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Autore: Violet Sparks    14/11/2021    20 recensioni
Ushijima Wakatoshi pensa di sapere tutto.
Pensa che la sua vita sia una strada dritta, precisa, incontrovertibile. Un percorso duro, forse, ma perfettamente definito, un segmento geometrico con un punto di partenza e un'unica meta, da tenere sempre a mente.
Ma Ushijima Wakatoshi ha dimenticato che, sopra alla strada, esiste il cielo, con un sole bollente che brucia e illumina e non vuole essere ignorato.
La domanda è: lui sarà pronto ad alzare lo sguardo?
***********************************************************************
Una notte come tante, dopo la sorprendente sconfitta della Shiratorizawa, Wakatoshi incontra Hinata Shoyo in circostante bizzarre ed è costretto a trascorrere con lui la notte più assurda della sua vita.
Wakatoshi prova una ostilità viscerale nei confronti del piccolo corvo e non vede l'ora di dividere nuovamente le loro strade.
Peccato però, che il mocciosetto non sia del suo stesso avviso.
E stia per stravolgere completamente la sua vita.
[USHIHINA - Ushijima Wakatoshi x Hinata Shoyo]
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tendo Satori, Wakatoshi Ushijima
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO VIII
Un passo alla volta
 
 
A volte la chiave per fare progressi
è riconoscere come fare quel primo, semplice passo,
poi comincia il tuo viaggio.
Speri per il meglio e tieni duro, giorno dopo giorno,
anche se sei stanco, anche se vorresti mollare.
Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile.
Grey’s Anatomy
 
 
 
Wakatoshi ci mise un po' ad abituarsi all’idea di dover condividere i propri pasti con Hinata Shoyo, ma alla fine, lentamente, cominciò a prenderci la mano.
Non era nient’altro che un allenamento – ripeteva a se stesso, in certi momenti particolarmente difficili- un esercizio da dover ripetere più e più volte per addestrare i muscoli e non accusare più lo sforzo. Ed effettivamente, dopo circa una settimana da quella famosa sera, Wakatoshi aveva notato che il senso di inquietudine che lo aveva sempre accompagnato quando il corvetto era nelle sue vicinanze, si era fatto un po' più… sopportabile.  
Come aveva annunciato, Hinata aveva chiesto informazioni sull’alimentazione al coach della sua squadra, il quale aveva creato per lui una dieta specifica, consultandosi con un nutrizionista. Non mangiavano propriamente le stesse cose, ma di base le pietanze e le preparazioni erano simili, quindi il ragazzino aveva preso l’abitudine di aspettare che lui tornasse dall’allenamento, così da poter cucinare insieme.
Quando Wakatoshi gli aveva fatto presente che era una premura del tutto innecessaria, Hinata gli aveva rivolto un sorriso timido e si era stretto nelle spalle.
“Non è un problema per me aspettare. E poi, in questo modo, posso vedere come prepari i piatti e darti una mano!” aveva affermato, guardandolo da sotto le sue ciglia assurdamente lunghe.
“Posso dirti a voce come preparare il cibo e non ho bisogno di aiuto, sono in grado di farlo da solo.”
“Lo so che sei in grado di farlo da solo, ma in due è meglio, non credi?”
Lì per lì, Wakatoshi aveva preferito non rispondere alla domanda.
Era una credenza popolare piuttosto diffusa quella secondo cui affrontare gli oneri della vita insieme a due o più persone li facesse diventare magicamente più semplici, eppure lui non ci aveva mai creduto granché. Nel corso della sua esistenza, aveva sempre fatto tutto da solo, senza contare sull’aiuto di nessun’altro al di fuori di se stesso e non aveva mai avuto difficoltà rilevanti, ragion per cui non capiva perché la gente sentisse il bisogno di appoggiarsi agli altri per affrontare i problemi.
Ad ogni modo, aveva accettato la proposta di Hinata nonostante le proprie rimostranze, intenzionato a rimanere fedele alla promessa che aveva fatto a se stesso e a Tendou di non chiudersi nei confronti del ragazzino e cercare di venirgli incontro.
D’altronde, succedeva una cosa davvero bizzarra quando cucinava fianco a fianco a lui: ci mettevano sempre il doppio, se non addirittura, a volte, il triplo del tempo.
Eppure, Wakatoshi non se ne accorgeva mai.
“Devi tagliare le verdure in pezzi di uguale grandezza, altrimenti alcuni si bruceranno mentre altri rimarranno crudi.” lo riprendeva il giovane capitano, ad esempio, fermandolo poco prima che arrivasse a metà delle carote che aveva cominciato ad affettare sul tagliere di legno.
“V- va bene!” si affrettava subito a rispondere il piccolo, annuendo rapido. A quel punto, di solito, esibiva un’espressione di concentrazione talmente intensa da risultare quasi buffa, faceva un respiro profondo e tentava di eseguire le direttive impartitegli da Wakatoshi con tutto l’impegno di cui era capace. “Così è giusto? Che dici?” esclamava non appena aveva finito, puntandogli addosso uno sguardo carico di aspettativa.
“Sì, è giusto.” era la sua risposta atona “Ma le verdure vanno lavate e disinfettate prima di tagliarle, non dopo, altrimenti assorbono troppa acqua.”
“D’accordo.”
“E tieni meglio il coltello, rischi di tagliarti.”
“In che senso?”
“Impugnalo più giù, non al centro della lama.”
“In questo modo?”
“No, ti faccio vedere.”
E così la scena si ripeteva, e si ripeteva ancora.
Da una parte, Wakatoshi faceva le sue correzioni, gli mostrava nuove tecniche e metodi di preparazione, mentre dall’altra Hinata ascoltava rapito, attento come uno studente durante le lezioni, per poi cimentarsi nei vari compiti, mettendoci tutto quel fuoco e quella caparbietà che gli si confacevano finché, dopo numerosi tentativi, non arrivava al risultato desiderato.  
Quando finalmente riuscivano a mettere entrambe le pietanze in tavola e sedersi uno accanto all’altro, sulla lucida penisola al centro della cucina, la notte oramai aveva già rinfrescato l’afa estiva e in giardino, i grilli avevano preso a intonare la loro metodica sinfonia al cielo scuro.
Hinata, allora, prendeva il suo cellulare dalla sacca, lo appoggiava davanti ai loro piatti, in posizione orizzontale e faceva partire qualunque video avesse avuto modo di registrare quel giorno al ritiro. Per lo più si limitavano a guardarlo in silenzio, osservando le azioni, gli allenamenti o le partite tra un boccone e l’altro, ma i commenti del ragazzino – decisamente coloriti e più simili a delle esclamazioni casuali che a delle frasi di senso compiuto- non mancavano mai.
“UFFAAA! Odio vedere Tsukki riuscire in qualcosa, ma quella battuta è stata pazzesca!”
“WWWO! Che colpo micidiale! Hai visto?!”
“Questa la devi vedere! SBEM, TUUUM! E adesso, ecco che arriva il BAAAMM!”
Più Wakatoshi lo ascoltava più si chiedeva se parlassero la stessa lingua o ci fosse qualche forma di giapponese che non gli era stato insegnato alle elementari. Di sicuro, comunque, aveva smesso di intimargli di non gridare e cercare di mantenere un tono di voce dignitoso: ormai si era arreso al fatto che Hinata fosse chiassoso di natura e per quanto il suo senso del rigore bramasse sedare tutta quell’esaltazione immotivata, aveva capito che cercare di dosare il piccolo corvo era fatica sprecata.
Al tempo stesso però, Wakatoshi doveva ammettere che dopo la violenta discussione che avevano avuto in giardino, anche l’atteggiamento del ragazzino nei suoi confronti era lievemente cambiato: non lo seguiva più dappertutto cercando di istaurare un rapporto, si sforzava molto più di prima a non fare rumore o a non lasciare le sue cose in giro per casa e, soprattutto, rispetto alle settimane precedenti, cercava di misurare i suoi modi, anche se non sempre riusciva nell’impresa.
Si stava sforzando di essere più educato, meno distratto, non invadente.
E, di conseguenza, Wakatoshi si sentiva vagamente più rilassato.
“PUUAAA! Quella sì che era una schiacciata!” esclamava ancora, all’improvviso, riempiendo la stanza col fragore della sua risata e agitando le bacchette per aria.
“Non parlare con la bocca piena, per favore.” lo rimproverava allora Wakatoshi, modulando la voce affinché il tono apparisse fermo ma non eccessivamente brusco.
“Sì d’accordo, Japan!”
Tornavano a mangiare in silenzio.
Un sorriso morbido sulle labbra sporche del piccolo corvo.


 
Wakatoshi era veramente stanco, quella sera.
La palestra in cui si svolgeva il ritiro della nazionale under19 era stata chiusa per disinfestazione, quindi lui e gli altri ragazzi avevano dovuto svolgere l’allenamento sui campi all’esterno, posizionati in maniera tale da non essere esposti direttamente al sole, ma ugualmente tediati dalla intensa calura estiva. Già verso mezzogiorno la sua divisa stava grondando di sudore, aveva finito ben tre bevande energetiche e, intorno a lui, la maggior parte dei compagni aveva dovuto fermarsi e tornare nello spogliatoio per evitare di collassare sul circuito di atletica. Vista la situazione così tragica, nel primo pomeriggio, i coach avevano deciso di annullare l’allenamento e rispedire tutti a casa.
“Procedere in queste condizioni sarebbe soltanto pericoloso, ragazzi! Tornate a casa, lunedì la palestra sarà pronta e potremmo recuperare il tempo perso oggi!”
Wakatoshi aveva passato, sotto il getto d’acqua fresca della doccia, forse più di un quarto d’ora.
Una volta tornato a casa, si era disteso sul letto senza maglietta, aveva ingurgitato una barretta proteica in soli due bocconi e aveva cercato di recuperare le energie perse, rilassandosi con uno degli shonen che Tendou gli prestava regolarmente, sorseggiando un tè freddo sotto il piacevole getto dell’aria condizionata.
Si era perfino addormentato, ad un certo punto.
Il problema era che, quando era stato svegliato dal rumore di Hinata che rientrava a casa e andava a farsi la doccia, non si era sentito affatto più riposato, anzi, la sua testa pulsava impietosamente dal dolore ancora peggio di prima. Aveva trovato la forza di trascinarsi in cucina e prepararsi qualcosa da mangiare soltanto perché sapeva che saltare i pasti non era una scelta saggia, tuttavia era stato quasi completamente assente, muovendosi tra i fornelli per pura e semplice inerzia.
Mettere qualcosa sotto i denti, almeno, sembrava aver attenuato il senso di nausea.
“Bevi questo…” proruppe d’un tratto una voce sottile alla sua destra, e Wakatoshi non poté impedirsi di sussultare sullo sgabello della penisola.
Si voltò lentamente; era così stanco e provato da aver dimenticato che anche Hinata era lì, seduto a pochi centimetri da lui, intento a mangiare la sua cena. Mentre cucinavano, non aveva trovato le energie per controllare e correggere anche le sue preparazioni come faceva di solito, si era concentrato solo sul filetto di pesce che sfrigolava sulla griglia e non appena l’aveva considerato cotto, l’aveva impiattato insieme a qualche verdura e un po' di riso avanzato dalla colazione, che non si era nemmeno premurato di scaldare.
Gettò un’occhiata dubbiosa verso il bicchiere che il ragazzino gli aveva allungato.
Fumava leggermente e profumava di erbe.
“Che cos’è?” chiese quindi Wakatoshi, incapace di individuare la natura dell’intruglio: sembrava una specie di tisana, ma non ne era troppo sicuro, tanto più che trovava alquanto singolare bere/prepararne una in pieno agosto.
Alzò gli occhi sul ragazzino, il quale aveva la testa così bassa da poter toccare il piatto con la punta dei capelli. “È un infuso di foglie di menta, limone e rosmarino, me lo prepara sempre mia nonna.” mormorò, timidamente “È che sei pallido e ti sei toccato spesso le tempie… ho pensato che avessi mal di testa…”
“Sì, ho mal di testa infatti.” confermò Wakatoshi  “Ma non era necessario che ti disturbassi.”
A quel punto, il corvetto ruotò il viso nella sua direzione, le guance morbide appena sfumate di rosso, e gli rivolse un minuscolo sorriso. “Non è un disturbo! Mi fa piacere dare una mano! Sempre che funzioni, ovvio! A me fa subito meno male dopo che l’ho bevuto! Però insomma… adesso non lo so… forse un’aspirina sarebbe stata meglio! Sai, a me non piace molto prendere medicinali, quindi preferisco i rimedi naturali come questo! Ma se tu, invece, prefer-“
“Va bene, grazie.” fece Wakatoshi, più per interrompere quella valanga infinita di parole che perché fosse convinto delle proprietà farmacologiche della bevanda.
La sorseggiò piano, mentre finiva di cenare; quantomeno – constatò- aveva un sapore gradevole.
Fu in quell’istante però che, senza alcun apparente motivo, si accorse di un piccolo particolare...
“Non hai messo su uno dei tuoi video.” affermò ad alta voce “Non sei andato al ritiro oggi?”
Hinata si girò verso di lui con le bacchette ancora in bocca, ingoiò in fretta e furia il proprio boccone e “No no, ci sono andato! Ma ho pensato che se avevi mal di testa magari non avevi voglia di sentirmi esultare, gridare e cose così…” rivelò, sollevando solo un angolo delle labbra.
“Se è una cosa che vuoi fare, dovresti farla, a prescindere da me.”
“Non sei abituato a ricevere molti gesti di cortesia, vero?”
Wakatoshi ammutolì.
No, in effetti non era abituato a ricevere cortesie da parte delle altre persone, soprattutto non cortesie fini solo a loro stesse, prive di un qualsiasi tornaconto individuale. La gente voleva sempre qualcosa da lui. Voleva il suo nome, la sua fama, il suo talento. Dare per ricevere, quella era regola. Una casa lussuosa per farlo vincere e accrescere il suo valore di mercato, la copertina di quello o di quell’altro giornale per ricavarne altro denaro, lettere d’amore e regali indesiderati per poter spendere il suo nome accanto al proprio sui social o per scatenare l’invidia degli amici, cure dai migliori medici del Giappone per rimetterlo presto sul campo e sfruttarlo ancora, ancora, ancora…
Guardò Hinata Shoyo con la coda dell’occhio, mentre portava il bicchiere alla bocca per un sorso dell’infuso.
Prima pensava che la sua gentilezza avesse lo scopo di convincerlo ad allenarlo, farlo diventare il suo kohai, ma ultimamente non aveva più quella sensazione, tanto più che il corvetto aveva smesso di menzionare la questione e di spiarlo maleducatamente durante le sue sessioni di preparazione.
Che il suo obiettivo fosse cambiato?
Che stesse cercando altro da lui?
Il mal di testa, almeno, si era leggermente alleviato.
“Posso farti una domanda?” proruppe all’improvviso il ragazzino, sempre con un filo di voce.
Quella era un’altra faccenda che Wakatoshi trovava piuttosto ambigua: quando doveva dirgli qualcosa, Hinata spesso sembrava dover compiere uno sforzo immane per tirarsi fuori di bocca le parole, quando invece normalmente il volume della sua voce era di almeno una dozzina di decibel più alto di quello degli altri esseri umani. 
Ad ogni modo, Wakatoshi annuì con il capo e rimase in attesa.
“D-dove le hai imparate tutte quelle cose sull’alimentazione? Hai letto qualche libro?” chiese, rigirandosi le bacchette tra le mani con fare nervoso.
Il giovane asso ci pensò su un momento, poi “No, nessun libro. Sono nozioni che ho assimilato nel corso del tempo.” rispose, tranquillo.
“Assimilato… vuol dire che le imparate tutto da solo?”
“Le ho imparate osservando e ascoltando.” precisò Wakatoshi “Prima avevo tre nutrizionisti diversi che si occupavano della mia alimentazione, perché ero in fase di sviluppo. Adesso non ne ho più bisogno dato che ormai ho imparato cosa devo mangiare, come e quando. Anche se, ovviamente, continuo a vedere un professionista due volte al mese per i controlli.”
Hinata annuì in silenzio, ma non sembrava del tutto convinto da quella spiegazione, infatti aveva inclinato leggermente il capo verso la spalla e assottigliato le labbra in una espressione pensierosa.
“D-da quanto tempo è che segui una dieta, Japan?”
“Da quando avevo nove o dieci anni.”
“DA QUANDO AVEVI NOVE O DIECI ANNI?!”
L’urlo del ragazzino fu così intenso che non rimbombò soltanto tra le pareti della cucina, ma anche nella sua cassa toracica, da una costola all’altra. Wakatoshi lo fulminò con uno sguardo torvo quasi in automatico e tanto bastò al piccolo per tornare composto sul suo sgabello e raggomitolarsi su se stesso con aria desolata.
Somigliava vagamente a un uccellino che si stringeva nelle ali per difendersi da una folata di vento.
“Scusa… è solo che, wow! È davvero un sacco di tempo! Io la seguo solo da qualche giorno e ho sempre fame! Vorrei tanto una pizza! Mi sembra impossibile mangiare così tutta la vita!” disse, prendendo a torturarsi le dita in maniera nervosa “Come fai quando devi uscire con i tuoi amici? O – che so!- durante le festività?”
“Non partecipo alle festività e non esco con nessuno.”
“Giusto… in effetti, non ti ho mai visto uscire di casa se non per andare in palestra…”
Wakatoshi intanto bevve l’ultimo rimasuglio di infuso e impilò i piatti sporchi uno sull’altro per prepararli a sciacquarli e metterli in lavastoviglie.
Stava cominciando a renderlo un po' inquieto quella conversazione con Hinata; era la prima volta che si trovava a parlare con il ragazzino in quella maniera così aperta e confidenziale, rivelando perfino dettagli della sua vita privata. Il loro rapporto era diventato decisamente più civile rispetto ai primi giorni, quello era vero, tuttavia avevano sempre mantenuto le loro interazioni su un piano di mera educazione – saluti, frasi di circostanza, domande e risposte inerenti alla cena.
Non sapeva esattamente come sentirsi di fronte a quella inaspettata intimità.
Un po' lo innervosiva, un po' gli lasciava una strana sensazione di calore a fior di pelle.
“Non ti manca mai qualche cibo in particolare? Tipo… quale è il tuo piatto preferito?” chiese quindi l’altro, poggiando i gomiti sulla superficie del tavolo e scrutandolo incuriosito da sopra i palmi congiunti.
A Wakatoshi venne istintivo ritrarsi un poco d fronte a quello sguardo così diretto, però “Mi piace il riso Hayashi, lo cucino quando ho il weekend libero.” rispose, brevemente.
“Oh! Niente male! È saporito! E i dolci invece? Non te ne piace proprio nessuno?”
“No, non mi piacciono particolarmente.”
“Davvero? Nemmeno le torte o i biscotti?”
“No, davvero.”
“Beh ma avrai almeno… un gusto di gelato preferito, no?”
“Non me lo ricordo.”
A quelle parole, Hinata si drizzò a sedere di colpo come se avesse ricevuto una frustrata dietro la schiena. Cominciò a sbattere le palpebre con una tale rapidità che gli fece spavento e la sua bocca piena si spalancò in un cerchio perfetto, da cui non sembrava nemmeno entrare e uscire ossigeno.
“In che senso non te lo ricordi?” domandò infatti, senza fiato.
“Che non me lo ricordo più, è passato troppo tempo.” rispose Wakatoshi, arrivando a retrocedere così tanto sullo sgabello da arrivare al limite e rischiare di cadere all’indietro.
“Da quanto tempo è che non mangi un gelato, scusa?”
“Da quando ero bambino.”
Se possibile, gli occhi già giganteschi di Hinata si sgranarono ancora di più, prendendogli metà del viso.
Era abbastanza sicuro che una cosa del genere potesse accadere solo nei manga, ma a quanto pareva si sbagliava di grosso.
A quel punto, comunque, il suo livello di disagio aveva raggiunto il limite di sopportazione.
Diede le spalle al ragazzino – ancora troppo shockato per ribattere- scese dallo sgabello e si avviò verso il lavello per buttarci dentro la pila di piatti sporchi. Non aveva più nemmeno voglia di prepararli per la lavastoviglie, lo avrebbe fatto nel corso della serata o anche il mattino dopo, l’unica cosa che contava davvero, in quel momento, era mettere un po' di distanza tra sé e il piccolo corvo.
“Lascia, li metto io in lavastoviglie! Vai pure a riposare! Non volevo tartassarti con tutte queste domande!” affermò Hinata alle sue spalle. Non avrebbe saputo identificare quale fosse l’inflessione del suo tono di voce, ma non provò nemmeno a voltarsi per scoprirlo: desiderava solo raggiungere camera sua.
“Non è necessario.” asserì tra i denti, dopodiché si avviò verso il corridoio senza nemmeno assicurarsi che il piccolo lo avesse udito o meno.
Solo quando ebbe chiuso la porta, avvolto nell’oscurità della sua stanza, si accorse che non aveva più male alla testa.
 

 
C’erano ancora delle gocce d’acqua incastrate tra i suoi capelli.
Wakatoshi le sentiva indugiare sulla punta delle ciocche, in bilico a solleticargli la nuca, ma appena prima che potesse avere il tempo di scrollarle via, ecco che quelle si lasciavano cadere pigramente lungo la sua spina dorsale, vertebra dopo vertebra fino al coccige, inesorabili come spilli di pioggia. Avrebbe dovuto tamponarle con uno asciugamano, rimuoverle con l’aiuto di un phon, ma la verità era che anche dopo la lunga doccia fredda che si era concesso, aveva talmente tanto caldo che il solo pensiero di compiere movimenti futili lo spompava di ogni energia.
Guardò il proprio riflesso nello specchio, lievemente opaco di condensa.
Era difficile vederlo ad occhio nudo, ma al tatto avvertiva la mascella ruvida, segno evidente che avrebbe dovuto rifarsi la barba da lì a qualche giorno. Sospirò, annoiato. Aveva imparato a compiere quel gesto da poco – nonostante Tendou cercasse in tutti i modi di convincerlo a lasciarsela crescere, sottolineando come ciò avrebbe fatto impazzire le ragazze. Peccato soltanto che: a) Wakatoshi odiasse i peli superflui, gli davano un senso di disordine e, sudando, non facevano che irritargli la pelle; b) non aveva alcuna interesse nel piacere alle ragazze, anzi, già faceva fatica ad allontanarle normalmente, figurarsi se desiderava moltiplicare le loro attenzioni su di sé; c) in tutta onestà, non si fidava troppo del senso estetico di Tendou - tuttavia non aveva ancora raggiunto la manualità adeguata, motivo per cui finiva quasi sempre per graffiarsi e raschiarsi il viso con la lametta.
Mentre si esaminava, venne colto da un pensiero improvviso, completamente illogico.
Hinata Shoyo non aveva nemmeno un accenno di barba e, riflettendoci, la cosa non lo sorprendeva affatto.
I suoi tratti erano ancora così infantili, così delicati.
La sua pelle sembrava fatta di latte, Wakatoshi era certo che se mai avesse dovuto di nuovo toccarla, come quel giorno in ospedale, di sicuro si sarebbe disciolta tra le sue dita; ogni tanto si ritrovava a fissargli le spalle, quelle scapole sporgenti simili a delle ali che premevano per uscire, e si chiedeva come e quando si sarebbero manifestate, che forma avrebbero assunto, una volta che lo avessero fatto.
La prima volta che l’aveva visto, aveva pensato che del corvo, Hinata, non avesse proprio niente: gli era sembrato più simile a un pulcino, un esserino indifeso e piccolo che pigolava alla ricerca di attenzioni.
Ma poi gli aveva rubato la palla – sfrontato, incosciente- e nello sguardo fermo che gli aveva rivolto ci aveva visto dentro la fame onnivora di quegli uccelli, neri come una notte priva di stelle.
Scosse la testa, afferrò i pantaloncini puliti che aveva preparato sullo sgabello e li indossò in fretta.
Odiava avere quel genere di pensieri, farsi cogliere di sorpresa da loro, soprattutto perché gli lasciavano dentro una sensazione bizzarra, una specie di formicolio latente.
Un formicolio che non sapeva mai del tutto come arginare. 
Aprì la porta del bagno di scatto, intenzionato a tornare in camera propria e distrarsi con qualche rivista, invece si ritrovò Hinata Shoyo piantato di fronte a sé, capelli appiccicati alla fronte da una lieve patina di sudore, bocca morbida leggermente schiusa per la sorpresa.
Wakatoshi poteva comprenderlo: anche lui si era spaventato, vedendoselo apparire davanti così all’improvviso. Spesso, la domenica mattina, Hinata vedeva i suoi amici della Karasuno o tornava dalla sua famiglia nel Kento, senza rincasare prima del tramonto, per cui, non avendolo visto in casa quando era tornato dalla sua sessione di jogging, Wakatoshi aveva dato per scontato che il piccolo non si sarebbe ripresentato fino a sera.  
Ad ogni modo, “Ciao J-Japan!” lo salutò quello, con voce piuttosto malferma.
Aveva il viso di un rosso accesso e le pupille sgranate che un po' fissavano il suo addome nudo e un po' rimbalzavano per tutto l’ambiente circostante. Wakatoshi lo trovò un comportamento alquanto curioso, ma dato che ormai stava cominciando a soprassedere sulle sue stravaganze, si infilò velocemente la maglietta da sopra la testa e “Ciao Hinata.” affermò a sua volta, per poi superarlo e dirigersi verso camera sua.
“A-aspetta!” lo fermò però il piccolo, prima che potesse compiere un altro passo.
Wakatoshi si voltò verso di lui, in attesa.
“H-hai da fare adesso?”
“No, perché me lo chiedi?”
“Potresti venire con me in cucina, per favore?”
Per un secondo, il solito istinto di rifuggire le attenzioni del ragazzino gli gridò in testa, minacciando di prendere il sopravvento, ma il giovane asso serrò la mascella, rilassò i muscoli e lo zittì seduta stante. “Va bene.” disse brevemente, quindi si incamminò insieme a lui, in silenzio.
Mentre si accomodava sullo sgabello della penisola, notò che Hinata sembrava parecchio teso, al punto da torturarsi le dita fra di loro più del solito, dettaglio che scatenò anche nelle sue viscere un certo nervosismo considerando che non capiva il perché di quella misteriosa e inaspettata richiesta.
La negatività del presentimento si rafforzò quando vide che il corvo non si sedette accanto a lui come d’abitudine, ma gli si piazzò di fronte, dall’altro lato della lucida superficie di marmo.
A dividerli, cinque recipienti di polistirolo bianchi, non meglio identificati, impilati in una torretta ordinata.
“Ho comprato una cosa per te!” esordì dunque il piccolo, facendo strisciare verso di lui i suddetti recipienti.
“Grazie, ma non so cosa farmene del polistirolo.” fu la celere risposta di Wakatoshi.
“Cosa? No, no! Non sono le vaschette il regalo! È quello che c’è dentro!”
“E cosa c’è dentro?”
Hinata allora accennò un piccolo sorriso, mise i recipienti uno accanto all’altro, allineandoli con estrema cura, dopodiché tolse i coperchi ad ognuno di essi, rivelando il loro contenuto.
Contenuto che lasciò Wakatoshi completamente di sasso.
Di fronte ai suoi occhi perplessi, infatti, si stagliava una varietà – ma soprattutto una quantità!- davvero spropositata di gelato.
“Non capisco.” sbottò senza riuscire a trattenersi oltre “Ti ho detto che non mi piacciono i dolci. E poi non posso mangiare tutto questo gelato, mi farebbe male.”
“Non lo devi mangiare tutto! È solo per fartelo assaggiare!” ribatté subito Hinata, con le iridi brillanti quanto due stelle della volta celeste.
“Continuo a non capire…”
A quel punto, Hinata si morse le labbra, scrollò le spalle e spalancò le braccia, proprio come fossero due ali.
“L’altro ieri hai detto che non ricordavi più quale fosse il tuo gusto di gelato preferito, no? Beh, sono andato nella gelateria più grande della prefettura di Miyagi, dove hanno tutti i gusti del mondo, perfino quelli più occidentali e ne ho presi un po'! Così puoi assaggiarli e scoprirlo!”
Wakatoshi rimase semplicemente immobile, incapace di partorire un qualsivoglia pensiero coerente. Hinata lo aveva preso così tanto alla sprovvista che non sapeva nemmeno che reazione avere, se alzarsi e chiudersi in camera, accettare di buon grado l’offerta oppure rimanere lì, come una statua, a non fare un accidenti, nella speranza che l’altro cambiasse idea e se ne andasse da solo, portando tutto quel gelato inutile con sé.
“Quanto hai speso per tutto questo gelato?” chiese intanto, con le orecchie che ronzavano fortissimo.
“Pochissimo in verità! Avevo accumulato un buono sconto con i punti del supermercato!”
“Ma… perché è così importante che io abbia un gelato preferito?”
Hinata parve rifletterci su un momento e “Non c’è un perché, è solo che mi sembra triste che una persona non abbia un gusto del gelato preferito!” disse, sbattendo quelle sue maledette ciglia lunghe e fitte “Dai, che ti costa fare un tentativo? Anche se non ti piace, almeno avrai fatto una cosa nuova, che non facevi da tanto tempo!” concluse, per poi sventolargli un cucchiaino davanti alla faccia.
Wakatoshi spostò il peso sullo sgabello, si morse l’interno di una guancia.
Aveva la netta impressione che l’opzione in cui Hinata desisteva e lo lasciava ritornare nella sua stanza non fosse affatto contemplata, quindi l’unica via di uscita era quella di prestarsi a quell’insolito esperimento e farla finita il più presto possibile.
Afferrò il cucchiaino, incerto, ed avvicinò a sé la prima vaschetta di gelato.
Avevano tutti dei colori sgargianti ed un aspetto cremoso, inoltre da essi si librava una patina trasparente di aria gelida, in contrasto con l’intensa calura estiva. Immerse soltanto l’estremità del cucchiaino in una delle fascette, quella color rosa sgargiante, prelevò un po' di prodotto e lo portò alle labbra: il sapore intenso e vagamente aspro della fragola gli invase il palato in un batter d’occhio.
Doveva ammettere che era piacevole, ma soprattutto gradevolmente rinfrescante, tanto che portò Wakatoshi a chiedersi perché – nonostante talvolta fosse stato inserito nella sua dieta- avesse sempre rinunciato a mangiarlo, contro il caldo asfissiante di quei mesi.
Ripeté il gesto cinque, sei, dieci volte, tanti quanti erano i gusti contenuti nelle vaschette bianche.  
Onestamente alcuni gli piacevano molto meno di altri, tuttavia si assicurò di saggiare anche quelli con la dovuta attenzione, il tutto sotto l’occhio vigile e curioso del corvetto ancora piantato di fronte a sé, il cui viso era increspato in una smorfia concentrata, il labbro inferiore stretto tra i denti bianchissimi.
Al termine del suo esame, ripose il cucchiaino e sospirò.
“Dunque?” chiese subito Hinata, quasi saltellando sul posto.
Wakatoshi storse la bocca, ci pensò su ancora un momento, poi “Questo qui.” sentenziò serio, indicando con l’indice un gusto preciso.
La reazione di Hinata non fu affatto quella che si aspettava: il ragazzino aggrottò la fronte e strabuzzò gli occhi nella sua direzione, neanche se avesse appena pronunciato la più scabrosa delle imprecazioni.
“Scusa, non credo di aver capito…” disse, esitante “A te piace questo qui?”
“Sì, esatto.”
“Forse ti stai confondendo, i colori sono simili!” afferrò un’altra vaschetta e la piazzò proprio sotto il suo naso, davanti a quella che conteneva il gusto scelto da lui “Magari intendi questo!”
Wakatoshi inclinò il capo, confuso, ma fece comunque un tentativo: riassaggiò entrambe le opzioni - effettivamente di colori molto, molto somiglianti- le assaporò con calma, poi “No, sono sicuro.” confermò, annuendo “È questo qui il gusto che mi piace.”
A quelle parola, la faccia di Hinata si trasformò in una tale maschera di teatrale sbigottimento che quasi lo spaventò. “Japan, tu mi stai dicendo che in un mondo in cui esiste il gelato al cioccolato, alla vaniglia, alla fragola e altre succulente meraviglie… a te piace il gelato al limone! Al limone! Cioè, andiamo! Non lo volevo nemmeno fare mettere, lo ha inserito la commessa per una questione di… completezza!” sbraitò Hinata, senza nemmeno riprendere fiato, le guance rosse come due pomodori maturi.
“Non capisco, cosa c’è di sbagliato nel gelato al limone?” chiese allora Wakatoshi, vagamente traumatizzato dalla piega che stava prendendo quella già bislacca situazione.
“È aspro!” esclamò Hinata, con le mani al cielo “I ghiaccioli al limone sono buoni, okay! Ma il gelato non può essere al limone! Deve essere a cioccolato, a vaniglia! Una cosa dolce!”
“Non mi piacciono le cose dolci, mi piacciono le cose… aspre, sì.” affermò Wakatoshi, deciso più che mai a difendere la propria scelta.
A quel punto Hinata si grattò la testa e prese a osservare la vaschetta del gelato incriminata con aria titubante. La fissò al lungo, come se di punto in bianco qualcosa avesse potuto schizzare fuori da quella crema giallo tenue e rivelargli il segreto che si nascondeva al suo interno, finché all’improvviso non afferrò il cucchiaino pulito che aveva abbandonata sulla tavola, ne prelevò giusto uno sbaffo e se lo cacciò in bocca.
“Oh cavolo!” riuscì soltanto a bofonchiare prima che la sua intera faccia venisse risucchiata in una smorfia sofferente “Mi si stanno intorpidendo le guance!” si lamentò ancora, cacciando la lingua e scuotendo la testa.
Era davvero buffo. Sembrava uno di quei personaggi strampalati dei cartoni animati per bambini; si agitava, strizzava le guance, scuoteva le braccia e intanto emetteva stridule maledizioni verso chiunque avesse inventato quel tipo di gelato per lui inconcepibile, neanche se quello avesse potuto ascoltarlo sul serio, ovunque si trovasse nel mondo.
Continuò la sua predica sul gusto limone ancora per un po' di tempo, adducendo motivazioni sempre più strane e colorite alla sua teoria dei dolci… almeno finché casualmente non si voltò proprio verso Wakatoshi e all’improvviso si bloccò.
Wakatoshi si raddrizzò sullo sgabello, allarmato da quel repentino cambio di umore.
Era quasi inquietante. Sembrava che qualcuno avesse appena preso Hinata e avesse cliccato sul tasto di spegnimento, era come pietrificato, con le braccia ferme a mezz’aria, gli occhi d’ambra sgranati nella sua direzione e la bocca dischiusa, appena lucida di saliva.
“Perché mi stai fissando?” non poté fare a meno di chiedere il giovane asso, dopo altri infiniti secondi di inesplicabile e imbarazzante silenzio.
Notò che Hinata riacquistava vita lentamente, deglutì, muovendo su e giù la curva della gola e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
Riuscì appena a scorgere la sua pelle assumere una intensa sfumatura rosata all’altezza degli zigomi, prima che quello abbassasse il capo in una pioggia di ciocche arancione.
“È… è che è la prima volta…” mormorò, talmente piano che Wakatoshi fece fatica a sentirlo.
“La prima volta di cosa?”
“È la prima volta che mi sorridi, non lo avevi mai fatto prima…”
Wakatoshi trasalì e si toccò le labbra.
Non se ne era nemmeno reso conto, ma era vero, poteva sentirlo ancora sotto le dita, il fantasma di un sorriso leggero ancora incastrato tra le sue labbra.
Hinata Shoyo aveva ragione, era la prima volta che succedeva.
La prima volta dopo tanto tempo.   
Aveva quasi dimenticato di saper sorridere.
 
 
 




NOTE AUTORE
  1. Kohai è un termine giapponese che indica un discepolo, qualcuno che viene preso sotto la ala protettiva di un mentore, chiamato senpai.
  2. In realtà il gelato artigianale, in Giappone, non è un alimento consumato così come in Italia. I Giapponesi, infatti, sono soliti acquistare quelli confezionati, anche perché i gelati in vaschetta così come li compra Hinata nella scena hanno un costo abbastanza elevato.
 
Questo è uno dei capitoli che non vedevo l’ora di scrivere, lo ammetto.
Dopo tanta tensione, il percorso di Hinata e Ushijima sta cominciando! E anche se non è facile trovare subito una sintonia, entrare e fare entrare in intimità una persona, almeno possiamo vedere i primi, timidi passi.
 
Sottolineo che non ho niente contro il gelato al limone! AHAHAH semplicemente ho questo headcanon secondo cui a Ushijima piacciono le cose particolarmente aspre e non preferisca, invece, i dolci! Come state vedendo, a mano a mano Ushiwaka sta scoprendo delle cose nuove di sé, ma anche noi stiamo scoprendo piccoli frammenti della sua vita e del suo passato. L’approfondimento di questo personaggio non è affatto facile alle volte, ma è sempre molto stimolante da immaginare/raccontare!
Spero vi stia piacendo la sua costruzione!
 
A presto
Violet Sparks

 
 
 
   
 
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