Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Miky_D_Senpai    27/11/2021    1 recensioni
Il diario mentale di uno studente che non ha ancora capito il mondo che lo circonda, tenendo per sé una regola che è chiara solo alla sua famiglia. Nascondendo con un velo di apatia il rispetto per un'unica persona, riempiendo i propri vuoti con una devozione cieca.
Sopra le leggi di una società che ai suoi occhi cade a pezzi, ma non abbastanza alto da poter godere di una buona visuale sul mondo che lo circonda.
Dal testo:
"Volevate la solita storia sulla scuola? Su quei college americani tutti fighetti in cui c’è sempre il “cattivo ragazzo” che sta con la timida secchiona di turno, che la persuade a passare nel lato oscuro? “Lato oscuro” che poi è semplicemente in penombra.
[...]
... l’avevo notato dalla finestra, fermo nel viale del mio appartamento, di fronte al mio citofono. Mi diverte vederlo sbiancare ogni volta che pronuncio il suo nome."
[AU contemporanea, quasi tutti i personaggi, provate a shippare e lui vi ucciderà]
[Nota dell'autore: Ringrazio chiunque sia passato o passerà a leggere. Devo ammettere che è la prima volta che finisco una long del genere su Efp quindi grazie di tutto il supporto, alla prossima!]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Qualche tempo dopo...

Mi sono risvegliato di soprassalto. Come fossi appena riemerso da uno di quei brevi sogni in cui ti ritrovi a cadere in un’acqua calma e talmente profonda da non avere un colore definito e l’unica soluzione che hai per salvarti dall’annegare è svegliarti.
Devo riprendere fiato tanto è sembrata reale la sensazione di soffocamento e dei polmoni che si riempiono di liquido. Mi viene da tossire per liberarmi da quella sensazione di soffocamento, ma mi ritrovo solo ad affondare la faccia nel cuscino per attutire il rumore.
Alzando lo sguardo dopo essere riuscito a trattenermi, mi devo asciugare le lacrime per prepararmi al resto della giornata.
Non riesco a riconoscere subito la stanza in cui mi trovo, le pareti sono troppo pulite, la luce che filtra dalla finestra non lo fa con l’angolazione a cui sono abituato. Tutto sembra così sbagliato in questo momento, ma non mi sento scomodo.
Un leggero brivido mi pervade fino alla punta dei piedi e automaticamente torno ad abbracciare il torso scoperto che mi stava facendo compagnia silenziosamente fino a ora. Lo sento muoversi a ritmo con il suo respiro, accumulando abbastanza aria da riempire due me.
Non riesco a mettermi comodo dietro le sue spalle larghe, o almeno, non tentando di mantenere quella posizione. La sua pelle però in quel momento sembra così calda e comoda che non riesco a staccarmi.
«Erwin, sei sveglio?» gli chiedo, coprendo uno sbadiglio con la sua scapola.
Dal suo silenzio mi viene da pensare che non sia ancora arrivata l’ora di alzarsi, quindi ho tempo di ripensare a quello che mi ha portato lì. Il ricordo di quella sera è fortunatamente ancora vivido nella mia mente, a differenza delle settimane che sono passate da quel piccolo rinfresco.
 
Ricordo perfettamente come quella pizzetta sia stata il pomo della discordia per cinque minuti buoni, aveva più attenzioni di un neonato in fasce durante un banchetto di cannibali. So che il paragone non è proprio dei più sereni, ma avendo visto da quali sguardi era circondata, è il più calzante.
Non osavo immaginare come avesse perso il calore passando di piatto in piatto, conteso come se fosse un piatto unico e dal sapore irriproducibile, ma che in realtà aveva perso qualsiasi vaga fragranza poteva avere.
«Assaggia questo»
La mia memoria fotografica mi ha aiutato a riconoscere la mano che si era avvicinata di soppiatto porgendomi una tartina. Se fosse stato Auruo sarebbe volato giù dal balcone, ma quella testa di broccolo era già dall’altra parte del salone a confabulare qualcosa con il suo solito gruppetto.
Mi resi conto solo dopo qualche istante che Mike era scivolato dietro di me, approfittando della mia distrazione. Mi aveva portato quel quadratino da uno dei vassoi più distanti solo per farmi assaggiare un piccolo gamberetto in salsa cocktail. Come se non avessi mai preso parte a un rinfresco e non sapessi che dovevo procacciarmi il cibo da solo.
Gli faccio lasciare delicatamente il piccolo assaggino nel palmo della mia mano per mangiarlo con più discrezione.
«Ho pensato che una fragranza delicata sarebbe stata adatta per prepararti a qualcosa di più forte» mi stava spiegando mentre la mangiavo, esattamente come un sommelier ti descrive ciò di cui le tue papille gustative ti stanno già bombardano di informazioni.
Come avevo immaginato, avrei voluto lanciargli qualcosa di pesante solo per farmi descrivere dove e quanto facesse male. Nonostante questi pensieri ostili, mi era riuscito a distrarre da quell’orrenda scena che minava la mia salute mentale. Le avrei affogate in una tanica di amuchina.
«Perché hai pensato proprio a questa?» gli avevo chiesto con curiosità, soddisfatto in realtà della sua scelta. Facevo solo il difficile.
«Come ti ho già detto, il gusto delicato è consigliato all’inizio di una degustazione e tra tutto ciò che c’è, quella è la più adatta per iniziare» Lo guardavo convinto che quel cane da tartufi potesse avere una certa utilità nel futuro, ma subito dopo quella sua giusta osservazione era stato attratto dalla disputa sulla pizzetta. Risolvendola quasi istantaneamente con un “Il mio gusto preferito” e facendo sparire finalmente dalla mia vista quella pizzetta.
La sua faccia divertita e soddisfatta svanì quasi nel nulla, lasciando ai miei occhi la visuale di un biondo corrucciato, preoccupato per il chiasso che era riuscito ad attraversare le pareti. Era appena uscito dal bagno, così in fretta che si era scordato mezza zip aperta e la mia mania ossessivo-compulsiva mi costrinse a indicargliela per non doverla più vedere in giro.
Gli ho risparmiato anche l’imbarazzo di dover parlare a tutti con la toppa aperta, dato che stava per fare una piccola confessione ai presenti.
«Devo parlare con Levi un secondo in privato» pronunciò ogni sillaba in modo chiaro, aspettandosi che ognuno lo ascoltasse senza distrarsi.
 
Alla fine mi sono alzato, ricordandomi che nonostante un cuscino possa essere comodo e caldo, resta una distrazione e uno stimolo alla pigrizia. Stimolo che lui stava abbracciando senza opporre un minimo di resistenza.
Alzandomi non riesco a fare a meno di notare come non ci sia più alcun miagolio ad aspettarmi, nessun pretenzioso felino sovrappeso pronto a mordermi se non avessi riempito la sua ciotola nel tempo stabilito dal suo stomaco.
È proprio con questa strana e malinconica sensazione che inizio le giornate, sapendo che tutto quello a cui mi ero abituato era svanito e che non mi sarebbe stato restituito.
Qualsiasi cosa fosse successa, avevo accettato alla fine. Scendendo le scale mi ritrovo a pensare come quella abitazione assomigliasse molto alla vecchia dimora Smith. Stavolta almeno avevano optato per una villa solitaria, senza però cambiare di molto l’aspetto interno.
Quelle sontuose librerie continuano a circondare il salone, dividendosi tra i due piani. Si sente in continuazione l’odore della conoscenza e della colla che tiene insieme quelle pagine, creando la stessa atmosfera di una biblioteca.
Alla destra dell’ultimo gradino, una delle più evidenti differenze: il tiragraffi sul quale è appollaiata una palla di pelo bianca.
«Buongiorno Swiffer» Gli sorrido accarezzandogli la testa nel sonno prima che riesca a contorcersi per nascondere le orecchie. Un gatto soddisfatto e soprattutto sazio.
Giro verso la parete della cucina. Lasciata a vista a occupare un angolo della sala, rendendola in un certo senso più familiare, nonostante fosse incastonata nel piano inferiore e quindi più bassa rispetto al resto. Seduto su uno degli sgabelli che guardano verso l’esterno della casa, il signor Smith è impegnato a scrivere una relazione sorseggiando del tè.
Riesco a riconoscerne l’odore dall’ultimo gradino delle scale, la stessa identica marca che utilizzavo io e una tazza già pronta sul mobile dell’isola, distante dai fornelli. Non avevo mai avuto modo di vedere una cosa del genere, ma quella locandina Ikea in cui mi ritrovo ora è decisamente comoda.
«Buongiorno signor Smith» lo saluto e lo ringrazio con un leggero cenno del capo per la colazione pronta. In qualche modo sa anche la differenza dei nostri orari, perché per Erwin non c’è ancora nulla da mangiare.
«Buongiorno Levi, dormito bene?» Ha smesso di provare a farsi chiamare per nome, è stata una conversazione prolungata per tutta una giornata, ma ancora non mi ho accettato quella confidenza che mi proponeva.
«Swiffer sembra essersi ambientato molto bene» commento. Noto, come ogni volta che pronuncio il suo nome, un sorrisetto leggermente accennato sul suo volto. L’unica soluzione che ha trovato per non scoppiare a ridere in continuazione è chiamarlo letteralmente “Gatto”.
«Mi avete fatto quasi preoccupare quando Erwin mi ha detto che non avevi accettato di essere adottato» ammette, nonostante mi sia scusato più volte, ma non avevo mai avuto intenzione di essere suo fratello.
Lo guardo sperando che sia l’ultima volta che sono costretto a ripeterglielo: «Non mi aveva convinto»
Si mette a ridere, sapendo che non era andata proprio in quel modo.
 
Mi aveva portato nella sua stanza, senza nascondermi a occhi indiscreti, l’aveva anzi annunciato a tutti quanti con una solennità ostentata e senza contesto. Ma dando così nell’occhio aveva fatto intuire a tutti che non stava per accadere chissà cosa. Sapeva perfettamente che la malizia e l’immaginazione sono comuni alleate per creare pettegolezzi fasulli e inutilmente rumorosi.
Si era messo seduto sul suo letto, lasciandomi varie opzioni, tra cui quella di restare in piedi ad ascoltarlo. Non volevo creare una situazione di disagio e da quella prospettiva potevo controllare la sua stanza.
In quel momento, come in qualsiasi altro passato tra quelle quattro mura, mi sentivo così comodo e a mio agio tanto da rilassarmi appoggiato alla sua scrivania come se non fossi un oggetto fuori ordine, ma parte di tutto.
Piccoli accorgimenti creavano un ambiente simile a quello delle aule studio della nostra scuola. Aveva tutto a portata di mano, i mobili con i libri di testo ordinatamente catalogati per anno e più fonti di luce per non avere zone d’ombra. Anche la luce che entrava dal lampione seguiva un’angolazione perfetta per illuminare completamente la sua postazione, arrivando fino al mio fianco.
La curiosità nel capire come non fosse cambiato praticamente nulla dall’ultima volta aveva preso il sopravvento, insieme alle varie domande su quali prodotti utilizzasse la signora che gli faceva le pulizie. Ma ovviamente le mie domande erano meno importanti di quello che aveva da dirmi lui.
«Mio padre era intenzionato a chiederti di essere adottato, te lo avrebbe chiesto al funerale di tuo zio, ma ha intuito che non fosse il caso di intromettersi nel tuo lutto»
Spalancai gli occhi sorpreso, la mia mente ripercorse tutti i momenti passati insieme al signor Smith e di come avessi avuto quell’indizio davanti agli occhi tutto il tempo. Il motivo per cui suo padre era finito coinvolto nella missione di Kenny, tutta una serie di coincidenze fatali che avevano portato a quel momento.
«Vi aspettate che io accetti dopo quello che ha causato?» gli domandai, sapendo esattamente quale fosse la risposta. Non esistono persone con una tale mole di arroganza e supponenza, ma in quel momento riuscivo a credere anche nelle fate.
Ero pronto ad andarmene, lasciando la sua stupida domanda inascoltata e senza alcuna risposta. Mi sentivo parte di un capriccio architettato in maniera superba da qualcuno privo di empatia, come fosse una macchina o un automa. Quel super computer lo avevo davanti e non aveva nemmeno una stronzissima spina da staccare.
«Cazzo, chiedimelo e basta. Chiedimi di seguirti come faccio sempre e non ti inventare scuse» Era quella la risposta migliore che mi poteva venire in mente? Seriamente dovevo comportarmi come il suo cagnolino per obbligarlo a trattarmi con un minimo di compassione?
Era stata una settimana devastante, per non dire la peggiore che potesse essermi capitata fino a quel momento e lui, sì, lui era rimasto nella mia mente tutto il tempo, per un motivo o per un altro. Piuttosto che perdere qualcosa del genere, l’unica persona a cui mi ero affezionato fino a quel punto, ero pronto a farmi portare via da tutto e tutti.
Fece un respiro, un altro lungo respiro. Non sa comunicare i suoi sentimenti come un essere umano, giustamente non ha ancora questa funzione. Come si aggiornano gli androidi?
«Vuoi venire con me?»
Lo guardai, ancora non completamente soddisfatto, serviva di più per soddisfare finalmente anche il mio orgoglio. Accennai involontariamente un malizioso sorriso.
«Chiedimelo in ginocchio» gli ordinai, deciso a non farmi dire no «Ringrazia che siamo soli qui»
A oggi mi pento di aver attirato su di noi una leggera sfiga e qualche decina di leggi di Murphy. Certe foto potrebbero girare ancora in qualche chat per quanto ne sappiamo.
«Davvero?» mi chiese, tentando di coprire la sua preoccupazione con una risatina. Non l’avevo mai visto stressato, ma sapere che il suo animo era stato turbato mi stava quasi facendo cedere.
Il mio sguardo non si mosse di un dannato millimetro. Se mi avesse voluto veramente, se tutto ciò che era successo non avesse avuto il valore di un fottuto scherzo, avrebbe mandato giù il groppo e l’avrebbe fatto.
Mi sorprese, ma fece esattamente quello che doveva fare.
Deglutì, accettando il suo dovere; si alzò in piedi, dandomi modo di vedere quanto si stava per abbassare; si inginocchiò di fronte a me, lanciandomi un’occhiata che poteva voler dire solo “Contento ora?”.
Gli sorrisi, perfidamente, vedendo quel barlume di speranza lasciare i suoi occhi.
«No»
 
Sono finito comunque qui, a fare colazione con suo padre.
Sì, era tutta una scena per farlo penare quei cinque minuti che l’ho fatto stare sul ginocchio. Tralasciando che mi arrivava comunque al mento, è stato soddisfacente vederlo finalmente preoccupato e desideroso di un . Dopo una vita a dare cose per scontate.
Potrei continuare a parlare di ciò che ci ha costretto a chiudere quel siparietto e di quanto i riflessi di Hanji siano sviluppati per afferrare il telefono e fotografare qualsiasi cosa le possa interessare in tempi fulminei.
Le mie speranze che abbia cancellato quelle immagini sono svanite quando mi sono stati mandati dei meme proprio con quelle foto.
Ci abbiamo riso sopra, dopo aver augurato a chi di dovere un brutto quarto d’ora in bagno.
Dovrei anche finire di raccontare come quella serata sia finita per diventare il disastro più grande per Auruo, dopo la sua nascita. O come Petra abbia preso un albero tornando a casa, probabilmente sconvolta dalla notizia della mia partenza.
Oh, la buona notizia di ieri sera: Farlan è finalmente riuscito a dichiarare il suo amore per Isabel e lei gli ha dato picche per ben mezz’ora. Proprio come le ho suggerito io.
Ed Eren? Giusto, quando l’ho avvertito della mia partenza si è disperato per matematica, ma gli ho mandato un vero e proprio segugio a casa (Mike).
Ma io in questo momento me ne sbatto, quelle minime sensazioni che descrivevo come felicità non erano nulla in confronto a quello che sto vivendo in questo momento. E posso finalmente dirvelo:
Io, Levi Ackerman, sono felice.
   
 
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