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Autore: TheSlavicShadow    12/11/2021    0 recensioni
C'era un'idea. Stark ne è informato. Si chiamava "Progetto Avengers". La nostra idea era di mettere insieme un gruppo di persone eccezionali sperando che lo diventassero ancor di più. E che lavorassero insieme quando ne avremmo avuto bisogno per combattere quelle battaglie per noi insostenibili. [Nick Fury]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Aprile 2009

 

“Come stai?”

Era seduta per terra, con la schiena appoggiata contro il freddo metallo di quella che doveva essere la stanza costruita appositamente per Hulk. Ormai priva della cella di vetro, era completamente vuota. 

Loki era andato, svanito assieme ai suoi salvatori. Thor scomparso. Hulk uguale. Erano rimasti lei, Steve e Natasha. Avevano recuperato Clint Barton, a quanto le aveva riferito Fury, ma non sapeva se fosse utile o meno averlo con loro dopo la possessione da parte di Loki. E avevano avuto diverse perdite tra gli agenti dello S.H.I.E.L.D..

“Non me l’hai chiesto sul serio, vero?”

Aveva voltato lentamente la testa verso Steve. Finalmente si era cambiato. Finalmente non aveva Capitan America di fronte con la sua tutina sgargiante, ma era ricomparso Steve Rogers con una maglietta altrettanto aderente, ma almeno non era a stelle e strisce. 

Avevano passato una buona mezz’ora con Fury dopo l’attacco dei sottoposti di Loki. Il direttore dello S.H.I.E.L.D. li aveva informati di tutto quello che era successo mentre loro cercavano di riparare uno dei motori messi fuori uso. Era stato Fury ad informarli di Thor che era stato fregato da Loki e rinchiuso nella cella di Hulk per essere sparato chissà dove. Sempre lui li aveva informati che Banner aveva perso il controllo ed era scomparso dopo averli attaccati. Così avevano anche saputo che Natasha Romanoff aveva combattuto contro Barton, che ora era in infermeria in stato di incoscienza. 

Stranamente loro due erano rimasti lontani dalla battaglia vera e propria. Ancora più stranamente avevano lavorato insieme, in modo abbastanza serio e senza discutere troppo. 

“So che eravate amici di lunga data.”

“Non eravamo amici.” Si era messa in piedi e aveva osservato la macchia di sangue a qualche metro di distanza. Nessuno aveva ancora pulito nulla. I segni della battaglia erano ovunque attorno a loro, e lei stava quasi per complimentarsi con sé stessa di non aver ancora dato di matto davanti a tutti. “Lui era un agente, e a me faceva comodo.”

“Tasha, lo sappiamo che gli eri affezionata, almeno con me non devi mentire. Lo conoscevi da moltissimo tempo e ne avete passate tante insieme.”

“Era un idiota.” Lo aveva guardato. “Cosa gli avrà detto il cervello quando è venuto qui da solo per fronteggiare Loki? Certo, complimenti per il coraggio, ma lui con questi aveva già avuto a che fare e sapeva che era solo un semplice essere umano che non poteva avere speranza!”

“Era un soldato, ha fatto il suo dovere.”

“Ma io non sono un soldato e non voglio capire questo modo di ragionare!” Aveva alzato la voce, senza smettere di guardarlo. Scoprire da Fury della morte di Phil Coulson per lei era stato un colpo al cuore. Non aveva mai pensato che sarebbe successo. Non in tempi così brevi. Non in modo così imprevisto. Phil Coulson doveva tornare da lei dopo pochi mesi, con una nuova cartellina in mano, a darle nuove istruzioni su qualche lavoro inutile per Fury. “A me non interessa di Fury, dello S.H.I.E.L.D., del suo Progetto Avengers. Cosa sperava di ottenere portandoci qui tutti quanti? Davvero credeva che saremmo potuti diventare la migliore versione di noi stessi e lavorare tutti insieme? Tu ed io poi? Non siamo rimasti da soli in una stanza fino ad adesso!”

“Non è stato male lavorare con te.”

“Vaffanculo, Steve.” Non era riuscita a trattenere un lieve sorriso e guardare l’uomo che non le si era ancora avvicinato. Se ne stava immobile, con la schiena poggiata contro il muro e le braccia conserte al petto. “Torna ai tuoi alloggi finché non troviamo un modo di localizzare gli altri e vedere come procedere. Se avremo ancora una possibilità di procedere, a questo punto.”

“Sappiamo solo che a Loki occorre una fonte di energia per alimentare il Tesseract, e non sappiamo nemmeno quanti uomini sono rimasti esattamente. Pensi davvero che riuscirei a tornare nella mia cabina?” Si era spostato dal muro e le si era avvicinato. Non c’era più traccia dello Steve rabbioso che aveva fronteggiato in laboratorio. Che lo scettro di Loki avesse avuto anche quel potere? Tirare fuori il peggio di loro e farlo esplodere senza avere modo di contenerlo? Perché Steve doveva nutrire molto risentimento verso di lei. Quelle parole da qualche parte dovevano essere nate. Tenute nascoste, sepolte da qualche parte, ma dovevano essere già da qualche parte. 

“Steve, è una cosa a livello personale questa.”

“Di cosa stai parlando?”

“Loki. Ci ha colpiti qui, dove eravamo tutti più vulnerabili perché non ci aspettavamo un suo attacco. Si è fatto catturare senza opporre resistenza, e se ti ricordi te l’ho fatto notare subito sul quinjet che era troppo pacifico. Aveva pianificato tutto, ma perché?”

“Per dividerci, sembrerebbe.”

“Giusto, dividi et impera.” Lo aveva guardato e qualcosa stava prendendo forma nella sua testa. “Sa che deve eliminarci per poter avere una chance di vittoria. Ma insieme, che parola strana da dire adesso, insieme sa che siamo probabilmente troppo forti. Quindi quale cosa migliore che colpirci dall’interno e farci esplodere. Probabilmente sperava che ci saremo fatti fuori tra di noi, e ci era quasi riuscito. Loki vuole fare le cose in grande stile. Vorrà essere acclamato dalla folla per aver fatto fuori gli eroi della Terra. Vorrà avere un pubblico mentre lo fa.”

“Come ha fatto in Germania. Voleva essere al centro dell’attenzione.”

“Bingo, Rogers.” Gli aveva battuto un pugno sul petto prima di allontanarsi di qualche passo. Ragionare e camminare era sempre stato il suo punto forte. “Quella era la prova generale, questa è la prima. Entrambe riuscite egregiamente devo dire. Ora gli serve il gran finale. Loki è una diva a tutti gli effetti. Vuole un pubblico immenso. I fiori. Gli applausi. Un monumento in cielo con il suo nome scritto sopra.” Si era bloccata alle sue stesse parole e aveva guardato Steve. “Quel gran figlio di puttana. Sta andando a casa mia.”

“Dovevi sapere che le tue manie di protagonismo ti si sarebbero rivolte contro prima o poi.” Aveva allungato una mano verso di lei, sembrava gliela avesse porta per aiutarla a scendere dagli scalini su cui era salita mentre parlava. E lei l’aveva presa senza volerci pensare. Quello che succedeva sul Hellicarrier restava sul Hellicarrier. Finita la missione sarebbero tornati con i piedi per terra e alle loro nuove vite. Steve diviso tra Washington e Brooklyn, e lei a Manhattan. 

“Non sono manie di protagonismo. E’ solo la dimostrazione di potere su chi abbia l’uccello più grande negli affari. Sono pur sempre Natasha Stark, non posso di certo fare le cose in modo scialbo.” Aveva stretto la sua mano con più forza di quanto avrebbe voluto. Ma era calda. Era così calda che lo aveva quasi dimenticato. Era quel calore che ti dava sicurezza. Quel calore che sembrava ti potesse proteggere da qualsiasi cosa il mondo ti sbattesse addosso. “Mi dispiace, Steve.”

“Non credo sia questo il momento più adatto per parlarne, non credi?” Aveva risposto alla sua stretta, e non aveva spostato la mano come avrebbe creduto. “Dobbiamo salvare il mondo e poi magari ci possiamo sedere di fronte ad un bicchiere di whisky e parlare.”

“E se non avessimo più un mondo da salvare?”

“Quanto pessimismo, signorina Stark.” Aveva lasciato la sua mano questa volta e le aveva rivolto un piccolo sorriso. “Va a sistemare l’armatura. Io vado a vedere se Natasha è dei nostri, così possiamo andare a prendere a calci Loki. E salvare casa tua.”

Le aveva dato le spalle, continuando a sorriderle. Steve era davvero andato oltre? Non era rimasto ancorato al passato come lei? Perché lei non ci riusciva. Continuava a pensare e ripensare. Non aveva trovato un modo di reagire allora e non lo trovava neppure adesso. Il suo cervello era sempre così. Continuava a farle rivedere le stesse scene, analizzarle e analizzarle senza sosta, cercando quasi di trovare qualcosa di nuovo. Ma ovviamente non c’era. Non c’era nulla che le fosse sfuggito nel rivivere gli stessi momenti. 

Ci aveva pensato da sobria. Ci aveva ripensato da ubriaca. Di giorno e di notte. Perché lei non era affatto riuscita ad andare oltre. 

In apparenza sì. 

In apparenza era brava a fare le cose. La Stark Tower. I suoi uomini trofeo. Il suo conto in banca che era salito ancora di più. Ostentava la sua posizione e tutti presupponevano che avesse superato tutto. Anche la fase da “brava ragazza” che aveva avuto stando con Steve Rogers, simbolo indiscusso dell’integrità americana.

Ma questi erano solo gli insegnamenti lasciatele in eredità da suo padre. Non doveva mai e proprio mai farsi vedere debole e vulnerabile. Da nessuno. Non in casa e men che meno fuori casa. 

Era fatta di ferro ed era intoccabile sempre.

Ma con molta probabilità tutti sapevano che la sua fosse solo una recita. Le persone che le erano più vicine lo sapevano sicuramente, perché la conoscevano. Sapevano che non era capace di farsi scivolare le cose addosso come invece voleva far credere a tutti. Rhodes lo sapeva e glielo diceva sempre che doveva anche farsi vedere da qualcuno per superare le varie situazioni che continuava a rivivere nella sua testa. Dello stesso avviso era Pepper, che in alcuni momenti particolarmente stressanti non aveva esitato ad essere molto più diretta di Rhodes. Solo che lei era brava nel fuggire dai problemi. Li accantonava fino a quando non la colpivano direttamente in faccia e doveva affrontarli.

Come Steve. 

Non averci avuto nulla a che fare per qualche tempo le aveva permesso di ignorare il problema. Aveva potuto fare finta che dovesse andare così, che era solo il naturale corso degli eventi. La maggior parte delle relazioni prima o poi finiva, e Steve e lei non erano l’eccezione alla regola. Anzi, sarebbe dovuto essere chiaro ad entrambi che non avrebbero mai potuto funzionare dal principio. 

 

✭✮✭

 

Come aveva previsto, la Stark Tower era stata usata da Loki per alimentare il Tesseract. Sulla sua pedana di atterraggio vedeva il congegno costruito da Selvig acceso e funzionante. E sembrava così tanto la struttura del reattore arc che provava un misto di orgoglio e disperazione. Orgoglio perché erano stati loro, gli Stark, a costruire una cosa tanto geniale. Disperazione perché sapeva che sarebbe stata una impresa non da poco cercare di fermarlo. 

E Selvig lo aveva già acceso.

Era solo questione di minuti e avrebbe aperto un portale verso un mondo ignoto. Avrebbe portato sopra la sua Manhattan qualcosa che non sapevano neppure come combattere. Qualcosa che poteva tranquillamente essere Alien vs Predator e aveva visto quei film troppe volte per sapere che non finiva mai bene per nessuno. 

Forse solo Sigourney Weaver avrebbe potuto aiutarli in quella situazione.

Se solo Alien fosse stata una storia vera, anche se i dubbi adesso iniziavano a venirle. 

Non aveva mai messo davvero in dubbio l’esistenza degli alieni, perché solo uno sciocco poteva credere che gli esseri umani fossero gli unici abitanti dell’universo. Ma aveva anche sempre ritenuto la Terra un posto molto poco attraente e abitato da esseri sottosviluppati per poter essere davvero interesse di una potenziale invasione aliena. 

Ora doveva ricredersi anche su questo.

Ricredersene davvero. L’arrivo di Thor aveva confermato l’esistenza di altri mondi, ma lo credeva un incontro più unico che raro. Thor stesso se ne era tornato ad Asgard per, in teoria, non farsi vedere mai più. 

E mentre guardava il macchinario di Selvig si stava seriamente chiedendo se dopo quella giornata ci sarebbe stata ancora una Terra da proteggere. Non aveva alcuna idea di cosa sarebbe potuto uscire dal portale.

Doveva per prima cosa cambiare armatura. Quella era ormai da rottamare, e non poteva di certo sperare di combattere con quella addosso. Era già tanto se era riuscita a farla volare dall’Hellicarrier fino a Manhattan. Se avesse provato a sfidare questi Chitauri sicuramente sarebbe morta subito. Non riusciva a scalfire il campo di energia creato da Selvig per proteggere il Cubo, figuriamoci se aveva qualche speranza con quello che li avrebbe aspettati dì lì a poco.

Era rientrata nel proprio appartamento perché aveva davvero bisogno di una nuova armatura. Il macchinario di Selvig che puntava dritto al cielo sembrava che dovesse aprire il portale da un momento all’altro, e non voleva farsi trovare impreparata. Non quando poteva evitarlo. 

Dalla pedana di atterraggio aveva notato qualcuno all’interno dell’appartamento e aveva subito riconosciuto Loki nel losco figuro che la guardava attraverso le vetrate.

“J.A.R.V.I.S., prepara subito la nuova armatura.” Non appena i pezzi dell’armatura avevano iniziato ad abbandonare il suo corpo, si era sentita come se fosse nuda. Come se fosse vulnerabile. Forse perché quello di fronte a lei era comunque un essere molto molto più forte di quanto lei non lo sarebbe mai stata. Aveva visto Steve Rogers venire atterrato da quel Loki.

“Non è ancora pronta, signorina Stark. Mancano ancora diversi test da portare a termine.”

“Sempre questi infiniti test… Ne ho bisogno ora. E ne ho davvero bisogno.” Non appena aveva messo piede all’interno della casa, Loki si era voltato verso di lei e le sorrideva. Soddisfatto. Vittorioso. 

“Stark, ti aspettavo. Dimmi, farai appello alla mia umanità? Mi chiederai di interrompere tutto? Di abbandonare la vostra piccola misera Terra e tornarmene da dove sono venuto?” Il dio dell’inganno aveva mosso qualche passo verso di lei, e sembrava così sicuro della sua vittoria che voleva dargli subito un pugno.

“Oh no, sarebbe una perdita di tempo anche provarci. Al massimo potrei provare a minacciarti e spaventarti. Vuoi un drink?” Loki non le aveva tolto gli occhi di dosso, e sorrideva divertito. Sapeva che senza armatura non incuteva timore a nessuno. E come avrebbe potuto con il suo metro e settanta scarso? 

“Stai cercando di prendere tempo? Non funzionerà.”

“Direi di no. Io ho seriamente bisogno di un drink per affrontare quello che succederà tra poco.” Aveva preso il decanter col whisky e ne aveva versato due dita in un bicchiere. Sul bancone della zona bar aveva lasciato gli ultimi prototipi. Stava lavorando ad una armatura che poteva richiamare a distanza. In teoria funzionava. In teoria. Per quello stava lavorando ancora sui braccialetti che avrebbero dovuto richiamare l’armatura. Era la sua ultima creazione, era l’armatura che aveva creato fino a qualche giorno addietro. Ma non aveva avuto il tempo materiale di testarla. 

“I Chitauri stanno arrivando. Oramai nulla può cambiare.” Loki si era voltato. Le aveva dato le spalle per guardare fuori dalle finestre panoramiche dell’attico e lei ne aveva approfittato per mettere i braccialetti. Si erano subito accesi, non appena erano giunti a contatto con la sua pelle. “Cosa dovrei temere secondo te, umana?”

Si era voltato nuovamente verso di lei, e le sembrava davvero uscito da una recita shakespeariana con quel suo atteggiamento regale.

“Gli Avengers. Ci facciamo chiamare così.” Aveva fatto un’alzata di spalle quando il suo interlocutore l’aveva guardata confuso. “Una specie di squadra. Gli eroi più potenti della Terra.”

“Sì, li ho conosciuti.” Il dio le aveva sorriso beffardo, perché non erano eroi e non erano potenti. Li aveva sconfitti su tutta la linea.

“Già, devo ammetterlo. Sei stato bravo a colpirci dall’interno. Molto astuto. Un vero cavallo di Troia.” Aveva bevuto ancora un sorso di whisky e sperava che quella giornata finisse il prima possibile così da rifugiarsi nella sua bella torre lontana da tutti. “Ma, ricapitolando, tra le nostre fila abbiamo tuo fratello, il semidio.” Lo aveva visto fare una smorfia e sicuramente tra i due correva la classica trita e ritrita gelosia fraterna. In quei momenti era felice di essere figlia unica. “Un supersoldato, una leggenda che vive nella leggenda. Un uomo gentile ma con grossi problemi a gestire la rabbia. Due assassini provetti. Io. E tu, tu sei riuscito a farci incazzare tutti quanti.”

“Era questo il piano.”

“Un pessimo piano, perché hai solo svegliato il can che dorme. Gli Avengers arriveranno, e arriveranno per te.” Si era spostata dal bar, con il bicchiere di whisky ancora in mano. Avrebbe cercato di prendere più tempo possibile per permettere a tutti di raggiungerla a Manhattan. 

“Siete una manciata di uomini. Io ho un esercito con cui conquistarvi.” Loki le aveva sorriso, come se avesse detto qualcosa di davvero divertente. Del resto non poteva dargli torto. Loro erano per lo più umani, e stavano per arrivare degli alieni.

“Credo che tu non abbia colto il punto. Non c’è nessun trono da conquistare qui. Arriverà il tuo esercito, e con molta probabilità sarà molto più potente di noi. Ma ricordati, se non riusciremo a salvare la Terra, stai certo che la vendicheremo.” 

Loki l’aveva guardata seriamente. Per un istante aveva perso il ghigno con cui l’aveva guardata poco prima. 

“E dimmi, come pensi che potranno combattere il mio esercito mentre saranno occupati a combattere contro di te?” Le si era avvicinato, guardandola per la prima volta minaccioso mentre alzava lo scettro e con la punta colpiva il suo reattore arc. Aveva avuto paura. Aveva il terrore di trasformarsi nel burattino di Loki. Di fare del male ai propri amici. Di boicottare tutti gli sforzi, seppur miseri, che avevano fatto per dare alla Terra qualche attimo in più. Cosa avrebbero fatto i suoi compagni per combatterla? Per contenerla? Steve. Steve l’avrebbe davvero combattuta? Avrebbe dovuto farlo al massimo delle sue forze, perché sicuramente lei avrebbe combattuto al 100% del suo potere. 

Ma non era successo nulla. Loki aveva colpito il suo reattore una seconda volta, ma si era sentito solo il rumore dello scettro sulla superficie vitrea del reattore. 

“Io non capisco. Di solito funziona.” Loki guardava la punta dello scettro spaesato. Del resto lo era anche lei. Molto anche. Aveva già previsto gli scenari peggiori nella propria testa. 

“Può capitare di fare cilecca. Non è così raro. 1 volta su 5 dicono.” Doveva stare zitta. Lo sapeva che doveva stare zitta e che la sua linguaccia le avrebbe portato solo guai. Lo aveva capito nell’esatto momento in cui la mano di Loki era attorno al suo collo e la alzava in aria con un solo braccio e la scaraventava per terra.

“J.A.R.V.I.S., quando vuoi puoi avviare. Avvia. Avvia!” Non era stato piacevole l’incontro con il freddo e duro pavimento. Non aveva previsto di finire così, altrimenti avrebbe indossato subito la sua armatura. Aveva timore in quel momento. Era solo una misera umana di fronte ad un semidio, e si sentiva tremendamente vulnerabile. 

“Vi inginocchierete tutti al mio cospetto. Tutti.” Loki l’aveva alzata nuovamente da terra tenendola per il collo, e della sua armatura non c’era ancora traccia. E questa volta l’aveva lanciata contro la finestra che si era frantumata in migliaia di piccoli pezzi contro la sua schiena. 

Stava precipitando nel vuoto dal 90° piano della sua magnifica torre di Manhattan. E questo le avrebbe fatto venire i capelli bianchi, ne era certa. Il suo cuore non avrebbe retto e sarebbe morta ancora prima di toccare terra. Non voleva neppure pensare o immaginare che tipo di poltiglia sarebbe diventata una volta raggiunto il marciapiede. E non invidiava nessun povero soccoritore che avrebbe dovuto raccogliere i suoi resti per metterli in un sacchetto nero.

Quando ormai si dava per spacciata, aveva sentito il fischio ed il rumore della sua nuova armatura che stava arrivando. Sparata come un proiettile dalla sua cabina armadio, la nuova armatura si era aperta, dividendosi in altri pezzi per avvolgere il suo corpo che stava precipitando a velocità sempre più forte. 

La visiera si era chiusa giusto in tempo per permetterle di virare ed evitare di uccidere se stessa e qualche povero passante che ancora non sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco. 

In un attimo era di nuovo in alto, di fronte a Loki che la guardava tra il meravigliato e il disgustato dal fatto che fosse ancora viva e vegeta.

“In più, dio cornuto, mi hai fatta incazzare a morte per Phil Coulson.” Aveva alzato un braccio ed era stata più veloce di Loki nel sparare con il suo propulsore, scaraventandolo a terra e rendendolo almeno per poco fuori gioco. Poteva non sembrare così, ma con l’armatura era potente. Con l’armatura addosso poteva tenere testa anche a Thor. Non batterlo, non aveva questa presunzione. Ma quando era Iron Woman poteva tenere testa quasi a chiunque. Ogni nuova versione era poi potenziata. Per questo sperava che anche contro gli alieni qualcosa la sua armatura avrebbe fatto. 

Assicuratasi che Loki fosse fuori gioco almeno per un po’, la sua attenzione si era concentrata su Selvig. Come aveva potuto Loki corrompere una mente tanto brillante?

Ma si era velocemente data una risposta. Se lo scettro gli dava la conoscenza infinita probabilmente si sarebbe fatta corrompere anche lei. Quasi sicuramente. 

Un fascio di luce, di energia, aveva squarciato il cielo. Era come in un film. Solo che quella era la realtà e adesso aveva davvero paura di non farcela. 

L’esercito di Chitauri tra pochi istanti si sarebbe riversato per le strade di Manhattan, sterminando o imprigionando i suoi abitanti. Loki non era stato molto chiaro su cosa i Chitauri avrebbero poi fatto della loro Terra, ma era abbastanza sicura che almeno una parte della popolazione sarebbe stata ridotta in schiavitù. Facevano così i conquistatori, no? Nei libri di storia era un pattern che si ripeteva all’infinito già dall’antichità. Il proprio potere si dimostrava anche dalla quantità di popolazioni che venivano soggiogate. 

Solo che lei non si sarebbe fatta catturare di nuovo. Avrebbe piuttosto scelto la morte che essere di nuovo prigioniera di qualcuno. 

Si era lanciata verso il buco aperto dal Tesseract. Quel portale non aveva nemmeno idea in quale parte dell’universo potesse portare. Non era nemmeno sicura fosse nella loro dimensione, perché ormai metteva in dubbio tutto quello che aveva sempre studiato. Già l’arrivo di Thor l’anno prima aveva stravolto tutte le teorie sull’universo. Questo nuovo attacco non faceva che confermarle tutte. 

Si era lanciata senza esitazione contro i primi Chitauri che stavano arrivando. Erano orripilanti alla vista, ma sembravano usciti direttamente da uno dei film sci-fi che guardava in continuazione. 

Si augurava che Steve e gli altri avrebbero fatto in fretta ad arrivare a Manhattan, perché sapeva che non ce l’avrebbe fatta a trattenerli per molto lì in alto. Erano troppi e lei era da sola. Se anche fosse riuscita a ucciderne qualcuno, non poteva trattenere la maggior parte che scendeva a frotte. Sarebbe servito un esercito di armature per respingerli tutti. E lei in realtà ce l’aveva. Ma non era utilizzabile da remoto. 

“Tasha, siamo a Manhattan.” La voce di Steve era improvvisamente nelle sue orecchie, e ne era immensamente felice in quel momento. Non sapeva quanto avrebbero davvero potuto fare, ma almeno non era più da sola. “Com’è la situazione?”

“Devo essere sincera? Una merda.” Quei così erano potenti e ci metteva un po’ a farli fuori. Non era proprio immediato come aveva ardentemente desiderato e sperato. “Quindi muovi il culo sotto la torre e aiutami a far fuori quelli che mi sono scappati di mano. Ce ne sono troppi.” 

Chiedere aiuto non era da lei. Era solita fare tutto da sola. Missioni comprese. 

Ma questa volta aveva davvero bisogno di una mano da parte di quante più persone possibili. Steve, Natasha Romanoff e Clint Barton erano arrivati. Il suo sesto senso le diceva che anche Thor e Banner sarebbero arrivati entro poco tempo. Erano in 6. Non sapeva esattamente cosa avrebbero potuto fare contro un vero e proprio esercito. Sembrava un’orda barbarica che senza sosta continuava a caricare contro i popoli che volevano sottomettere. 

 

✭✮✭

 

“Stark.” Sentire la voce di Nick Fury nelle orecchie non era la cosa più piacevole del mondo. Soprattutto perché voleva dire che aveva bypassato il protocollo di sicurezza  J.A.R.V.I.S. ed era entrato nel sistema di comunicazione che aveva aperto con gli altri. “C’è una testata nucleare che si sta dirigendo verso Manhattan.”

“Wow. Grazie. Non ci bastavano i Chitauri?”

“Non è stata una decisione mia. Hai due minuti prima dell’impatto.”

“Fantastico.” Mentalmente lo aveva maledetto mentre cercava di intercettare dove esattamente si trovasse questa testata nucleare. I piani alti dovevano essere impazziti per sganciare una cosa simile su Manhattan. Come se solo l’isola ne avrebbe subito le conseguenze. Poteva razionalmente capire che quella era la soluzione disperata ad una situazione disperata, ma non era una soluzione che poteva accettare. “Steve, hanno sganciato una bomba verso di noi e la sto raggiungendo adesso.”

“Si può disinnescare?” La voce di Steve all’altro capo della comunicazione era affannata, e non se ne stupiva affatto. I Chitauri non gli davano tregua. Continuavano ad uscire a sciami dal portale.

“Non penso proprio di avere tutto questo tempo a disposizione, ma so dove posso spedirla a mia volta.” Aveva raggiunto la bomba e si era infilata sotto di essa, cercando di curvarla subito per dirigerla dove le serviva. Magari non sarebbe servito a nulla e la sua era un’idea altrettanto disperata, ma almeno avrebbe tentato. Era l’unica cosa che poteva fare in quel momento.

“Stark, ho recuperato lo scettro di Loki e posso chiudere il portale.” La voce della Vedova Nera l’aveva stupita. Non pensava che qualcuno sarebbe riuscito ad arrivare così velocemente allo scettro. 

“Aspetta, devo mandargli un regalo ai Chitauri.”

“Tasha, non fare pazzie.” La voce di Steve Rogers sembrava preoccupata ed era l’unico che aveva capito cosa volesse fare probabilmente. La conosceva bene nonostante tutto. O forse proprio per il nonostante tutto.

“Nessuna pazzia. Basta che teniate il portale aperto per qualche istante di più.” L’idea era quella di piazzare la bomba nel portale e ritornare indietro. Non sapeva se fosse effettivamente fattibile. Non sapeva nemmeno se la sua armatura avrebbe retto il passaggio in un’altra dimensione, ma era la sola ed unica soluzione che le era venuta in mente. Non poteva far esplodere la bomba da nessuna parte perché era troppo vicina alla città. E farla esplodere nello spazio aperto - o almeno così presumeva - poteva essere una soluzione valida. 

“Signorina Stark, se oltrepassiamo il portale non sono sicuro che l’armatura possa continuare funzionare. Non è stata testata per volare oltre l’atmosfera terrestre. Vuole che la metta in comunicazione privata con il capitano Rogers?” Per quanto fosse solo una voce artificiale, J.A.R.V.I.S. sembrava quasi preoccupato mentre le parlava. Era riuscita a rendere la sua intelligenza artificiale più umana di quello che aveva previsto.

“Come preferisci, ma non ho nulla da dirgli.” Aveva mormorato, ma solo perché odiava quelle situazioni. Lei scappava. Lo aveva sempre fatto alla fine.

“Stark?” Odiava sentirlo preoccupato. Lo aveva sempre fatto. Adesso per lei era anche peggio, perché non sapeva nemmeno da che parte iniziare.

“E’ un’idea di J.A.R.V.I.S. quella di contattarti e parlarti.” Il portale era a pochissimi metri. Ora le sembrava un viaggio di sola andata. “Tenete il portale aperto, ma se non mi vedi tornare, chiudi tutto.”

“Cosa vuol dire “se non mi vedi tornare”? Ti avevo chiesto di non fare pazzie.”

“Non è una pazzia, è una soluzione. Non ne ho trovate altre, Steve. Non so nemmeno se ce ne sono altre.” Il portale era ad un passo. Oltrepassato non sapeva cosa sarebbe successo. “Forse dovremmo rimandare la nostra conversazione di chiarimenti.”

“Tasha, non osa---” 

Come aveva oltrepassato il portale la comunicazione con Steve si era interrotta. Aveva lasciato andare la testata nucleare che si stava dirigendo dritta verso quella che doveva essere l’astronave dei Chitauri. 

“Signorina Stark, il sistema sta andando in blocco.” La voce di J.A.R.V.I.S. si trascinava, come se stesse morendo. E lei non riusciva a muovere un solo dito perché il sistema interno dell’armatura non funzionava più. Tra poco non avrebbe più avuto ossigeno e non poteva rientrare a Manhattan. 

Ma era nello spazio aperto. Nessun essere umano si era mai spinto fino a lì. E lei poteva vedere le stelle. Le nebulose. E godersi anche l’esplosione dell’astronave dei Chitauri.

Tutto quello era uno spettacolo unico, e lei non poteva condividerlo con nessuno.

C’era lei. E lei soltanto. E non sapeva nemmeno a quanti anni luce fosse da casa in quel preciso istante. 

Era tutto meraviglioso e spaventoso allo stesso tempo. E tutto quello che sentiva era solo freddo e paura. 

Forse avrebbe dovuto dire a Steve tutto quello che aveva dentro da troppi anni. Doveva chiedergli scusa e doveva poi sparire per permettergli di essere felice con Sharon Carter. Magari così sarebbero andati oltre entrambi e avrebbero finalmente chiuso quel circolo vizioso che era il loro rapporto. 

Solo che faceva freddo e lei iniziava ad avere sempre più sonno.

 
   
 
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