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Autore: MaikoxMilo    15/11/2021    3 recensioni
Vi fu un tempo, anche se privo dello stesso concetto di tempo, in cui, si narra, Cielo e Terra, Mondi e Dimensioni, Caldo e Freddo, Umido e Secco, coesistessero in una sola sostanza che racchiudeva tutto; tutto ciò che avrebbe poi assunto un nome, ma che, allora, nome non possedeva. Non c'era quindi un inizio, né una fine, non esisteva Destino, né legge, tutto era miscelato, un tutt'uno indistinto, estroflesso, inscindibile, nonché eterno. Tale concentrato di materia venne chiamato posteriormente "Principio Primo di Tiamat", prima di scomparire completamente nella Notte dei Tempi, svanendo per milioni e milioni di anni.
Tutti gli universi possiedono quindi un'origine comune? Che ne fu di quell'epoca, CHI ordinò il Creato, dandogli una forma propria, dividendo le dimensioni, espandendole all'infinito di propria mano? Chi ebbe la forza per farlo? Perché lo fece, imprimendo così la propria imperitura effige?!
Marduk, Sommo dio Marduk, fosti tu a volerlo, stracciando il gigantesco corpo della dea Madre Tiamat, scindendo così, per la prima volta, il Cielo dalla Terra; gli Universi dalla Matrice?!
Storia ambientata tra i capitoli 10 e 12 della Melodia della Neve, di cui è quindi indispensabile la lettura insieme alle fanfiction precedenti.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Cygnus Hyoga, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 6: Fino all’ultimo respiro... con tutte le mie forze!

 

 

 

Io sono colei che è,

che è sempre stata

e sempre sarà,

e nessuno uomo ha mai sollevato il mio velo.

 

 

 

In principio fu Namma, prima di diventare Tiamat… il principio era tutto al femminile, come la vita.

Ma la vita reca in sé il gene della morte. Sempre.

Alla Creazione si accompagna la Distruzione.

Tiamat, dea-madre, dea vergine, dea guaritrice, mostro informe ed entità salvifica; Colei che era prima di ogni altra cosa. E, prima di ogni altra cosa, vi era solo un mare primordiale, una brodaglia concentrata di tutti gli atomi, insieme, raggrumati, di tutto ciò che sarebbe stato. Di tutti i mondi, di tutte le dimensioni. Ed era il Caos...

Un mare salato, eterno, imperituro… su cui ella governava e ne era un tutt’uno. Di forma serpentiforme il suo corpo, di scaglie di drago la sua pelle; i suoi occhi, di viola sfumato, abbracciavano ogni cosa. Non vi era che lei, sconfinata… lei ERA, e sempre sarebbe stata.

Divise da sé stessa, dalla sua massa turbinosa, le acque dolci dalle quali nacque il dio Apsu, suo futuro consorte. Dalla loro unione sorse la prima generazione di divinità: Lakhmu e Lakhamu, serpenti mostruosi. E poi… tutto prese avvio.

Nacquero Ansar e Kisar, fratello e sorella, rispettivamente dio dell’Alto e del Basso, che a loro volta generarono moltissimi figli.

Tra questi, En-ki, dio supremo e benevolo, nacque con la sua controparte femminile Ki, costituendosi in un unico insieme come Montagna Sacra che sorse sul Mare Primordiale che era Tiamat. Egli concepì da sé, dalla propria terra, il dio Marduk, divinità polioftalmica a quattro occhi, lo ‘splendente’, l’annunciatore, il mago, perché di magia ne era profusa la linfa vitale che gli aveva ceduto Enki nel generarlo.

E così… sette generazioni di dei si susseguirono e moltiplicarono dall’avvento del Principio Primo, tuttavia Tiamat non poteva più tollerare tutto quello, non poteva accettare di vedere ridimensionati così i suoi poteri, non poteva concepire che dal silenzio si era generato quel baccano. Infervorò quindi una parte dei suoi figli alla rivolta; i suoi figli per via diretta, che avevano tutti forme mostruose, li infervorò, contro la nuova progenie.

Il potere di Tiamat era portentoso, da lei era derivato tutto, era madre di ogni cosa, e aveva continuato a riprodursi, ad accrescersi ininterrottamente. Nessuna divinità sembrava sufficientemente abile per opporsi, tutti la temevano e veneravano, solo il dio Marduk raccolse la sfida in nome della libertà dei suoi pari. Tiamat non era più madre, bensì matrigna, occorreva ribellarsi per mettere fine alla sua sete di dominio. Gli altri dei lo elessero quindi come loro campione. Giunse il giorno della guerra...

 

Egli fabbricò un arco e lo destinò a sua arma,

Incoccò la freccia e ne fissò la corda,

Alzò la mazza afferrandola con la destra,

L’arco e il turcasso appese al suo fianco,

Il fulmine pose dinnanzi a sé.

Di una fiammata ardente riempì il suo corpo,

Fece una rete per avviluppare Tiamat,

Afferrò i quattro venti affinché nulla di lei potesse sfuggire…

Gridò Tiamat altamente in furia,

Le sue gambe tremarono fino alla fondamenta,

Essa recitò uno scongiuro e gettò il suo incantesimo,

Mentre gli dei della battaglia affilavano le loro armi.

Così cozzarono, Tiamat e il saggio tra gli dei Marduk.

Andarono alla battaglia, s’avvicinarono per la lotta.

Marduk spiegò la sua rete per avvilupparla,

Il Vento Malvagio che lo seguiva le sguinzagliò dinnanzi.

Quando Tiamat spalancò la bocca per distruggerlo,

Egli vi lanciò dentro il Vento Malvagio, così che essa non poté chiudere le labbra.

I venti furiosi riempirono il suo ventre.

Il suo corpo fu gonfiato ed essa spalancò la bocca.

Egli scoccò una freccia che ne lacerò il ventre,

Ne tagliò le interiora, ne spaccò il cuore,

E così, vintala, le tolse la vita.

 

Ne estrasse quindi tutto il suo sangue, lo affidò al Vento del Nord per nasconderlo in un luogo remoto, poi, con le estremità corporee del suo cadavere divise il Cielo dalla Terra e i mondi tutti in realtà parallele ma distanti, intoccabili e divise costantemente in espansione.

Marduk è dunque il più potente di tutti gli dei, il Lucente, il Possente, profuso dell’aura e dei poteri di dieci, cento, mille divinità. Dalla sua vittoria contro Timat venne sancito il Principio Regolativo, fu solo grazie alla sua battaglia che la vita poté permettersi di fiorire in multeplici forme che la dea primigenia invece non tollerava.

Marduk è il vero creatore del cosmo così come lo conosciamo; creatore in senso di ordinatore, perché senza leggi vi è solo il Caos. Non importa se gli atomi erano già stati precostituiti, non a Tiamat, una dea malevola che si rivoltò contro la sua stessa progenie, devi devozione, ma al ‘vitello solare’, il dio, il mago Marduk.

Dimmi, ragazzo… vuoi quindi continuare a difendere un simile potere malvagio?! Una simile dea, che pur rappresentando la creazione non ha mai generato alcunché se non per il suo sfrenato egoismo?!

Marduk è il dio del Tutto, Ordinatore Primo, Creatore e Distruttore, Mago, Sciamano… e ora io, che ne sono il custode, il suo più fedele adepto, bramo quel potere che tu solo possiedi: la Generazione di Nuovi Atomi dal nulla, ciò che viene chiamato Scintilla; la Scintilla che diede la vita e generò il Multiverso.

Lo esigo per il mio mondo, che tu, o meglio, che la tua controparte del Mondo Inverso ha sradicato via nel profondo, gettandolo in una landa desolata e ricolma di disperazione, lo sai bene, te l’ho mostrato quando, seppur per un breve periodo, siamo stati una cosa sola.

Cedimi il tuo corpo, Camus dell’Acquario e, con esso, il potere che ne è profuso dentro e che tu non puoi pienamente sfruttare. Ristabiliamo l’ordine, rimettiamo altresì, una volta per tutte, i peccati di cui tu e la dea che ospiti vi siete macchiati… Concediti a me, ORA!

 

La mente del giovane Hyoga era ricolma di immagini contorte e poco capibili che scorrevano davanti alle sue palpebre abbassate. Miti… di una frazione che non aveva né tempo né spazio definito ma nel quale vi era già il tutto; il Tutto che formava l’universo, le dimensioni, il Tutto della Terra, nonché il Tutto del suo organismo che, dopo varie trasformazioni e peripezie varie, avrebbe poi assemblato lui, permettendogli di vivere e di conoscere altri esseri che facevano comunque parte del grande insieme.

Era stordito, attonito. Ciò che era baluginato davanti a lui, sferzando la sua coscienza, erano scene di una battaglia epocale, in cui una figura lontanamente antropomorfa, dotata di quattro occhi, combatteva all’ultimo sangue con un’altra, di sembianze di drago ma con occhi fin troppo umani e tristi. Dalla conclusione di quello scontro, dallo scisma di quella creatura mistica cui Hyoga empatizzava forse più del dovuto, si ebbe una gigantesca esplosione, nota come Big Bang e, con essa, la genesi dei mondi tutti.

Erano la dea Tiamat e il dio Marduk, rispettivamente la Creatrice della Vita e l’Ordinatore del Multiverso.

Tuttavia… chi aveva davvero voluto quello scontro? Perché qualcosa sembrava non tornare? Tiamat, o Namma, la dea-madre, risultava così malvagia, lo era di certo secondo quella visione, ma allora perché… perché quella sensazione estrema di calore?! Quella beatitudine? Quella assenza di ombra che navigava nei suoi occhi da draghessa fin troppo espressivi? Aveva voluto lei la vita, lei aveva scoccato la Scintilla, perché… toglierla?!

Chi… era in realtà? Quale versione gli aveva fatto vedere il Mago, che si era professato il sacerdote primo di Marduk?!

Non è questo il momento per chiederselo, Hyoga!

Una voce famigliare raggiunse i suoi timpani, riscuotendolo nel profondo. Quel timbro vocale, così identificabile, sebbene così distante… no, non era possibile! Il giovane Cigno si riscosse nel tentare di recuperare sé stesso.

“Is-a-ac?”

Non hai tempo per chiedertelo, amico mio, ci sono urgenze ben più importanti…

“Is-a-ac?! Dove sei, da dove mi stai parlando? T-ti sento così vicino, anche se non riesco nemmeno a sfiorarti...”

Anche questo passa in secondo piano, Hyoga… concentrati, devi concentrarti per riuscire a risvegliarti!

“Risvegliarmi da…?”

Dal sonno cui ti ha fatto cadere quel lurido bastardo… Coraggio, il Maestro Camus ha bisogno di te!

“Il Maestro Camus… - realizzò Hyoga, quasi lasciandosi perforare da quella consapevolezza – G-giusto, è arrivato Fei Oz e… SANTI DI QUEI NUMI, significa...”

Camus non è libero di contrastarlo, lo sai, sta… sta soffrendo molto ora e… e tu sei l’unico a potersi opporre a lui!

“Io… l’unico?!” chiese ancora il Cigno, cominciando a capire, rabbrividendo nel comprenderlo: la stessa vita del mentore dipendeva da lui, da colui che gli aveva perforato il cuore, strappandogli prima Isaac, poi la vita e poi la stessa corazza. Inghiottì a vuoto, sentendone il peso e l’inadeguatezza.

Proteggilo… al posto mio, va bene?

“Isaac… se ci fossi tu, lui… sarebbe molto più al sicuro e...”

Pffff, il solito insicuro delle sue capacità! Pensavo che dopo anni questo difetto lo avessi finalmente scalzato via da te, stante le imprese che hai compiuto…

“Io...”

Camus ha bisogno di te; di te e solo di te, del suo… degno successore!

Sebbene fosse un complimento, Hyoga percepì una leggerissima nota di dispiacere nel pronunciare quella frase. Si sentì la gola secca, mentre cercava parole da dire ma che non gli sopraggiungevano, se non…

“Perdonami… per tutto!”

Hyoga… adesso risvegliati, io e Camus crediamo in te, lo abbiamo sempre fatto, fai… fai parte della nostra famiglia, non come mio sostituto, ma perché sei tu; tu e nessun altro, è chiaro?

“S-sì… - il nodo in petto si era fatto più accentuato mentre provava a muoversi con estrema fatica – S-sarò degno di te allora, l-lo proteggerò come… come avresti fatto tu e...”

No, non come avrei fatto io, lo proteggerai come Hyoga di Cygnus e futuro Hyoga di Aquarius, nessun’altra strada ti compete meglio di questa, la tua, né la mia né quella del maestro.

“Ma Isaac!”

Ora… risvegliati!

E Hyoga si risvegliò, di soprassalto, sforzandosi di rimettersi seduto nonostante la testa che girasse paurosamente, incanalò aria dentro di sé, strabuzzò gli occhi nei dintorni, prima di vedere Michela a poca distanza, stesa lunga per terra, caduta in un sonno profondo che non aveva nulla di naturale.

“Mich… cough! Cough!”

Hyoga fu costretto a coprirsi le labbra con le mani, perché l’aria intorno era irrespirabile, così contaminata com’era dai miasmi, da una puzza oscena, che penetrava anche nei pori della pelle e faceva quasi perdere i sensi. Resistette strenuamente all’incoscienza, ma non fu in grado nell’immediato di alzarsi in piedi, le braccia e le gambe non lo reggevano minimamente.

“Oh? Riesci a resistere alla mia ingerenza che ti imporrebbe di dormire? Mi stupisci!”

Udì una voce rimbombargli nelle orecchie, si costrinse ad alzare il capo in quella direzione e, quel che vide, gli fece accapponare la pelle.

“MAESTRO… CAMUS!!!”

Camus non diede il minimo segno di averlo sentito, la sua espressione sofferente fu la prima cosa che sconvolse nitidamente il Cigno, non abituato a vederlo così debole nelle mani di qualcuno. Perché Camus dell’Acquario, l’essere speciale nel quale Tiamat aveva scelto di incarnarsi, che lo aveva cresciuto e che non aveva mai cercato di far trasparire, almeno davanti a lui, il più piccolo segno di cedimento, era ora invece tenuto malamente dalle mani del Mago, il volto reclinato mollemente sulla spalla del nemico, il volto pallidissimo, la bocca dischiusa dalla quale usciva un respiro frenetico e irregolare; le braccia a penzoloni, ormai prive di volontà propria, e il corpo -QUEL corpo così forte con cui compiva mille magie!- che cedeva sempre più alla contaminazione del Mago, ai suoi miasmi, che stavano penetrando nel suo fisico già terribilmente spossato per mezzo del palmo destro di Fei Oz tenuto aperto sul suo ventre. Le dita, ben distanziate le une dalle altre, quasi gli graffiavano la pelle in prossimità dell’ombelico da quanto stringessero la presa, e un serpeggiare sinistro, oscuro, malvagio sopra ogni dire, stava già oscurando i due triangoli luminosi che si erano precedentemente formati, simbolo della fusione tra Camus e l’entità.

“Ba-bastardo!!!” ululò Hyoga, fuori di sé dalla rabbia, cercando di alzarsi con impeto per gettarsi verso il nemico e strappargli con tutte le sue forze quel corpo che non gli spettava. Ma una fitta lancinante al costato lo fece ricadere a terra, solo il suo sguardo ferino rimase ben saldo, ed era tutto per arcinemico odiato.

“Anche Camus mi ha chiamato così, quando vi ho fatto sprofondare nel sonno, è il caso di dirlo: tale padre tale figlio! - lo canzonò il Mago, sorridendo di sbieco – Mi congratulo per esserne uscito, ragazzo, non è da tutti, ma io, fossi in te, me ne starei comunque cheto per un po’: la tua milza è irreversibilmente danneggiata, un movimento più brusco del consueto e stramazzerai a terra in un lago di sangue!”

“Me ne infischio del tuo sproloquiare e delle parole con le quali, abile oratore, tendi a convertire i tuoi proseliti: SEI UN MOSTRO, ED IO SO COSA HAI FATTO AL MAESTRO CAMUS!”

“Oh, lo sai, giovane Cigno? - domandò ancora lui, languido, inumidendosi le labbra voglioso – E’ motivo…di grande trastullo per me.”

Hyoga non rispose, si alzò semplicemente in piedi, con tutte le forze di cui disponesse, congiungendo le mani prima di alzarle a fatica all’altezza delle spalle per prepararsi a caricare l’Aurora Execution.

“Ma che fai? Ho ancora il tuo maestro tra le mani e tu..?”

“E’ proprio questo il punto, tra poco non ce lo avrai più, perché te lo strapperò dalle mani, CODARDO!” lo minacciò il Cavaliere di Bronzo, fremendo vistosamente.

“Tu non capisci, ragazzo… - sospirò lui, fintamente mortificato, socchiudendo gli occhi e scrollando il capo, prima di tornare a guardarlo con un guizzo – Eppure hai visto chi è davvero Tiamat!”

“NON MI IMPORTA! - ribadì il Cigno, sempre più iroso – Tu ci hai raccontato la TUA versione dei fatti, quella del vincitore Marduk, non della dea, e poi... avesse anche il peggior demone dentro di sé, Camus è Camus, ed io non ti permetterò di infierire vigliaccamente su di lui! Non gli farai più il male che gli hai procurato nel 1741!”

“Il male… è stata Marta a rivelartelo? Pfff, pensavo fosse più discreta, da Seraphina lo era!”

“Questo non ti deve interessare!”

“Eppure… tu sopra ogni altro sei stato testimone della manifestazione nefasta del Potere della Creazione, ne hai viste le conseguenze e… quella ragazza, Michela, che, se non vado errato, ti sta molto a cuore, per poco non ne veniva colpita a causa della perdita di controllo di Camus, che non sa come gestire Tiamat. E se succedesse di nuovo? Se lei… dovesse rimanerne ferita? Hai assistito all’agonia di Utopo, no?! Mi vorresti dire che, neanche in quel caso, accetteresti il procedere degli eventi? Il corpo del tuo maestro, da solo, non è in grado di reggere una simile pressione...”

A quelle parole Hyoga esitò. Abbassò di un poco le braccia, tremando consistentemente nel distinguere il corpo della sua fidanzata, ancora stramazzato a terra.

“Il Potere della Creazione dona a chi lo possiede la capacità di creare atomi dal nulla semplicemente grazie alla forza del proprio intelletto. Potenzialmente non ha quindi limiti… - gli spiegò, con solennità, come se l’argomento trattato fosse dei più sublimi – Tali atomi tuttavia non si comportano normalmente, agiscono più come se fossero delle vere e proprie cellule viventi, capaci di moltiplicarsi all’infinito.”

“E questo cosa…?”

“Sono cellule che, non avendo una stabilità loro, la ricercano nel mondo fisico in cui esse vengono generate e nel quale non dovrebbero neanche esistere, perché nulla in natura si crea né si distrugge, questo è uno dei massimi sistemi, neanche un dio ordinario può scalfirlo! E’ un assoluto!”

“Questo lo so benissimo, non c’è bisogno di… - Hyoga strabuzzò gli occhi, trafitto da una nuova, più nefasta, consapevolezza – N-no, non può essere, mi vuoi forse dire che…?!”

“Ci sei arrivato, eh? - qualcosa lampeggiò negli occhi di Fei Oz, mentre il Cigno rabbrividiva ancora di più, esitando ulteriormente – Il Principio Primo viola LA legge fisica per eccellenza, gli atomi che vengono concepiti da questa attitudine si ritrovano in un mondo già precostituito e formato. Va da sé che essi, ricercando stabilità, perché ogni cosa di questo mondo deve raggiungere l’equilibrio, cozzano con quegli altri già esistenti, finendo così per fagocitarli e moltiplicarsi infinite volte sempre più fuori controllo. E’ un potere illimitato, non ha quindi nulla che lo inibisca e, da solo...”

Hyoga lo vide chiudere di nuovo gli occhi nel prendersi una pausa, le sue labbra si stirarono in un sorriso sinistro, mentre dal palmo della mano tenuta sopra l’ombelico di Camus cominciavano a diffondersi striature nere simili a vene che, lentamente ma inesorabilmente, risalivano verticalmente sul suo addome, procurandogli ulteriore dolore ben visibile sia sul sui viso sempre più provato e sofferente, sia sui suoi muscoli, tesi oltre l’inverosimile, rigidi ben oltre l’umana sopportazione. Il giovane allievo vide con orrore il corpo del suo maestro scalpitare, provare ancora ad opporsi a tutto quell’inferno malgrado gli spasmi sempre più violenti e incontrollati.

“FEI OZ!!!”

“Da solo… - riprese il Mago, come se non fosse mai stato interrotto, perché intanto il biondino non era in grado di muoversi più di così e lui lo sapeva fin troppo bene - …potrebbe essere in grado di far collassare su sé stesso un mondo, o ricrearlo dal principio, dando così a noi una nuova, più concreta, speranza!”

“U-uff… anf, anf...”

La testa di Camus si reclinò all’indietro, vinta, dalle sue labbra non usciva nient’altro che un respiro sempre più veloce ma inconsistente, come se gli sfuggisse via dalle labbra. E, in effetti, era la sua stessa vita a star sfuggendo irrimediabilmente dal corpo -realizzò ancora una volta Hyoga, sempre più disperato- si sentiva preda ad un attacco di panico che, lo sapeva, da indomito Cavaliere dei Ghiacci non avrebbe mai dovuto assecondare.

“Tranquillo, tra poco sarà tutto finito, Camus... – gli disse ancora il Mago, mellifluo, mentre gli girava il volto nella sua direzione per contemplare meglio il suo sudore, la sua sofferenza, e quel respiro, che trapelava frenetico dalle labbra dischiuse. Sogghignò di riflesso – ...saremo finalmente una cosa sola!”

Hyoga assistette tremante all’avvicinarsi del nemico alla bocca del maestro, a quelle dita rugose che lo premevano, costringendolo così ad aprire bocca per… AL DIAVOLO!

Semplicemente non ci vide più dalla rabbia. Ringhiando selvaggiamente come una fiera crudele, si gettò contro quel pazzo senza più pensieri né timori. Voleva solo ammazzarlo, dilaniarlo, strappargli Camus dalle braccia, persino torturarlo, se ne avesse avuto l’occasione, MASSACRARLO, senza la minima pietà, senza la minima incertezza.

Era davvero troppo, osava prendersi gioco di lui, trattarlo come se fosse un mero bambolotto senza volontà… IMPERDONABILE! Per la prima volta in vita sua, Hyoga di Cygnus provò l’intenso desiderio di uccidere.

“Non così in fretta, allievo!” lo canzonò l’altro, mentre, sogghignando, attaccò con una nuvola di miasmi che si diresse a grande velocità contro l’indifesa Michela, obbligando così il Cavaliere di Bronzo a compiere un’altra brusca virata per pararsi davanti alla fidanzata e cristallizzare così il gas velenoso in modo che non la potesse nuocere.

Lo stesso, meschino, trucchetto di Utopo, al quale lui era nuovamente caduto. Si sentì ribollire di rabbia mentre, dando tutto sé stesso, la proteggeva. Lo sforzo però lo fece ricadere in ginocchio, annaspò, rendendosi conto che la ferita al fianco aveva ripreso a sanguinare. La sua mano si mosse debolmente a stringere il braccio di Michela, ancora svenuta, i suoi occhi furibondi invece si stagliarono sulla figura del folle: “S-sei un vigliacco c-come Utopo, anf...”

“Può darsi… - acconsentì il Mago, con una espressione tronfia di gloria – Ma io vinco e voi perdete!” dichiarò, tornando a concentrarsi sul viso stremato del suo amato ostaggio per riprendere ciò che faceva prima.

Hyoga vide distintamente, nuovamente impotente, le dita di quel lurido verme raschiare la pelle del maestro, rivendicando un possesso che non gli apparteneva. Camus si divincolò, ancora una volta, l’ultima, mentre il dito indice di quel mostro gli veniva insinuato dentro l’ombelico già ferito, strappandogli un nuovo, tumefatto, gemito di dolore.

Ancora il giovane allievo, caparbio, si alzò; ancora le gambe, vinte dalla fatica, rischiarono di cedere, ma non demordette. Si diede una scrollata, ottusamente divaricò prima un piede e poi l’altro per evitare di crollare. L’ira lo avvolgeva interamente; l’ira e nient’altro. E sapeva che non doveva cedere a quella, glielo aveva insegnato proprio il suo venerato mentore, ma la misura era colma, trattenersi era ormai impossibile.

Datti una svegliata, Hyoga! -si disse, rimproverandosi- Hai fatto il bamboccione troppo a lungo, sei cresciuto o no in questi anni?! Hai imparato qualcosa o sei ancora il pavido bimbo, un poco corrucciato, che frignava per il passato?! Tuo fratello Isaac ti ha affidato la protezione di Camus… Isaac, lo ha fatto, che tu stesso hai ucciso… MUOVITI! Dimostra di valere qualcosa qui e ora, il maestro ha bisogno di te!

Era pronto per scattare, dando fondo a tutto sé stesso, a ciò che rimaneva di lui, alla sua ultima fiammella, che ardeva come non mai. Era in posizione, pronto all’assalto, ma ancora una volta, l’ennesima, qualcosa fu in grado di pararsi fra lui e il suo obiettivo, sconvolgendolo fin nei recessi dell’anima.

Un urlo.

Non un urlo qualsiasi.

Ma quello del suo amato Maestro Camus.

Qualcosa si incrinò dentro di lui, la sua stessa volontà, davanti a quella manifestazione di estremo dolore. Rabbrividì, gli mancò aria… si sentì scosso nel profondo e, per un solo attimo, le sue braccia, protratte in avanti per l’attacco, ricaddero molli ai suoi fianchi.

Un sorriso maligno, quello del nemico, che sembrava trarre giovamento dal suo smarrimento, si impresse nella sua mente, così come le strie nere di miasma che salivano più rapidamente sul busto del maestro fino a ricoprire anche il torace, le tre cicatrici, espandendosi poi ulteriormente al collo, attraverso il quale, ricalcando la carotide pulsante, varcavano la soglia del viso, stagliandosi, come radici malevole, sulla sua guancia sinistra, fin quasi al solco del naso.

E Camus urlava con tutte le forze concessogli; urlava tutto il suo dolore, ormai del tutto incapace di trattenersi. Si dimenava come un pesce tirato fuori dall’acqua, piegandosi quasi in due da quanto la schiena si fosse arcuata. Soffriva tantissimo, era evidente, perché percepiva distintamente l’ingerenza del nemico penetrare in lui, nelle sue carni. Ed era totalmente privo di difese.

A Hyoga si appannò la vista davanti a quella scena. Una fitta subitanea al petto lo investì, non per il dolore fisico, ma nel vederselo così, per la prima volta, così assolutamente alla mercé di qualcun altro, così debole e impotente. Lui che era sempre stato una montagna, lui che era inarrivabile per grazia, compostezza, forza, coraggio e orgoglio; lui… che gli aveva insegnato a vivere, non solo a lottare…e che si era preso cura di lui da quando più di 8 anni prima si erano incontrati alla locanda di Pavel.

Non aveva mai sentito Camus urlare in quella maniera, MAI. Quell’unica volta che lo aveva visto così sofferente e stremato, ridotto al lumicino, era stato dopo l’incontro con Zima, e comunque si era ripreso pochi giorni dopo e mai aveva gridato, mentre se ne prendevano cura, mai si era lamentato, nonostante il dolore, nelle notti preda del delirio, quando la temperatura corporea saliva troppo e loro due, lui e Isaac, ancora un poco incerti, facevano di tutto per abbassargliela e permettergli così riposare. Si ricordò di quella mano, la sua, che ricercava la loro tra le coperte, di quel corpo che, solo nell’avvertirli concretamente accanto a sé, si rilassava completamente, lasciandosi cullare dalla loro vicinanza.

Ne era passata di acqua sotto i ponti da allora, la famiglia si era frantumata, ricreandosi poi sotto un’altra forma, e anche lì, in quella nuova vita, Camus aveva sofferto e rischiato di morire più volte, continuando però orgogliosamente a non voler manifestare il suo tormento.

E ora… che genere di sofferenza stava provando per reagire così?!

Hyoga si riscoprì terrorizzato, davanti a quello spettacolo, come se tutto il suo mondo precostituito gli franasse addosso. Ingoiò ancora una volta a vuoto, livido, rimproverandosi l’ennesima debolezza. Tentare l’Aurora Execution era fuori discussione: Camus non aveva forze per opporsi, sarebbe stato investito in pieno e il colpo gli sarebbe risultato fatale, ma le altre tecniche erano prive di ogni utilità, non sarebbero stati sufficienti per strapparlo dalle mani di quel mostro. Istintivamente, si raschiò le tempie tra le dita, stringendosi i ciuffi biondi, non riuscendo più a sopportare la visione del proprio maestro che soffriva così, senza meritarlo, né tanto meno il suo essere costantemente poco incisivo in battaglia, nonostante gli anni dell’allenamento e le esperienze belliche.

Ragazzo, usa quella tecnica come diversivo, hai il mio appoggio. Fallo, giovane erede di Aquarius, salva il tuo maestro!

In quell’istante, una voce calda e confortante gli risuonò dolcemente in testa, mentre un ampio cosmo dorato e ghiacciato si univa al suo, sostenendolo interamente.

Era semplicemente incredibile… Camus?! No, non era lui, eppure l’accento, sebbene diverso, sembrava essere così affine al suo. Non era comunque una presenza misteriosa, Hyoga poteva sentirlo distintamente, come se avesse sempre fatto parte di lui, della sua intimità, della sua stessa anima. Non era solo. Si ricordò che non lo era stato mai, in fondo.

Con un guizzo deciso, strinse con foga il pugno destro: cosa fare, la strada da percorrere, era finalmente chiara davanti ai suoi occhi.

“Uh? Cosa vuoi fare, Cigno?! Se interrompi la nostra unione, anche il tuo maestro ne avrà pesanti ripercussioni!”

Ma Hyoga non lo ascoltava più, ringhiando, furibondo, alzò le mani all’altezza delle spalle, mentre cristalli di morte volteggiavano nei dintorni.

“Sostienimi, te ne prego, aiutami… aiutami a compiere il miracolo! - supplicò la presenza amica, alzando e piegando una gamba nella tipica posizione del Cigno – Diamond Dust...”

“Sciocco, e ottuso! Mi attacchi con una tecnica mediocre, rischiando di colpire anche il tuo mentore. Questo colpo INSIGNIFICANTE per me è come…” ma si bloccò, rendendosi conto che non era ciò che sembrava.

“...Ray!” ultimò Hyoga, mentre dal suo pugno sgorgava un raggio ghiacciato che, moltiplicandosi all’infinito, come se fossero riflessi da una miriade di specchi, formavano un fascio di cristalli luminosi che sbalordirono non poco il Mago.

“No, impossibile, questa tecnica dovrebbe appartenere a… - Fei Oz si sentì montare di rabbia, mentre, increspando tutte le rughe del viso, si voltò verso il fautore di quella insolenza – Pensi di recarmi danno con un semplice espediente?! Mi deludi, Cign...”

Non terminò la frase, gli mancò aria per farlo. Qualcosa lo aveva colpito con precisione nello sterno, quasi stramazzandolo sul colpo. Sbatté le palpebre per tentare di mettere a fuoco ciò che aveva davanti, riconoscendo l’espressione selvaggia del biondino a pochi centimetri dal suo volto e il suo gomito, ammantato di cristalli di morte, ben piantato nel suo costato.

“No… il mio intento non era infliggerti danno alcuno con quella tecnica, ma lanciarmi contro di te per privarti di ciò che non ti appartiene!” lo irrise Hyoga, una luce innaturale negli occhi ricolmi di furore.

Si era davvero gettato contro di lui con tutto sé stesso, circondato da un’aura cristallina-dorata, rivestendosi del suo stesso gelo per tentare davvero il tutto e per tutto. Fei Oz realizzò tardi che la presa su Camus gli stava fuggendo, ebbe appena il tempo per rendersene conto, che vide l’allievo dell’Acquario circondare il busto del maestro con l’altro braccio, per sorreggerlo, mentre, piroettando con grazia, lo stringeva a sé con tutte le forze che gli restavano, devolvendo i rimasugli della sua energia verso la gamba destra, con la quale sferrò una possente ginocchiata ghiacciata nel suo addome, obbligandolo a sputare saliva e sangue.

Era riuscito a ferirlo per davvero… no, avrebbe dovuto essere impossibile!

Riuscì solo a razionalizzare, mentre si sentì proiettare all’indietro. Urtò contro la ringhiera e, dopo di questa, il vuoto. Cadde.

Il colpo sferrato da Hyoga ebbe a sua volta ripercussioni su di lui, perché il Cigno aveva dato tutto in quell’assalto, incurante dei rischi. A sua volta si sentì scaraventato in direzione opposta, senza possibilità di difendere sé stesso; senza possibilità di difendere sé stesso ma non Camus, che abbracciò con tutte le forze per proteggerlo dall’urto.

Finirono contro una colonna, che venne tranciata di netto, e ancora oltre. Il ragazzo, per il dolore, perse la presa sul maestro, il suo corpo sfregò lungamente sul pavimento, prima di ritrovarsi quasi esanime, rotto, diversi metri più in là. Bruciore su tutta la pelle esposta, abrasioni… gli occhi gli lacrimarono senza possibilità di trattenersi.

La schiena gli faceva male da impazzire, la milza pulsava fastidiosamente, nuovamente il sapore del sangue gli aveva invaso il palato. Tuttavia non fu il suo respiro dispnoico, spezzato, a tentare di farlo reagire, bensì quello sempre più frenetico di Camus. Quello, solo quello, gli diede l’impulso di riaprire le palpebre, voltarsi, e cercarlo con lo sguardo. Il cuore piccolo piccolo di angoscia.

Lo vide quasi subito. Sussultò.

Provò ad alzarsi, ma non aveva forze sufficienti per rimettersi in piedi, non più. Pertanto strisciò nella sua direzione, gli occhi ancora lucidi.

“Maestro… Camus! - si sforzò di chiamarlo ad alta voce, quasi strozzandosi. Voleva che lo sentisse, che sapesse di non essere solo. – Pa-pà!”

Camus era preda di violente convulsioni, si dibatteva per terra, in posizione scomposta, ansimando nel cercare ossigeno che evidentemente gli mancava. Quelle orrende strie sul suo corpo, che rassomigliavano a vene infiammate e pulsanti, sembravano possedere vita propria... impazzavano per tutto il suo busto, procurandogli ancora più male. Doveva sbrigarsi!

Hyoga percorse i metri che lo dividevano da lui con foga inaudita e disperata, facendo leva su un braccio ed una spalla, quelle messe meglio, e sulle gambe, che riusciva a piegare a stento. Quasi singhiozzò nel vederlo inarcare più volte la schiena, preda di un dolore insostenibile, mentre i muscoli erano a loro volta vittima di contrazioni del tutto involontarie.

Finalmente Hyoga fu vicino a lui, gli strinse prima la mano, che subito venne serrata tra le sue, nel bisogno di sorreggersi ad un appiglio, e poi con l’altra lo cinse in un semi-abbraccio nel tentativo di tranquillizzarlo.

“Calmati, papà, ti fa male muoverti così, TI FA MALE!” urlò Hyoga, le lacrime agli occhi, alzandosi debolmente sui gomito per riuscire a nascondere il viso nell’incavo della spalla destra del maestro, dove, con un lungo sospiro, si lasciò andare, senza tuttavia pesargli. Camus doveva smettere di agitarsi così, doveva riportare il respiro e il battito ad una soglia regolare perché anche a quella distanza l’allievo riusciva a percepirli, ed erano troppo frenetici. Lentamente, con la mano con la quale lo aveva abbracciato, gli cominciò ad accarezzare dolcemente i capelli, cercando di tenerlo fermo, perché continuava a muoversi e a tremare. Il Giovane Cigno piangeva senza curarsi di nasconderlo, non più. Era semplicemente terrorizzato.

Una, due, tre volte…

Partiva dal capo per poi scendere sul volto, seguendo i lunghi ciuffi, arrivando fino al braccio opposto, per poi ricominciare. Sulle prime, il respiro di Camus non mutò, ma, piano piano, avvertendo il suo tocco, si lasciò andare, sebbene continuasse visibilmente a soffrire.

“Hyo-Hyo… anf!”

“Va bene così, papà, sei bravissimo… forza! Respira con più calma ora, non ti toccherà più, non glielo permetterò!” continuò l’allievo, con voce di miele, accompagnando il suo volto di lato, in modo da vedere distintamente i danni subiti. Lo avvertì buttare fuori aria, stringendo poi i denti per tentare di tranquillizzarsi.

Tremava ancora, ma almeno le convulsioni erano cessate. Il Cigno si sforzò di osservarlo con sguardo clinico, ingoiando a vuoto nel continuare a passargli la mano tra i capelli. I miasmi erano arrivati a contaminare la carotide e la giugulare, ma erano in vistoso ritiro, era quindi bastato interrompere il contatto per bloccarli, perché sul volto non erano più presenti. Il busto invece era ancora pieno di strie scure che ben risaltavano sulla carnagione chiara del maestro. Divise in spesse ramificazioni che ricordavano una ragnatela, si infittivano proprio sul ventre e intorno all’ombelico, la zona che vi era stata più a contatto.

Hyoga strinse i pugni con rabbia, mentre, tenendolo stretto come meglio gli concedevano le proprie forze continuava a parlargli nel tentativo di calmarlo e trovare una soluzione per farlo star meglio.

“E’ tutto finito, papà! Perdonami, perdonami se non riesco ancora ad essere sufficientemente intraprendente, se tentenno ancora, nonostante tutte le cose che mi hai insegnato! Se… se solo ci fosse stato Isaac, qui con te, lui sarebbe intervenuto prima; p-prima di farti sentire tutto quel dolore e… - scrollò la testa, ricacciando indietro le lacrime per poi prendergli delicatamente il volto con una mano, girarlo appena, e accarezzargli la guancia con il pollice – O-ora andrà tutto bene. Ti porterò fuori di qui, al sicuro, te lo...” si bloccò nell’avvertire un’ombra stagliarsi implacabile su loro. Ringhiò, fremendo selvaggiamente.

Camus si era finalmente calmato, respirava ancora male, il torace si alzava e si abbassava con pena, ma si era lasciato andare tra le sue braccia. Hyoga accompagnò il suo viso, facendolo appoggiare delicatamente al suo palmo, mentre i suoi occhi -almeno loro, visto che il corpo era ormai distrutto!- guizzarono minacciosi verso il Mago che, tornato alla carica, si era messo a osservarli con freddezza.

“Usi una tecnica propria di Dègel e mi hai ferito… quasi a morte… se solo avessi avuto più forze in corpo! - ammise il nemico, massaggiandosi lo stomaco e lo sterno, incurante del sangue che usciva dalle sue labbra – Come diavolo ci sei riuscito?! Chi sei davvero, Hyoga del Cigno?!”

Il ragazzo non rispose, tremò più consistentemente, rimproverandosi la debolezza e il non essere riuscito ad arrivare fino in fondo.

“Chi è Dégel per te? - insistette, trattenendosi a stento dal cedere alla rabbia – Non dovrebbe essere nessuno, lui stesso dovrebbe giacere morto da oltre 200 anni!”

Ancora Hyoga non rispose verbalmente, il suo solo sguardo valeva una risposta.

Avrei voluto congelarti i polmoni, bastardo, e ridurli in frammenti, lasciandoti poi soffocare senza pietà, oppure ti avrei sublimato volentieri il sangue, regalandoti una morte ancora più atroce, se solo avessi avuto la forza di farlo, se solo fossi stato spietato fin da subito!

Una smorfia di biasimo solcò il volto snaturato di Fei Oz, come se avesse avvertito i suoi pensieri, tuttavia permase in uno stato di pallida calma, continuando a contemplare ciò che lui comunque reputava una disfatta, perché il Cigno aveva esaurito per davvero tutte le energie, sebbene lo guardasse oltraggiato e cercasse di proteggere Camus sotto di lui.

“Beh… non ha importanza come tu abbia fatto a danneggiare un corpo cosmico privo di fisicità, morirai comunque qui, Hyoga di Cygnus ed io mi impadronirò in ogni caso del corpo del tuo amato...”

“FAI ANCORA UN MOVIMENTO VERSO DI NOI E TI AMMAZZO!!!” ululò Hyoga, gridando tutta la sua rabbia e frustrazione.

Per quanto fosse minaccioso, un grido era solo un grido, non poteva davvero pensare che lui si sarebbe fermato per una inezia simile.

E invece…

Fei Oz si ritrovò inspiegabilmente paralizzato, il pugno ancora alzato nell’atto di colpire, ma impossibilitato ad ultimare il gesto, che rimase lì, a mezz’aria. E non si mosse più Fei Oz Reed, l’Ordinatore del Cosmo, il Primo Ministro di Marduk, l’assaltatore di dimensioni. Semplicemente rabbrividì.

“Un solo passo… - rimarcò spietatamente il Cigno, un fascio di luce, terribile, gli passò tra le iridi cristalline - Ed io congelerò istantaneamente tutte le tue piastrine e i globuli rossi, trasformando irreversibilmente il tuo sangue in un plasma qualsiasi che ti condurrà ad una morte atroce nel giro di pochissimo!”

Stava bluffando. Era lampante che stesse alzando la cresta e nient’altro, non ne aveva le forze era evidente, e allora perché… perché quella spiacevolissima sensazione che gli sconquassava il cuore?!

Era forse… atterrito?! Da un simile moccioso, poi, che respirava appena per miracolo divino?! Lui, il Grande Fei Oz Reed?!?

Maledizione, cosa ha che non va questo ragazzo?! Cosa ho che non va io??? E’ ridotto ai minimi termini e riesce comunque a farmi accapponare la pelle. Quel suo sguardo… mi terrorizza! Mi tremano le gambe, ho… paura?!? No, assurdo!

In quell’istante, per assecondare l’avvertimento con le azioni, il braccio di Hyoga che sosteneva il volto di Camus, si alzò, facendo sgorgare dei nuovi cristalli di morte dal suo palmo.

“Allontanati da noi e vattene… non lo ripeterò una seconda volta!”

Mi minaccia pure questo pusillanime… non dovrebbe più avere un goccio di potere, eppure… da dove trae energia?! Perché sembra non avere paura di nulla, né della morte né di me?! Come è riuscito a colpire questo mio corpo cosmico?! Solo Seraphina ci era riuscita, ma lei era una Sciamana Evocatrice, costui invece…

Hyoga non poteva leggere i suoi pensieri, ma vide distintamente la luce della consapevolezza sfregiarlo, le sue palpebre si spalancarono istantaneamente a vuoto, portandolo ad indietreggiare di tre passi. Il giovane Cigno non si soffermò a pensare il motivo, faticava sempre di più a respirare, farlo gli procurava un dolore intercostale sempre più insostenibile, ma avrebbe continuato a combattere fino all’ultimo respiro con tutte le sue forze.

“Ma-maledetto!!!”

Fei Oz era adirato, strinse nervosamente i pugni, chiedendosi tacitamente se non ci fosse un’altra via, ora che era così vicino al suo obiettivo. Una vena della tempia gli pulsò selvaggiamente, mentre, imprecando tra sé e sé, constatava che, ancora una volta, avrebbe dovuto lasciare andare quel magnifico corpo che era stato in grado di ammansire persino Tiamat.

E’ lo Zero Assoluto di questo dannato! -realizzò collerico, cercando comunque di non dimostrarlo al ragazzino- esso mi danneggia, precludendo a me il raggiungimento del mio fine ultimo. Non posso avvicinarmi, mi ucciderebbe, e non posso nemmeno strappargli Camus dalle braccia, perché lui non esiterebbe a farmi fuori e… potrebbe riuscirci… MALEDIZIONE! Non solo Seraphina/Marta, anche costui adesso si para davanti alla mia strada, ostacolando l’unione tra me e il Principio Primo e così la salvezza di Ipsias!

“V-vattene, allontanati di qui, Fei Oz!”

E sia come tu vuoi, Hyoga del Cigno, ti lascerò vivere per il momento, non ho forze per contrastarti, ma la prossima volta sarà diverso, ti ucciderò per primo; prima di Marta, prima di ogni altro! Sei un nemico troppo insidioso, occorre eliminarti velocemente, ma non qui, non adesso.

“Ti faccio i miei complimenti, riconosco il tuo valore, ragazzo, del resto… sei allievo di Camus, non potevo aspettarmi altro!”

Hyoga lo guardò con disprezzo, mentre, udendolo buttare fuori aria, lo vide alzarsi in volo e scendere al piano di sotto. Sbigottito, si strinse ancora di più al corpo di Camus, che in quel momento gli sembrava fragile più che mai, temendo qualche brutta sorpresa, ma quando rivide comparire il nemico davanti a sé, con in mano la testa di Utopo, la sua colonna vertebrale attaccata dietro, rossa come se un lupo ne avesse spolpato la carne, e poco altro, non c’erano più intenti battaglieri negli occhi del Mago.

“Ora ho capito che non potrò fare mio Camus finché ci sarete tu e Marta intorno. Non ho quindi un’unica nemica, bensì due. – affermò, infastidito – Ma è proprio questo il punto: tra poco, almeno tu, non ci sarai più, Hyoga del Cigno, sarò io medesimo ad occuparmi della tua disfatta!” aggiunse, compiaciuto, osservando ancora una volta il biondino, prima di regalare un’ultima occhiata, pregna di malinconia, al corpo privo di coscienza sotto di lui.

Aspetta ancora un po’, Camus… non rinuncerò mai a te, ti avrò, in un modo o nell’altro. Forse non oggi, non domani, ma il tuo destino è già stato decretato, ed è quello di essere i miei passi, la mia volontà, il mio stesso corpo. Ci rivedremo presto!

E sparì, come era apparso, portandosi dietro il retaggio morente di Utopo. Hyoga rimase teso ancora per una manciata di secondi e di minuti, poi, con un lungo sospiro, si lasciò andare sulla spalla del maestro, cercando comunque di non pesargli più del dovuto. Chiuse gli occhi, perché la testa aveva preso a girargli vorticosamente. Dalle sue labbra trapelava un respiro frettoloso, quasi spasmodico, che tentò di mascherare con tutto sé stesso. Camus era sotto di lui, respirava male a sua volta, con l’espressione di chi stava soffrendo ancora in maniera terribile, ma… vivo!

Hyoga avrebbe fatto di tutto, anche oltre, affinché ciò fosse continuato.

Ha capito… quel bastardo ha capito che, con lo Zero Assoluto, posso danneggiarlo in maniera irreversibile. E’ stato un azzardo, ho fatto una scommessa sul fatto che Utopo, vittima delle sue stesse brame, non lo avesse avvertito, che lui non fosse a conoscenza di essere vulnerabile a questa peculiarità. Posso… posso ucciderlo con questo mio potere, una volta per tutte e… salvare Camus!

Pensò, riaprendo debolmente gli occhi per osservare ancora una volta il suo maestro. La vista si stava nuovamente offuscando, ma non la percezione che aveva di lui. Lo accarezzò ancora, dolcemente, cercando di fargli sentire tutto il suo affetto, come mai si era permesso di fare.

Sembrava così… fragile… tra le sue braccia!

Ma Fei Oz ha compreso il mio piano e, ora che lo sa, mi darà la caccia. Non posso quindi tornare al Santuario, metterei in pericolo il maestro, Michela, i Cavalieri d’Oro e le altre.

Non posso… tornare a casa… anche se… se lo vorrei tanto!

Gli occhi di Hyoga si richiusero, mentre un altro sospiro lungo e prolungato lo scosse dal profondo. I pensieri così presero avvio da soli, frenetici, privi di catene.

Devo proteggerlo… il Maestro ha bisogno di noi, non possiamo lasciarlo nuovamente solo ad affrontare tutto questo.

Devo proteggerlo, devo dimostrarmi degno, come avrebbe voluto essere Isaac.

Devo… devo… urgh…

La coscienza veniva risucchiata in un imbuto di nulla; anche la sua mano, che provava ad accarezzare la spalla del maestro per tranquillizzarlo, si fermò sulla testa dell’omero, e lì rimase, molle.

Era così calda la sua pelle, stava ancora sudando e provava ancora un male atroce, perché i miasmi, pur in vistoso ritiro, gli segnavano, come radici, ancora parte del torace e l’addome interamente. Non stava affatto bene e… e… lui non avrebbe potuto fare più di così, era allo stremo!

Si accasciò ulteriormente, il volto gli ricadde un poco più in giù. Tutto andava… estinguendosi!

“Papà… i battiti del tuo cuore… sono così irregolari, ed io non… non posso fare più niente. Perdo-nami...” riuscì a biascicare ancora, prima di perdere coscienza, riuscendo a percepire appena che il mondo intorno a loro, non più sorretto dalla volontà di Utopo, andava disgregandosi nella sua interezza.

 

 

* * *

 

 

La risata acuta di Clio echeggiava ancora nei dintorni, una manifestazione ilare di vittoria e soddisfazione, affatto celata ai presenti. Aphrodite e Kiky erano ancora pietrificati, sconvolti da quanto era appena avvenuto davanti ai loro occhi e che non erano riusciti minimamente a contrastare. Il Cavaliere dei Pesci ebbe appena il tempo di udire il mormorio sommesso dell’allievo di Mu, quel “n-no” pronunciato a fior di pelle, che vide distintamente la dea decaduta alzarsi come se nulla fosse, spolverandosi la lunga veste con naturalezza, sgranchirsi le ossa e riprendere a camminare.

La telecinesi era appena caduta.

“Kiky, no!” esclamò ancora, guardando il più piccolo che aveva gli occhi vitrei, spaventati, in direzione del corpo martoriato di Francesca.

Tra le nuove allieve di Camus, sembrava nutrire una certa predilezione per lei, ed era lampante che fosse rimasto turbato dalle dinamiche dell’attacco riflesso, ma non potevano permettersi di perdere ulteriore tempo: si trovavano ancora sul campo di battaglia.

“Kiky! - lo chiamò nuovamente, cercando di fargli forza – Riattiva i tuoi poteri, presto!”

“I-io… non riesco!” biascicò lui, coprendosi il viso con le mani.

Era troppo emotivo per riuscire ancora a farlo, impossibile per lui esercitare il distacco e, del resto, sebbene nel corpo fosse cresciuto, la testa, le facoltà, i poteri stessi erano comunque quelli di un bambino di 10 anni. Aphrodite si ritrovò a ringhiare, mentre Clio, come se nulla fosse, senza degnarli più di uno sguardo, si allontanava da loro per avvicinarsi alla fenditura che l’avrebbe riportata nel suo mondo carica del prezioso bottino dato dell’Ergon.

“Fermati, te lo ordino!” le intimò quindi, lanciandole una rosa nera ai piedi per esemplificare la direttiva.

Clio non si scompose, si fermò appena, il libro tenuto sotto braccio, regalando un’occhiata languida e sicura al Cavaliere dei Pesci: “Sicuro di poterti permettere di perdere tutto questo tempo?! I tuoi amichetti non stanno messi tanto bene!” gli regalò un altro sorriso meschino, mentre la luce della vittoria lampeggiava nelle sue iridi.

“E’… è mio dovere fermarti, Clio! Il resto… passa in secondo piano!” sancì Aphrodite, apprestandosi alla lotta. Aveva avuto direttive precise e dirette.

“Parole grosse… molto grosse, Pisces! E così lascerai morire loro? La giovane dea e il tuo nuovo… toy boy?!” lo provocò sottilmente, ghignando, credendo di capire la situazione che si era creata tra loro.

Aphrodite non rispose verbalmente, ma estrasse la rosa bianca, mettendosela poi in bocca per manifestare le sue intenzioni bellicose. Tale gesto procurò un’altra risata, persino più ampia e malvagia, da parte della dea decaduta che, rovesciando la testa indietro con spregio e facendo ondeggiare i lunghi capelli, trovava assolutamente divertente l’intera faccenda.

“E così nel cuore di un Cavaliere c’è davvero posto solo per la dea, i propri doveri e gli ideali… - lo irrise Clio, certa più che mai che la vittoria fosse giovata in suo favore – Al punto da lasciar morire i propri compagni!”

“...”

Clio si girò completamente nella sua direzione, non prima di aver dato una veloce occhiata a Stefano, ancora cosciente, sebbene non per molto a giudicare dall’emorragia, e a Francesca stesa prona nel suo stesso sangue che si allargava sul pavimento. Ancora si ritrovò a sorridere, compiacente.

“Pesci, sai bene che, se non interverrai tu, quei due presto moriranno, no? Le tue rose sono intrise del tuo potente veleno che potrebbe essere fatale persino per una dea, figurarsi per un ragazzo che non ha neanche mai combattuto...”

“Uhmpf, sfortunatamente, Clio, non sono così tenero di cuore!”

“Ah no?! - scoccò un’altra occhiata ai due martoriati, prima di imprimere la sua espressione negli occhi celesti di Pisces – E allora perché stai ancora esitando?! Perché non usi… la tecnica che dovresti aver ereditato dalla tua precedente vita, il Legame Scarlatto?!”

Kiky fissò incredulo prima la ex Musa e poi il Cavaliere d’Oro, stupito come non mai dalla rivelazione. D’altro canto Aphrodite stava fermo in posizione offensiva, ma continuava a non attaccare. Qualcosa sembrava rendere i suoi propositi meno certi; un’incertezza che il piccolo non gli aveva mai scorto, essendo lui stato fin da giovanissimo un sicario di Saga malvagio.

“La manipolazione del sangue è l’unico modo per debellarmi – sancì Clio, scoprendo incredibilmente il suo punto debole (che fosse così certa della sua vittoria?!) - Tu ne puoi disporre, Pesci, perché la vita prima alla tua, Albafica, ha avuto come maestro un individuo particolare che voi esseri umani chiamate con il nome di Alchimista. In tal senso, tu potresti essere un pericolo per me...”

Un nuovo barbaglio di certezza passò nel suo sguardo. Aphrodite lo trovò incommensurabilmente irritante ma si trattenne da manifestarlo.

“Ciò che ho fatto della mia precedente vita, Clio, non è affar tuo, anche se voi sembrate conoscere molto di noi!” gli soffiò ostile, cercando di rasentare la sua stessa determinazione che tuttavia vacillava.

“Può darsi… ma ora ti trovi nella spiacevole situazione di essere in svantaggio: le tue rose non mi scalfiscono, anzi, le posso riflettere… a quel ragazzino dietro di te, per esempio!” sibilò lei, tronfia, indicando Kiky, il quale sussultò.

“Ma-maledetta!” si lasciò sfuggire Pisces, furente.

“Allo stesso tempo… - continuò ancora, forzatamente languida proprio allo scopo di provocarlo – La tua unica tecnica offensiva che avrebbe un qualche tipo di efficacia su di me, ti richiederebbe troppo tempo e troppe forze per permettere di volgere a tuo favore lo scontro e annientarmi; tempo e forze che i tuoi piccoli amici non hanno, dico bene?! Ed è questo il motivo della tua esitazione: se ingaggiassimo qui e ora battaglia tra noi, forse riusciresti anche a sconfiggermi, ma loro due morirebbero tra atroci sofferenze!”

“...”

“A-Aphrodite, è la verità questa?! Se non facciamo subito qualcosa, Francesca e Stefano...” saltò su Kiky, sempre più demotivato, sforzandosi di utilizzare nuovamente la telecinesi, non riuscendoci, perché non era mentalmente stabile né distaccato, come invece sarebbe riuscito ad essere il Grande Mu.

“No, Kiky, noi li salveremo prima!” affermò Pisces, alzando ulteriormente le braccia.

“Oh, sì, li salverete… - gli fece eco lei, gaudente – Perché stringeremo un accordo, Cavaliere!”

“Giammai stringerò un...”

“Ora ascoltami bene, perché non hai molte alternative… - lo zittì immediatamente Clio, alzando il tono di voce nel perdere la pazienza, poi si fece nuovamente composta – Tu mi permetterai di oltrepassare il varco dei due mondi portandomi dietro l’Ergon sottratto che rimarrà quindi in mano nostra...”

“Sei folle?! Non posso sottostare ad una simile scelleratezza!”

“…ed io ti consentirò di soccorrere i tuoi amichetti. Se intervieni ora dovresti ancora riuscire a salvarli no? Mi sembra un patto equo: le loro vite per l’Ergon degli altri!”

Aphrodite, come Cavaliere di Atena, non avrebbe neanche dovuto esitare davanti ad una simile assurdità, ma caricare a spron battuto, perché quello era il fulcro della missione, debellare la Musa perduta, il suo nefasto potere, prima di tutto il resto; persino prima delle vite che dipendevano da lui, ma qualcosa bloccava la sua mano, facendolo tentennare.

Si ritrovò a pensare allo schifo della sua esistenza fino a quel momento, all’inutilità del suo essere venuto al mondo, ai peccati che lo corrodevano e che lo avrebbero per sempre corrotto. Pensò pure a Death Mask che, probabilmente, aveva avuto persino una vita peggiore della sua. Rifletté su ciò che erano stati, a quel passato glorioso come valenti Cavalieri che non gli apparteneva però più, e poi ancora... alla morte stessa, alla loro scelta di seguire Saga di Gemini ben sapendo che non era più Shion, alla loro posizione difficile, al cadere nelle tenebre, senza possibilità di redenzione.

Eppure, in quella nuova vita, qualcosa era cambiato. Era qualcosa di piccolo e luminoso ma che aveva invaso la quotidianità austera del Santuario, rendendolo meno freddo, più chiassoso, più... felice. Persino per due stronzi come loro. Death Mask si era addirittura innamorato, e lui… beh, poteva dirsi comunque felice di aver incontrato Stefano, ma non erano che all’inizio e, quella, quella sciocca dea rischiava di strappargli ancora una volta la tanto sospirata quiete.

Per questa, e altre mille ragioni, esitò, abbassando di riflesso le braccia. Clio interpretò tale segno come accondiscendenza. Sorrise ancora una volta di sbieco mentre, voltandosi, fece per riprendere il cammino che la divideva dal varco.

Ma non ultimò il movimento. Qualcosa, se ne accorse troppo tardi, la stava bloccando lì, l’avrebbe potuta bloccare lì per sempre, impedendole di proseguire. Quasi si sbilanciò, il libro rischiò di cadere, ma lo trattenne con tutte le forze.

Aphrodite comprese la difficoltà di movimento della dea decaduta ma non la matrice, non subito, almeno fino a quando uno sfavillio cremisi non catturò la sua attenzione. Anche Clio se ne accorse con un sussulto, osservandosi il dito mignolo della mano destra, quella che non reggeva il pesante tomo. Anche i suoi occhi seguirono la stessa scia che la legava a qualcosa, a qualcuno che, dall’altro capo del filo, le regalava lo stesso sorriso di trionfo che lei aveva riservato a loro fino ad un istante prima.

“Allora, anf, le mie deduzioni erano corrette: sei sensibile alla manipolazione del sangue, anf, per tua stessa ammissione!”

“FRANCESCA!” la chiamò Aphodite, sbalordito, provando quasi l’istinto di correre da lei nel vederla lentamente sollevarsi da terra grondante di sangue.

La giovane dea effettivamente era ancora accucciata sul pavimento, il respiro affannoso, le ferite aperte, ma nel viso quella scintilla di vittoria che in un primo momento sembrava irrimediabilmente persa.

“Come… come hai osato?!” ringhiò Clio, fuori di sé dalla rabbia.

“Invero è stato piuttosto semplice, pseudo-zia! - la scimmiottò, mentre la mano destra, posata sul marmo, si spostava di un poco, rivelando un piccolo cerchio insanguinato disegnato sotto di lei. Sollevò un poco il mignolo, legato a sua volta da un filo rosso sangue – Vi è consanguineità tra noi, no?! Ti ho bloccata qui, Clio, ti ho legata a me… non andrai più da nessuna parte, tanto meno passerai per quel varco, almeno finché ci sarò io qui!” le sorrise ancora, alzandosi faticosamente in piedi.

“Pagherai questo affronto, Francesca, nessuno può permettersi di ritorcermi contro un cerchio alchemico! La manipolazione del sangue è una MIA abilità, non tua, né tanto meno di tua madre Urania! - sibilò lei, prima di concedersi un altro sorriso meschino. In fondo, non era affatto vinta – Hai detto ‘almeno finché ci sarò io qui’, giusto? Tra poco non ci sarai più, spezzerò la progenie favorita di Zeus!”

“Questo è da vedere… Clio!” ribatté risoluta la giovane dea, apprestandosi a combattere. Nello stesso momento, con un movimento del polso libero e alcune scintille cariche di elettricità, estrasse la Folgore.

“Fra!!!” la chiamò ancora Aphrodite, impressionato che si ergesse ancora in piedi nonostante le ferite e il veleno. La ragazza gli scoccò un’occhiata di avvertimento.

“Ci penso io a lei, anf, voi soccorrete Stefano, presto!”

“Non posso permetterti di combattere da sola in quelle condizioni! – si oppose Aphrodite, mordendosi il labbro inferiore – Ti… ti dissanguerai!”

“So quel che faccio, te lo assicuro! - gli occhi le baluginarono di fervore nel tornare a concentrarsi sulla zia – Conosco bene le mie potenzialità e ho buone difese contro il tuo veleno, ma Stefano no! Mettetevi dietro di me, sarò io a combattere!”

La frase venne professata in un tono talmente determinato e sicuro che c’era ben poco da obiettare. Il Cavaliere dei Pesci, non senza remore, fu costretto ad ammettere che lei, di sicuro, era ben più abile di lui ad usare il sangue. Annuì, raccomandandole prudenza, mentre, camminando con il più piccolo appresso, le passava di fianco per andare a soccorrere l’altro ragazzo.

“Kiky...”

Il giovane apprendista dell’Ariete si voltò verso di lei, stupito e meravigliato dal suo tono di voce. Francesca si voltò un poco nella sua direzione, mostrandogli il profilo, gli sorrise calorosamente, prima di proseguire nel discorso.

“Conto su di te, coprimi le spalle come farebbe Mu!” si raccomandò, prima di avanzare per dirigersi verso la zia decaduta, la quale sibilava e vibrava come se ce l’avesse avuta particolarmente in astio.

“Farò del mio meglio! - rispose il più piccolo in apprensione – Tu prudenza, mi raccomando!”

Mi raccomandate tutti la prudenza… ma contro costei non giova! E’ specializzata nella manipolazione del sangue, la usa per attaccare e per difendersi, per sottrarre l’Ergon e per canalizzarlo verso qualcosa che ancora ci sfugge. Io non ho che una infarinatura di questo, a stento riesco a controllare il legame cremisi tra me e lei, ma ho la Folgore che il nonno ci donò… non posso gettare la spugna prima di averci provato!

Pensò, bandendo le incertezze, prima di gettarsi con tutte le forze ancora disponibili in un corpo a corpo che, lo sapeva, nel giro di poco l’avrebbe sfiancata, perché comunque anche se sotto controllo il veleno e la perdita di sangue le stavano togliendo le facoltà.

“Ragazzo!”

La voce di Aphrodite raggiunse a stento Stefano che, ancora faticosamente seduto e con i cinque sensi in lento ma graduale indebolimento, quasi sussultò nell’avvertire una mano amica sulla sua schiena. Non distingueva bene le cose, le voci non gli erano arrivate che per sommi capi, ma aveva capito, più o meno, che si erano trovati in trappola prima dell’intervento di Francesca che era riuscita a ribaltare la situazione. Degli occhioni chiari contornati da dei capelli rossicci penetrano nel suo campo visivo, capì che doveva trattarsi del ragazzino allievo dell’Ariete, provò a darsi una scrollata, ma forze non ne aveva quasi più.

“E’… è ancora cosciente!” esclamò il giovane davanti a lui, mentre protraeva le due mani verso la sua spalla, rallentando l’emorragia per quanto fosse possibile. Guarire le persone non era come aggiustare le armature, era molto più difficile e rischioso, per certi versi, un passo falso e la vita sarebbe stata spezzata, ma non poteva arrendersi prima di averci provato.

Qualcosa lo avvolse, non capì se si trattava di un mantello o di due forti braccia, ma ne fu immediatamente rinfrancato. Ci si appoggiò, fiacco, sospirando lungamente.

“Ragazzo, stringi i denti ora, estrarrò la rosa, fatto questo...”

“I-il… lib...”

“Come dici?”

“Sta provando a parlare!” trillò l’altra voce, quella appartenente al ragazzo dai capelli rossicci.

“...bro...”

“Stefano – Aphrodite lo chiamò per nome, scandendo bene le parole – Ascoltami, non devi sforzarti inutilmente, non devi, mi hai capito?! Devi solo stringere i denti ora, non svenire… non devi svenire!!! Devi cercare di respirare bene, profondamente, con più calma, solo così rallenterai il veleno, mi… mi riesci a capire? Ragazzo!!!”

Stefano annuì. In verità no, non capiva, tutte le sue percezioni esterne si erano fatte scure e difficili da interpretare, ma aveva un messaggio della massima importanza da dare. Solo… che non ci riusciva!

“Mordi questo!” gli fu detto, mentre qualcosa gli veniva messo in bocca, probabilmente un capo del lungo mantello. Fece quanto in suo potere per assecondare una tale richiesta che, prima di quel momento, aveva visto solo nei film, quando i soggetti dovevano operare senza anestesia. Un incubo… che non avrebbe mai voluto sperimentare!

“Oh, Aphrodite! Sta perdendo tanto, troppo sangue, per essere una ferita simile, cosa sta…?!”

“Non lo so, ma bisogna agire il prima possibile! STEFANO!” provò nuovamente a richiamare l’attenzione del ragazzo che sembrava sempre meno in sé.

“Il… li-mbro...”

“Come dici, scusa?”

Solo Kiky riuscì ad udirlo, perché aveva il volto talmente vicino da poterlo quasi sfiorare. Comprese finalmente la parola ‘libro’, si rese conto che Clio teneva effettivamente un pesante tomo sotto il braccio sinistro, e che forse lui si stava riferendo proprio a quello, ma non capiva comunque cosa Stefano volesse esprimere.

“Uhm… mimbro, coff…” tentò per l’ultima volta, rendendosi conto che aveva la bocca ostruita perché Aphrodite, apprestandosi ad estrarre la rosa, gli aveva ordinato di mordere il mantello e di resistere con tutte le sue forze al dolore. Nessun suono chiaro sarebbe quindi trapelato dalla sua bocca, ma qualcosa nella sua testa echeggiò con chiarezza: era la telepatia di Kiky!

-Che cosa stai intendendo con ‘libro’? Che cosa possiamo fare?

Stefano si accorse con sorpresa che, non sapeva bene se per i poteri mentali assai sviluppati del giovane, o se per altro motivo, ma era in grado di comunicare con Kiky forzando la propria mente a formulare un pensiero. Decise di percorrere quell’ultima via.

-Il libro di quella… Clio! Bisogna strapparglielo dalle mani, finché lo terrà lei, neanche i poteri divini di Francesca basteranno!

-Il libro? Il libro che tiene tra le mani?!

-Sì, è lì che è custodito l’impulso vitale che ha rubato, è lì il segreto. Bisogna… spezzare il circolo!

-Bisogna..?!

-Spezzare il circolo! E’ così che mi ha detto lei…

-Lei… chi, Stefano?!

-Lei… la voce!

Si accorse di non riuscire più ad esprimersi nemmeno così, tanta era la stanchezza. Avvertì appena uno strappo dalla sua spalla, come di qualcosa che gli veniva tolto a forza, ne provò un bruciore atroce ma non si dibatté né si lamentò, però gli lacrimarono gli occhi, mentre il dolore, così come si era acutizzato nel giro di un secondo, lentamente scemava fino a scomparire, sostituito da una nebbia crescente di tenebre che lambiva tutti i suoi sensi fino alla completa perdita di coscienza.

L’ultima cosa che percepì di quel mondo e di quella situazione che rasentava l’assurdo, fu quella di una mano piacevolmente calda proprio lì, sulla spalla.

 

A quel luogo ostile se ne sostituì decisamente uno più confortevole, quello dei suoi sogni, del suo inconscio, dove soventemente si rifugiava.

In quell’angolo così intimo, solo suo, lui era seduto sul prato ed era tornato bambino, i fili d’erba gli solleticavano le dita, mentre, con la bocca semi-aperta, contemplava il maestoso albero di tiglio e le sue foglie che danzavano alla brezza leggera. Si trovava sul poggio di Cerviasca, il luogo che aveva sempre condiviso con Marta. In quel momento però non osservava il paesaggio sottostante come era solito fare, ma l’albero stesso, che sembrava cresciuto rispetto a come lo ricordava. Maestoso. Bello. Robusto.

Lentamente si alzò, il vento si era fatto un poco più impetuoso, stormiva la cima frondosa dalla quale cadevano, danzando, i frutti ovoidali del tiglio. Si sporse un poco con le mani a coppa in attesa che uno di essi gli finisse tra i palmi, cosa che succedeva spesso e che gli piaceva molto, perché era come comunicare con la pianta in una maniera tutta speciale, la loro, che le aveva insegnato Marta, così intimamente legata alla natura fin da piccolissima.

Ma quella volta era tutto diverso, i frutti non si fermavano tra le mani, sembravano anzi trapassarlo da parte a parte come se non avesse consistenza. Un brivido lo sconvolse, si guardò intorno, mentre l’infruttescenza andava a posarsi ovunque, tranne che su di lui.

Un bruciore alla spalla lo pugnalò, socchiuse un occhio sofferente, mentre la maglia andava tingendosi sempre più di rosso, il suo sangue! Ne perdeva molto, non si arrestava… sarebbe morto se qualcuno non avesse fatto qualcosa e lui… NON VOLEVA MORIRE, NON DI NUOVO!

Si guardò ancora intorno, spaventato, alla ricerca di aiuto. Il cielo da celeste cangiante si era fatto cupo e minaccioso, il vento imperversava, il tronco dell’albero, come vinto, cigolava sinistramente. Da paesaggio ricolmo di vita stava diventando gremito di morte: dove era Marta?! E suo nonno Mario?!

Urlò la sua paura, ma le sue corde vocali non producevano alcun suono, i suoi muscoli non si smuovevano, lui… era la fine?!

No, non voglio! Non voglio morire!!! Aiut… qualcuno mi aiuti!!!

Strizzò disperatamente le palpebre, sentiva anche freddo nello stomaco, un gelo che si espandeva e si attorcigliava. Si ritrovò a piangere, sebbene lui tendesse a non farlo mai. Tutto… ogni singolo alito di vita… si era fatto oscuro, gelido… morto!

Prese a singhiozzare tra sé e sé, atterrito, finché non percepì qualcosa frapporsi tra lui e le tenebre, una luce… che in principio baluginava appena, ma che stava diventando sempre più forte.

Ne seguì il calore rinnovato, persino più avvolgente e consistente di prima. Qualcuno racchiuse le sue mani tra le proprie, accarezzandogli dolcemente i polpastrelli. Un sostegno. Un aiuto. Un conforto.

E’ tuo diritto vivere come qualsiasi altro essere vivente. Sei venuto alla luce, Stevin, in questo attimo di tempo chiamato vita, ciò, da solo, ti rende speciale!”

E’ il fatto stesso di essere venuto al mondo che mi rende… unico!” ripeté tra sé e sé, cercando di rammentarselo.

Riaprì quindi gli occhi, confortato da quelle parole, ritrovandosi così nello stesso luogo di prima, nuovamente assolato. Solo che, tra sé stesso e il tiglio, la brezza che accarezzava le fronde e i suoi capelli, era apparsa una donna dai lineamenti graziosi con indosso una lunga veste blu a coprirle il corpo esile. Le sue labbra rosee erano delineante in un sorriso, ma il resto del viso gli era precluso, ancora adombrato da una nebbia persistente che, lo sentiva, non si sarebbe dissipata. Rimase a bocca aperta a fissarla. Era bella e giovane nonostante il buffo scintillio argentato che proveniva dai suoi lunghi capelli lisci.

Stefano aveva sempre reputato quel colore sinonimo dell’invecchiare… anche suo nonno aveva capelli simili, ci combatteva ogni giorno, forse solo un poco più grigi, perché cercava sempre di apparire giovane, nonostante l’incombere del tempo, e anche lui, sotto la sua guida, aveva imparato a detestare quelle tinte che sembravano rammentare il crepuscolo della vita di un uomo e così la morte incombente.

Ma quella donna dai capelli così… così particolari, da ricordare, in un termine praticamente intraducibile in italiano, l’alpenglow, il luccichio dei ghiacciai accarezzati dai raggi solari, sembrava tutto fuorché anziana, sebbene emanasse un’aura particolare, quasi primigenia, che lo abbagliava sempre di più, accelerando i battiti del suo cuore. Era… così famigliare, anche se non si erano mai incontrati, o forse… sì?

Gli sorrise ancora una volta, inginocchiandosi davanti a lui con fare naturale, mentre gli lasciava momentaneamente le mani svelando così la presenza di un piccolo frutto di tiglio nei palmi. Finalmente riusciva a trattenerlo! Stefano si emozionò moltissimo nel tornare a percepirlo concretamente sulla sua pelle, lo portò vicino al viso, soffermandosi sull’odore, sulla forma e sul colore… sembrava tutto nuovamente così vivido, talmente concreto da spezzargli il fiato.

E’ tuo diritto vivere… - ripeté la giovane donna, il cui viso era sempre oscurato – E, per farlo, piccolo mio, devi… spezzare il circolo!”

Devo... spezzare il circolo?” ripeté lui, capendo e non capendo insieme.

Sì…”

La giovane donna alzò il braccio sinistro nella sua direzione, Stefano sussultò nello scorgere del sangue provenire anche da lei, ferita nel suo stesso punto. Anche quella giovane donna ne stava perdendo molto, eppure resisteva al dolore, intrepida.

Stai sanguinando!” le disse, allarmato, ma lei, sempre sorridendo, negò con il capo, come a dire che non importava in quel momento.

Ora toccami...” lo esortò, desiderosa di stipulare un contatto.

Stefano, come guidato da una innata fiducia, fece quanto chiesto, posando il suo palmo su quello di lei, sporco a sua volta di sangue. In quel contatto, sebbene così breve e atemporale, una scintilla lo attraversò da capo a piedi, fulminandolo con una forza tale da scuoterlo fin dalle fondamenta. Gli mancò quasi l’aria, boccheggiò, ma non si separò da lei. E comprese; comprese ogni cosa.

Spezza… il circolo, siamo intesi?”

Spezzerò… il circolo!” ripeté lui, mentre la giovane donna allontanava brevemente la sua mano per rimanere a osservarlo, come per fossilizzare ogni più piccolo particolare del suo viso. Ancora sorrise, ma una solitaria lacrima gli scese sulla guancia.

Stefano avrebbe voluto chiederle perché piangeva, come mai non riuscisse a distinguere interamente i contorni del volto, né tanto meno i suoi occhi, ma ancora prima di poterlo fare si sentì avvolgere dalle sue braccia. Si ritrovò quindi appoggiato con il mento sulla sua spalla, la mano destra che gli sosteneva la nuca. Inspirò profondamente nel riconoscere quell’odore, quella fragranza, unica rimembranza infantile che aveva di lei, sebbene così intensa. Unica. E inconfondibile. Perché vi era stato un tempo in cui vi era impregnato completamente in quel profumo.

E capì, una volta in più, la consapevolezza gli rese gli occhi lucidi. Avrebbe voluto ricambiare la stretta ma per qualche ragione non ci riusciva, ed era così… doloroso, da togliere il fiato!

Perdonami... se non ho potuto vederti crescere, se non ho mai avuto nemmeno occasione di abbracciarti quando ti sentivi tanto spaventato e solo. Non avrei mai voluto, Stevin!”

A Stefano pizzicavano gli occhi, mentre l’odore di erba bagnata, di sottobosco umido e di fuoco che crepitava dentro il camino gli diedero la conferma definitiva. Ingoiò a vuoto, cercando di pronunciare la parola che non aveva mai potuto utilizzare.

Ma-Mamma...”

Far trapelare fuori dalle sue labbra quelle lettere era risultato persino più difficile, un groppo si era creato in gola e non voleva andare via, mozzandogli il respiro.

La giovane donna ebbe un singhiozzo, annuì a fatica, mentre le lacrime, ormai libere di scorrere, le solcavano la pelle diafana.

Ma sei sempre nei nostri cuori, miei e di tuo padre… sei con noi, sei parte di noi, lo sarai sempre!”

Ancora Stefano avrebbe voluto chiedere molte altre cose, dove si trovassero, perché era stato separato da loro… ma le parole non gli uscivano, colpa del magone crescente.

Riusciva solo a rimanere lì, immobile, respirare il suo profumo, così frizzante e selvatico, farsi cullare dalla sua voce, così soave, calda, e gentile. Pensò che anche in mancanza di una immagine chiara di lei, non l’avrebbe mai, MAI, potuta dimenticare.

Ad un certo punto un bacio gli venne posato tra i capelli a forma di cespuglietto, una nuova emozione lo percorse, la vista gli si fece ancora più appannata. Desiderò stare lì con lei, ma sapeva che la separazione era ormai imminente. Inghiottì a vuoto, tentando di farsi forza.

Vai con gli altri adesso, Stevin, ricordati le mie parole e… - la sua voce si spense per una serie di secondi, prima di tornare, più tremolante di prima – Ti vogliamo bene, sei il nostro piccolo miracolo!”

Lo strinse più forte, poi… il contatto, così come si era manifestato, si spense definitivamente…

 

Stefano si riscosse a sufficienza per rendersi conto che Aphrodite stava praticando un bendaggio di emergenza sulla sua spalla utilizzando il proprio mantello. La vista era ancora offuscata, ma due occhietti vispi e chiari si trovavano davanti a lui, le mani congiunte nella sua direzione.

“Si sta risvegliando!” esordì Kiky, trepidante, rivolgendosi al Cavaliere.

“Va bene così, Stefano, rimani cosciente, mi raccomando… è di vitale importanza!”

Il sangue si era momentaneamente arrestato anche se non riusciva ancora a respirare bene, si sentiva spossato; muoversi poi era impossibile, ma… ora sapeva cosa avrebbe dovuto fare!

“Ki-ky… è così che ti chiami, giusto?” chiese al giovane, sforzandosi di rimanere vigile, raddrizzandosi perfino, per quanto fosse difficile. Aphrodite lo sostenne come meglio riusciva.

“S-sì, ma non ti sforzare ora, sei...”

“Da quanto ho capito… anf… puoi usare la telecinesi...”

“Anche questo è corretto, ma cosa mai..?”

Stefano parve rilassarsi, buttò fuori aria, alzando lo sguardo in direzione di Francesca e dell’altra divinità che però giungevano ai suoi occhi come ombre inconsistenti e sin troppo lontane.

“Mi serve… un favore, anf!”

Nel frattempo Francesca e Clio, a causa della manipolazione del sangue che le legava, erano serrate in un corpo a corpo a brevissima distanza che, nello specifico, agevolava la Musa. Nessuna delle due poteva allontanarsi più di tanto, nessuna delle due era libera di utilizzare perfettamente il braccio del dito cui erano vicendevolmente collegate, ciò non consentiva loro di produrre raggi ad ampia gittata, solo di usare le proprie estremità corporee.

E questo non giovava certamente a Francesca di costituzione piuttosto esile.

Di più, la Musa era folle d’ira per qualcosa che la ragazza capiva a stento. Non le concedeva la benché minima requie, semplicemente la incalzava senza sosta. Braccia, pugno, gomito, ginocchiate, calci… era veloce e rapida a sferrare gli attacchi, i suoi movimenti si distinguevano appena, o forse chissà era lei assolutamente non in grado di scorgerli a causa del veleno di Aphrodite che era entrato in circolo. Era costantemente costretta a posizioni difensive anziché offensive, la Folgore non la aiutava, se non per obbligare Clio ad indietreggiare quando si apprestava a sferrare un attacco diretto al suo viso. Del resto, lo sapevano bene entrambe, Clio non poteva nemmeno sfiorarlo con le dita il potere di Zeus, l’avrebbe folgorata seduta stante.

“Oltraggioso...” sibilò ad un certo punto, schivando elegantemente la fulminazione che Francesca le aveva lanciato convinta di poterla ferire.

La giovane dea ebbe appena il tempo per raccapezzarsi del pugno supersonico in arrivo, che piegò la schiena in avanti per evitare quell’assalto, trovandosi però in posizione di svantaggio. La Musa colse la palla al balzo, da sopra, si apprestò ad unire le lunghe dita della mano in modo da colpire perpendicolarmente la nuca della sua avversaria, ma Francesca, ancora una volta, fu abile a evitare l’assalto, sfruttando in quell’occasione il legame del Filo Rosso per strattonarla e farle perdere l’equilibrio. Era l’occasione buona per sottrarle il tomo che teneva sotto braccio, ma ancora una volta, con la punta del piede destro, Clio le impresse un calcio nel fianco esposto, allontanandola sufficientemente per rendere vana ogni sua azione.

“Oltraggioso ancora di più il tuo utilizzare una specialità che non ti è propria!” le espresse tutto il suo disprezzo Clio, gli occhi fiammeggianti.

La giovane dea era finita ginocchioni per terra, ansante. Cercò di rimettersi subito dritta ma le forze non erano sufficienti, respirava male, il fianco e le ferite dolevano alquanto. Nonostante questo sollevò lo sguardo ferino, a sua volta lampeggiante e affatto domato.

“Perché ce l’hai così tanto con mia madre?! E’ comunque tua sorella!” la accusò, desiderosa di sapere.

“Perché… non lo sai? Tua madre non te lo ha mai rivelato? - sibilò ancora la Musa, rancorosa – Urania è sempre stata la sua favorita!”

Francesca capì che si stesse riferendo a nonno Zeus, per questo, facendosi forza, per orgoglio, si rimise in piedi, un occhio chiuso, l’altro, ceruleo, puntato contro di lei, accusatorio.

“E questo… ti rode?”

“Non è solo questo ed io non sono più solo Clio… - ammise l’altra, guardando per un attimo altrove, verso il pavimento – Ma quel vecchio malefico ha sempre avuto i suoi figli preferiti da idolatrare, gli altri potevano tranquillamente crepare sotto i suoi occhi senza scalfirlo minimamente. Lo dovresti ben sapere tu, del resto, il padre della tua lontana cugina, Marta, non è stato forse… buttato giù dall’Olimpo perché non gradito a causa del suo aspetto?!”

“...”

Non rispose, ma rimase in attesa del proseguo, perché sapeva che ci sarebbe stato. Spingerla a parlare di un argomento che sembrava premerle alquanto, sebbene Clio avesse rigettato le sue origini, consentiva a lei di recuperare quel poco di forze che le avrebbero permesso di perseguire la battaglia. Osservò cautamente il tomo antico, studiandosi un nuovo modo per sottrarglielo. Avrebbe dovuto farle abbassare la guardia in qualche modo, cosa non facile perché la dea decaduta era attentissima a conservarlo pressò di sé, ma da quel dannato libro dipendevano le sorti di tutti i suoi amici, doveva assolutamente sottrarglielo.

“Fin dalla Notte dei Tempi, a noi Nove Muse è stato donato il benestare per l’uso delle Arti Alchemiche… - continuò Clio, avvicinandosi a lei con passi lenti ma costanti, al punto da farla rizzare istantaneamente nel temere un nuovo assalto – Ognuna di noi, oltre a rudimenti comuni a tutte, aveva una specializzazione diversa; io, come puoi vedere tu stessa, sono brava nel manipolare il sangue.”

Ancora Francesca non rispose, i muscoli tesi, pronta ad attaccare al minimo cenno di pericolo, che tuttavia non arrivò, non subito, almeno.

“Vi era un quadro di sostanziale parità tra noi, nessuna poteva prevalere, ed era giusto così… - sorrise di sbieco lei, guardandola dall’alto in basso, prima che quello stesso sorriso diventasse folle di una ira sempre più malcelata – Ma Zeus ha voluto metterci lo zampino!”

Fu un movimento molto veloce ma fortunatamente ben visto dagli occhi di Francesca, il grande tomo venne aperto con un gesto secco, improvviso, dalle sue pagine fuoriuscirono altre tre rose. La ragazza si ritrovò istintivamente a rotolare di lato per evitare quell’attacco, i gambi si conficcarono quindi malamente sul marmo, aprendone tre piccole fenditure.

Dunque Clio, all’occorrenza, poteva anche conservare le tecniche che vedeva, come se fossero parole vergate a eterna memoria sul libro da poter utilizzare quando la situazione lo richiedeva. Era davvero una nemica terribile, sebbene non dotata di poteri fisici di una certa levatura. Inavvertitamente però sorrise, decidendo di provocarla ulteriormente.

“Povera, povera Clio, la figlia non voluta…”

“TACI, MALEDETT...”

Nei suoi occhi passarono le intenzioni di un nuovo, più violento, attacco; intenzioni immediatamente colte da Francesca, la quale, furba, estrasse ancora una volta la folgore che usò per falciare l’aria e creare così una barriera di elettricità.

Clio squittì tutto il suo disappunto e la sorpresa, balzando lestamente indietro. La sua espressione tradì, per una manciata di secondi, la paura più nera.

“Poverina… non puoi neanche avvicinarti a questo potere, ne sei davvero terrorizzata, eh?!” la irrise ancora, alzandosi nuovamente in piedi mentre i fotoni di elettricità andavano scomparendo.

“STAI ZITTA! - le urlò tutto il suo odio l’altra, quasi sputando per terra – Urania possedeva già l’arte alchemica più pura, quella della trasformazione della materia che ha poi trasmesso a te. Era rispettata, e temuta, da tutte noi, che bisogno c’era di donarle anche la Folgore?!”

“Ah, questo… non chiederlo a me!” affermò Francesca, facendosi seria.

“Il potere che tieni tra le mani, che vi è stato ingiustamente donato da quell’idiota, ha spezzato totalmente l’equilibrio tra noi. Da quello… sono derivati tutti i nostri mali, soprattutto miei… e di Calliope!” si lasciò sfuggire Clio, fremendo vistosamente.

Le sopracciglia di Francesca tremarono un poco al suono di quel nuovo nome che conosceva solo perché sua madre ne aveva parlato. Effettivamente non aveva mai potuto conoscere personalmente nessuna di loro, erano cadute tutte molto prima, forse… forse proprio per quel disequilibrio che stava andando dicendo sua zia. Esitò un attimo, una scintilla scoppiettò tra le mani, un breve, intenso, attimo di tentennamento, che tuttavia non si poteva permettere. Aveva sempre creduto a sua madre e al nonno, sempre, anche quando, soprattutto il secondo, le aveva affidato compiti ingrati e sporchi. Rammentò ancora una volta di Prometeo, del dubbio che aveva sfiorato per la prima volta la sua mente grazie a lui e dal quale era dipesa la sua decisione di rinascere umana e continuare a reincarnarsi fino ad arrivare a quella vita. Un moto di ribellione, senza tuttavia rivoltare le schiere e gli ordini celesti. No, si era sempre fidata di loro, dei loro piani proiettati verso qualcosa di più grande. Una spiegazione doveva pur esserci e non era certo quello il tempo per le incertezze. Le bandì, quindi. Finalmente la nuova folgore -probabilmente l’ultima che sarebbe riuscita ad evocare a causa delle forze che stavano disperdendosi- si manifestò nei suoi palmi più fulgenti che mai, la strinse tra le dita.

“Mi dispiace, Clio… - ed era sincera mentre lo professava – Ma il mio incarico non mi permette di avere esitazione alcuna: sono Cavaliere di Atena ora, come mia madre mi ha chiesto di diventare, combatterò per i miei ideali!”

“Oh, sì… anche tua madre è sempre stata così – sogghignò lei, sbuffando, osservandosi brevemente il mignolo legato dal Filo Rosso Sangue – Ordini prima di tutto, eh, siete il braccio destro del vostro padre/padrone Zeus!”

A quell’accusa un moto di stizza invase Francesca, che tuttavia riuscì a trattenere. Osservò ancora una volta la Folgore, sempre più scoppiettante nel suo palmo. La sua benedizione, ma anche… la maledizione più nera!

“Potrei finirla qua di parlarti, ma una cosa ancora desidero aggiungere...”

Clio rimase inaspettatamente in attesa, come se si aspettasse qualcosa. Non attaccò. Non subito.

“Essere qualcuno… porta sempre degli obblighi e doveri. Essere la favorita, per quanto per te potrebbe suonare strano, non è per forza solo un bene...”

“Dovrebbe importarmi?!” inarcò un sopracciglio Clio, con supponenza. La rabbia sempre ben visibile in lei, in quel tono che sembrava irridere tutto e tutti.

“ASCOLTA, PER UNA VOLTA, LE PAROLE DI TUA NIPOTE, MEGERA! - si indignò Francesca, di fronte a quell’ennesima manifestazione di disprezzo, prima di calmarsi relativamente – Eravamo le favorite, d’accordo, questo ha implicato, per noi, gli incarichi più meschini, ciò che gli umani chiamano ‘sporcarsi le mani’, l’essere l’esecutore dietro la mente di qualcun altro: Zeus!”

“...”

“Voi vi occupavate delle Arti, della vostra Alchimia, noi, oltre a questo, eravamo costrette a torturare, ferire e mutilare tutti coloro che si opponevano al dominio di Zeus sulla Terra! - tentò di spiegarsi, fremendo notevolmente nel rammentare quei momenti terribili per lei – Le mie mani sono sporche del più svariato sangue… so cosa significhi avvertire un coltello che, per tua mano, sprofonda nelle carni di un povero diavolo che è legato e non può opporsi, le urla che ne conseguono, il sangue che cola fino alla tua pelle, i movimenti di un corpo preda della sofferenza. So colpire i punti non vitali, sai, allo scopo di causare il maggior dolore possibile e sono diventata brava in questo, mano a mano che gli incarichi di Nonno Zeus si facevano sempre più cruenti e brutali.”

“...”

Tremava mentre professava tutto quello, ciò che non era mai stata in grado di esprimere alle sue care amiche, che era solo riuscita ad accennare a Death Mask prima di rischiare di cadere nel vuoto, prima di essere salvata da lui, da un uomo, nonostante tutto quello che aveva perpetrato nell’Era Mitologica. Le veniva quasi da piangere a parlarne, ma non davanti a lei, no! Si morse il labbro inferiore, avvertendo nuovamente il sapore del sangue che stava perdendo a causa delle rose di Aphrodite. In fondo, un tributo più che giusto visto tutti i suoi peccati.

“Dimmi, tu lo sai Clio? Sai cosa si prova a vivere con questo peso sulle spalle? Ad essere comunque succube del proprio passato e non potersi espiare in alcun modo? E’ peggio… è peggio di uccidere, questo! E’ peggio… di morire… ED IO HO VOLUTO UCCIDERMI PER BUONA PARTE DELLA MIA ESISTENZA!!!”

“No, non lo capisco… - ammise Clio, una scintilla di tristezza le solcò brevemente le iridi, prima di trasmutarsi nuovamente in rabbia – Vedo però che siete rimaste fedeli a lui, che vi siete ribellate solo in parte, e che continuate a seguire le sue direttive. Dimmi, ordunque, quanto vale realmente il vostro pentimento?!” la accusò, puntandole contro l’indice della mano legata.

“Non mi aspettavo… la tua comprensione! - le soffiò Francesca, nuovamente pronta ad ingaggiare in battaglia – Era giusto per farti arguire che non è tutto oro ciò che luccica! Voi ci avete invidiato per essere le elette di Zeus… ebbene, Clio, noi invece abbiamo sempre invidiato voi!” confessò ancora, piegando le gambe per avventarcisi contro.

Già, Clio… non immagini quanto invidi quelle come te! Vorrei anche io odiarlo Zeus, dopo tutto ciò che ci ha obbligato a fare, sarebbe tutto più semplice. E invece… invece ci sono legata tutt’ora, è mio nonno, gli voglio bene, malgrado ciò che mi ha fatto diventare: una Esecutrice! E vorrei, quanto vorrei, non essergli ancora così… succube… non riesco ad accettarlo!

Ma questo, lei, non avrebbe mai potuto comprenderlo, per cui… perché esitare ulteriormente?! -si disse la giovane dea, bandendo ogni titubanza- tuttavia qualcosa, nello scattare contro di lei, andò storto. Le intenzioni c’erano, l’ordine era già ampiamente partito dal suo cervello, ma il suo corpo non si muoveva minimamente, le gambe parevano blocchi di ghiaccio e così le braccia, alzate ad imbracciare la Folgore senza però poterne usufruire. Francesca si guardò confusa intorno, mentre sul volto di Clio si manifestava un risolino sempre più divertente e vittorioso. Cosa stava succedendo?!

“Di’, pensavi forse che solo tu avessi in mente il piano di perdere tempo, chiacchierando, per canalizzare le forze e potermi così infliggere un danno mortale?! Lo avevo anche io!”

Di nuovo la ragazza non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni che vide il filo rosso al quale era legato il suo mignolo dividersi in numerosi filamenti che aggrovigliarono istantaneamente tutto il suo corpo, procurandole nuovi tagli che bruciavano da impazzire, da far lacrimare, e rendere ancora più difficoltosa la respirazione.

“Che… che cosa mi hai fatto, C-Clio, anf?”

“Sono specializzata nella manipolazione del sangue, ricordi? Tu mi hai bloccato qui, sfruttando la nostra consanguineità… io ti ho solo ritorto tale tecnica contro, sfruttandola a mio vantaggio – sorrise di sbieco lei, tronfia, prima di aggiungere - Ora sei tu… il mio dominio!”

“E’… è impossibile! - Francesca cadde indietro a terra, contorcendosi per il dolore. Si sentiva impigliata in una rete infuocata da pesca, la Folgore di Zeus, nella caduta, era finita diversi metri più in là, sparendo poco dopo con uno scoppiettio – Non hai usato alcun, anf… Cerchio Alchemico per riuscirci!”

“Non ne ho bisogno! - dichiarò l’altra, posizionandosi la mano legata sul petto come ad indicarsi – Io SONO il Cerchio!”

La formula è dentro di lei, certo… come ho potuto essere gabbata così?! -si biasimò Francesca, rimproverandosi l’ingenuità, cercando al contempo di liberarsi da quella stretta sempre più opprimente- solo i Manipolatori più capaci sono in grado di controllare il sangue senza bisogno di tracciare il simbolo, ed io… sono stata una sprovveduta a non rendermene conto in tempo!

La situazione volgeva a suo completo sfavore. Così immobilizzata al suolo, con il sangue che defluiva, il respiro che le mancava, si raccomandò forzatamente la calma, così come il suo maestro le aveva insegnato. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, però… soprattutto in circostanze così critiche.

Non posso permettermi di morire… non posso! Non ora! Pensa, Fra, pensa!!!

“Ora sei il mio dominio, potrei tutto su di te...”

Un brivido le corse lungo la schiena, mentre, sgranando gli occhi, la vide rimuginare su qualcosa, la mano legata sotto il mento, l’altro braccio, lungo il fianco, che sorreggeva il pesante tono. Sarebbe bastato toglierglielo, solo quello e… e… ma le forze andavano scemando, la vista le si offuscava.

“Sei in mio potere, il tuo sangue cede al mio controllo! - sottolineò ancora Clio, in tono di spregio – Dimmi, quale metodo preferisci per accomiatarti da questa vita terrena? Vuoi che faccia implodere tutte le tue vene in un unico, brevissimo, schiocco di dita, oppure...”

“Ehi, signorina Megera!”

Un trillo acuto, che Francesca non riconobbe subito, si elevò nell’aria, interrompendo il bel discorsetto di Clio. Subito dopo, dalla posizione cui era costretta, riuscì ad individuare un’ombra arrivare in scivolata e colpire la caviglia sinistra della Musa, la quale, non aspettandoselo, fu costretta a piegarsi in avanti per rimanere in piedi.

“KIKY!” lo chiamò la giovane dea, allarmata, identificando finalmente la sua chioma rossiccia con un fremito.

“Tu… TU! Eri un microbo fino ad un’ora fa, come osi?!”

Gli occhi feroci di Clio lampeggiarono più sinistramente di prima, abbassò il braccio legato dal Filo Rosso, apprestandosi a infliggere la stessa sorte a quel ragazzino troppo cresciuto che si era permesso di interferire in uno scontro tra divinità, ma prima ancora che lo potesse fare, distinse il dito indice del ragazzino puntare contro di lei…

...No, non contro di lei, bensì…

Venne pervasa da un brivido lungo, spietato.

“Chiedo scusa per i miei modi poco diplomatici, se vuoi, il Grande Mu mi sgriderebbe, ma… - sorrise Kiky, certo più che mai del risvolto nuovamente favorevole delle loro sorti – Quello serve a noi!”

Il pesante tomo le sparì da sottobraccio con un sonoro ‘puf’, senza nemmeno poterlo impedire. Impallidì ulteriormente, tremando come non aveva mai fatto in vita sua.

Kiky, dalla sua posizione completamente in svantaggio, perché era esattamente sotto la divinità, sdraiato sul pavimento dopo la scivolata, si torse quel quanto che bastava per volgersi in direzione di Aphrodite e del nuovo ragazzo che, ancora seduto per terra a poca distanza dal Cavaliere dei Pesci, devolveva tutte le sue forze per non svenire.

“Stefanoooooo, è TUOOOOOOOOOOO!!!” gli urlò Kiky con tutto il fiato di cui disponesse. Era giunto il momento di finire quella storia una volta per tutte.

Il richiamo lo riscosse, forzandolo ad aprire bene gli occhi per fare quanto gli era stato detto. Il pesante tomo riapparve proprio davanti a lui con un altro ‘puf’. Lo aprì subito di getto con il braccio ferito, le pagine un poco ingiallite dal tempo, gremite di scritture complicate, rivelarono immediatamente un Cerchio Alchemico scritto e disegnato a caratteri cuneiformi e incomprensibili.

Una cosa, però, era ben chiara nella sua mente, come se fosse nato solo per quello, come se avesse un manuale di istruzioni compilato in testa.

Spezza il circolo, piccolo mio…

“Spezzerò… il circolo!” ripeté tra sé e sé, con il filo di voce che gli rimaneva. Poi, senza perdere altro tempo, con la mano destra ancora insanguinata del suo stesso sangue, tracciò abilmente linee e segmenti sopra il cerchio, il quale, spezzandosi di netto, prese ad illuminarsi, confluendo poi, con un turbinio, a tutto il volume.

La luce si espanse all’ambiente circostante, costringendo tutti i presenti a ripararsi gli occhi. Era pieno giorno, ma lo sfavillio risultava talmente potente, che pareva quasi l’origine di una supernova. Nessuna esplosione tuttavia in quel bianco che guizzava in ogni direzione, salì semplicemente fin quasi al cielo, prima di convergere su sé stesso e sparire in un lampo azzurrino.

Stefano riaprì cautamente gli occhi. Per i primi secondi non distinse alcunché, come quando si osserva per troppo tempo il sole direttamente, ma poi una piccolissima particella di luce gli accarezzò brevemente il dorso della mano per poi elevarsi verso l’alto, verso il cielo nuovamente cobalto, privo del vortice rosso o di qualsiasi altra interferenza su quello splendore. La particella, però, non era la sola, altre, di diverse dimensioni, stavano salendo, come lucciole, alla ricerca delle rispettive compagna. Si trattava di uno spettacolo incantevole, la sua bocca si spalancò in una ‘o’ muta di meraviglia che credeva di aver smarrito per sempre dopo l’alluvione della Valbrevenna.

“L’Ergon sottratto sta… sta convergendo verso i rispettivi proprietari!” capì Aphrodite, assolutamente carpito a sua volta da quello spettacolo di luci che non aveva mai visto in vita sua.

“E’… è finita! - ne dedusse Stefano, sentendosi, sollevato, tornando a concentrarsi sul libro, ancora luminescente – Chi ancora vive… riacquisterà le forze!” sorrise, sentendosi finalmente utile a qualcosa.

Anche Kiky rimase sbalordito davanti a tutto quello, prima di sentirsi strano e rendersi conto che la sua mano stava… rimpicciolendo! Si voltò nuovamente, scorse l’espressione furiosa di Clio che lo gelò subitaneamente. Gli prese un colpo: davvero il peggior momento per tornare bambino!

“Iiiiiiii!!!” produsse un urletto, sgattaiolando via a quattro zampe mentre percepiva su di sé l’abbigliamento sempre più largo.

L’istinto di autoconservazione lo spingeva ad allontanarsi il più in fretta possibile da quella megera, ma Kiky era apprendista Cavaliere, aveva fiancheggiato orgogliosamente i Cavalieri di Bronzo durante tutto il loro percorso di crescita e… anche lui era cresciuto! Ragion per cui, si diresse immediatamente verso Francesca, ancora imprigionata dai filamenti rossi, con l’intento di liberarla da quel giogo.

“No, Kiky, cosa fai?! Scappa!” lo avvertì, mentre le manine del piccolo tiravano disperatamente quei fili che bruciavano al solo contatto.

“Ti libero! Non ti lascio qui!”

Anche la sua voce era tornata infantile, un po’ gli dispiacque.

“Allontanati! - insistette lei, preoccupata per le sue sorti – O la vendetta di Clio si abbatterà… CLIO!!!”

L’ultimo richiamo confuse il piccolo che, non capendo l’origine di quel turbamento, si girò nella direzione opposta, sussultando a sua volta.

La Musa decaduta infatti si era lasciata cadere a terra, sconfortata, sorreggendosi con la mano libera al pavimento e osservandosi il palmo dell’altra, l’indice ancora legato a quello della nipote.

“Capisco, forse le cose dovevano andare esattamente così, Calliope...”

Il tono dismesso con cui pronunciava quelle parole e il nome della sorella più prossima, la sua stessa rassegnazione, impressionarono Francesca, ormai avvezzata a considerarla una nemica fino a due secondi prima. Si riscoprì di provare compassione per lei, senza saperne il motivo, mentre, con un sussulto, si rendeva conto che le mani della dea decaduta cominciavano a raggrinzirsi. Anche Kiky rimase turbato nel vedere un nemico prima più che terribile arrendersi così, nascondendo il volto in modo che fosse adombrato e non interamente visibile ai loro occhi. Cosa stava succedendo?!

Clio ha preso ad invecchiare appena Stefano ha spezzato il sigillo impresso su quel libro. Perché? -rimuginò Francesca, cercando di mantenere la mente attiva nonostante le ombre si allungassero sopra i suoi occhi- Che sia… che la sua stessa vita sia legata a quel tomo?! Che… che sia veramente già morta e riportata alla vita come fantoccio?! E Calliope, la Musa della poesia epica… cosa c’entra?! Perché me l’ha nominata due volte? Che diavolo è successo… dopo la Diaspora degli Olimpi?!

Era affaccendata a congetturare teorie e ipotesi circa quel tempo così lontano, tanto da non rendersi pienamente conto dell’arrivo di una terza forza, del suo cosmo colossale, che pareva spazzare via tutto, come una tormenta. Fu Aphrodite ad accorgersene per loro.

“FRANCESCA! KIKY! GIU’!!!” urlò Pisces, spaventato a morte da qualcosa.

La giovane dea, complice i sensi che venivano sempre meno, non ebbe il tempo per reagire, ma Kiky, lesto, saltandole addosso, la buttò a terra, lui sopra di lei, come a volerla proteggere.

Qualcosa di oscuro passò velocemente sopra le iridi della ragazza, quasi il simbolo di una falce, prima di sparire apparentemente nel nulla. Si ritrovò più volte a sbattere le palpebre, non capacitandosi dell’accaduto.

“I miei complimenti, Pisces… - una voce sardonica irruppe con una calma gelida – Sebbene più scarso della tua precedente vita, hai percepito comunque il mio arrivo...”

“Uhmpf, sapete un po’ troppo circa il nostro passato… siete irritanti!”

Quello scambio, aspro, di battute, le diede le energie sufficienti per risollevarsi, trattenere Kiky contro di sé, che tremava dalla paura al solo percepire il cosmo immane del nuovo nemico, e incrociare così lo sguardo del nuovo arrivato. Finalmente lo vide, laddove Marta e Sonia, le prime ad aver avuto a che fare con lui, erano riuscite solo a distinguerne la voce che avevano poi descritto come sardonica e idiosincratica.

“Ermete, suppongo...” disse, sprezzante, ben consapevole di avere poche forze in corpo, giusto sufficienti per fare dello spirito e fingersi tagliente, almeno nel tono adoperato.

“La figlia di Urania, la Musa Celeste...” fu la serafica risposta dell’altro mentre riponeva l’alabarda in una sorta di fodero magico.

Francesca non aveva idea di cosa ci fosse venuto a fare lì, semplicemente vibrava, non riuscendo neanche a capire se per la voglia di combattere anche contro di lui o per la paura. Lo sapeva impegnato in battaglia contro Saga e Shaka, i loro cosmi si percepivano ancora, anche se distanti, quindi non li aveva sconfitti, anche se non sembrava neanche ferito. Quindi… come mai si era recato in quel luogo in fretta e furia?!

“Sei venuto a fare il Principe Azzurro di Clio, oppure Saga e Shaka, insieme, ti hanno mazzolato talmente tanto da farti scappare con la coda tra le gambe?!” lo irrise, fiera.

“Io non farei così tanto la strafottente, dea, quando, da te alla morte, intercorrono, se va bene, una decina di centimetri...” gli fece notale lui, fulminandola con lo sguardo. I suoi capelli rossicci tremarono appena.

Francesca non capì subito a cosa si riferisse, non prima di percepire concretamente dell’aria, come uno spiffero, sulla sua sinistra. Voltandosi, si agghiacciò. Accanto a lei infatti, a pochi centimetri, era appena apparsa una fessura a forma di mezzaluna, piccola, se paragonata all’altra che aveva bloccato loro il passaggio per giungere lì, ma più insidiosa… se l’avesse colpita! E ci era mancato davvero poco!

Allo stesso tempo si rese conto. In un fremito, che il Filo Rosso era stato spezzato da entrambe le parti, liberandola dal Legame Cremisi.

“Ringrazia l’intervento provvidenziale di Pisces… non saresti più qui, altrimenti! - affermò Ermete, senza giri di parole, prima di voltarsi proprio nella sua direzione – E tu, Cavaliere, complimenti… sei riuscito a manipolare il tuo sangue in maniera sufficiente per deviare il mio colpo e salvare così i tuoi protetti...”

Nel dire quello, il braccio che aveva riposto l’alabarda, tornò avanti a sé, permettendo a Francesca di distinguere una rosa bianca tinta per metà di rosso cremisi e l’altra di bianco che stava tuttavia vertendo sul rosato sempre più scuro. Si raggelò ulteriormente.

“Aphrodite, cosa..?!”

Si morse il labbro inferiore nel vederlo in piedi, le gambe divaricate, mentre goccioline di sangue colavano lungo tutto il suo braccio per poi sgocciolare dalle dita e formare una pozza rubino sul pavimento: Aphrodite non aveva esitato a sacrificare il braccio per convogliare parte della sua linfa vitale su quella rosa e lanciargliela al nemico allo scopo di deviare la traiettoria, ed ora stava lì, il respiro dispnoico, visibilmente sudato e sfatto, perché era lampante che quel gesto gli era costato assai.

“Hai intuito che non potevi annullare il mio attacco, nessuno può farlo, quindi lo hai deviato con la tua rosa – arrivò alla stessa conclusione Ermete, prendendo con l’altra mano il fiore per poi schiacciarlo tra le sue dita – Bravo e perspicace, ma purtroppo per te il tuo sangue venefico non fa né caldo né freddo al mio corpo che io stesso ho reso Supremo!”

Di sicuro la modestia non era propria di nessuno dei Cinque Pilastri -analizzò la faccenda Francesca, sentendosi in colpa per aver permesso al compagno di battaglia di rimanere ferito per salvare lei- ma la domanda perdurava: cosa era venuto a fare lì, se i cosmi di Saga e Shaka non erano affatto debellati?!

Ermete non diede alcuna spiegazione a tal proposito, semplicemente diresse il suo sguardo gelido in quello di Stefano, il quale, sentendosi perforato solo da quello, sussultò visibilmente. Poi la mano del nemico si levò contro di lui.

Aphrodite ebbe un fremito non appena comprese la direzione cui aveva puntato: “STEFANO, ATTENT..!”

In quella situazione, nessuno ebbe la prontezza di riflesso di fare alcunché, il libro che il ragazzo teneva presso di sé, il tomo di Clio, gli sparì da sotto le dita per apparire subito nel palmo del Pilastro, il quale, fortunatamente disinteressandosi delle sue sorti, con uno sbuffo, lo riaprì, cominciando a recitare formule in una lingua mistica, mai conosciuta, ultimando il processo nell’imprimere un nuovo Cerchio Alchemico sulle pagine.

Cliò tossì in quello stesso istante, trattenendosi la pancia con le mani. Sembrava quasi essere tornata alla vita, di aspetto era nuovamente giovane e forte, mentre, incredula, si osservava intorno, prima di rendersi conto di chi fosse al suo fianco.

“Sommo… Ermete!” lo chiamò, assuefatta, gli occhi brillanti come non mai.

“Andiamocene, Clio, per il momento va bene così!” dichiarò solo l’altro, porgendole nuovamente il libro tra le mani, prima di aiutarla ad alzarsi e cingerle il fianco con il braccio.

Lei quasi si arpionò a lui come se fosse la salvezza personificata, socchiuse gli occhi, respirando il suo odore: “Ho fallito la mia missione… mi sono fatta rubare L’Ergon da sotto il naso!”

“Non tutto… la Forza Vitale degli individui periti nel processo è ancora nel libro, per il momento ciò basta per la nostra Ipsias!” decretò ancora, sempre con voce possente.

“M-ma io...”

“Sai anche tu che il Quinto Pilastro, Colui che più prossimo è a Marduk, come dice il Sommo Fei Oz Reed, si sta adoperando in altra maniera per sottrarre l’Ergon di questo pianeta e devolverlo ad Ipsias, non hai di che temere, Clio!”

“S-sommo...” lo chiamò ancora lei, lasciandosi andare tra le sue braccia, cingendogli il busto.

Ermete diresse ancora una volta lo sguardo verso gli astanti, studiandoli uno ad uno, prima di far sparire le distorsioni spaziali a forma di falce con uno schiocco di dita.

“Per il momento vivrete, terrestri, ma non finisce qui. La guerra tra noi e voi… non è che alle fasi iniziali! Ci rivedremo presto!”

E, attraversando il portale che conduceva al Mondo Inverso, lo Specchio delle cose di là, sparì dalla loro vista, annullando anche la distorsione spaziale che si era venuta a creare sulla Terra.

Aphrodite prese tempo per soppesare quanto aveva potuto appurare da quell’esperienza. Con il cuore ancora accelerato, il sangue che defluiva fuori da lui, oltraggiosamente sporcandolo, tentò di concentrarsi su quanto aveva appena visto.

Costui deve essere il più forte tra i Cinque Pilastri, forse sotto solo al Mago… ne ha però nominato un quinto, tra loro, Colui che è più prossimo a Marduk… cosa intendeva?! Devo informare il prima possibile il Nobile Shion circa questi avvenimenti, devo dirgli che i suoi dubbi sono veritieri. Ho inoltre compreso il potere che possiede Ermete: ha il pieno dominio sullo spazio fisico, può annullarlo, perfino, come ha fatto con il libro che era sotto le dita di Stevin. No, non è stata magia, l’ho ben visto, è come se la distanza tra lui e il ragazzo fosse stata di colpo fagocitata. Poteva ucciderlo, addirittura, se avesse voluto, e tuttavia non l’ha fatto…

“FRANCESCA!” il grido disperato di Kiky, ormai tornato bambino, lo strappò dai suoi pensieri.

La giovane dea si era lasciata andare per terra, il viso rivolto verso il cielo che luccicava ancora di quelle lucciole di energia. Era uno spettacolo straordinario, mai visti di simili in tutti i suoi secoli e secoli di vita eterna. O forse era il sollievo a rendere altresì speciale quel momento, facendola sentire viva e… libera”

“Stai sanguinando copiosamente dalle ferite!!!” esclamò ancora il bambino, in panico, cercando l’aiuto esterno.

“Non ha… importanza!” biascicò lei, gli occhi cerulei puntati verso il cielo mai stato così cobalto.

“Come sarebbe a dire che..?”

Non seppe se aveva continuato a parlare, non lo udiva più. Ormai le sue percezioni si riducevano ad avvertire a stento le sue manine, e forse quelle di Aphrodite, non sapeva dirlo con certezza, che la frizionavano nel tentativo di arrestare una emorragia che non sembrava voler retrocedere di un passo, ma lei era solo lì, in mezzo a quel cielo di straordinaria bellezza che rifletteva tutte quelle lucciole danzanti.

“Ditemi… non è bellissimo? La cosa… più sorprendente… che abbiate mai visto?” chiese a sé stessa e agli altri, alzando brevemente il braccio verso quello spettacolo di luci e perdere definitivamente coscienza.

 

 

* * *

 

 

Michela ci mise non poco a riprendere gran parte delle sue facoltà e così la coscienza.

La testa le girava vorticosamente, ma i suoi sensi da guerriera l’avevano messa in allerta, come ad informarla di un pericolo imminente che tuttavia non riusciva a codificare pienamente. Riuscì infine a riaprire gli occhi, si accorse di essere sdraiata supina, le arcate della cattedrale capeggiavano sopra di lei, ma… si stavano irreversibilmente crepando, come… come era possibile?! Non riusciva a capire, non era in grado di definire quanto stesse succedendo, almeno fino a quando un ciottolo di modeste dimensioni non si staccò dalle navate per finirle in dritto in testa, sulla fronte.

Fu il dolore a farla scattare, dandole lo slancio per saltare su a sedere, totalmente allarmata. Si guardò confusamente intorno, mantenendo lo sguardo alto. Tutto, intorno a lei, stava andando in rovina, come se la struttura di quel luogo cedesse su sé stessa, rischiando di portarsi dietro anche lei, loro… UN SECONDO, LORO???

Ricordò istantaneamente ogni cosa fino a dove avesse memoria: le torture, Utopo, i prelievi su Camus, il suo tocco delicato per riscuoterla, l’intervento Hyoga, la conseguente battaglia, Tiamat, il risveglio, la freccia… le si accapponò la pelle dal terrore, mentre, quasi urlando i nomi di due delle persone che amava di più al mondo, balzò in piedi e, nonostante un vorticoso capogiro più intenso degli altri, si rialzò in piedi, coprendosi istintivamente la pancia che percepiva martoriata e scoperta.

“Uh!”

Li vide nel bel mezzo di quello sfacelo, maestro e allievo, pochi metri più in là, mentre tutto intorno a loro crollava miseramente e il pavimento veniva scosso da tremori sempre più consistenti. Non ci pensò due volte, si rese conto con la coda dell’occhio che parte del soffitto stava per franargli addosso, perciò accorse con tutte le forze di cui disponesse, disintegrandolo con un unico colpo ben assestato e precipitandosi poi, di capocollo, ai loro piedi, urlando ancora una volta i loro nomi nella speranza di ridestarli.

“CAMUS!!! HYOGA!!!”

Nessuno dei due rispose, si gettò al loro fianco, terrorizzata, cominciando a scrollarli con forza: “No, vi prego… VI PREGO, RISPONDETE!!!”

Entrambi respiravano appena, Hyoga era appoggiato sulla spalla destra Camus, ancora lo abbracciava, cercando di proteggerlo, privo di coscienza, ma una strana luce dorata intorno a lui sembrava avvolgere il suo corpo e quello del maestro, inspiegabile, perché non sembrava dipendere dallo stesso Cavaliere del Cigno, eppure…

“Papà! - provò a chiamarlo ancora più insistentemente Michela, forse sperando che quel nome da solo avesse maggiori capacità di ridestarlo, perché sembrava soffrire parecchio, più del suo fidanzato. Con la mano sempre più tremante, discostò un poco il braccio di Hyoga, osservando sconvolta l’addome del maestro – Cosa… cosa ti hanno fatto ancora?”

Il ventre di Camus era segnato da numerose striature nere, quasi rami spogli che si stagliavano nel cielo plumbeo di novembre, esse arrivavano poco sotto i due capezzoli, anche se sembravano in lento, progressivo, ritiro. Facevano a dir poco impressione, imprimendosi nella cornea, mentre l’ombelico spurgava ancora quello strano fluido dorato, unica luce in mezzo a tutto quel nero che aveva oscurato e fatto sparire perfino il simbolo della dea Tiamat.

Titubante, ben sapendo quanto fosse fragile per lui quella zona, tentò di accarezzarlo dolcemente, sperando che la riuscisse a percepire e così potersi tranquillizzare, ma ottene l’effetto opposto. Lo vide infatti irrigidirsi, quasi digrignare i denti, scuotendo la testa come a tentare di opporsi a qualcosa, a qualcuno, come se non la riconoscesse più, da quanto stava male.

“Camus, sono io! Non mi… non mi senti?”

“Grrrr...”

In quell’istante un ringhio sommesso raggiunse le sue orecchie, si voltò, incrociando lo sguardo furioso di Hyoga, una strana luce che gli lampeggiava negli occhi, come di lupa che difendeva ciò che aveva di più caro. Si spaventò, quasi saltò indietro, mentre l’aura dorata che avvolgeva il Cigno, inspiegabilmente cedeva il passo ad una più cristallina, la sua. Chi li aveva protetti fino a quel momento, se entrambi erano incoscienti? Il cosmo, per qualche ragione, le rammentava qualcosa… ma cosa, nello specifico?

Anche il ragazzo ci mise un po’ a capire cosa stesse succedendo. Aveva percepito qualcuno, si era azionato per quello, nella paura che altri osassero fare male al maestro, ma non vedeva che offuscato, le forze non bastavano per fare altro, socchiuse gli occhi, prima di sentirsi toccare i capelli in un gesto che conosceva bene.

“Hyo… Hyoga, sono io, amore! Mi senti? Mi… vedi? O-oddio, i tuoi occhi, s-sono...”

Riconobbe la sua inconfondibile voce, si sentì rinfrancato, sorrise di riflesso, rassicurato dal fatto che lei si fosse ripresa e che non fossero più da soli. Riaprì gli occhi, anche se, tramite essi, non riusciva più a distinguerla.

“M-Michy… s-sei tu, che gioia! Ti sei… ripresa!”

“E’… è solo grazia a voi, questo, mi avete protetta e… resisti, resistete, ora sarò io a… salvarvi!” biascicò lei, singhiozzando, cercando comunque di farsi forza.

La mano di Hyoga si mosse difficoltosamente verso di lei, la raggiunse, la strinse, mentre, biascicando con la bocca, cercò di comunicare: “Non… non pensare a me! Camus… Camus è stato molto male!”

“Cosa è successo mentre ero svenuta? Non è possibile che… - un lampo di consapevolezza la investì, facendola rabbrividire – QUEL BASTARDO, DOV...”

“Se ne è andato portandosi dietro Utopo, anf, m-ma prima è riuscito a contaminarlo in parte con i suoi miasmi. L-lo… lo stava quasi per prendere, Michy… ed io sono stato un incapace!”

“N-no, no! Tu lo hai protetto… sei stato eroico, Hyoga, è grazie a te se… sigh! - si asciugò le lacrime nell’immaginare cosa avessero patito ancora una volta, poi si chinò verso il maestro per passargli una mano tra i capelli come sapeva gli piacesse tanto – Ora riposate, troverò un modo per farci uscire tutti e tre!”

“E’ molto debole… i battiti del suo cuore sono irregolari, ed io… io, anf, non posso… aiu-tarti! - prese una pausa, tentando di controllare il suo respiro – M-ma questo mondo, g-generato dalla mente di Utopo, sta implodendo su sé stesso. Presto scomparirà, inghiottendo anche noi, d-dobbiamo...”

...Dovevano uscire, in qualche modo, sì, ma… come? Michela era robusta, era vero, ma non sarebbe mai stata in grado, da sola, di condurli verso la salvezza, senza contare che il varco creato da Camus non era più agibile, avrebbero quindi dovuto cercare una via alternativa.

Cosa posso… Sono Cavaliere della speranza, ma non ho più una goccia di potere per… per salvare le persone che amo, non posso sfoderare nuovamente lo Zero Assoluto, sono prosciugato, eppure… eppure il maestro e Michela dipendono da me, Isaac al mio posto non si sarebbe mai arreso, avrebbe trovato una via di fuga, a qualunque costo, devo anch’io…

“ORA BASTA, CHE DIAVOLO!”

L’esclamazione di Michela lo riscosse, la guardò, per quanto gli concedesse la vista sempre più offuscata. Ne vedeva solo il profilo, l’ombra, ma la sua determinazione faceva tremare l’aria, la osservò alzarsi, più decisa che mai.

“BASTA PIANGERE, E’ FINITO QUEL TEMPO! - rimarcò, fremendo notevolmente nello stringere i pugni – Mi avete protetta, con tutte le vostre risorse, ora… ora è il mio turno di salvarvi!”

“M-Michy...”

Hyoga si sentì tremare, scosso da una spiacevole sensazione, e poi la vide, possente, la fiamma blu, di nuovo, sul palmo della propria fidanzata, ma era una vampa blu differente, la avvolgeva del tutto, lambendo il suo corpo con vistose bruciature di ghiaccio da quanto fosse la potenza profusa. Ed ebbe la consapevolezza, Hyoga, il Cavaliere del Cigno, che mentre tutto andava svanendosi, collassando come una supernova, che la sua fidanzata si sarebbe gettata, con tutta sé stessa, contro la parete della cattedrale, aprendo così una breccia in cambio della propria vita, che bruciava intensamente, come mai prima di quel momento.

Si ritrovò ben presto ad urlare, la sua mano si protrasse verso la sua direzione, ma non la raggiunse, non più, infatti la ragazza, sfoderando tutta sé stessa, piegando la schiena per darsi la spinta, non ebbe la benché minima esitazione, dirottandosi in avanti.

“ICY BLAZE!!!” gridò al vento, ribattezzandosi così il suo nuovo colpo, la fiamma azzurra.

“Noooooooooooooooooooooooooooooooo!!!”

L’eco della sua voce si espanse, acutizzandosi, rimbombando tra ciò che rimaneva delle navate della cattedrale, prima di perdersi in un mare infinito.

Un cosmo implose, dando tutto sé stesso, per poi svanire.

Si udì un fragore nell’aria, un tremore ancora più forte… tutto vibrò.

E poi… silenzio…

Hyoga, ancora con la mano protratta davanti a sé si accasciò ancora di più, singhiozzando, ormai incapace di controllarsi. Non riusciva a respirare, non riusciva ad accettare quell’ennesimo sacrificio sulla sua strada già lordata di sangue, quella vita che si spegneva, di un’altra persona cara, amata, al posto suo, mentre lui era ancora una volta lì, a guardare, come con sua madre. Come con Isaac. Come con Camus. Come… come… SEMPRE, DANNAZIONE!

Pianse, Hyoga il Cavaliere del Cigno, pianse per l’ennesima impotenza che aveva dimostrato, nonostante il tempo, gli allenamenti, i lutti… pianse tutta la sua disperazione, la sua frustrazione, la sua incapacità.

Era una sua maledizione non riuscire a proteggere chi amava. Ogni volta che sembrava avvicinarsi alla riuscita, qualcosa gli si parava davanti… sempre, sempre, per sempre… e ancora sempre!

Desiderò, ancora una volta, togliersi la vita, porre fine alla sua esistenza maledetta, darsi il colpo di grazia. Non poteva tollerare tutto quello, non poteva sopportare di essere ancora lì, vivo, e respirare, era… semplicemente insostenibile!

Così soffocante… così assurdo, così… spietato!

“La vita… come potrebbe essere insostenibile, Hyoga del Cigno? Puoi respirare… senti l’aria dentro i tuoi polmoni, avvertine il calore intrinseco. Sei Cavaliere della Speranza, non puoi esecrare così la tua esistenza, perché essa è… unica e preziosa!”

Una voce gentile lo riscosse, esortandolo. Uno sbattere fine di ali, a cui si aggiunse il delicato suono di un sonaglio, gli giunse dolcemente all’orecchio, così come lo spostamento d’aria, che gli smosse i capelli come ad accarezzarne la chioma. Le forze mancavano ancora, ma quel calore di cui parlava la voce cominciava a riscaldarlo soavemente, cullandolo.

Hyoga riuscì infine a riaprire le palpebre gremite di lacrime, si sollevò un poco dal torace del suo giovane maestro, riuscendo ad intravedere la sagoma di un grosso cigno a poca distanza da lui.

Lo riconobbe, rammentandosi del loro precedente incontro e ancora, indietro con la mente, a quando era più piccolo, un semplice bambino. La consapevolezza lo avvolse, frastornandolo: non lo aveva rammentato nitidamente prima di quel momento, ma lui aveva sempre parlato con i cigni dalla morte di sua madre in avanti… ci aveva sempre parlato e, tra i cigni, ve ne era uno davvero speciale.

“T-tu… ora ricordo!”

La sagoma candida del cigno si faceva sempre più alta, le ali vennero inglobate dalla luce, trasformandosi in un’altra forma, più umana. La sua vera forma.

“Sei sempre… stato con me, anf!”

La figura evanescente camminava verso di lui, i suoi passi cadenzati erano silenziosi, quasi non avessero consistenza. Portava qualcuno tra le braccia, Hyoga ne riconobbe le fattezze, sussultò di gioia.

“M-Michy!!! - la chiamò, mentre veniva adagiata, con garbo, di fianco a loro. Era ferita e sanguinante, perché aveva sbattuto la testa nell’ultimo assalto, tentando di sforzare la parete di quel mondo, ma respirava, era viva! – Pe-perdonami per… per non averti saputo proteggere!” singhiozzò ancora Hyoga, incassando la testa tra le spalle, stringendole il polso vicino, mentre le lacrime riprendevano a fiotti.

“Non piangere… giovane erede di Aquarius! La via… adesso è libera!” lo informò, sorridendo con dolcezza.

Riusciva nuovamente a vedere, anche se a fatica, ed era così bello... avvolto da quella luce dorata, evanescente eppure concreta, accecante eppure soffusa. Hyoga ne distingueva il viso con miglior nitidezza di qualsiasi altra cosa, così come i lineamenti delicati che gli erano propri. L’armatura dorata che indossava con l’effige dell’Acquario, sembrava leggero peso, come la sua stessa corporeità; non era corporeo in effetti, anche questo il giovane lo sapeva, inspiegabilmente.

“Dé-gel!” farfugliò il suo nome, respirando pesantemente, tentando di rimanere cosciente.

“Il varco è aperto… - ripeté l’Antico Acquario, annuendo – Puoi percorrerlo, ne hai la forza, Hyoga!”

“Temo tu… mi stia sopravalutando, Dègel, anf...”

“Sono sempre stato dentro di te per tutto questo tempo come frammento di luce. - gli sorrise lui, chinandosi un poco per accarezzare la fronte e i capelli di Michela, prima di fermarsi ad osservare con un poco di mestizia la propria reincarnazione – Non ti sto sovrastimando, so esattamente di cosa sei capace, lo sa anche Camus e… dovresti saperlo anche tu, Hyoga!”

“N-no io...”

“Guarda dentro di te, percepisci ciò che sei, il tuo potere, e spiega ancora le ali del cigno. Puoi uscire da qui, dal varco che Michela ha aperto, devi solo… avere fiducia!”

“Fi-ducia...”

Dègel guardava ancora il sé stesso del presente, con malinconia mista a tristezza, poi si permise di accarezzare dolcemente anche i suoi capelli, tracciandogli il profilo: “Hai ancora così tanto da vivere, Camus dell’Acquario, con Milo, con i tuoi allievi, con… Marta… - nel pronunciare quel nome il suo tono si incrinò, per un istante un’ombra scura minò al suo straordinario fulgore, ma passò in fretta – Per cui resisti, fallo per te, per le persone che ami, ti ho affidato il futuro!”

“Non sono… stato in grado di proteggerlo, prima, anf... – disse Hyoga, in tono tremante – Come posso farlo adesso?”

“In verità mi sentirei di sostenere che tu, invero, ci sia riuscito splendidamente a proteggerlo. E’ vivo grazie a te, a voi...” sorrise ancora Dégel, guardando entrambi gli allievi.

“M-ma io...”

“Credi in te stesso, puoi farlo o, se non riesci, credi nel ragazzo che Camus ha addestrato e fatto crescere. Se tieni a mente questo, nessuno ostacolo sarà invalicabile per te!”

“Dègel!”

Hyoga voleva parlare, voleva chiedergli tante cose, come poteva essersi trovato lì, come facesse ad apparirgli come cigno e discorrere con lui, ma il tempo non era sufficiente, lo sapeva bene, presto quel mondo sarebbe svanito.

La mano gentile di Dègel si mosse nella sua direzione, posandosi sulla fronte, prima di scendere. L’indice e il medio gli chiusero delicatamente le palpebre, prima di sostare lì, ancora per qualche secondo. Sembravano così concrete, eppure si percepivano come brezza leggera. A Hyoga parve di essere sotto un albero, il venticello che giocava con le fronde degli alberi, facendo cadere alcune foglie sopra di lui, tra i suoi capelli.

“Concentrati ora, per salvare le persone che ami… sei Cavaliere della Speranza, sei sogno sfuggevole, ma è proprio grazie a questo, a quelli come te, che gli uomini possono compiere miracoli e sperare in un futuro migliore!” si raccomandò, mentre posava la mano libera sopra il suo petto, restituendogli un po’ di forze.

In quell’istante gli occhi di Hyoga si riaprirono, ma non c’era più nessuno davanti a lui, se non… i pezzi della sua armatura assemblati a formare un cigno rampante.

Un’illusione, un messaggio tramite la corazza di Bronzo? No, nulla di tutto questo, lui… è qui! -arrivò infine alla conclusione, rimettendosi difficoltosamente in ginocchio per toccarsi poi il torace- Lui è sempre stato qui, con me, la precedente vita del mio maestro, l’uomo onorevole, che è morto per la promessa ad un amico, per i suoi sogni, affidando a noi le speranze per un futuro migliore… è sempre stato qui insieme a me, mi parlava, mi ha parlato, in tutti questi anni, ma... come è possibile?

Non era comunque il tempo di chiederselo. Si alzò finalmente in piedi, richiamando la sua armatura, che corse a ricoprirlo. Il suo corpo era disastrato, le ferite erano gravi, lo sapeva, ma quell’ultimo barlume di forza che Dègel gli aveva impresso, no, non sarebbe andato sprecato per nessuna ragione al mondo.

Guardò sotto di sé i corpi di Camus e Michela. Dègel aveva sistemato la ragazza in modo che fosse molto vicina al suo maestro, intrecciando la mani sul suo braccio, in modo da fargli percepire la sua presenza, il maestro sembrava un poco più sereno, anche se sempre sofferente. Si chinò verso di loro, toccò le guance di entrambi, soffermandosi ancora una volta sul pensiero di quanto fossero importanti per lui e di quanto avrebbe fatto di tutto, se non oltre, per condurli in salvo.

In quell’istante, con un impulso cosmico, le ali del cigno si dispiegarono, ampie, argentate, di riflessi che sembravano specchi di ghiaccio. Osservò un’ultima volta il mondo intorno a sé, che andava scomponendosi, la nuova apertura, tracciata da Michela per ritornare nella realtà. Era proprio dritta davanti a sé, oltre la balaustra, bastava… spiccare il volo al di là della paura.

“Sono… un Cavaliere della Speranza, anf… ed i Cavalieri della Speranza non si arrendono… MAAAAAAAAAAAIIII!!!” urlò con quanto fiato avesse in gola, stringendo a sé Camus e Michela, avviluppandoli con il suo ampio cosmo per proteggerli, per poi spiccare il volo, dirottandosi a tutta velocità verso la fessura per attraversarla.

 

In quello stesso istante, una fitta repentina e violenta trafisse il ventre di Marta. Era profonda, ma piccola, delle dimensioni di un ago, che tuttavia penetrava sempre più giù. La ragazza impallidì, mentre, appoggiandosi alla parete più vicina, si accartocciò su sé stessa, poggiando la fronte sul freddo muro della stanza alla ricerca di refrigerio. Strinse, strizzò, le palpebre, mentre l’altra mano correva a tastare la zona in questione.

“Che succede?” riuscì a udire a stento la voce dell’amica Sonia, troppo intenso era il dolore.

Non poteva rispondere, non nell’immediato, si morse violentemente il labbro inferiore per impedirsi di urlare. Sapeva bene cosa fosse appena successo, ma dirlo era un altro paio di maniche.

Nascose ancora di più il viso nell’incavo del braccio, cercando di nascondere lo spasmo, tumefatto, di dolore. Annaspò, i battiti del cuore accelerano di molto, il petto prese a farle male.

“Marta, che succede?!” domandò ancora Sonia, sempre più allarmata nel vedere che non rispondeva alla sua domanda.

Si alzò quindi dalla sedia su cui era seduta, di fianco al letto di Myrto che dormiva tranquillamente, la raggiunse, fece per prenderla per le spalle in modo da vedere chiaramente le sue condizioni, ma fu l’amica a precederla, girando il viso di ¾ nella sua direzione, un tiratissimo sorriso a solcarle le labbra rosee.

“Hy-o-ga… ce l’ha… fatta, anf!”

“Eeeh?”

Sonia fece per chiederle ulteriori delucidazioni, ma la percezione nuovamente tangibile dei cosmi di Camus, Michela e del Cigno, sebbene tremendamente fievoli e indeboliti, le diede la risposta che cercava. Anche il suo cuore accelerò, ma di felicità.

“Sono… tornati veramente! Ce l’hanno fatta!!!” quasi l’allieva di Milo ululò la sua gioia, spalancando gli occhioni ricolmi di speranza.

“S-sì, per… per fortuna… urgh!” biascicò ancora Marta, commossa, tornando a premere la testa contro il muro per imporsi di non svenire.

“Se tu stai così male, significa forse..?”

“Camus… non sta bene!” annuì lei, un’ombra negli occhi blu, che erano tornati brevemente a fissarla per un fugace attimo, prima di richiudersi, il corpo preda degli spasmi.

“Neanche tu…” osservò lei, apprensiva.

“E’ per via del CIMP, So’…”

“Non puoi… sopportare tutto questo da sola! Lo sai, te l’ho già detto...” le fece notare ancora l’amica, cercando di darle una mano a sorreggersi, perché sembrava davvero non poterne più.

La ragazza si appoggiò completamente a lei, nascondendo il viso sulla sua spalla. Sonia era più bassa di altezza, più piccola di età, anche se più o meno della stessa corporatura; in quell’istante pareva una roccia su cui fare affidamento, una spiaggia su cui il naufrago si ritrovava, salvo dai flutti del mare. Marta buttò fuori aria, sorridendo nello stringerla a sé.

“Marta...”

“O-ora mi riprendo, Sonia, dammi solo il tempo per… per rifiatare e...”

“Sembri Camus, così… testardo come un mulo, incurante del proprio patimento! - la rimproverò bonariamente lei, scrollando esasperata la testa – Quanto pensi di reggere un simile peso? Le tue percezioni si fanno sempre più vivide e intense, no? Ora anche da distanza! Fino a due mesi fa non accadeva!”

Ma l’amica non la ascoltava, non più, si era appesa a lei e tremava come una foglia per lo stato di suo fratello, ma anche per le sue emozioni. La sentì singhiozzare, dando così libero sfogo ad una parte di quel peso che si era costretta a portare.

“S-sono così felice che...”

“...che fai finta di niente circa la problematicità di tutto questo, sì, l’ho capito, conosco la tipologia di testone!”

“...”

“Non glielo dirai a Camus che lo senti così vividamente, vero?”

Anche quella volta non ottenne risposta, in quel caso per la fatica di controllare il dolore, che non diminuiva, rimaneva lì, persistente. Sonia decise di deviare argomento.

“Pensi di… di aver capito cosa gli hanno fatto?” pigolò, continuando a sorreggerla, cercando a sua volta di rimanere concentrata senza farsi assediare dalla paura e dal timore.

“Ho un male atroce al… all’ombelico, p-proprio dentro. Mi brucia… mi brucia dappertutto!”

“Che tipo di dolore?”

“Da… da iniezione… ho tutto l’addome rigido, come se qualcosa mi avesse punto più e più volte”

“Pensi che...”

“Sì… penso di sapere cosa gli hanno fatto, se è vero che Tiamat è dentro di lui, nel suo grembo, se il suo ombelico ne è l’impronta, la forma esteriore. Non c’è… alcun margine di errore: hanno provato ad estirpargliela!”

Bastarono quelle parole per capirsi al volo, si strinsero, serrando entrambe la mascella, rimanendo a confortarsi per un’altra manciata di minuti.

“Però non ha senso… non è ciò che vorrebbe il Mago!”

“Non è detto sia stato lui, quanto… un suo adepto. Può darsi ci siano state divergenze, non so… non so altro!”

Marta prese tempo per staccarsi. Un po’ perché le faceva piacere avere l’amica così vicina, un po’ perché, per i primi minuti, da sola, non si sarebbe sorretta. Una volta calmata un poco quella sensazione di caldo sempre più opprimente alla zona dell’addome, si incamminò a passi incerti verso il letto di Myrto, dove la giovane donna fasciata e incerottata alla ben meglio, stava dormendo profondamente. La guardò, prendendo nuovamente posto su una delle due sedie, permettendosi di passarle una mano sulla fronte sudata mentre con l’altra si tratteneva ancora la pancia.

“Marta...”

“E’ tutto sotto controllo ora, Sonia… Michela e Hyoga sono con lui, non è solo”

“Sì… ma non sappiamo nulla dal Santuario, hai sentito prima il cosmo di Milo e degli altri, no? Sembrava… perdere di vigoria!” disse, sentendosi davvero abbattuta dal non essere stata di alcuno aiuto.

“Sì, ma ora credo… credo che il peggio sia passato anche per loro.”

“Tu credi?”

“Voglio… crederlo! - disse Marta, decisa, seguendo con lo sguardo l’amica che prendeva posto dall’altra parte, preparando nuove spugnature per Myrto.

“Solo… se stai così male non sforzarti più del necessario!” la avvertì lei, con un goccio di severità, prima di prendere il panno dalla bacinella, strizzarlo con forza, e spostare la coperta con cui l’avevano avvolta.

Esitò un attimo, vergognosa, prima di darsi una botta di scema, perché la giovane donna l’aveva sempre accudita quando era piccola ed erano sempre state molto intime, per cui… bando alle esitazioni!

Marta tacque per una serie di secondi, la mano ancora posata sulla fronte umida di Myrto. Guardò con attenzione i movimenti di Sonia che, pur tremendamente impacciata, le sbottonava la camicia con la quale l’avevano rivestita in modo da scoprirle i due abbondanti seni e praticarle così le spugnature sul torace.

“Va bene così, Sonia, pigia un poco di più, le fa bene...” la rassicurò mentre, concentrando l’energia congelante sul suo palmo, abbassava la sua temperatura corporea che era in rialzo.

“Vedo che le mie raccomandazioni sono entrate da un orecchio e uscite dall’altro...” constatò la più piccola, con uno sbuffo, dicendosi poi che era normale, stante di chi fosse sorella.

“E’ l’unica cosa in cui possiamo essere utili… non la sprecherò!” si disse Marta, grintosa, una strana luce negli occhi. Sonia annuì a sua volta, tornando a concentrarsi sul suo compito.

Se solo avessero potuto, le due ragazze si sarebbero precipitate al Santuario per sincerarsi personalmente di quanto fosse successo, ma il Grande Sacerdote Shion era stato perentorio e, in fondo, era giusto accettare le conseguenze delle proprie azioni. Erano ancora in punizione, così sarebbero rimaste fino al 4 dicembre senza infrangere la parola data, perché anche quello voleva dire sforzarsi di crescere.

In più… -pensò Marta con rammarico- questa, la capacità di far star meglio la gente con il mio gelo, mi è stata data da Dégel, lui, se fosse stato ancora vivo, si sarebbe prodigato per chiunque, lo conosco bene... a me quindi non resta che fare ciò che avrebbe fatto lui, confidando negli altri. E’ così, vero, Hyoga? So che sei con lui, so che lo avrai protetto con tutto te stesso, se non oltre, ed io… ti ringrazio dal profondo del mio cuore!

Concentrata così nei suoi pensieri, avvertì appena un becco picchiettare contro il vetro della finestra della camera. Quando se ne accorse, quando si rese conto nitidamente di chi stava compiendo il gesto, una strana luce guizzò frenetica nelle sue iridi, accelerando di riflesso il suo cuore.

Appena fuori, vi era un candido cigno di grosse dimensioni, sembrò quasi compiacersi, annuire tra sé e sé con soddisfazioni, prima di aprire le grandi ali splendenti e volare via.

Una solitaria lacrima solcò istantaneamente il viso della ragazza che, sorridendo tra sé e sé, si sentì più leggera.

“Grazie… per aver vegliato ancora una volta su di loro… Dègel!” bisbigliò, non facendosi sentire dall’amica, prima di devolvere tutta sé stessa nei suoi compiti.

 

L’infrangersi del suono delle onde del mare sulla battigia…

Michela aveva sempre amato quella sensazione, le infondeva pace e tranquillità. Amava follemente il mare, il caldo, la bella stagione, era sempre piena di vita in estate, contrariamente all’inverno. Era lì, sdraiata, a crogiolarsi al sole, non sembrava neanche il triste novembre, bensì giugno. Sorrise tra sé e sé. Le vacanze scolastiche sarebbero presto ricominciate, quell’anno si sarebbe divertita un mondo, con Francesca e Marta, chissà se non sarebbe sorta anche l’occasione di una storia d’amore, del resto... si girava tutti più scoperti, c’era più libertà, più…

-Sempre questi pensieri, Michela?! Ma che barba!!!

La rimproverava sempre Marta, fiera sostenitrice del ‘io sto bene da sola, non necessito di un povero coglione (perché per lei lo erano tutti i maschi) che mi completi!’

-Ma… ci si può anche un po’ divertire, eh, siamo in vacanza!!!

-Uff, ho altri modi per farlo! Leggo, mi godo le avventure con Stevin, la natura…

-Non c’è nulla di male ad essere un po’… frivole… eddai, siamo ancora giovani, possiamo divertirci, no?

-Parla quella che ha… che esperienze hai, Michela?!

La pungolava sempre Francesca, mettendo il dito nella piaga.

-Io ho avuto… Anselmo, Mattia e… Luigi!

- Anselmo era il tuo amico immaginario, Mattia ti ha semplicemente detto che eri in possesso di un bel paio di tette, ti avrebbe scopato volentieri, ma quello, se permetti, non è amore, è... schifo, mentre Luigi… vogliamo parlare di quello stronzo?!

-Sei cattiva e rude, Marta, perché mi odi così tanto?!

-Io non ti… non ti odio, sciocca, è l’inverso, semmai, è proprio perché… perché sei mia amica che divento… divento…

-...Una iena?!

Concluse per lei Francesca, facendo spallucce. Effettivamente non c’era stata estate che non si cadeva in quell’argomento, con Michela tutta trasognata e Marta che, senza volerlo concretamente, rovinava tutti i sogni di gloria dell’amica più piccola.

-Qualcosa di simile…

Si affrettò a ripiegare, arrossendo di netto e tornando al libro che stava leggendo. Michela le diede uno scappellotto amichevole, ancora a metà strada tra l’offeso per il modo in cui si era espressa e la consapevolezza che, comunque, lo faceva per lei, perché era molto protettiva nei suoi confronti.

-Insomma, Marta, a te non piacerebbe?!

-No, mi stanno irrilevanti i maschi, tutti idioti…

-Eppure di pretendenti ne hai avuti, eh, solo che a momenti neanche te ne accorgi, babba!

Le fece notare Francesca, dandole affettuose gomitate nelle costole che la fecero trasalire e imporporare.

-Come dicevo poc’anzi… non mi interessano!

Fu il turno di Michela di sogghignare tra sé e sé, rendendosi conto che l’amica aveva compiuto un passo falso.

-Non fare la finta tonta… e Dègel?! Oooooooooh, per lui invece ci sbavi, eh, eccome, altro che ‘gli uomini non mi interessano’, ihi…

-DEGEL?!?

-Sì, Dègel…

Sorrise ancora, prima di accorgersi di non sapere da dove quel nome fosse spuntato.

Chi era... Dègel? O meglio… chi era stato?

Vi era il suono dell’infrangersi delle onde sulla battigia, e un nome, che le rimbalzava costantemente in testa, che aveva percepito vicino a sé, non sapendo bene né come, né perché…

In quell’istante qualcosa le mosse alcuni ciuffi di capelli che le ricadevano sulla fronte umida, sembrava… una benedizione data da delle labbra, no, non labbra, bensì… un becco?!

“Forza, Michela, ridestati… siete usciti grazie alla via che tu stessa hai aperto, ma questi sono gli albori di una nuova, più globale, battaglia per stabilire le sorti di questa bella terra. Coraggio, apri gli occhi, fiera guerriera addestrata da Camus!”

Effettivamente la prima cosa che intravide Michela, riaprendo le palpebre, fu proprio una protuberanza, a forma di becco, seguita da un biancore crescente, arcano, che aveva le sembianze di un grosso uccello che possedeva l’idioma umano. Si spaventò.

“OH MADONNINA BELLA, UN CIGNO PARLANTEEEEEEEEEEEEEEEEEE!!!” ululò, alzandosi di scatto in piedi, come una molla.

Qualcuno trasalì al suo fianco, i suoi occhi, ora completamente aperti, si ritrovarono al cospetto del mare tanto amato, ma grigio, come il cielo, non più blu. E di quel calore, di quel sole che l’aveva riscaldata, nonché di quei ricordi, non c’era più traccia, e neanche…

“Lo hai… visto anche tu, anf?”

Una voce la riscosse, scuotendola nel profondo. Le si inumidirono gli occhi, si sentì tremare, mentre, voltandosi, vide, a poca distanza da sé, Hyoga, coperto parzialmente dalla sua armatura del cigno, intento a...

Subito si gettò ai loro piedi. Non li abbracciò nella sua consueta morsa ma, partecipe, nella paura di fargli del male, volle sapere delle loro condizioni.

Il fianco sinistro di Hyoga stava ancora sanguinando, ma il suo ragazzo non se ne curava, tutte le sue premure erano rivolte a Camus, sdraiato al suo fianco in posizione supina, come se dormisse, una mano sulla sua fronte. Alcuni ciuffi cobalto, spettinati, spuntavano tra le dita del Cigno.

“Siamo riusciti ad uscire, anf, grazie a te...” le rispose il biondo, sofferente.

“Non mi interessa questo, ma come state voi, Hyoga… come...”

“Camus sta ancora male, anf, lo vedi da te. Sta sviluppato una febbre piuttosto alta e… e sto provando ad abbassargliela. Dovrebbe comunque essere fuori pericolo”

...per ora! Ma quel farabutto tornerà senz’altro e, temo, in tempi brevi.

“E tu… tu come stai, amore mio?”

“Me la caverò!” tagliò corto, smettendo di usare il gelo sul maestro per poi alzarsi barcollante in piedi.

Michela si spaventò, nel vedere l’afflusso di sangue incrementarsi, colare per terra, a poca distanza da Camus. Si alzò a sua volta, lo trattenne, un nodo alla gola, al petto, la paura folle di perderlo ancora persistente.

“E’… tutta scena, anf… non è poi così grave!” provò a tranquillizzarla lui, sempre più pallido e provato.

“N-non puoi muoverti!!! R-rimani qui, presto arriveranno i soccorsi e… è stato lo spirito di Dègel, ad aiutarci, vero?”

“Dègel?!” Hyoga, se possibile, impallidì ancora di più.

“Sì, la precedente vita di Camus, lo sai, no? L’ho… percepito!”

Ma il Cigno negò con la testa, buttando fuori aria: “No, Michela, ero io, solo… io, la mia emanazione ha quella forma!” le mentì, seguendo le direttive del Cavaliere di Aquarius che, per qualche ragione, non voleva che la ragazza venisse a sapere del suo intervento.

“Ma io… l’ho visto!” tentò di opporsi lei, guardandosi intorno nell’aspettarsi di vederselo sbucare da qualche parte.

“Si vedono… innumerevoli cose, anf, quando si è incoscienti! - ribadì Hyoga, accennando qualche passo per allontanarsi, sempre trattenendosi il fianco sanguinolento – I soccorsi arriveranno presto, ho contattato Milo, tu prenditi cura del maestro e...”

“No… NO, HYOGA! Non ti ha insegnato nulla questa esperienza?! Tu devi stare con noi, al sicuro, insieme siamo più forti, dove stai pensando di recarti? Sei ferito gravemente!!!”

“Alla Fondazione Kido, là sapranno come limitare i danni, non hai di che temere… anf!”

Michela a quel punto singhiozzò di nuovo, abbassando lo sguardo, cercando la forza in Camus, ancora incosciente e sofferente al suo fianco. Il nodo si infittì, desiderò essere tranquillizzata, rassicurata dalle sue mani, e che Hyoga rimanesse lì con loro e invece…

“Perché… fai così?! Non capisco!”

Hyoga continuava a darle le spalle, il suo volto non si vedeva, ma si era fermato, esitando.

Per proteggervi… -si disse, sofferente, cercando di ingoiare quell’ennesima separazione che gli faceva male- Perché insieme a me siete in pericolo. Fei Oz attaccherà, lo farà per eliminarmi, ed ed… io non me lo perdonerei mai se causassi anche la vostra morte!

In fondo, bastava scattare ancora una volta, più velocemente possibile, più in là che poteva, lontano, lontano… un balzo e via, senza più voltarsi indietro, perché un uomo guardava sempre dritto davanti a sé, un uomo per salvaguardare i propri affetti non esitava, eppure, nel momento di compierlo, nel momento di staccarsi, un’altra voce, flebile come un sussurro, lo gelò, facendogli lacrimare gli occhi di conseguenza.

“Hyo-Hyoga, anf… r-rimani qui, piccolo… ri-mani, anf, anf...”

Era Camus che parlava a stento, tra un respiro rotto e l’altro, ciò lo spinse a voltarsi, e lo vide, quasi gli mancò il respiro nel petto.

“Ma-e-stro...”

Camus, preda dei deliri, gli stava implorando di rimanere. Probabilmente lo aveva avvertito allontanarsi da sé, laddove prima, nel mezzo del dolore, erano comunque stati così vicini. Scuoteva la testa, agitato, il torace scalpitante, il fiato corto… da stringere il cuore.

“Hy-o-ga… d-dove sei, anf? N-non ti sento più… perché?”

Michela, a quelle parole sussurrate tra i denti, a quella sofferenza tangibile, rispose facendogli avvertire la sua presenza con il tocco. Gli posò una mano sulla fronte, che era fresca grazie all’aria congelante, permettendosi di baciarlo sulla pelle e provare a tranquillizzarlo con paroline dolci.

“Papà, siamo qui… entrambi!”

Camus, che aveva inarcato disperatamente la schiena, si distese a quel tocco, pur continuando a respirare male, in maniera frenetica.

“M-miei all… ugh!”

“Lo puoi ben vedere da te, Hyoga… ha così bisogno di te!” tentò un’ultima volta la ragazza, rotta dai singhiozzi.

Anche io… anche io ho bisogno di lui, Atena solo sa quanto, ma… non posso! Non sono ancora degno di camminare al suo fianco, non sono forte abbastanza! Se non avessi esitato non sarebbe in queste condizioni, non starebbe così male e, quel mostro ha detto… no, deve finire tutto questo, lo farò finire io, in un modo o nell’altro, non oserà più toccarlo!

La verità era che, se solo Hyoga l’Aurora avesse potuto, si sarebbe gettato tra le braccia di Camus, lo avrebbe stretto, gli avrebbe sussurrato che non se ne sarebbe più andato, che avrebbe avuto cura di lui, come avrebbe potuto fare Isaac o come stava facendo egregiamente Marta.

Se solo avesse potuto, sarebbe rimasto con loro, a rimettersi in sesto al Tempio dell’Acquario, magari, come ai tempi dell’addestramento -oh, quanto gli mancavano!- in cui si raccomandavano vicendevolmente di non strafare, lui, Camus e Isaac, e puntualmente, ognuno faceva di testa propria.

Se solo avesse potuto, avrebbe chiesto perdono all’uomo che lo aveva cresciuto, implorandogli di accettarlo nuovamente come suo allievo, che poi, in fondo, era stupida quella questione, il Maestro Camus aveva un cuore grandissimo, mai gli avrebbe chiuso la porta in faccia, nemmeno se avesse subito le peggiori cose… mai… ma Hyoga aveva bisogno di supplicare perdono, di dimostrare di essere meritevole e… non si sentiva tale!

Il giovane non sapeva che, per esprimere tutto quello, sarebbe bastato un abbraccio. Non c’era alcun bisogno di essere riaccettato, perché, agli occhi del maestro, era già ben più che degno.

Perché Camus lo amava perché era suo figlio, perché era Hyoga, nessun altro!

Ma il Cigno non lo sapeva, continuava a sentirsi indegno… per cui, lottando con il bisogno impellente di piangere, si sforzò di guardare in avanti senza più voltarsi indietro verso coloro che amava, verso il calore, che stava abbandonando.

Doveva semplicemente chiuderla lì, la sicurezza di Camus era la prima cosa importante e, tale sicurezza, si sarebbe potuta raggiungere solo con la dipartita di Fei Oz Reed.

Michela gridò, chiamandolo più volte, ma lui non si girò, non più, e presto il suono della voce di lei venne nascosto dal garrire dei gabbiani e dalle onde del mare che si stava facendo sempre più impetuoso, nero, come l’abisso che si stava apprestando ad attraversare.

Più nessun calore lo avrebbe raggiunto, ma… se fosse riuscito a salvare Camus, nessun’altra cosa sarebbe stata così importante.

Ebbe paura, ma non ci badò, mentre, con passi difficoltosi, andava avanti, attraversando la spiaggia di ghiaia e poi ancora oltre.

Presto sarebbero giunti i soccorsi, Hyoga poteva ben avvertire il cosmo nuovamente vigoroso di Milo carico di pena. Gli sembrò lo ammonisse di retrocedere, di rimanere lì con loro, ma ormai la decisione era stata presa.

Si allontanò dalla spiaggia, salì, con non poche difficoltà, su degli scogli, fermandosi un attimo ad ammirare il mare. Il suo cosmo era debole, quasi vacuo, ma i suoi amici lo avevano avvertito, lo sapeva bene e, tra loro, Shun. Sorrise, da quanto tempo non lo vedeva?

Si strinse la mano al costato, osservando poi il suo palmo lordo di sangue. Ne aveva perso parecchio e non erano di certo gli unici danni. Sorrise ancora una volta amaramente, sentendosi cadere indietro. Con l’ultimo brillio di lucidità, fu abbastanza accorto da accompagnare la caduta in modo da non sbattere la testa. Si adagiò lì, laddove gli scogli creavano un intercapedine, un rifugio. Poggiò la testa di lato, cercando di controllare un minimo la sua respirazione per tamponare l’emorragia.

Un po’ di riposo… aveva giusto bisogno di quello prima di compiere il grande balzo, prima di decretare la parola fine. Persino in quella situazione ciò che lo legava a rimanere in vita erano progetti di morte, ma non più la sua, bensì quella di Fei Oz, il Demiurgo.

Non andrà come credi, non avrai ciò che brami, verme! Non ti avvicinerai più a lui, dovesse anche costarmi la vita. Ti darò la caccia, ti troverò, farò finire tutto questo. Lo farò per lui, per dare a Camus un futuro più certo, come…

...Come avrebbe fatto Isaac!

Ma non riuscì ad ultimare il pensiero, il buio lo avvolse, anestetizzando i sensi fino a far svanire ogni sua più piccola percezione.

La parola fine… l’avrebbe messa lui, una volta per tutte!

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Eccomi qua con questa ennesima fatica perché, devo ammetterlo, questo capitolo mi è costato molti sforzi perché non era mai come volevo che fosse ed è stato difficoltoso descrivere le scene e il Mito.

Inizio con il dire che la versione mitologica che vi ho proposto, salvo i versi tratti dall’Enuma Elish, è di mia invenzione, nel senso che ho fatto una sorta di miscuglio tra vari racconti (Marduk non è figlio della “Montagna”, io l’ho reso tale per questioni di trama, ma in verità le origini di questo dio sono oscure). La Mitologia “mesopotamica” possiamo dire, per rendere l’idea, è un gran casino, ogni città aveva il proprio dio preferito, quando diventava potente, propinava la propria versione del racconto alle città suddite, e così il proprio Campione diventava il dio più potente mai esistito.

Marduk ha avuto un destino simile, è il dio maggiore di Babilonia, ma, prima che questa civiltà diventasse importante, ce ne sono stati altri prima di lui, io avrei potuto scegliere Enlil, o Enki, o un sacco di altre divinità; la scelta mi è ricaduta su di lui proprio per la battaglia che, si racconta, ha avuto contro Tiamat.

La stessa figura di Tiamat è avvolta dal mistero, si pensa che prima avesse altri connotati (Tiamat viene descritta essenzialmente come malvagia nell’Enuma Elish!) e che si chiamasse Nammu/a, la dea sumerica della Creazione. Ancora prima, si pensa che avesse un’importanza ancora più profonda, poi scalzata via dal Principio Maschile (dal matriarcato, nella comunità, si è passato al patriarcato, si pensa). Come avete forse potuto notare, il racconto che ne fa il Mago verte dalla parte di Marduk ed è incompleto (Hyoga che ha assistito se ne è accorto), esso racconta le cose come se Marduk fosse l’eroe (come nell’Enuma Elish, appunto!), ma mancano dei pezzi. Innanzitutto perché Tiamat sembra essere impazzita? Perché si è rivoltata contro la propria progenie? E’ veramente cattiva?! Sì, ok, non è uno stinco di santo, basta vedere come ha disintegrato Utopo nel capitolo prima ma, al di là di questo, quali segreti cela?! Quale sarà la sua versione degli eventi?

Dovrei aver finito con questa carrellata di mitologia, passo ad altro, altrimenti rischio di essere prolissa (già lo sono, ma vabbé XD), ma se avete curiosità su questo settore sono sempre disponibile. :)

Oltre al Mito, in questo capitolo, viene data importanza anche ad un’altra specialità: l’Alchimia!

Vi ho già detto che le mie storie sono tutte un insieme delle mie passioni, e questa volta è toccato essere ispirata da Full Metal Alchemist. Chi conosce questo anime avrà di certo notato dei parallelismi con quest’opera, anche se, ad onor del vero, non è la prima volta che lo cito. Ricordate lo Scambio Equivalente di Seraphina? Il suo sacrificare l’amore per Dègel per reincarnarsi e trasformare (trasmutare, meglio XD) il proprio sentimento in altro? Ecco…

Allo stesso tempo, non è la prima volta che parlo di Francesca come di un’Alchimista (l’ho aggiunto nella modifica che sto portando avanti in Sentimenti che attraversano il tempo). L’idea che ogni Musa sia specializzata in una Arte Alchemica mi è venuta un po’ così, a dire il vero, ma mi piace molto. Abbiamo Clio che manipola il sangue, Urania (e quindi Fra) che trasmuta la materia, Calliope… perché è uscito questo nome, pronunciato da Clio? Anche qui misteri su misteri…

Come quello di Stevin, del suo sogno, della voce che lo ha rinfrancato…

Non ho ovviamente trattato del combattimento tra Ermete e Shaka/Saga. Come vi avevo già accennato, non ho particolarmente in simpatia Gemini (per dire un eufemismo) quindi o ne parlo poco, perché mi è difficile tratteggiarlo in modo imparziale, o non lo tratto affatto (come in questo caso), e inoltre mi serviva mantenere l’aura misteriosa su Ermete. Shaka, invece, avrà una particina nei prossimi capitoli come… soccorritore! ;)

Infine, chi legge anche “Le petit Cygne”, forse, da qui, da questo capitolo, comincerà a capire le dinamiche che porteranno Hyoga a ridursi come effettivamente è ridotto in quella storia. Restate sintonizzati per scoprire come e quando.

La pubblicazione di questo capitolo da il via al ritorno della Melodia della Neve (che sarà infatti il prossimo aggiornamento). Questa storia tuttavia non si concluderà qui, altre dinamiche devono essere approfondite e svelate per almeno un’altra manciata di capitoli, quindi seguirà in parallelo la storia principale ancora per un po’, non temete. :)

Anche per oggi dovrei aver concluso il mio panegirico, non temere e, soprattutto, non uccidetemi per la lunghezza di questi capitoli, io ci provo a scrivere meno ma mi è impossibile, ahimé.

Al solito sono sempre disponibile per curiosità e/o commenti. Grazie a tutti e alla prossima! :)

 

  
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