Se non avete letto il manga e non
volete rovinarvi la storia, non leggete!
Io vi ho avvisati…
Grazie a Roby_Lupin per aver betato la
storia!
UN NUOVO FIORE
Akito camminava tranquilla
nei dintorni della villa principale seguendo un percorso ben preciso, lo stesso
che faceva tutte le mattine, quasi all’alba, quando ne aveva l’opportunità.
Sorrise guardando una pianta in piena fioritura, poi sospirò. Erano passati
ormai cinque anni da quando la maledizione si era spezzata e ora lei iniziava a
sentirsi meglio: i sensi di colpa eil rimorso la
tormentavano ancora, ma grazie all’aiuto di Shigure
riusciva a superare quei momenti. Così accadeva anche agli altri membri dello
zodiaco: nessuno avrebbe mai potuto dimenticare, ma la felicità degli ultimi
anni aveva contribuito a rasserenare gli animi e aveva facilitato la
comprensione degli eventi.
Akito era stata perdonata, non senza riserve, da
quasi tutti; in fondo quella era stata una maledizione anche per lei solo che,
essendo il Dio, aveva commesso l’errore di sfogare la sua rabbia e la sua
frustrazione sugli altri, cercando al contempo di tenerli in modo ossessivo al
suo fianco. Li aveva maltrattati a parole e a gesti e ora se ne vergognava
terribilmente.
Fortunatamente avevano tutti avuto una seconda opportunità: chi di amare, chi
di vivere, chi di cambiare.
E anche Akito era cambiata: aveva scoperto che il
mondo era più grande di villa Soma e, soprattutto, che niente è immutabile. Ora
che non doveva più nascondere la sua femminilità era molto più a suo agio e
aveva scoperto un certo piacere, nonché interesse nelle creme, nei trucchi e
nei profumi; la sua natura era rimasta repressa per troppo tempo.
E Shigure era follemente geloso di lei, anche se non
lo avrebbe mai ammesso, e questo le faceva piacere: finalmente era riuscita a
lasciare su di lui un’impronta indelebile.
A quell’ora c’era poca gente in giro, salvo qualche domestica che però non
avrebbe mai osato disturbarla; poco prima di imboccare il sentiero che
l’avrebbe riportata nei suoi appartamenti, cambiò idea e scelse un’altra
direzione; quella mattina proprio non le andava di rinchiudersi in casa. Ad un
certo punto, le balenò l’idea di spingersi all’esterno della sua proprietà, in
fondo era una donna libera e poteva fare ciò che più le faceva piacere.
Un rumore insolito, però, attirò la sua attenzione. Nascosta dietro ad un
albero cercò di capire cosa stava succedendo: una ragazza dai lunghi capelli
corvini era chinata a terra e respirava affannosamente. Akito,
poi, la vide rimettere e dal momento che non dava segni di ripresa andò verso
di lei. Questo alla ragazza non avrebbe fatto piacere.
“Isuzu…” Mormorò Akito.
Rin si sollevò di colpo, girandosi verso Akito. Questo errore le costò caro: essendo già debole, dal
momento che non stava bene, quel movimento improvviso le procurò un giramento
di testa che la fece ricadere a terra dove vomitò nuovamente.
Rin si svegliò, tempo dopo, in una stanza che non
conosceva e accanto a lei c’era una persona vestita di bianco. Non appena
riuscì a mettere a fuoco l’immagine, riconobbe Hatori.
Pochi istanti dopo una seconda persona entrò nella stanza; Rin
sentì la porta scorrere e vide Hatori girarsi e andarle incontro.
“Come sta?”
“Meglio, si è ripresa. Sei sicura che non ci fosse sangue?”
“Sì.”
“Tienila a riposo, almeno per oggi. Le prelevo un po’ di sangue per fare delle
analisi, giusto per stare tranquilli.”
“Vado a chiamare Hatsuharu…”
“No, non c’è. E nemmeno Kagura, è andata via con i
suoi genitori.”
“Ci proverò…” Tra Akito e Rin
i rapporti erano sempre stati molto tesi a causa del comportamento del
capofamiglia. Al tempo della maledizione Akito aveva
cercato di separare Rin e Hatsuharu,
maltrattandola e arrivando a segregarla nella cella destinata alla persona
posseduta dallo spirito del gatto, nonostante le precarie condizioni di salute
della ragazza.
Nonostante le spiegazioni e gli anni trascorsi Rin
non era riuscita a perdonare Akito e nessuno, nemmeno
Akito, la biasimava per questa sua decisione. Hatori
uscì dalla stanza.
“Se credi di tenermi qui, ti sbagli di grosso!” Biascicò.
Akito sospirò: sarebbe stata una dura battaglia.
“Non credo di poterti tenere qui, Isuzu.” Rispose calma. “Ma spero che tu
rimanga. Non per me, ma per te stessa.”
Rin tentò di replicare, ma fu bloccata nuovamente
dalle parole di Akito.
“Sei pallida, hai appena rimesso e sei quasi svenuta. Se ti sentissi male
nuovamente e fossi da sola, cosa faresti? Credi che Hatsuharu
sarebbe contento di saperti a casa da sola?” Con l’ultima frase sapeva di
averla punta sul vivo. “Prometto di starti il più lontano possibile, se questo
può spingerti a restare.”
Rin sbuffò. “E va bene.” Il suo tono non era dei più
amichevoli, lo sguardo rivolto dalla parte opposta rispetto ad Akito.
Quella mattina Rin vomitò una seconda volta, poi, nel
pomeriggio iniziò a stare meglio. Non sapendo che fare si alzò, spinta dalla
curiosità, e iniziò a girare per la casa. Non era assolutamente come se la
aspettava; in verità nemmeno lei sapeva cosa aspettarsi. Tutte le volte che vi
era entrata non aveva mai fatto caso a quello che la circondava.
Le porte scorrevoli delle stanze erano tutte chiuse tranne una e Rin non resistette: era una stanza da letto. Vide una
scrivania con sopra un paio di libri e dei fogli, il copriletto era di un
colore neutro; un quadro appeso ad una parete catturò la sua attenzione: rappresentava
i dodici animali dello zodiaco, anzi, i tredici animali! In quel cerchio vi
erano tredici simboli e non dodici. Al centro era rappresentato un fiore
appassito.
“La stanza della signorina Akito.”
Rin sobbalzò, alle sua spalle vi era una domestica.
“La signorina mi ha detto che avrei dovuto tenerla a letto, anche con la forza
se necessario.” La donna le fece un ampio sorriso che la tranquillizzò.
“Non mi va di tornare a letto.”
“Eh, mi aveva avvertito che avrebbe fatto delle storie. Venga almeno in
soggiorno, le preparerò qualcosa da mangiare.”
Rin la seguì senza fare troppe storie.
Seduta su un cuscino faceva zapping in attesa di qualcosa da mangiare. Era in
una situazione veramente strana: la donna che più odiava, dopo sua madre, la
stava ospitando e si stava prendendo cura di lei. Questo pensiero la fece
riflettere molto: se era arrivata a tanto, come avrebbe mai fatto ad affrontare
quello che l’aspettava? Sì, perché Rin era
perfettamente consapevole della situazione nella quale si trovava.
Fissò una foto di Akito e Shigure…
cosa mai aveva trovato lui in Akito? Come faceva ad
essere innamorato di una persona tanto spregevole? Probabilmente adesso era
cambiata, ma prima…
La domestica entrò con il vassoio.
“Com’è vivere qui?” Le chiese Rin.
“Intende dire, come mi trovo al servizio della signorina Akito?”
Isizu annuì.
“Beh, ha un bel caratterino, ma è una persona giusta… io però sono qui
solamente da un anno. Il signor Shigure, invece, è
molto enigmatico e spesso la fa arrabbiare, ma si amano molto.”
Proprio in quel momento sentirono un rumore e qualche istante dopo Shigure entrò nella stanza.
“Ciao Rin. Akito mi aveva
avvertito che avrei trovato un ospite.”
Isuzu sbuffò, infastidita. Questo lato del suo carattere usciva solamente con
le persone che erano capaci di scovare le sue debolezze, le sue paure solamente
guardandola. Shigure era una di quelle.
“Allora… cos’è successo stamattina?”
“Non sono affari tuoi!” Rin si alzò di scatto e uscì
dalla stanza. Andò nuovamente a stendersi.
Se non era nemmeno in grado di tenere testa ad una persona, come avrebbe mai
potuto… una volta in camera iniziò a piangere. Poco tempo dopo si addormentò
stringendo il cuscino al petto.
Dormì per molte ore e al suo risveglio, ormai a notte inoltrata, trovò Akito al suo fianco. Isuzu provò un forte odio per quel
gesto così premuroso.
“Cosa ci fai qui?”
“Sono solo passata a vedere come
stavi.”
“E tu credi che basti preoccuparsi
di me per avere il mio perdono?” Odiava le persone gentili, e odiava ancora di
più che si preoccupassero per lei. Come Toru, la sua
amica Toru.
“No Rin,
non lo credo.” Il tono di Akito era diventato più
autoritario. “Quando faccio qualcosa, giusta o sbagliata che sia, è perché ci
credo ed è perché lo voglio. Sono il capofamiglia, nessuno può darmi ordini qui
dentro, nemmeno Hatori.”
Rin parve sorpresa dalla risposta e anche dalla
severità con la quale era stata detta.
“E allora perché lo fai, se non per chiedere perdono?”
“Perché sono diventata grande Rin. Sono cresciuta e
sono felice di essere ben diversa dalla bambina viziata che ti ha ferito così
tante volte. E sarebbe ora che anche tu crescessi. Dovresti permettere ad altre
persone di entrare nel tuo mondo, anche se potrebbero farti soffrire.” Akito si alzò e uscì dalla stanza.
“Non dire assurdità!” Urlò Rin dopo che la porta della sua camera si fu chiusa. Poi
scoppiò in lacrime.
La nausea ritornò la mattina
successiva. Mentre Isuzu era china sul lavandino, intenta a sciacquarsi la
bocca, sentì la porta del bagno aprirsi.
“Che vuoi?” Chiese, dopo aver sputato nel lavandino.
“Stai zitta!” La riprese Akito, posandole poi una salvietta bagnata sulla testa.
Poco dopo la riportò in camera e si sedette vicino al letto, come in attesa di
qualcosa.
“Avanti Rin,
fallo. Dopo ti sentirai meglio.”
Isuzu sentì la collera crescere
dentro di lei. “Cosa dovrei fare? Picchiarti? Insultarti?” Urlò. “Ormai non
avrebbe senso. Avrei dovuto farlo anni or…” Si bloccò di colpo e Akito accennò ad un mezzo sorriso.
“Ma come faccio a dimenticare… come
hai fatto tu a dimenticare tutto il male che hai fatto?” Proseguì dopo qualche
istante di silenzio.
“Non devi dimenticare,” rispose
pacata Akito. “Io stessa non ci riesco e non voglio.
Se dimenticassi tutto quello che è successo rischierei di fare nuovamente gli
stessi errori e non voglio. Sto provando disperatamente a cambiare, giorno dopo
giorno. Voglio diventare più forte, più in gamba. Ho trovato uno scopo nella
vita.” Prese fiato e visto che Rin non parlava,
continuò. “Ero invidiosa di te…”
“Invidiosa di me?” Isuzu si sorprese per la frase.
“Tu eri bella e avevi qualcuno
accanto che ti voleva bene. Io l’affetto lo pretendevo, non capendo che era una
cosa impossibile. Ero nata come Dio e
come tale tutti mi dovevano amare e dovevano stare con me. In più ho nascosto
la mia vera natura per troppo tempo. Per questo odiavo le donne. Tu avevi Hatsuharu, che doveva essere mio, in quanto io ero un
essere superiore. Avevo paura di rimanere da sola. Dopo la morte di mio padre
mi sentii abbandonata e non volevo più stare male come quella volta.”
Al nome del suo ragazzo, Rin voltò la testa dall’altra parte.
“Hai avuto paura?” Le chiese Isuzu.
“Ho paura. Se Shigure
dovesse… non voglio pensarci. Vivere nella paura non è vivere. Devi godere
istante per istante il presente, perché non si può tornare indietro. E non si
può sperare nell’immobilità delle cose, né delle persone, né dei sentimenti.”
“Io ora ho uno scopo, ma non sono
pronta per questo, e non so come affrontarlo!” Le parole le uscirono di getto,
poi le lacrime ripresero a scendere sul volto di Rin
che si portò le ginocchia al petto, rannicchiandosi.”
Akito ebbe
un’improvvisa rivelazione.
“Da quanto lo sai?”
“Dall’altra sera. Ieri mattina ero
talmente tesa che volevo andare a correre per scaricare i nervi. Avevo fatto
pochi metri quando il mio stomaco mi ha tradito.” Non riuscì a trattenersi
oltre e pianse.
Akito non sapeva assolutamente cosa fare. Nessuno
aveva mai pianto davanti a lei. Pensò a Shigure e ai
suoi gesti. Istintivamente accarezzò la testa a Rin
per poi ritrarre velocemente la mano ed alzarsi di scatto dalla sedia.
“Io credo che sarai un’ottima madre
e che tu e Hatsuharu sarete felici insieme. Solo, non
tenere fuori gli altri, permetti loro di esplorare il tuo mondo, di capirti.
Dopo ti sentirai meglio e riuscirai ad affrontare la vita in modo più sereno.”
Dette queste parole, uscì dalla stanza.
Nel pomeriggio Hatsuharu
andò a prendere Rin alla villa principale,
preoccupato. Una volta che ebbe indossato le scarpe, Rin
fu spinta da Akito addosso al ragazzo.
“Riprenditela, è troppo
indisponente! Buona fortuna.” Aggiunse infine.
Esausta Akito andò a stendersi in camera sua. Al
posto del fiore appassito, nel cerchio dei tredici segni dello zodiaco vi era
un pezzo di carta attaccato con dello scotch con sopra disegnato un bocciolo.
Akito lo fissò a lungo, godendosi quella nuova e
piacevole sensazione che la faceva sentire felice in un modo che non aveva mai
sperimentato.
Otto mesi dopo (all’incirca) Rin era nuovamente ricoverata all’ospedale, ma questa volta
per un lieto evento. La bambina era già nata e sarebbero stata dimesse entrambe
l’indomani.
Hatsuharu entrò nella stanza con in mano un pacchetto
che porse poi a Rin.
“Me lo ha dato Shigure,
per te.” Spiegò.
Rin lo aprì e
vi trovò dentro un peluches a forma di cavallo e un
biglietto.
Per non dimenticare.
Per andare avanti.
Per vivere.