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Autore: Helen_Book    28/11/2021    0 recensioni
Eileen ha perso la voce e la capacità di trasformarsi. Sente di non aver nulla da offrire al proprio branco. L'incontro inaspettato con un lupo randagio cambierà totalmente la sua esistenza e la porterà ad addentrarsi nei più oscuri ricordi del suo passato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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“Mailyn” le sussurrò Roman all’orecchio, riportandola al presente.

Il respiro caldo del suo compagno sulla pelle, le fece venire i brividi. 

Si sarebbe mai abituata all’effetto che aveva su di lei? 

Intanto stentava ad abituarsi al suo nuovo nomignolo. “Mio futuro”, le piaceva un sacco.

Dopotutto era uno dei suoi obiettivi: continuare a far parte del futuro di Roman.

Si girò a guardarlo, mentre lui le aggiustava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e ne approfittava per toccarla il più possibile.

Vedo di non essere l’unica a non riuscire a tenere le mani a posto.

Dentro di sé, se ne compiacque.

“Non devi essere tesa, mio padre è un tipo alla mano. Sono sicura che ti piacerà e tu piacerai a lui” aggiunse, mentre il pollice ruvido le accarezzava alcune lentiggini sulla guancia.

Aveva difficoltà a formulare un pensiero sensato quando la toccava così. Tutti i suoi neuroni impazzivano.

Le faceva venir voglia di rispondergli di sì a tutto, senza pensarci due volte.

Suo padre, ha parlato di suo padre.

Ricapitolò nella sua testa, cercando di recuperare il filo del discorso.

Voglio fare una buona impressione.

Gli segnò, sincera.

Era da giorni che immaginava nella sua testa quell’incontro, quale sarebbe stato il verdetto.

Non ci poteva essere alcun margine d’errore.

Per la prima volta, la fortuna sembrava essere dalla sua parte, stava trovando il suo posto nel mondo.

Non voleva perdere tutto solo perché non si era giocata al meglio le sue carte. 

È vero non poteva parlare, ma aveva tante altre qualità utili al branco.

Oltre al fatto che non puoi trasformarti.

Il pensiero martellante di non essere all’altezza, l’aveva perseguitata da sempre e continuava ad essere una costante nella sua vita.

“Sii te stessa e sono sicuro che andrà bene” le sussurrò Roman con il viso a pochi centimetri dal suo.

Sembrava averle letto nel pensiero.  

Facile a dirsi.

Per quanto avesse difficoltà a crederci, il suo compagno conosceva sempre le parole giuste da dirle per farla sentire meglio, sollevata.

Si morse il labbro inferiore e sospirò.

Seduti nel mezzo di un corridoio, aspettavano di accedere a quello che Roman aveva definito “lo studio” di suo padre.

Come la sala in cui era stata sottoposta a processo, anche l’arredamento di quel palazzo era completamente nero.

Il fuoco acceso scaldava la stanza.

Ma lei non percepiva alcun calore.

Il divanetto su cui erano seduti dava l’idea di essere comodo e confortevole, ma, nonostante ciò, non riusciva a rilassare i muscoli e ad appoggiarsi allo schienale.

Tesa come una corda di violino, il suo corpo mandava dei segnali totalmente opposti rispetto a quelli di Roman.

Rilassato, perfettamente a suo agio, aveva disteso le gambe e incrociato le caviglie. Il braccio giaceva lungo lo schienale, alle sue spalle.

Coscia contro coscia, i loro corpi aderivano non lasciando alcun dubbio che fossero una coppia.

Eileen non sapeva come interpretare la tranquillità del suo compagno.

Da quando aveva parlato con suo padre, dava l’idea di aver sorpassato lo scoglio più grande.

Forse ti stai facendo troppi problemi che non esistono.

Era appena riuscita a calmarsi, quando la porta si aprì, facendole aumentare le palpitazioni di colpo.  

L’uomo sembrava più alto di come se lo ricordava. Da seduto, le aveva dato un’altra impressione.

La barba più corta e i capelli neri sciolti gli incorniciavano il viso.

Di scatto, Eileen si alzò in piedi, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

Percepì Roman mettersi in piedi subito dopo di lei, e con risolutezza, pronunciare: “Padre.”

“Arthur” gli rispose l’uomo, spostando subito l’attenzione sulla persona al suo fianco.

“Eileen” scandì il suo nome, lettera per lettera, spingendola ad alzare lo sguardo.

Non hai niente di cui vergognarti. Sii coraggiosa.

Gli occhi scuri del capobranco incontrarono quelli verdi di lei, incatenandoli a sé.

Non aveva mai osato fissare così apertamente Adamo, il suo capobranco.

Eppure, il padre di Roman sembrava esigere quel contatto. La scrutava intensamente.

Non stavano parlando, ma i suoi occhi erano in grado di comunicare.

Tutto durò qualche secondo, ma l’intensità del momento la scombussolò.

L’uomo si ritrovò a sorriderle: “Benvenuta, entra pure” disse indicando la stanza alle sue spalle “Arthur dovresti farmi il favore di cercare Genny, devo parlarle” aggiunse, rivolgendosi a suo figlio.

“Padre, Genny mi sta sostituendo all’asilo” gli rispose, cercando anche un modo per assistere all’incontro e non essere congedato.

“È urgente” affermò deciso, senza lasciare spazio ad alcuna replica.

“Vado a chiamarla” si arrese alla fine Roman.

Notò una punta di amarezza nella sua voce, sintomo del fatto che stava iniziando a conoscerlo veramente.

Non osò guardarlo in faccia.

Prima di accorgersene, Roman era sparito, non lasciandole altra alternativa se non affrontare suo padre.

Da sola.

Si morse l’interno della bocca.

Sentiva la schiena ricoperta di sudore, nonostante non facesse caldo.

Coraggio.

Seguì l’uomo che intanto si era spostato all’interno del suo studio.

Lo vide trascinarsi, mentre spostava la maggior parte del suo peso sulla gamba sinistra.

La prima volta che si erano incontrati, non lo aveva notato. Probabilmente perché la maggior parte del tempo era rimasto seduto, a guardarla.

A giudicarla.

Smettila, concentrati.

Un brivido di adrenalina le attraversò la schiena.  

Aveva atteso quel momento da tanto e immaginato diverse volte l’esito.

“Eileen, non fare la timida. Siediti qui, accanto a me” la esortò, indicandole il posto sul divano, al suo fianco.

La naturalezza con cui utilizzò il suo nome e l’informalità del suo tono, le fecero girare la testa.

Era confusa.

Tuttavia, eseguì subito gli ordini, reduce della mentalità per cui ciò che viene pronunciato dal capobranco è legge.

Non è il tuo capobranco, ricordalo.

Si sedette, mantenendo le distanze.

Non aveva ancora compreso le regole del “gioco”.

“Non ti preoccupare, non mordo” disse, sollevando l’angolo della bocca, increspando la pelle in quella zona lì.

L’uomo non dimostrava più di 45 anni, eppure con i capelli sciolti e il volto rilassato, dava l’idea di essere più giovane.

Osservandolo, notò palesemente quanto i suoi tratti fossero diversi da quelli del suo compagno.

Partendo dalla tonalità della pelle, fino al colore degli occhi.

Personalmente, non lo trovava un uomo avvenente, eppure c’era qualcosa di intrigante e magnetico in lui.

“Sono curioso di conoscere la storia di quella cicatrice” le comunicò, indicandola “l’ultima volta che ci siamo visti, non l’avevo notata…” disse pensieroso, mentre si grattava il mento.

Anche se non si trattava di un comando, Eileen lo aveva percepito come tale.

Il tono che utilizzava non lasciava scelta ad alcun interlocutore.

“…ecco perché! Portavi il collare” costatò, felice di aver trovato la soluzione al suo dilemma.

A stento, Eileen riuscì a trattenere una smorfia.

Non le piaceva ricordare il giorno del Processo.

Cercò di non soffermarcisi sopra, e tirò fuori il quaderno dalla tracolla, ritrovando miracolosamente la forza di muoversi e reagire.

Sono stata aggredita da un lupo quando ero piccola. È il motivo per cui non posso parlare.

Scarabocchiò e glielo porse subito dopo.

Solo allora si rese conto di non aver mai condiviso con Roman i dettagli di quell’episodio che aveva segnato la sua vita per sempre.

Quasi si sentì in colpa.

Lui si era aperto rivelandole i suoi ricordi più dolorosi, mentre lei stentava a farlo.

Possibile che non si fidasse di lui?

Intento a leggere la sua risposta, il capobranco ne approfittò per avvicinarsi a lei, accorciando le distanze, centimetro dopo centimetro.

Ferma.

Aveva abbassato la guardia.

Decise di rimanere salda nella sua posizione.

Non mostrare paura o debolezza. 

A quella distanza era in grado di captare il suo odore: eucalipto, legna e…un’altra sostanza che non riusciva ad identificare.  

“Un lupo non aggredisce senza motivo” affermò lui, commentando ciò che aveva scritto.

Con lo sguardo assente, sembrava tutt’altro che soddisfatto da quella risposta. 

Non ci fece troppo caso e si concentrò sulla sua affermazione.

Ricordava vagamente quel giorno, alcuni dettagli le sfuggivano, sfocati e indefiniti.

Non aveva mai capito il motivo per cui era stata attaccata e nessuno si era mai degnato di spiegarglielo.

D’altra parte, lei non aveva mai posto quella domanda.

Era stata così occupata a gestire le ripercussioni che quell’episodio aveva avuto nella sua vita, che aveva totalmente dimenticato di chiedersi il “perché”.

Ogni volta che ci pensava, soffriva.

Evitava di farlo e solo nei sogni, inconsciamente, “permetteva” a se stessa di ricordare.

Piccoli flash continuavano a tormentarla di tanto in tanto.

Alzò lo sguardo e notò lo sguardo dell’uomo fisso sulla ferita che portava al collo.

Era ormai da tempo che non ci pensava. Quasi aveva dimenticato di averla.

Inutile dire che in quel momento, aveva una voglia matta di coprirsi la gola con la sua vecchia sciarpa verde.

Nel momento in cui si convinceva dei passi avanti che aveva compiuto, bastava un episodio come quello a ricordarle quanto fosse debole.

Non ho memoria di ciò che è successo, scarabocchiò alla fine all’angolo del foglio.

Stava per scusarsi, ma decise di non farlo.

“E quindi tu saresti la compagna di mio figlio” il tono piatto, non tradiva alcuna emozione.

Poi, come un gesto studiato, le sorrise, spingendola a fare lo stesso di rimando.

Confusa, non sapeva se si trattasse di un’affermazione o di una domanda.

Così alla fine, cauta, annuì.

Immobile, la scrutava. Con le gambe accavallate, si protese in avanti, puntellando le cosce con i gomiti, senza smettere di guardarla.

I capelli sciolti si mossero in avanti, sfiorandogli gli zigomi.

I muscoli le dolevano per quanto erano tesi.

“Lo sai che non posso accettarti nel mio branco dato che la tua lealtà appartiene ad un altro, vero?”

Disse alla fine, interrompendo quel silenzio assordante.

Non c’era cattiveria nel suo tono. Le stava mostrando la verità dei fatti, nuda e cruda.

Eileen conosceva le regole.

Era impensabile appartenere a due branchi contemporaneamente. Non aveva senso.

Esisteva un’unica famiglia a cui affidarsi.

Sapeva che una via d’uscita esisteva.

Ci aveva pensato così a lungo che alcune notti non era riuscita a chiudere occhio.

Prese il taccuino e con mano ferma, afferrò il suo destino, costringendolo a cambiare direzione.

Abbandonerò il mio branco.

Subito dopo averlo scritto, il cuore iniziò a batterle velocemente.

Il volto di Mala fu il primo ad emergere tra i suoi pensieri, seguito dal viso angelico di Bentlam.

Non esisteva un momento felice della sua infanzia in cui non era stata presente.

Quella donna l’aveva salvata più di una volta.

L’immagine di sua madre le fece contorcere lo stomaco.

L’avrebbe odiata?

Il papà di Roman sollevò pigramente l’angolo della bocca: “Ero sicuro che fossi un tipo intelligente” riportò la schiena sul divano e si grattò distrattamente il ginocchio: “immagino tu sappia che tutto ha un prezzo.”

Eileen trattenne il respiro.

C’era da aspettarselo. L’aveva messo in conto.

Di nuovo annuì, lasciando che fosse lui a dirigere il discorso.

Eppure, il capobranco rimase in silenzio.

Si alzò senza appoggiare il peso sulla gamba ferita e riempì il bicchiere di un liquido argenteo.

Lo trangugiò in pochi secondi e si asciugò le labbra con il dorso della mano.

L’odore forte del liquido arrivò alle sue narici, trovando una corrispondenza con uno dei componenti della fragranza dell’uomo che in precedenza non era riuscita a identificare.

Cosa sta bevendo?

“Sai, Eileen, ognuno di noi deve fare dei sacrifici per raggiungere degli obiettivi” sussurrò fissando il bicchiere tra le mani “e anche a te tocca farlo.”

Alzò lo sguardo davanti a sé: “Devi dimostrarmi di essere all’altezza di mio figlio.”

Assorbì quelle parole come una spugna.

Strinse i pugni, affondando le unghie nella carne.

Per tutta la vita, si era sentita inferiore agli altri e ora aveva la possibilità di mostrare il suo valore.

Di redimersi.

L’uomo si legò i capelli distrattamente e finalmente posò lo sguardo su di lei.

“Un atto di fiducia, ecco ciò che ti chiedo” riempì di nuovo il bicchiere “dimostrami che mi posso fidare di te” dopodiché trangugiò tutto il contenuto ancora una volta.

Gli occhi incatenati ai suoi.

Fidarsi.

In teoria, non era difficile. Era la pratica il problema.

Iniziò a scrivere sul taccuino, prendendosi qualche secondo in più per pensare alle parole giuste.

Intanto, il capobranco si avvicinò nuovamente al divano, accorciando ulteriormente le distanze.

Eileen cercò di non farsi innervosire dalla sua presenza, ma era a dir poco impossibile.

Di fretta, completò la sua risposta.

Andrò personalmente dal mio branco e gli informerò della mia scelta.

Leggendo, lo vide annuire, per la prima volta, soddisfatto.

“Però devo chiederti un favore: devi convincere Arthur a non partire con te” appoggiò la mano sul suo ginocchio “qui ha dei doveri da assolvere, tu lo sai meglio di chiunque altro quanto lui sia indispensabile per questa comunità” aggiunse con tono suadente.

Roman era parte della spina dorsale del branco, senza il suo contributo, erano persi.

Non poteva dargli torto.

D’altra parte, sapeva che la maggior parte dei capibranco aveva la capacità di persuadere, con le buone o con le cattive.

Il padre di Roman faceva parte di una categoria superiore: era un ammaliatore nato.

Sembrava dotato di un potere sovrannaturale in grado di convincere chiunque a fare ciò che voleva.

La portata di quel fascino, la spaventò.

Aveva voglia di scappare via, ascoltando finalmente il consiglio del Pazzo.

Il Pazzo.

Era cosciente di essere finita nella trappola del capobranco sin da quando aveva varcato l’uscio della porta: non aveva avuto scampo.

Però poteva sfruttare la situazione, stare al suo gioco.

Riportò il taccuino sulle gambe, strappò il foglio e scrisse sul retro la sua risposta.

Lo farò, ma anche io avrei un favore da chiederti: aspetta il mio ritorno per giustiziare il Pazzo.

L’uomo alzò lo sguardo dal foglio e per la prima volta, non sembrò indifferente.

Inclinò leggermente la testa e poi le sorrise, come da copione.

“Affare fatto.”

Quella replica la sbalordì.

Si aspettava un rifiuto o mille domande in proposito, e invece, quell’uomo continuava a stupirla, comportandosi in maniera del tutto imprevedibile.

“Hai dei colori particolari” affermò lui, indicando il suo viso.

Cambiò di nuovo argomento, confondendola.

Mi è stato detto più volte. Il rosso dei capelli è di mio padre, credo.  

Sorrise della sua titubanza: “Credi?”

Alzò lo sguardo su di lui e scorse curiosità.

Erano tornati su un terreno neutro e stava trovando quello scambio quasi piacevole.

Quasi.

Mio padre era un guerriero, per questo non lo vedevo spesso. È morto quando ero piccola.

Invece di mostrarsi triste, l’uomo a stento riuscì a trattenere una risata.

Non ebbe il tempo di sentirsi offesa, perché qualcuno bussò alla porta, interrompendoli.

Roman non aspettò di essere invitato, entrò nello studio e subito scorse sul suo viso una leggera preoccupazione: una piccola ruga sulla fronte ne era la prova.

Non è più rilassato come prima.

Guardandolo, tirò un sospiro di sollievo.

Era così felice di vederlo lì.

“Arthur, stavo discutendo con Eileen della sua famiglia. Vuoi unirti alla nostra conversazione?” indicò una delle poltrone vicino al fuoco “anche se probabilmente saprai già tutto” aggiunse guardando prima lui e poi lei.

Maledizione.  

Eileen aveva voglia di sotterrarsi.

Vide Roman irrigidirsi, e costruirsi una maschera di indifferenza.

Non tradiva alcuna emozione e questo non faceva che aumentare la sua ansia.

“Padre, mi piacerebbe, ma devo tornare ai miei doveri, lo sai quanto Genny odi sostituirmi. Mi ha dato la sua parola che non appena le darò il cambio, verrà direttamente qui” lo informò.

“Accompagno Eileen nella sua stanza e torno al lavoro” concluse, e si congedò dal padre con un cenno del capo.

Imitandolo, lei decise di alzarsi e salutare il padre allo stesso modo.

“Certo, Arthur. Andate pure. Grazie per la chiacchierata, Eileen” come aveva fatto prima, scandì il suo nome chiaramente, lettera per lettera.

Un brivido le attraversò la schiena.  

Di fretta, si precipitò fuori dalla porta, seguendo il suo compagno.

Intanto, lui non si girò a guardarla, le dava le spalle, continuando ad avanzare.

Eileen non aveva il coraggio di fermarlo.

Aveva ragione ad essere arrabbiato. Non poteva dargli torto, al posto suo, anche lei sarebbe stata arrabbiata.

Sentendosi colpevole, continuò a seguirlo, senza proferire parola.

Mantenne le distanze, anche se era l’ultima cosa che desiderava.

Non appena aveva varcato la porta, rivederlo l’aveva resa così felice.

Finalmente aveva smesso di trattenere il respiro: una boccata d’aria fresca.

Ora sentiva la necessità di toccarlo, di provare a rimediare.

Il rapporto tra compagni non lasciava scampo: la distanza che le aveva imposto iniziava a trasformarsi in dolore fisico.

Si morse il labbro inferiore tra i denti.

D’un tratto, sentì il bisogno di raccontargli tutto, di liberarsi dell’immenso peso che portava da giorni.

Desiderava una tregua, e quello poteva essere l’unico modo per ottenerla.

Distratta dai pensieri, non si accorse che Roman aveva fatto una piccola deviazione.

Si fermò a parlare con un uomo che non aveva mai visto.

Da come era vestito, dava l’idea di essere una guardia.

Non riusciva a sentire ciò che si stavano dicendo.

Non osava avvicinarsi: era troppo lontana e il suo udito funzionava ad intermittenza.

Un altro svantaggio del non essere lupo.

L’espressione sul volto del suo compagno si oscurò e fissando l’uomo di fronte a sé, strinse i pugni.

Confusa, Eileen cercò di interpretare il suo linguaggio del corpo.

Non sembrava pronto ad attaccare, era invece piuttosto arrabbiato. Come se avesse ricevuto brutte notizie.

Senza neanche aspettarla, con un cenno brusco del capo si congedò dalla guardia e proseguì verso la sua stanza.

Maledizione, ma perché corre così velocemente?

Era il momento di fermarlo, non poteva più rimandare il confronto.

Gli corse dietro e lo tirò per il braccio, invano.

Sfuggì alla sua presa e continuò a camminare, ignorandola.

Eileen gli si parò davanti, ma in questo caso, riuscì a schiavarla, senza nemmeno guardarla in faccia.

L’espressione corrucciata non dava l’idea che fosse arrabbiato.

Peggio: era furioso.  

Era probabile che la stesse evitando anche per non scoppiare lì, davanti a tutti, dando spettacolo.

A lei non interessava: doveva fare qualcosa o sarebbe impazzita.  

Esigeva delle spiegazioni e lei stessa sapeva di dovergliene, se solo le avesse concesso la possibilità di farlo.

Erano quasi arrivati, quando alzò il passo, sbarrandogli la strada.

Prima che potesse sfuggirle di nuovo, lo afferrò per la collottola con entrambi i pugni, costringendolo a guardarla.

Sobbalzò vedendo il fuoco nei suoi occhi.

Ma non indietreggiò di un millimetro.

Con mosse precise e agili, Roman si liberò dalla sua presa.

Questo le fece parecchio male, colpendo il suo orgoglio.

Ma non si scoraggiò, era pronta a rincorrerlo un’altra volta, se necessario.

Solo dopo si accorse che non stava scappando.

Le andò incontro, facendola sussultare.

Non ebbe il tempo di realizzare ciò che stava succedendo che si ritrovò a testa in giù, i fianchi premuti sulla spalla dell’uomo.

Incredula, Eileen non ebbe neanche il tempo di reagire che erano già entrati nella stanza.

L’uomo spalancò la porta con un calcio e, di botto, la fece atterrare sul materasso del letto.

I capelli scompigliati le coprivano gli occhi.

Sentì la porta sbattere e far tremare tutto.  

Scocciata, riuscì a spostarli e vide Roman dall’altro lato della stanza, con le braccia conserte e gli occhi fissi su di lei.

A malapena riusciva a stare fermo, tuttavia, non si azzardò ad avvicinarsi.

Qual è il tuo problema?

Segnò freneticamente, riuscendo finalmente a comunicare.

Ora anche lei era furiosa.

Come si permetteva a sbatterla da una parte all’altra come una bambola di pezza?

Il suo atteggiamento la stava portando sull’orlo della pazzia.

Intanto, Roman non accennava a risponderle, se ne stava lì, immobile, a fissarla con sguardo truce.

Testardo di un lupo.

Strinse i pugni per un attimo e poi li riaprì, riprovandoci un’altra volta.

Se non mi parli, come facciamo a risolvere le cose?

La sua espressione era tra l’implorante e l’arrabbiato.

Sei TU che non mi parli.

Le segnò lui, rivolgendole la parola dopo tanto tempo: sembrava passata un’eternità.

Per quanto fosse felice di aver ottenuto una reazione, una qualsiasi reazione, non le sfuggì il fatto che l’aveva accusata di essere lei il problema là dentro.

Non aveva torto, e lo sapeva.

Ciò non significava che faceva meno male.

Strinse i denti e ritrovò un po’ di calma.

Voleva scusarsi, spiegargli il suo punto di vista, ma era troppo arrabbiato per poter discutere razionalmente.

Comunque, tentò.

Tuo padre mi ha chiesto informazioni sulla mia famiglia e io ho risposto, non volevo mancargli di rispetto.

Per niente convinto, alla fine, decise di parlare.

“Mi sto abituando all’idea di essere l’ultimo a sapere le cose” ebbe difficoltà a pronunciare quella frase, la mandibola serrata.

In silenzio, Eileen incassò il colpo.

Non aveva la più pallida idea di quanto avesse ragione.  

Lo stomaco le si contrasse e un’ondata di nausea la investì.

“L’uomo che hai visto prima mi ha detto che tu e Mala siete state attaccate da due guardie il giorno prima di finire in prigione” sussurrò con tono piatto.

La calma prima della tempesta.

Colta in fallo, rimase senza parole.

Non che potesse esprimerne alcuna, ma era stata presa in contropiede.

Tutto si aspettava tranne quello. Era sicura che avrebbero litigato per suo padre, non perché aveva taciuto quell’episodio.

Se n’era del tutto dimenticata.

Quello è il problema di quando racconti troppe bugie.

La sua coscienza scelse il momento peggiore per fare la sua comparsa.

“Quando pensavi di dirmelo?” chiese sarcastico “Aspetta, forse so già la risposta” aggiunse, senza darle il tempo di ribattere.

Era ormai un fiume in piena.

“MAI” avanzò verso il suo letto.

Abbandonò il tono piatto e alzò la voce.

“Sono il tuo fottuto compagno, maledizione! Dovrei essere la prima persona a cui ti rivolgi, a cui ti appoggi, a cui racconti le FOTTUTE cose!” con forza si batte i pugni sul petto, rafforzando il concetto.

Eileen non lo aveva mai visto così.

Era arrabbiato, ma in realtà, stava soffrendo da cani.

E lei stava soffrendo con lui.

Tutta la sua rabbia si era dissipata.

Il senso di colpa la divorava.

Queste non erano altro che le prove generali.

Come avrebbe reagito quando gli avesse raccontato tutta la verità?

In piedi, di fronte a lei, Roman aspettava impaziente una sua risposta.

Aveva tutte le ragioni per essere furioso con lei.

Si sentiva una persona orribile.

Percepiva tutto il peso del mondo sulle spalle.

Dalle bugie su cui costruiva la sua relazione con Roman, al bigliettino del Pazzo che conservava sempre con sé.

Alla paura di abbandonare definitivamente il suo branco e tagliare i ponti con il suo passato, alla preoccupazione per l’incolumità di Mala.

Senza dimenticare poi le persone chiuse in prigione e tutte quelle che aveva assistito sul letto di morte.

Il volto del bambino con gli occhi color nocciola fu il colpo di grazia.

Le lacrime uscirono senza che se ne accorgesse.

Tutto divenne sfocato e indefinito.

Sentì il petto stringersi in una morsa letale.

Suoni sordi uscirono dalla sua gola, mentre cercava di riprendere fiato.

Aveva difficoltà a far entrare aria nei polmoni, per quanto si sforzasse di raccogliere fiato.

I suoni ovattati, la mente confusa, in qualche modo era cosciente del fatto che stesse per svenire.

Sto per morire. 

Fu l’unico pensiero chiaro e limpido.

“Mailyn, Eileen, mailyn…” una voce lontana esigeva la sua attenzione.

Era impregnata di urgenza e preoccupazione.

Provò a focalizzarsi su quella, sebbene la percepisse come un suono lontano anni luce.

Gradualmente ritornò a distinguere i diversi rumori intorno a lei.

Non si era accorta di aver chiuso gli occhi.

Gli riaprì, concentrata sulla voce di Roman che le rimbombava nelle orecchie.

Il palmo della mano le incorniciava il viso, mentre l’altra mano manteneva una presa salda sulla sua spalla.

Solo in quel momento, si accorse che Roman era di fronte a lei, non più a migliaia di chilometri di distanza.

Mio Dio, grazie.

Gli occhi color miele erano ritornati limpidi e chiari, ma così spalancati esprimevano terrore.

Una traccia di sollievo fece capolino sul suo viso quando la vide riprendersi.

“Eileen, mailyn…mio Dio…” a malapena riusciva ad esprimere a parole quanto fosse sollevato.

Cadde in ginocchio ai piedi del letto, portando i loro visi alla stessa altezza.

Cosa è successo? Mi sento molto stanca.

Disse lei alla fine, con i muscoli tesi e il sudore che le imperlava la fronte.

Il suo compagno alzò lo sguardo e senza pensarci due volte, sollevò di peso il suo corpo.

Come se non pesasse nulla, la adagiò sul materasso ed entrambi si stesero nel letto.

Ti stai divertendo a trasportarmi da una parte all’altra?

Segnò lei, cercando di sminuire l’accaduto, sorridendogli.

Si accorse che le pesava perfino muovere le mani.

Roman non riusciva a spiccicare parola, ma allo stesso tempo, non le staccava gli occhi di dosso.

Non c’era più alcuna traccia di rabbia.

“Mailyn, credo tu abbia avuto un attacco di panico…” lasciò in sospeso la frase, deglutendo più volte.

Non c’era bisogno di spiegare, lei sapeva benissimo cosa significasse.

Quando aveva lavorato al fianco di Bentlam, ricordava di aver assistito ad un episodio del genere.

Ma viverlo in prima persona, era tutta un’altra cosa.

Si sentiva totalmente sottosopra, la mente annebbiata, aveva voglia solo di chiudere gli occhi.

Solo per un momento.

Si sporse verso Roman e lo abbracciò, assorbendo tutto il suo calore.

Respirò il suo odore inconfondibile.

Era tutto ciò di cui aveva bisogno.

Le braccia comprensive e accoglienti del suo compagno la avvolsero all’istante, incondizionatamente, senza chiedere nulla in cambio.

Eileen chiuse gli occhi.

È solo questione di tempo.

Fu l’ultimo pensiero che le sfiorò la mente, prima di addormentarsi.
 
 
Intanto nel branco dei Mei…


Mala camminava avanti e dietro ormai da ore.

Il suo cervello continuava a lavorare ininterrottamente, in cerca di una soluzione per uscire da quella stanza.

Tutto si era aspettata, tranne che essere rinchiusa in una manciata di metri quadri, dalla mattina alla sera, senza possibilità di prendere una boccata d’aria. 

Sembravano passati anni: per un lupo, era la cosa più vicina ad una tortura.

In realtà, era Shura il motivo principale per cui non riusciva a farsene una ragione.

Se non avesse l’urgenza di ritrovarlo, avrebbe accettato quella punizione senza fare troppe storie.

Ci era abituata.

Aveva anche cercato di parlare con suo padre per spiegargli la situazione, ma si era rifiutato di incontrarla.

Era stato Noah stesso a recapitarle il messaggio, dicendole che era troppo stanco e malato per litigare con lei.

L’avrebbe incontrata solo dopo aver scontato la punizione.

Era così sicuro che l’avrebbe fatto.  

Col cavolo che rimarrò qui tutto quel tempo.

Non sarebbe stato per niente facile scappare da lì, e lo sapeva bene.

“Vogliono tenerti al sicuro, sei troppo importante per il branco” le aveva detto Noah, al fine di calmarla e farla ragionare.

Chissà perché non la sorprendeva vedere suo padre lasciar fare il lavoro sporco agli altri.

Non si degnava neanche di parlarle faccia a faccia.

Se da una parte il suo comportamento non la stupiva affatto, dall’altra soffriva nel vedere il suo amico diventare il nuovo burattino di suo padre.

Era certa che sarebbe stato dalla sua parte, e invece si era sbagliata di grosso.

Strinse i pugni e affondò le unghie nei palmi delle mani.

Una chiave girò nella toppa della sua porta. Non si voltò neanche ad accogliere il nuovo arrivato, conosceva perfettamente l’odore del traditore.

Ormai Noah era di casa. Suo padre l’aveva nominato come suo nuovo “babysitter”.

Non sapeva cosa la irritasse di più: sapere che il suo ex amico aveva accettato di buon grado quel ruolo o che in qualche modo, avesse preso il posto di Shura.

Impresa ardua, per giunta.

Percepì un certo odore di cibo che le fece venire l’acquolina in bocca.

Il suo stomaco reagì di conseguenza.

“Fiocco di neve, devi mangiare qualcosa o morirai di fame” le disse lui, con tono preoccupato.

Molto probabilmente accompagnato da un’espressione da cane bastonato.

Dandogli le spalle, non poteva guardarlo in faccia, ma ne era più che sicura.

“Smettila di chiamarmi così, non fingere di essere mio amico” c’era rancore e rabbia nella sua voce, sebbene non volesse mostrargli quanto l’avesse ferita.

“Non sto fingendo, io sono tuo amico” la convinzione impregnava le sue parole.

Per poco Mala non scoppiò in una risata isterica.

Lentamente si girò a guardarlo e con un sorriso beffardo, rispose: “Se fossi veramente mio amico, non mi terresti chiusa qui dentro. Oppure con i tuoi amici solitamente ti comporti così?”

“Lo sai che è per il bene del branco, le condizioni di tuo padre sono tutt’altro che rassicuranti.”

Stava cercando di commuoverla o di fare leva sul suo senso di colpa?

L’interessamento per suo padre era proporzionale a quanto suo padre si era mai interessato a lei.

Meno di zero.

“Indovina quanto me ne frega di lui?” mise le mani sui fianchi, aspettando di vederlo andarsene con la coda tra le gambe.

Eppure, Noah non accennava ad andarsene.

“Non conosco i trascorsi tra te e tuo padre, ma qui ci sono in gioco le sorti del branco e tu devi fare la tua parte, come tutti gli altri” il suo tono severo e irremovibile la faceva sentire come una bambina disobbediente.

Non era la prima volta che si sentiva così.

Inevitabilmente continuava a ricoprire questo ruolo che odiava.

Shura.

“Vi riempite la bocca con questi bei paroloni e poi lasciate che un membro del branco rimanga disperso per tutto questo tempo” doveva tentare di farlo rinsavire, in modo che le desse la possibilità di iniziare subito le ricerche.

Ogni minuto che passava era prezioso. Il tempo era un lusso che non poteva permettersi di sprecare.

La frustrazione e la rabbia le facevano ribollire il sangue.

Le unghie continuavano ad affondare nella carne.

“Ti ho assicurato più di una volta che le ricerche sono iniziate. Sono a capo delle diverse spedizioni. Ogni giorno ci mettiamo sulle sue tracce, ma è maledettamente bravo a nasconderle…”

La sua voce si interruppe, facendo trasparire delusione e ansia.

Per la prima volta, percepì da parte sua una reazione da essere umano.

Le ricordava il vecchio Noah, la persona che ammirava.

“Lasciami unire a voi, ti prego, devo cercarlo…”

“Non preoccupartene” la interruppe lui “sono sicuro che lo troveremo prima di quanto immagini. Lasciami fare il mio lavoro, sai che so essere maledettamente bravo” le sorrise, cercando una complicità che non trovò.

Lo sguardo truce di Mala significava un’unica cosa: vattene.

Questa volta, Noah appoggiò il vassoio sul letto e, prima di congedarsi, le disse: “Mangia qualcosa, Shura non vorrebbe vederti morire di fame.”

Bastardo.

La conosceva troppo bene. Sapeva perfettamente quali tasti toccare.

Trattenne le lacrime, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.

Non gli staccò gli occhi di dosso, aspettò impaziente che se ne andasse e, alla fine, la accontentò.

Solo dopo aver sentito i suoi passi allontanarsi, scoppiò a piangere.

Si morse il pugno per soffocare i singhiozzi.

Non voleva che qualcuno “ascoltasse” il suo dolore.

Si asciugò le lacrime e abbassò lo sguardo sulle piccole mezzelune sui palmi delle mani.

“Il corpo è come un tesoro che va custodito. Hai capito?”

La voce di Shura le risuonò nelle orecchie.

Il suo amore l’aveva tenuta viva per tutto quel tempo e non poteva rendere vani tutti i suoi sforzi.

Gli occhi azzurri si spostarono sul vassoio pieno di cibo.

Inghiottì più volte la saliva e sospirò rassegnata.

Ho capito.




Buonasera a tutti/e!

Dopo secoli, il Voice Day è tornato! 

Dovete assolutamente perdonarmi per essere scomparsa, ma questo periodo è stato molto intenso, e per un motivo o per un altro, non riuscivo a trovare il momento giusto per scrivere. Non solo, il 5 ottobre questa storia ha compiuto 1 anno e non ho organizzato nulla per festeggiare, damn! Per caso, qualcuno di voi ha qualche idea carina in mente per farle spegnere la famosa candelina, anche se in ritardo?

In più, ho notato che molti di voi erano curiosi e lo sono tutt'ora (spero) di leggere come le cose si svilupperanno tra Mala e Shura, motivo per cui ho aggiunto questo pezzettino finale al capitolo. 

Non vi assicurerò di essere costante come prima negli aggiornamenti, ma proverò a postare con frequenza. Fatemi sentire che ci siete, mi raccomando. <3

Vi abbraccio forte forte, 

Helen.
  
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