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Autore: Gaia Bessie    03/11/2021    4 recensioni
Voldemort ha trionfato.
Ogni anno, in onore della sua vittoria, Delphini Riddle sceglie sette persone cui verrà comunicato che moriranno nel corso della giornata.
Finché, un giorno, non sceglie Draco Malfoy.
[Draco/Delphi | OS | Death-cast | What if]
«Non ti addormentare» .
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Delphini Riddle, Draco Malfoy, Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Attenzione: La storia è ispirata al meccanismo del romanzo "L'ultima notte della nostra vita" ma NON fa spoiler sulla trama.


Delphini Riddle ha dieci anni, quando suo padre l’incarica di occuparsi della busta nera: Voldemort s’è adagiato nella propria immortalità e, adesso che può decidere sulla mortalità del prossimo, vuole giocare – così le dice: sia fatta la mia volontà e quella di nessun altro, per una volta l’anno (l’anniversario della mia vittoria), estrarrai sette nomi e li metterai in quella busta. Entro ventiquattr’ore, in un modo che spetterà a me decidere e a nessun’altro, dovranno morire.
Sia fatta la tua volontà, ripete Delphini quietamente, mai quella di qualcun altro: farò quel che mi dite, padre, ogni primo maggio qualcuno dovrà morire.
Voldemort ride, le lancia una Cruciatus che le scioglie le ossa, ma mai quanto le parole dure, durissime, che le sa dedicare.
«Io non sono tuo padre» sibila, giocherellando con la Bacchetta di Sambuco. «Sono il tuo creatore, il tuo Signore: ma tuo padre non lo sarò mai».
Delphini china il capo, il labbro inferiore tremulo su una finestrella di denti che le sono caduti ieri, ma che non ha messo sotto il cuscino: la fatina dei denti è un sogno incerto come quella busta nera che non sa come riempire.
 
 
La mort en décadence
 
Crudelius est quam mori semper mortem timere.
Aver paura della morte è più crudele di morire.
(Proverbio latino)
 
 
[L’una di notte – Villa Lestrange]
 
Sette.
Sette anni, sette vittime – quarantanove in tutto, quarantanove con oggi: primo maggio duemilaequindici, il giorno in cui Delphini Riddle danza in giro per il mondo, con la propria busta nera, contenente i sette nomi di quell’anno.
Sette ore, quelle che ha passato osservando il soffitto della propria stanza a villa Lestrange, domandandosi chi scegliere per quell’anno: ha esaurito in fretta i Traditori, tutti coloro che la clemenza di Voldemort aveva risparmiato (solamente per un po’). Così, quando ha preso la piuma per tracciare i contorni di quei nomi, Delphi per la prima volta ha esitato.
Sette minuti, il ritardo con cui s’è presentata da suo padre, che padre non è, implorando perdono per quel peccato (e attendendone il verdetto giusto o ingiusto, ma senza speranza) e ottenendo solamente una risata che le ha gelato il sangue nelle vene.
«Sei nomi?» ha domandato Lord Voldemort, la voce come un iceberg crepato sull’orizzonte senza fine.
Delphini ha chinato il capo biondissimo, senza un sospiro, con il fiato che le feriva le labbra come indimenticabile lama nascosta – ha risposto di sì, chiedendo silenziosamente pietà: padre, perdonatemi perché ho peccato, ma non sono brava a interpretare i vostri desideri come lo era lei.
Voldemort digrigna i denti in un sibilo serpentino, gli occhi rossi ridotti a due fessure: glielo dice così, di non permettersi mai più di menzionarla. Bellatrix Lestrange è perduta e dimenticata e, sebbene a volte sia pensiero sfuggente tra i piani e le trame del suo Signore, il suo nome è stato obliato dalla comune memoria.
Il suo peccato? – aveva domandato una volta Delphini, al proprio patrigno, facendolo ridere senza ritegno.
È morta, aveva risposto Rodolphus sistemandosi il mantello sulle spalle, Lui non ha saputo mai perdonarle questa mancanza: e dire che il Signore Oscuro è clemenza ma, verso di lei, le aspettative che nutriva hanno oscurato ogni parvenza di perdono. Bellatrix è morta in maniera ingloriosa, Delphini, e lui non sa dimenticarlo.
«Draco Malfoy dovrà morire» commenta, leggendo il primo nome della lista. «Gli è già stato comunicato?».
Delphi annuisce compitamente, i capelli biondi (sporchi di blu) che le tagliano un viso troppo Black per poter essere ammesso alla Sua vista.
«Le buste sono già state recapitate» sussurra. «A mezzanotte in punto, come ha comandato, mio Signore».
«Malfoy» ripete Voldemort, con un sorriso soddisfatto. «L’unico nome interessante di questa lista, vedo».
Delphini si morde il labbro, incerta, valuta gli altri nomi che ha vergato con l’inchiostro e mille incertezze: la minore delle Greengrass, il figlio di Krum, Maxwell Parkinson, Elenie Nott, Amelie Delacour, Dennis Canon.
Sei persone, quelle che a mezzanotte hanno ricevuto la busta nera, con sopra il timbro del Marchio Nero e le iniziali di Delphini Riddle – moriranno entro le ventiquattr’ore successive. Ma, si rende conto con orrore quando osserva suo padre scorrere scontento quella lista, non importano i loro nomi: ne mancherà sempre e soltanto uno.
«Sette anni» commenta Voldemort, stringendo le labbra in un sussurro. «E ancora non hai imparato, Delphini».
«Padre…» mormora lei, passandosi una mano in volto, cercando di cancellarne le tracce piene di terrore. «Perdonatemi, farò del mio meglio… Padre!».
Ma Voldemort ha già preso la bacchetta e se la rigira tra le dita sottili, il viso serpentino sfregiato dallo sdegno: Delphini chiude gli occhi, aspettando l’impatto di una Cruciatus che ne deformi la mente come i recettori del dolore. Che non arriva.
Quando li riapre, si rende conto che suo padre sta puntando la bacchetta contro la pergamena con i sei nomi, incidendovi sopra il settimo.
Sette, il numero magico più potente – Voldemort ride, crepando l’aria, mentre inchiostro rosso sangue s’incide come ferita sulla carta: un nome e un cognome figurano sul fondo ingiallito e, quando suo padre fa ruotare il foglio, Delphini sobbalza.
«Sparisci dalla mia vista» commenta Lord Voldemort, con aria dura. «Puoi andare dove ti pare: da uno qualsiasi dei nomi della tua lista, per esempio».
Ride, frantumandosi in quell’attimo di attesa in cui Delphini s’avvicina per prendere la propria lista dei nomi e scoprirne il settimo.
Voldemort s’allontana a grandi passi, in un fruscio di stoffa, mentre la sua unica figlia allunga una mano come se fosse in grado di prenderlo e farlo tornare indietro – lui si volta solamente per un’istante, regalandole uno sguardo che è rosso sangue ma troppo gelido per essere frutto di vene o arterie.
«Imparerai» commenta, atono. «Che io non sono tuo padre: sono il tuo creatore, colui che ha deciso di permetterti di esistere».
Delphini legge lentamente quel nome, ne assapora le sillabe, le singole lettere (otto, non sette, più il cognome) e trema fin dentro l’anima.
Suo padre ha scritto il suo nome.
 
***
 
[Le otto meno un quarto – Malfoy Manor]
 
La busta nera significa che entro ventiquattr’ore dovrai morire: non significa come o quando, semplicemente è una busta con sopra il simbolo del Marchio Nero e le iniziali di Delphini Riddle, che è tutto quello che è rimasto del Ministero della Magia, soppresso dopo la salita al potere di Voldemort.
La busta nera significa la fine di ogni perdono, della pazienza, della redenzione – significa che è vero quel che si dice: il Signore Oscuro perdona, ma non dimentica. E Draco, che ha visto sua madre penzolare dalla corda prima che potessero prenderla e suo padre torturato a morte da suo cognato, l’ha sempre saputo: la sua sopravvivenza era un patto orchestrato male che, sul finire, gli si sarebbe ritorto contro.
Così, quando la apre sapendo che può essere indirizzata solamente a lui (sterminato, il germe ribelle dei Malfoy, così come la sua volontà: fatta non per fare, ma per obbedire), Draco Malfoy non si sorprende. Sola, la lacrima che gli scivola sul viso appuntito, scolorandogli via ogni emozione che potrebbe tingerglielo. Sola e sconsolata, quella stretta al petto quando si rende conto che è finita: morire da solo è comunque una morte meno brutta di quella che ha avuto suo padre, o sua madre, e allora sia fatta l’unica volontà che in questo mondo conta ancora qualcosa.
Narcissa Black l’ha lasciato con un bacio in fronte e un’eredità che Draco nasconde attorno al cuore: non avere paura di morire, gli ha detto sua madre mentre sapeva già che si sarebbe impiccata nel solaio con una fusciacca di seta, avere paura della morte è più crudele del morire.
Ma lui non è pronto, vorrebbe dire a Cissy Malfoy, non può esserlo: ha ventisette anni e una vita davanti – cerca moglie, una casa nuova, un figlio che chiamerebbe come una stella o una figlia che porterebbe il nome di sua nonna. Cerca e non trova.
Lui non è pronto. Chi lo è mai, risponderebbe sua madre se fosse con lui, conosci qualcuno che può dirsi pronto alla morte?
Forse nemmeno Harry Potter lo era, quando s’è sacrificato davanti a tutti, crollando nella polvere (non si è alzato più).
È quel che sussurra alla porta, quando qualcuno bussa, facendolo sobbalzare – ti prego, io non sono pronto.
Sono quasi le otto del mattino, lui ha ricevuto la lettera da più di sette ore e, nell’attesa che si consuma nella sua resa, Draco sospira, dichiarandosi senza speranze.
Sulla soglia di casa propria, riscopre un’adolescente con i capelli biondissimi, le punte bluastre, e gli occhi enormi di un colore indefinito, tra il castano e il nero: Delphini Riddle gli restituisce uno sguardo disperato, incomprensibile, mentre ride e non sa nemmeno perché.
«Allora è ora per davvero» commenta Draco, allargando le braccia. «Non penso di essere pronto, ma… fallo e basta».
Sta tremando – quando Delphi scuote il capo e gli mostra l’elenco con la scrittura rosso sangue di suo padre: il suo nome, Delphini Black (non l’ha nemmeno chiamata con il proprio cognome), vergato con grafia ordinata sotto gli altri sei nomi.
Draco legge e ride. Una risata isterica, sgraziata, mentre si rende conto che è tutto sbagliato, tutto fottuto e non c’è più spazio nemmeno per la speranza più stringata – Delphini Black gli restituisce uno sguardo che sa di lacrime, di delusione e, sul finire, anche di rassegnazione.
«Non so dove andare» buffo, come anche in quelle parole riesca a sembrare dannatamente superba e orgogliosa. «A passare le ultime ore».
Draco alza un sopracciglio, con aria perplessa.
«Perché qui?» domanda, scorrendo con lo sguardo la lista dei nomi. «Sai che fine hanno fatto i miei genitori. Sai che fine hai fatto fare alla mia promessa sposa».
Daphne Greengrass è stata la prima a morire – Asteria Greengrass chiuderà il cerchio, sette anni dopo: hanno tradito una volta di troppo, le due Greengrass, si sono invischiate con le famiglie sbagliate. I Weasley hanno rinnegato la piccola Ria, salvandole la vita.
Blaise Zabini ha tradito due volte: la prima, Lord Voldemort, la seconda Daphne, abbandonandola in un mondo dove il Signore Oscuro ha detto d’averla perdonata per aver compiuto delle scelte sbagliate – Delphini non ha perdonato mai.
«Sei l’unico parente che mi è rimasto» commenta Delphi, quieta. «Pensi che Rodolphus mi vorrebbe con sé, per vedermi morire?».
Draco sospira, non la contraddice, ma nemmeno le risponde quel che è la verità – che Rodolphus la vorrebbe solamente per godersi la rivalsa su quella moglie traditrice, su quel Signore crudele che gli ha tolto tutto: ma tace e le fa segno di entrare, con un sospiro stremato.
Malfoy Manor è decadente, da quando Lucius e Narcissa hanno abbandonato questo mondo: è una bellezza sfiorita, arsa e bruciata, non v’è rimasto niente di quel che un tempo era stata. Delphini non ha ricordi del suo primo anno di vita, non riesce a ricordare le canzoncine che Cissy le sussurrava sopra la testa, prima della Battaglia del primo maggio, non ricorda le braccia di Draco quell’unica volta in cui l’ha presa per provare a portarla via di lì, prima d’esser fermato da Rodolphus Lestrange.
«Cos’è che si fa in questi casi?» domanda Draco, pieno di amarezza. «Si va a letto presto, si mangiano caramelle davanti al tramonto?».
Delphini ride – un suono isterico che squarcia l’aria, orribilmente simile a quella di sua madre – e scuote il capo biondissimo: buffo, pensa Draco, che somigli a sua zia Cissy più di quanto non riesca a somigliare ai suoi genitori.
«Non lo so» sussurra, lei, passandosi una mano sul volto e cancellando ogni traccia di trucco sbavato dalla sera prima. «Io non lo so».
Draco sospira, non le dice che nemmeno lui sa cosa fare: potrebbero essere cancellati da un momento all’altro e nemmeno sanno come.
«Ti porto in un posto» commenta Draco, facendole segno di seguirlo. «Vieni: qualcosa dovremo pur fare, in queste ore, no?».
Delphini lo segue passettini – ha ancora la busta nera in mano e, quando Draco si volta per vedere se lo sta seguendo, si rende conto che ha solamente diciassette anni (ti ricordi com’eri tu, Draco, alla sua età?) e ancora le tremano le mani sulla consapevolezza che suo padre l’ha mandata a morire.
 
***
 
[Le nove e mezza – Malfoy Manor, giardino]
 
Il giardino del Manor sa di occasioni sprecate.
È brullo, erba secca ed erbacce che crescono insensatamente sulla terra arida, un roseto inaridito di cui rimangono solamente le spine e il sangue di una corona che ti penetra nel capo a ogni respiro, tante speranze infrante. Un pozzo dei desideri (infranti anche quelli) che, come una buca senza fondo, si apre nel terreno per accoglierne i desideri.
Sa di speranze spezzate, quando Draco vi si ferma, le mani perse a toccare la pietra rotta e scalcinata del pozzo, come lui stesso è (rotto, scalcinato) mentre in tralice la guarda e cerca le parole che gli si sono congelate attorno al cuore.
Delphini lo guarda, domandandogli silenziosamente un perché che non  arriva a raggiungere le labbra e, allora, Draco scuote il capo e abbraccia con lo sguardo quel giardino.
«Guarda» sussurra, indicandole con la mano il giardino in décadence, la terra smossa sotto un salice disperato e spelacchiato. «Hanno nascosto qui i corpi dei miei genitori».
Lei non dice che le dispiace – non lo dice mai: perdona suo padre, forse impara a disprezzarlo per quell’amore negato che non ha ricevuto, ma dimenticare non dimentica mai. Sia fatta la Sua volontà: muta, senza senso, senza scopo. Sia fatta la Sua volontà che non comprendo ma rispetto, rispetterò sempre.
Sia fatta la sua volontà. Anche quando non è la mia.
«Pensi che ci sarà spazio anche per me?» domanda Delphini, osservando la terra smossa. «Lì sotto».
Draco sospira, rivolge uno sguardo al pozzo: vi tira uno Zellino, mormorando il proprio desiderio (mai ad alta voce, altrimenti non si avvera).
«Non lì sotto» commenta Draco, acido. «Lì dentro» aggiunge, indicando il pozzo. «La cenere non risorge».
E Lord Voldemort, che è risorto all’alba di quattordici anni dopo, sa bene cosa può fare la credenza di un figlio o un fedele: siano bruciati i Malfoy, ha comandato mentre Rodolphus mormorava l’incantesimo, non diamo la possibilità all’unico superstite di poterli risvegliare.
Delphini si concede un sorriso, finto, amaro, che le squarcia il viso come una speranza tutta da dimostrare.
«E la Greengrass?» domanda, alzando un sopracciglio biondo. «Anche lei ha fatto la stessa fine?».
Draco sorride e scuote il capo – ha ancora gli occhi che gli si riempiono di lacrime, a sentire il nome della donna che ha amato.
«Daphne ha passato qui il suo ultimo giorno» sussurra, passandosi una mano tra i capelli chiari, un po’ troppo lunghi. «Abbiamo cenato insieme, siamo andati a letto presto: quando mi sono svegliato, era già andata via».
Ed è la cosa peggiore: il fatto che si sia perso gli ultimi attimi di vita dell’unica donna che non abbia mai amato, che non l’abbia sentita respirare per l’ultima volta.
«L’ho fatta seppellire lì» mormora Draco, indicandole il cumulo di terra smossa che aveva notato prima. «Sua sorella mi ha detto che lei non poteva pensarci: Ria è stata occupata a lottare con i suoi fantasmi e, ora…».
«Non le è rimasto più niente» commenta Delphini, pacata. «Morirà anche Asteria Greengrass, oggi».
Draco ride, un suono infranto e doloroso che spezzerebbe cuori meno coriacei di quello di Delphini.
«Tutti dobbiamo morire» risponde lui, atono. «Avere paura di morire è più crudele della morte in sé».
Delphini annuisce, seria – non gli dice che, sebbene il controllo che ha di sé le imponga di non farlo vedere, dentro sa di non essere pronta: tutto il lei grida aspetta, devo ancora crescere.
È ancora bambina, quando lui la guarda e sorride, è ancora la bambina che ha pianto chiusa a chiave nella sua stanza a villa Lestrange: consolazione non ne ha mai avuta, comprensione nessuna, perdono? Lord Voldemort perdona per finta e, anche quando dice d’averlo fatto, non dimentica mai.
«Tu sei pronto?» sussurra Delphini, prendendolo per un braccio, le unghie che penetrano nella carne indifesa (sporcata dal Marchio).
«Esiste qualcuno che lo è?» domanda Draco, con una calma che non prova. «Pensi che non avessero tutti quanti dei sogni, dei piani da realizzare, delle speranze che hai rotto?».
E ora tocca a te, sembra dirle. E ora tocca a te.
«Pensavo che avrei fatto grandi cose» sibila lei, piena di astio. «Che sarei stata la sua erede, che mi avrebbe mostrato la via della grandezza».
Che è una via a senso unico: Voldemort non l’avrebbe mai mostrata a nessun’altro, nemmeno a quel piano di carne e sangue cui aveva dato forma, con l’aiuto di Bellatrix – dicono che Voldemort abbia vinto per mancanza d’amore e lui deve aver sperato che sua figlia fosse forgiata nel medesimo modo: ma Bellatrix, in maniera contorta e asimmetrica, aveva amato.
«Io avrei voluto l’amore, una famiglia» commenta Draco, con tracce di rimpianto che grondano tra le parole. «Ho imparato a chinare il capo, con gli anni: avrei continuato a farlo, pur di vivere in tranquillità».
La fa ridere – non gli dice, Delphi, che è proprio questo che l’ha reso intollerabile agli occhi di suo padre.
«Tu non hai mai voluto niente del genere?» domanda lui, alzando un sopracciglio. «Desideri normali, intendo: casa, amore, una famiglia».
Delphini pare pensarci per un attimo, raccogliere i frammenti di tutto quello che ha desiderato, nella propria vita: l’amore non porta a niente, le aveva detto Rodolphus con calma glaciale, l’amore non ti fa diventare grande. È debolezza, Delphi: pensi che l’erede dell’Oscuro Signore potrebbe esserlo, debole?
«Non lo so» sussurra, infine. «Non ci ho mai pensato».
Alla sua età, pensa Draco in un sospiro, Daphne Greengrass lo lasciava a soccombere nella sua assenza.
Alla sua età, Ria faceva i conti con l’abbandono del proprio fantasma – i Weasley le hanno salvato la vita, non è bastato.
Alla sua età, Delphini Riddle non ha mai conosciuto la passione senza freni ch’ha mosso sua madre per tutta la sua esistenza. Ha visto tanto, non le è rimasto impresso niente – e Draco si dice che è pietà, la sua, quando si rende conto che non deve aver provato niente di tutto questo: e le prende la mano, facendola tremare, e senza sapere perché le stampa un bacio minuscolo sulle labbra.
Lei non dice niente.
Ma, quando lui s’allontana, sembra sinceramente dispiaciuta.
 
***
 
[Mezzogiorno – Malfoy Manor]
 
«Non ti addormentare».
A mezzogiorno, a Draco il sonno inizia a camminare sulle palpebre – s’era ripromesso di passare le ultime ore della sua vita sveglio ma, dopo una notte insonne, la sonnolenza inizia a vagargli addosso come una maledizione.
«Dico sul serio» sibila Delphini, altezzosa. «Non ti puoi addormentare adesso».
Lui sorride, un po’ intontito: due minuti, sussurra, chiudo gli occhi due minuti e poi ti prometto che possiamo fare quel che vuoi – possiamo uscire, vedere il mondo o quel che ne è rimasto, prendere il sole, mangiare il tuo piatto positivo. E posso raccontarti di mia madre che avrebbe voluto crescerti, di mio padre che collezionava scacchiere antiche ma mai i pezzi, di me che sono perso da quand’avevo sedici anni e nemmeno so perché sono sopravvissuto per morire a ventisette. Quello che vuoi, anche di più: ma lasciami chiudere gli occhi ancora dieci minuti.
Delphi non glielo dice – che ha paura che, se chiuderà gli occhi, non li riaprirà mai più: non trova le parole per descrivere il riflesso di quel vetro soffiato che le taglia il cuore e tutt’intorno. E non gli dice che lei sa.
«Ti prego» sussurra, chinandosi su di lui per sussurrarglielo all’orecchio. «Non ti addormentare: l’hai detto anche tu, non siamo pronti».
Draco sorride, ha le labbra un po’ livide – e chi lo è mai, ripete, tu ti sentirai mai pronta? – e respira a fatica.
Delphini se l’è sempre chiesto, che incantesimo deve aver inventato suo padre per far funzionare il meccanismo delle buste e mai c’è arrivata: se la carta sia avvelenata o basti il pensiero di Lord Voldemort per cancellare dall’esistenza una persona.
«Tu lo sapevi, non è vero?» sussurra Draco, con la voce che è fil di cera spezzata. «Quale sarebbe stata la mia ora».
Delphini inghiotte un bolo d’aria salata – certo che lo sa, vorrebbe dirgli: lo ha scelto lei, a caso e senza criterio, quando ha formulato la lista. Ha segnato nome, cognome e un orario.
Sa che Ria Greengrass morirà alle ventitré e cinquanta, con la credenza che potrebbe essere stato un errore, che il figlio di Krum è già morto due ore fa, che Dennis Canon ha aperto la fila spirando alle sei e mezza del mattino, che.
Non sa, non può saperlo, quando toccherà a lei – se ultima o prima del primo, cos’avrà deciso suo padre per lei, quale sarà il punto fermo della sua esistenza, il capolinea, lo Zellino che Draco Malfoy ha gettato nel pozzo dei suoi desideri infranti.
Delphini l’ha sempre saputo: Draco Malfoy morirà a mezzogiorno e dieci e non potrà far niente per impedirlo. E non contano niente i suoi sogni, quello che avrebbero potuto fare se avessero avuto del tempo in più, quel che non è mai stato.
E lui continua a mormorare che si sveglierà, che c’è ancora tempo – e andranno a passeggiare per le campagne attorno al Manor e le permetterà di parlare con il quadro che raffigura sua madre ancora ragazzina, accanto a quello di Bellatrix (bruciato e spezzato) e quello di Andromeda (perduto). Che le racconterà la storia di Daphne, che prima di lui aveva amato Blaise e aveva ottimisticamente sperato di potergli sopravvivere, rifarsi una vita accanto a Draco.
Che le racconterà la storia di Ria, che s’era attaccata al ricordo di Fred Weasley con le unghie e con i denti – io mi ricorderò sempre di lui, aveva sussurrato a Draco quando lui le aveva detto di dimenticare, io sarò sempre lui.
Delphini scuote il capo, gli dice di stare zitto – ti prego, stai zitto – e non fare promesse invano: sa il valore che hanno e, in questa vita che non appartiene più a nessuno, Delphi non sa come farsele bastare.
«Vedrai» sussurra Draco, socchiudendo gli occhi. «Ho ancora qualche ora per mostrarti quel che di buono è rimasto in questo mondo».
Quel che Voldemort ha dimenticato di distruggere – non glielo dice, ma è chiaro – e quel che non sai che esiste ancora.
Delphini si lascia sfuggire una lacrima (una sola, poi basta così) mentre lui finalmente chiude gli occhi un sospiro, e la lancetta dell’orologio batte sul decimo minuto del mezzogiorno del primo maggio, con lei che trema fin dentro l’anima e non sa nemmeno il perché: si sfiora le labbra, dove incancellabile permane l’impronta di quel suo primo bacio, e si domanda perché.
Non gli chiederà di non lasciarla, s’impone con fermezza: Lord Voldemort vede tutto e lei non gli permetterà di vederla mentre supplica Draco Malfoy di ricominciare a respirare – Lord Voldemort sente tutto, però, e sicuramente non gli sarà sfuggita la disperazione con cui s’aggrappa alle sue spalle, sfiorandogli i capelli che le azzannano le dita, cercando sul collo la manifestazione di un battito che non c’è.
«Mi dispiace» sussurra ma, controluce, appare più come un singhiozzo disperato. «Non avrei dovuto».
Pensa che è la punizione che le spetta per il peccato di sua madre: nata senza amore non avrebbe amato ma, così, s’è riscoperta disposta a elemosinare amore dalla prima persona disposta a concedergliene almeno un debole surrogato.
Draco Malfoy si raffredda lentamente sotto le sue dita e lei, alla fine, lo comprende in un soffio d’istantaneità: è la punizione di suo padre per aver sbagliato una volta di troppo – non ferisci mai le persone così profondamente come lo si può fare con l’amore.
Delphini ride, guardando il soffitto e bagnandosi delle proprie stesse lacrime: amore di chi ha amato troppo, quello di sua madre, una passione bruciante che ha ustionato tutti quelli che vi gravitavano attorno. Bellatrix è morta in un incendio, Lord Voldemort non l’ha mai perdonata e, su quella figlia che aveva intessuto e pianificato, sono rimasti i segni brucianti di quel che Lui le aveva proibito di provare.
Delphini è un cucciolo ustionato e spelacchiato – e Voldemort, alla fine, non ha mai saputo cosa farsene, di lei.
 
***
 
[Mezzanotte meno cinque – Malfoy Manor]
 
Non sa nemmeno quante ore ha passato rannicchiata sul letto che era stato di Draco, nella sua camera di ragazzino: piena di poster di Quidditch, una vecchia scopa da corsa rinchiusa nell’armadio, lo stemma di Serpeverde attaccato al muro. Una foto di lui e Daphne Greengrass prima di quel fatidico primo maggio di sei anni prima: ancora bella, Daphne, ma tanto infelice – Delphini si domanda se non le abbia fatto un favore, a scrivere il suo nome nella prima busta nera fornitale da suo padre.
Bella e rovinata, si dice guardandola mentre agita la mano per scompigliare i capelli di Draco, chissà cos’è che l’aveva ferita con una tale intensità – se Zabini o l’assenza di un futuro possibile che le aveva masticato i sogni, lasciandoli a terra come uno sputo privo di alcun significato.
Accanto, una foto di gruppo dei Serpeverde all’ultimo anno: spiccano le chiome bionde di Draco e Daphne, Zabini e il suo sorriso ardente, l’assenza di Tiger e una piccola Ria intrufolatasi nella foto (già dispiaciuta, in quell’assenza che le rodeva il cuore).
E ancora un’istantanea di famiglia, con Lucius e Narcissa – Delphi si stupisce, nello scoprire la propria somiglianza fisica con quest’ultima – e un Draco di circa cinque o sei anni, un figurino addobbato con abiti da grande.
Non sa nemmeno quante ore ha passato a fissare tutte queste cose, angolo dopo angolo, istantanee di quella mancanza che le s’insinua dentro: non prima del primo, si dice osservando l’orologio, ma ultima dopo l’ultima. Prevedibile, il rancore che mastica il cuore di suo padre, il suo desiderio di vendetta che le assorbe i respiri mentre la lancetta dei secondi le ticchetta in testa.
Sorride.
Nelle fotografie, Draco sorride sempre, anche quando non è convinto di poterlo fare – e sorride per farla sorridere, mentre chiude gli occhi e il mondo si ripiega e scompare.
 
[Mezzanotte del due maggio, Malfoy Manor]
   
 
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