… solo che quel lavoro la rendeva non rintracciabile alle ore più strane del giorno e della notte. Se voleva che le cose tra lei e Adrien funzionassero (e lo voleva, lo voleva eccome) prima o poi la verità sarebbe venuta fuori. Non era molto normale che un’aspirante stilista saltasse fuori dal letto alle tre di notte perché c’era una rapina o non si presentasse a pranzo perché doveva impedire un incedente stradale.
 «Adrien», lo interruppe mentre lui cercava giustificazioni che non servivano, perché poteva rivedere tutte le vecchie amiche che voleva. «Tu… hai intenzione di restare, vero?»
 Dalla sua reazione Marinette capì che Adrien non si era aspettato quella domanda. Se anche si fosse chiesto se lei dubitasse di lui non importava, aveva bisogno di una conferma. Doveva sentirlo pronunciare dalle sue stesse labbra.
 «Sì. Certo che sì. Non ti avrei mai chiesto un appuntamento se non fossi serio a riguardo.»
 Marinette annuì. Lo raggiunse in salotto e una volta lì di fronte a lui allacciò le braccia al seno come a volersi difendere da quello che temeva potesse succedere. «Perché anch’io ho delle questioni irrisolte con un… amico. Non so nemmeno io come definirlo. Collega? È complicato. Comunque… anche se non ci fosse lui, c’è una cosa che prima o poi noteresti. Molto, molto strana. E potresti pensare che io abbia un segreto, che comunque è vero. Una sorta di… secondo lavoro?»
 Dall’espressione, Adrien sembrava facesse fatica a seguire la conversazione – o meglio il monologo, perché dei due stava parlando solo lei.
 «Hai un secondo lavoro per poterti pagare le spese?»
 «Eh? No, nessuno mi paga, non è esattamente un lavoro retribuito… non è nemmeno un lavoro.»
 «Fai volontariato?»
 «Cosa? No!»
 A quel punto Marinette perse la pazienza e sbuffò. «Perché è così difficile?»
 Era stato molto più facile con Alya.
 Le serviva un’altra crisi di pianto? No, meglio di no. Poteva mostrarglielo trasformandosi! Non che le andasse molto di fare una rivelazione così in grande… Magari bastava chiedere a Tikki di farsi vedere, anche se Adrien non sapeva cosa fosse un kwami… no, un attimo: invece sì. Anche se per un breve periodo, e con risultati non proprio ottimali, Adrien era stato il portatore del miraculous del Serpente. Aveva conosciuto Sass.
 «Adrien…»
Sono Ladybug.
 «Marinette.»
 Adrien sgranò gli occhi, poi li assottigliò e si fece sempre più vicino. Marinette sentì le guance andare a fuoco. Era vicino, poi vicinissimo, poi – voleva baciarla?
 Non le dispiaceva, però prima…
 «Che cos’hai al collo?»
 «Eh?»
 Marinette abbassò lo sguardo. L’anello di Chat Noir, solitamente nascosto sotto uno o più strati di vestiti, luccicava tra le pieghe della camicia. Se l’era rimesso di fretta quando era tornata a casa e aveva rivisto Plagg e non aveva pensato a nasconderlo meglio.
 Non che fosse un problema, perché c’erano mille scuse che potevano giustificare perché portasse al collo un anello, ma tanto meglio: poteva dire la verità ad Adrien partendo da lì. Poteva dirgli che l’anello era del collega, da lì introdurre Chat Noir e poi…
 «Plagg è qui?»
 Le parole le s’incastrarono in gola e quasi la strozzarono. «Co… sa?»
 «Sì.»
 Si voltarono all’unisono e videro, a dieci centimetri dai loro nasi, una figura nera a mezz’aria.
 «Plagg, cosa n’è stato del non dover intervenire?»
 «Ci sono arrivati da soli, Tikki!» Plagg si avvicinò al volto di Adrien con una velocità tale da farlo indietreggiare. «Complimenti, Adrien, ti è servito vedere l’anello per capirlo.» Si voltò verso una Marinette che osservava la scena con l’impressione di non starla vedendo davvero. «Ho fame. C’è ancora quello squisito formaggio che hai preso l’ultima volta?»
 «È… nel frigo.»
 «Ottimo!»
 Tikki lanciò prima a Marinette e poi ad Adrien un’espressione avvilita, come se la condotta di Plagg fosse causa sua, e seguì l’altro kwami in cucina.
 Marinette si sfilò l’anello dal collo e tornò a guardare Adrien dopo quella che le parve un’eternità. «Immagino che questo sia tuo.»
 Adrien allungò il braccio e prese il miraculous senza nemmeno sfiorare Marinette, quasi avesse paura di romperla. Riusciva a stento a guardarla.
 Marinette.
 Ladybug.
 Il ragazzo che le aveva spezzato il cuore.
 Tutto aveva senso.
 Adrien si sentiva pesante come metallo e allo stesso tempo leggero come piuma. Il suo corpo gli inviava segnali contrastanti e non gli sembrava nemmeno il suo, come se un estraneo si fosse impossessato della sua pelle nel momento stesso in cui aveva fatto una semplice operazione matematica.
 «Non ci posso credere.»
 Marinette si lasciò cadere sulla prima poltrona che trovò libera. «Che io sia Ladybug?»
 «No. Che io sia stato così stupido da non capirlo subito. Insomma, era così ovvio!»
 «Parla per te», lo rimbeccò Marinette, «perché tu…»
 Aveva flirtato con Adrien Agreste quando ancora le piaceva così tanto da farle scoppiare il cuore con la sua sola presenza.
 Aveva preso in giro Adrien Agreste.
 Aveva fatto innamorare Adrien Agreste.
 Aveva rifiutato Adrien Agreste.
 Aveva baciato (baciato! baciato! baciato!) Adrien Agreste.
 E – di nuovo, per la seconda volta – si era innamorata di Adrien Agreste.
 Adrien Agreste – Chat Noir! – che le aveva spezzato il cuore e se n’era andato senza un perché.
 Lo sguardo scattò come una molla di nuovo su Adrien quando l’ultimo punto della lista di lei che faceva cose con Adrien Agreste – Chat Noir! – la colpì come un treno in corsa.
 «Perché te ne sei andato, Adrien?»
 (Perché te ne sei andato, chaton?)
 Credeva in lui. Ci aveva sempre creduto.
Dimmi che non ho fatto male.
 Adrien prese posto di fronte a lei. Strinse i pugni e si accorse solo allora che aveva tutte le mani sudate. Tikki e Plagg rispuntarono dalla cucina e Adrien scambiò col suo kwami un’occhiata di intesa.
 «Mio padre era Papillon.»
 Lo disse piano, soppesando ogni sillaba, e mai un istante smise di osservare Marinette. Marinette che sentì il pavimento sprofondare e le gambe tremare anche se non era nemmeno in piedi, Marinette che avrebbe potuto urlare o rompere oggetti o fare qualsiasi altra cosa ma rimase immobile come una statua.
 Gabriel Agreste.
 Era.
 Papillon.
 Il padre di Adrien. Di Chat Noir. Chat Noir che nella battaglia finale era andato avanti mentre lei rimaneva indietro a salvare civili. Chat Noir che quando poi lo aveva raggiunto l’aveva guardata con una faccia bianchissima e aveva detto: «Papillon è scappato. Scusa.»
Scusa se mi è sfuggito, aveva dato per scontato Marinette – Scusa se l’ho fatto scappare di mia spontanea volontà, era la verità.
 Poiché non parlava, Adrien proseguì: «Quando l’ho scoperto mi è caduto il mondo addosso. Mi sono ritrasformato senza pensare, e mio padre… non so nemmeno descrivere cosa ho visto nei suoi occhi in quel momento. Mi dispiace. Avrei voluto dirtelo. Non avevo nessun diritto di nasconderti la verità per salvaguardare mio padre, ma l’ho fatto. Mi sono ripreso il miraculous della Farfalla e gli ho detto di scappare. Non sapevo cosa altro fare. Non potevo chiederti di non svelare al mondo la verità perché per farlo avrei dovuto dirti chi ero, e anche se lo avessi fatto non pensavo che mi avresti dato retta. Se avessi saputo che eri Marinette, forse…»
 Mentre Adrien continuava a masticare “forse” e “avrei dovuto” Marinette scivolò al suo fianco e gli strinse le mani tremanti tra le sue. Quando azzurro incontrò verde le venne naturale sorridergli come si sorride a un bambino che piange perché si è perso nel bel mezzo del nulla, e le venne ancora più naturale, poi, poggiare la testa contro la sua spalla.
 «Mi dispiace», lo sentì sussurrare. «Per tutto.»
 Marinette chiuse gli occhi, inspirò, li riaprì.
 A dire il vero, ancora faticava a crederci. Adrien aveva sempre amato Marinette e Ladybug aveva sempre amato Chat Noir. Se le cose fossero andate diversamente avrebbero potuto risparmiarsi gli ultimi cinque anni e mezzo e vivere felici e contenti come nelle fiabe – però Marinette era cresciuta e alle fiabe aveva smesso di crederci, almeno in parte.
 Se quello era il prezzo da pagare pur di avere di nuovo un cuore non spaccato a metà, Marinette lo accettava. Non poteva fare altro, del resto: che lo volesse o meno, e per quanto male facesse, non poteva cambiare il passato – non poteva tornare indietro e tendere una mano a Chat Noir, stringerlo in un abbraccio e sussurrargli che non lo odiava, pregargli di non andare perché non ce n’era bisogno, perché lo capiva, perché anche lei avrebbe puntato tutto su suo padre pur di non perderlo, se si fosse trovata nelle sue scarpe.
 «A me dispiace non esserci stata.»
  In quell’assenza di parole c’erano tante cose ancora non dette che aleggiavano tra loro come spiriti invisibili nell’attesa di essere acciuffati. Marinette voleva vedere la sua reazione quando gli avesse detto che anche Alya sapeva (potevano dirlo anche a Nino, magari!). Voleva sentire mille dei suoi aneddoti sulla convivenza con Plagg e raccontargliene il triplo. Voleva rinfacciargli ogni sua singola freddura e dirgli che facevano schifo, che non era colpa sua se non aveva mai capito che era Chat Noir perché Adrien quelle battute schifose non le faceva mai! Voleva però dirgli anche che in fondo le piacevano e sperava che nel frattempo il suo repertorio si fosse triplicato (ne aveva una o due, o anche dieci, per la cena con i suoi genitori?).
  Voleva digli il mondo – gli disse solo una cosa.
 «Ci sono ora.»
E ci sei anche tu. 

NOTE ➺  Tiro un sospiro di sollievo enorme all’idea che il Writober sia finalmente finito (e dire che ho pensato la stessa cosa pure l’anno scorso, eppure eccomi di nuovo qui). Non sono riuscita ad aggiornare sempre con puntualità, anzi, ma ho finito in tempo! Negli ultimi giorni le energie mentali sono proprio venute a mancare, non so come ho fatto a stilare questi ultimi capitoli senza impazzire. Tutti gli equivoci più importanti si risolvono nell’ultimo capitolo, spero che la conclusione non vi abbia deluso. Vi confesso che potrei, in futuro, scrivere una one-shot su quella famosa cena con Tom e Sabine perché l’idea ha del potenziale. Potrebbe venir fuori qualcosa anche su su Alya (e Nino): mi rendo conto di aver lasciato la reveal di Marinette un po’ appesa, ma negli ultimi capitoli non c’era proprio spazio per lei. Insomma, non escludo che più in là potrei scrivere qualcosa in più, ma non so quando, prima devo ricaricare le batterie.
E niente, la smetto di blaterare. Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto fin qui e le persone che hanno commentato la storia capitolo per capitolo.
Alla prossima!
Shireith  
   
 
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