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Autore: Gaia Bessie    03/12/2021    0 recensioni
Nella Hogwarts dei Carrow, Daphne e Astoria Greengrass devono fare i conti con crescenti episodi di bullismo ai loro danni, alcuni incentivati dal loro stesso fratello.
[Fred/Astoria, Daphne/OC | Mini Long di tre capitoli | Incest, Tematiche delicate | Partecipa al "Calendario dell'avvento" indetto da Cora Line sul Forum Ferisce più la penna | L'ultimo capitolo partecipa al contest "Someone new" indetto da Severa Crouch sul Forum Ferisce più la penna]
[3:Nato al contrario]: Il veleno che gli cola tra i denti – non biscia, vipera: Alexandre morde, squarcia e avvelena tutto ciò che tocca. Anche coloro che dice di amare.
Soprattutto loro, soprattutto lei.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Fred Weasley, Nuovo personaggio | Coppie: Astoria/Fred
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Attenzione: La storia contiene diversi episodi di bullismo, anche a tema sessuale, che costituiscono parte fondamentale della trama. Se siete sensibili, vi consiglio di non leggere.
Inoltre, vi è una relazione incestuosa (fratello/sorella) descritta nei limiti imposti dal regolamento. Ancora una volta, se l'argomento vi turba, non leggete.


Cuore amaro

 
1. A tratti di matita
 
[Sciarpa gialla – Daphne]
 
Il mio cuore è amaro
Un disordine raro
Sa di un giorno lontano questo cuore amaro
Ora ci vedo chiaro
Ora ci vedo chiaro
(Gaia, Cuore amaro)
 
Daphne sa di un giorno lontano e di un cuore che spreme gocce di caffè ma non lo zucchero: ha una scia di lentiggini che le deforma la schiena in una costellazione, forse l’Orsa Maggiore o forse quella Minore, o in un sorriso – d’estate scrive poesie, d’inverno l’ispirazione viene meno e allora non scrive affatto. È tutta un buffo bipolarismo, lei, tutta un aggrapparsi agli spigoli della vita per farli penetrare nella carne. Un po’ più in fondo, avanti: fa meno male di quel che avevo pensato, lo sai?
Lo so, Daph, lo so.
Daphne è una persona di un disordine raro, semina le proprie cose tutte in giro per casa e non c’è verso di fargliele raccogliere: Astoria strilla e si lamenta in continuazione di non trovare una maglia o una giacca, prima di scoprire che Daphne se n’è appropriata per dimenticarsele su una sedia o direttamente sul pavimento.
Daphne è. Il suo primo pensiero al mattino, quando apre gli occhi e allunga la mano sul copriletto appena scompigliato per scoprire che se n’è già andata – la trova a piangere nel bagno, seduta nella vasca vuota, tutta rannicchiata e con il viso arrossato nascosto tra le ginocchia.
È anche il suo ultimo pensiero alla sera, quando la scopre e la copre con il suo corpo e l’unico rumore che si sente è quello dei suoi singhiozzi disperati (non possiamo, Alex, non possiamo): ma la negazione è così piccola ed esitante che, alla fine, non conta più niente. Vorrebbe essere in grado di farla smettere di piangere, a volte.
Altre volte, quelle lacrime vorrebbe berle insieme all’inchiostro verde smeraldo con cui disegna quelle poesie su pergamena e diluirle le parole che si stringe al petto con fare consolatorio, quand’è lei quella che ha bisogno d’esser consolata.
Daphne sa. Di un caffè senza zucchero e di vita infranta, rovinata – e Alexandre ha la sensazione, netta e definita, d’esser lui la causa della frangibilità di sua sorella.
 
***
 
Inizia con un livido.
Ciglia che si scuriscono di lacrime e mascara sciolto, raggrumato, e la bocca aperta in un sussurro muto. Daphne non si lamenta mai – dicono che abbia un bel sorriso, la Greengrass mediana, ma è così raro vederlo che, alla fine, ci provano tutti a scucirglielo dalle labbra per non ottenere mai niente.
Daphne-bel-sorriso vaga per i corridoi a capo chino ed è così alta che, quando non alza la testa, semplicemente pare un uncino che tende al pavimento come se vi dovesse pescar qualcosa: nessuno saprebbe dire se non abbia poi preso un pesce o una monetina attaccata a un chewing-gum, ma sicuramente Daphne è riemersa dal proprio mare di lacrime con le mani vuote e il cuore reso amaro dalle correnti abissine.
Inizia con un livido – nascosto da una sciarpa gialla, che perfino Piton l’ha dovuta rimproverare perché non indossa i colori della propria Casa, a tratti nascosto e a tratti no: Blaise Zabini, che ha avuto il privilegio di scoperchiare il cuore di Daphne quando ancora ne aveva uno, commenta con aria saputa. Non è un livido, ma impronta di denti di chi ha provato ad azzannarle l’anima e a berne il fluido vitale, riuscendoci.
È che Daphne funziona così, commenta Blaise pieno di amarezza: le dai un pezzo di spago e lei, chissà come, riesce a usarlo come una fusciacca di seta e ci si impicca con un semplice fiocco. Ho sempre pensato che si sarebbe innamorata del primo che avesse avuto il coraggio di guardarla due volte – è bella, bellissima, ma il sesso con lei non ha senso: rimane sotto di te, in attesa, e ti guarda come se te lo volesse chiedere per davvero.
Una volta l’ha fatto, Blaise non lo dice mai – fammi male – e si sono lasciati perdere la mattina dopo, per non ritrovarsi mai più.
«Lascia perdere, Theo» borbotta con aria saputa, quando Nott inizia a nutrire uno strano interesse per Astoria Greengrass. «Quelle due hanno qualcosa che non va, lo sai?».
Qualcosa che non va – un cuore amaro che, quando lo si mastica, lacrima brandelli di caffè e acqua stagnante: ma Theodore è più ingenuo di lui e lo dice ad alta voce, facendo trasalire il giovane Zabini.
«Intendi dire che hanno un fratello maggiore» commenta, scrollando le spalle. «Non ho paura di Alexandre Greengrass, Blaise, e non avresti dovuto averne nemmeno tu».
Blaise riflette, non dice – che è sicuro che ci sia qualcosa di sporco e sbagliato, nel sorriso del fratello di Daphne, nel modo in cui l’ha visto baciarle la fronte per vedere se avesse la febbre: inizia con un livido, si sposa con una certezza. Daphne è prigioniera di sé stessa e non sa come cavarsene fuori.
Qualche volta, la si sente piangere: nel bagno di Mirtilla Malcontenta, nascosta dai Carrow e dai rimasugli dell’E.S., la sentono tutti quanti. Piange fino a non avere più voce e, quando riemerge, ha gli occhi vuoti come quel cuore di cui ha smesso di conoscere il significato.
«State attenti a ciò che dite» sibila la diretta interessata, comparendo come spettro o fantasma alle spalle di Nott. «Pensavo fossi troppo buono per ferire qualcuno, Theo».
Lui non fa in tempo a replicare – Daphne s’avvia verso la sala comune, silenziosa come un brandello di ricordo, e nemmeno la mano di Blaise riesce ad agguantarla: le sfiora quella sciarpa gialla che non posa mai, ma non riesce a toccare il cuore per scoprire se vive ancora.
Astoria Greengrass zampetta sulla scia di sua sorella, senza nemmeno rendersi conto dello sguardo adorante di Theodore Nott che le ombreggia la schiena in un sussurro disperato – che sa del suo nome: si volta ma, quando ne incrocia gli occhi verdi, Theo riesce solamente a pensare agli strilli di Daphne chiusa nel bagno di Mirtilla, a singhiozzare sulla tazza di ceramica del gabinetto.
«Sì?».
Astoria lo guarda – con curiosità, alza un sopracciglio bruno, domandandogli silenziosamente come si sia permesso di chiamarla con quel soprannome che è cominciato nella bocca del ragazzo di cui è silenziosamente innamorata.
Ma Theodore Nott ha detto Ria e s’è mangiato quella parola come una torta al caffè (amarissima), spalancando gli occhi per aver osato disturbare una divinità nella propria routine: nessuno l’ha mai vista piangere, Astoria Greengrass, e dire che ne avrebbe più ragioni di sua sorella. Lo sanno tutti, e tutti hanno visto lo schiaffo che suo fratello le ha stampato in cuore quando l’ha scoperto, che la minore dei tre Greengrass si nascondeva davanti il naso lentigginoso di Fred Weasley solamente per il piacere di fargli imparare la sua presenza. E lui, che con le mani l’aveva imparata a memoria per davvero, quand’era sparito le aveva scavato una voragine dentro.
Lei non aveva pianto, nemmeno per scherzo – aveva alzato il viso su quello schiaffo e s’era messa a ridere: impediscimelo, aveva sfidato suo fratello, proibiscimi di pretendere quell’amore che so di meritarmi. Alexandre aveva perso le parole, Astoria soffocato un risolino. Di amare non aveva mai smesso e, quando ancora la si vede sorridere dietro un foglio di pergamena e correre ad Hogsmeade durante i weekend, lo sanno tutti quanti: significa amore, quel disegno che lo schiaffo di suo fratello ha provato a sfregiarle via dal volto, significa amore.
«Volevo chiederti di andare ad Hogsmeade, sabato» sussurra Theodore, imbarazzato. «Insieme».
La fa ridere – lei è una che ride tantissimo, fino a che non le fa male la pancia e le si appannano gli occhi: Daphne ha un bel sorriso, Astoria una bella risata. A volte troppo sonora, un po’ roca, ma è un suono che si avvinghia ai ritagli di tempo e li condensa in attesa: e Theo, che è una vita che attende che lei si metta sotto il suo naso (un po’ aquilino), sorride e aspetta che lei si renda conto che. Che non ha i capelli rossi e una schiena fitta di lentiggini grandi come lenticchie, ma potrebbe renderla felice comunque, almeno più di quanto non lo sia con quella mancanza che le mastica l’anima.
Ma Astoria ride.
«Mi dispiace» sussurra, sistemandosi dietro la schiena la lunga treccia castana. «Ma temo proprio di essere impegnata».
«Se non ti va bene sabato, allora…».
Lei continua a sorridere, mostrando i denti bianchi, con un leggero accavallamento degli incisivi che funge da crepa in quella bellezza che fa male.
«Sono impegnata con un’altra persona, Theo» cinguetta Astoria, dolcemente. «E lo sarò sabato e, se va tutto bene, per tutta la vita».
Lui spalanca gli occhi – vorrebbe dire che nessuno sarà mai in grado di spezzargli il cuore, ma Astoria Greengrass l’ha fatto con una semplice risata: e lo sapeva, che era strana, ma non pensava che quello schiaffo l’avesse resa tanto più ostinata.
D’inverno ascolta musica Babbana, sperando che i Carrow non lo scoprano mai, d’estate vive la magia della propria storia d’amore alla luce di un sole nascosto da nuvole e va bene così. Alexandre Greengrass ha le mani che prudono, ma sua sorella è d’animo inquieto.
E, anche se è iniziato tutto con il livido sul collo di Daphne, la giusta conclusione sono i passi di Astoria che rimbombano nella quiete artefatta della Sala Comune e non si fermano mai: strana creatura, mia sorella, commenta Alexandre sulla sua scia vedendosela sfilare davanti.
Pensi d’averla presa ma, quando si mette a ridere, capisci sempre che in vita sua farà sempre tutte le scelte sbagliate e non la prenderai mai più.
 
***
 
La mattina Daphne singhiozza nei bagni, la sera non emette suono – come morta giace sul letto, le mani strette in grembo e i filamenti di pensieri che la avvolgono come un bozzolo tiepido, più caldo di quel sangue che le ghiaccia le vene. Qualche volta, infrange il tacito divieto che le impongono le sue ossa e s’infiltra nei dormitori maschili, zizzagando tra i letti: inciampa nelle pantofole di seta di Malfoy e, qualche volta, sente Goyle grugnire nel sonno. Finché non arriva ai letti del settimo anno e s’infila in quello di suo fratello, nascondendogli il viso nell’incavo della spalla.
Lui sente l’odore dei suoi capelli – shampoo alla violetta e polvere di caffè – e sorride, prima di scuotere via il sonno come se fosse qualcosa di inutilizzabile, di superfluo: sono nati così, uno dopo l’altro, con Daphne per seconda che già pigolava la mancanza del proprio gemello.
Si sono spartiti il carattere: dolcezza, lei, inflessibilità lui. Si sono spartiti l’amore e, alla fine, di quei loro sentimenti spezzati nessuno dei due sa cosa farsene – Daphne ha visto i disegni che circolano sotto i banchi dei suoi compagni, ne ha sentito le risate: c’è qualcuno che è artista dentro, a Hogwarts, non si sa chi sia. Ma, da un mese a questa parte, disegni inchiostrati che ritraggono Daphne Greengrass girano per tutta la scuola.
Inizialmente erano dei bei ritratti: il suo viso a tre quarti, il naso all’insù con una spruzzata di lentiggini, l’inchiostro che addolciva la piega scontenta della bocca. Lei si era perfino sentita lusingata che qualcuno potesse osservarla con una tale devozione.
Poi, i disegni erano cambiati – come se ne avesse offeso l’artista, erano diventati acuminati, linee durissime che le avevano squadrato cuore e mascella, rendendone i difetti così taglienti da far male. Era iniziata così.
Finché non aveva sentito le risate alle sue spalle e, quando s’era chinata per strappar dalle mani uno di quei disegni a Blaise, s’era vista spogliata fino all’anima – a cavalcioni di Blaise, prima, in braccio a Theo e a mille altri.
E, sul finire, anche sotto suo fratello che le mordicchiava il collo (una sciarpa, gialla, nascosta in un angolo della pergamena).
Lo aveva detto alla professoressa Carrow: che una Purosangue non merita di essere oggetto di scherno da parte del primo Sanguesporco che si ritrovava in mano quelle immagini. Alecto Carrow le aveva riso in faccia, i provvedimenti avevano colpito solamente i pochi Mezzosangue e Sanguesporco rimasti a Hogwarts.
Draco Malfoy aveva continuato a squadrarla con disgusto, tutti gli altri Serpeverde a ridere immaginandosela ad aprire le gambe per una manciata di Galeoni e uno o due complimenti. Era stato allora, che Daphne aveva cominciato a piangere in bagno, il viso nascosto tra le mani e il naso irritato dalla carta igienica.
Nessuno andava mai a cercarla – anche Alexandre, che pure quei disegni doveva averli visti, rideva a gran voce anche quando lo scherzo si rivolgeva contro di lui. L’aveva perfino sentito fare battute in merito: e come pensate che la faccia stare zitta, quando piange?
Astoria sembra non esserne a conoscenza e, se lo è, non è intenzionata a discuterne – rinchiusa nel suo egoismo di quindicenne, si rifiuta di contemplare qualcosa che non sia quell’amore bizzarro che provava per l’unica persona che non avrebbe dovuto guardare mai.
E, quando la vede piangere, storce il naso e non consola mai: sei sempre così drammatica, Daphne, sorridi un po’!
Daphne-bel-sorriso, sì, ma chi lo vede mai?
Suo fratello scuote il capo e le dice, giorno dopo giorno, che non sa assecondare gli scherzi: eppure, quando gli mettono davanti un disegno di Daphne inginocchiata tra le sue gambe, storce il naso come sua sorella minore e sospira.
«Di grazia, Daphne» Alexandre bussa alla porta, facendola sobbalzare. «Usciresti di lì? Già dicono che ti si può comprare per tre Galeoni, senza che tu sparisca per delle ore».
Daphne sospira, aprendo con il piede la porta del cubiculo: suo fratello la scruta, allungando una mano per sistemarle quella sciarpa gialla che le copre un merletto di lividi sul collo. Vi mettesse sopra la punta delle dita, scoprirebbero tutti che quell’impronta proviene da lui solo.
«Mi dispiace» sussurra, a capo chino. «Non volevo metterti a disagio».
Lo fa sorridere, anche lui ha quel bel sorriso che è valso metà della reputazione di sua sorella, e si china per darle un bacio all’angolo della bocca.
«Passerà» le sussurra sulle labbra. «La gente si stancherà di parlare, prima o poi, e potrai tornare alla vita di prima».
Daphne annuisce, ma ha gli occhi ancora pieni di lacrime: Alexandre lo sa, che sta pensando a quei disegni che i suoi compagni di Casa si passano a lezione, con nessuno che riesce a difenderla mai. Nemmeno Blaise, che si è preso qualche brandello del suo cuore e la sua verginità senza tenerne di conto, sembra intenzionato a dire una singola parola in suo favore.
«Alex» sussurra lei, passandogli una mano tra i capelli. «Lo sai. Hanno ragione a dire questo di me, me la sono cercata».
Se Astoria la sentisse, sbufferebbe indignata – nessuno se lo meriterebbe, Daphne, a prescindere da tutto quello che possa aver fatto di giusto o sbagliato nella vita: è sbagliato, privo di gusto e da emeriti stronzi. Ma è Alexandre quello che le sta davanti e, allora, lei lo sa – che lui si china su di lei, coprendole le labbra con le proprie, e socchiudendo gli occhi.
Daphne non glielo dice mai – che sente quel contatto, così sbagliato e innaturale, come l’unica cosa giusta che potrà mai permettersi in vita sua.
«Sì, te la sei cercata» conviene suo fratello, leccandosi le labbra. «Hai fatto di tutto, per renderti vulnerabile, e guarda cosa ne hai ricavato: però sei già migliorata, almeno adesso sai di chi puoi fidarti».
Daphne china il capo, zittendo la voce petulante di Astoria che le straccia i pensieri, e dice di sì, glielo dice dolcemente.
Ma per tutta Hogwarts gira un disegno di lei seduta a cavalcioni su suo fratello e lei ancora non lo sa: non ho niente sotto la gonna, sussurra la Daphne del disegno, vuoi vedere?
Alexandre ride, su pergamena, ha la mano sul suo collo e stringe forte.
 
***
 
Pansy e Millicent le hanno tolto il saluto.
Daphne non ha domandato perché – le ha viste ridacchiare con un foglietto e lanciare occhiate penetranti ad Alexandre e, allora, ha compreso ogni cosa.
Ricorda ancora lo sguardo di suo fratello, nel bagno di Mirtilla – le morde il labbro, sbatte la porta dicendole di rimanergli affianco1.  Lei ha obbedito e, quando suo fratello le ha messo tra le labbra una sigaretta, gliel’ha detto.
Io non ho paura.
Lui gliel’ha accesa, con la punta della bacchetta, causandole un lieve colpo di tosse mentre l’aroma di rosa selvatica si spandeva a ondate per il cortile. Io non ho paura.
E allora perché continui a tremare, quando sai che ti toccherò comunque?
«Perché penso sempre che domani smetterai» commenta Daphne, atona. «E io mi sveglierò e sarà tutto diverso e saremo solamente io e Astoria».
«Tu e Astoria contro tutti?» domanda Alexandre, alzando un sopracciglio biondo. «Molto coraggiosa, mi domando se non abbiano sbagliato a Smistarti».
Daphne sospira una nube di fumo rosato che le distende i nervi, permettendole di cancellare per un attimo i propri pensieri.
«Io e Astoria contro di te».
«Contro di me?» borbotta lui, cingendole la vita con un braccio. «Tu non esisteresti, senza di me: lo dici perché sei sola e sconvolta, ma ti passerà».
Io non ho paura, pensa Daphne mentre trema fino al midollo e anche lì dentro: io non ho paura, ma Alexandre la prende per mano e intreccia le dita, facendo ridacchiare un gruppetto di Serpeverde del sesto anno, verso cui sorride divertito.
Io non ho paura, si ripete mentre lui la trascina verso il castello, verso la prossima lezione condita da risate sul suo corpo disegnato in inchiostro sbavato.
Accettiamo quel che sappiamo di meritare, Daphne – Alexandre sorride, gli occhi verdi che dardeggiano le fiamme dell’Ardemonio – e tu ti meriti questo e molto altro.
«Certo» pigola Daphne, mettendosi a sedere nel suo posto, e sentendo un coro di risatine alle sue spalle. «Lo dico perché sono sconvolta, ma mi passerà».
Lo dice con il tono atono di una bambola – ma suo fratello sorride e, alla fine, a lei sembra andar bene così.
 
***
 
Daphne sa di un giorno che è oggi, quando i suoi compagni di Casa, durante la lezione di Babbanologia iniziano a passarsi bigliettini sotto il naso della professoressa Carrow, che ride indulgente – ragazzate, commenta mentre illustra quanto i Babbani siano creature vili e sporche, indegne, amaro il loro sangue e inutili i loro pensieri.
Sa di un giorno che è cominciato con un caffè, fortunatamente freddo, che Diane McMilligan le ha fatto cadere addosso (scusa Greengrass, sono così dispiaciuta), macchiandole la gonna (sarai anche abituata: è vero che tuo fratello ti viene dentro?).
Ha stretto i denti, non ha pianto – ma, a lezione, s’è tormentata le unghie tutto il tempo, sfrangiandole con i denti: e, quando quel bigliettino è planato davanti a lei, ha desiderato (forte, fortissimo) di potersi mettere a piangere lì, davanti a tutti, chiedendo perdono per i propri peccati e attendendo quel verdetto sicuramente ingiusto senza alcun tipo di speranza.
Non l’ha aperto: sono sempre tutti uguali, tutti dolorosamente verosimili. La ritraggono con pregi e difetti, compresa di quella piccola voglia a forma di fragola che ha su un fianco e che solamente Blaise e pochi altri conoscono.
E lei lo sa – che se non è Blaise, non è nessun altro, ma non ha nemmeno il coraggio di affrontarlo: cosa gli direbbe? Smettila?
«Aprilo, avanti» le sibila Alexandre, scocciato. «Ti stanno guardando tutti, aprilo».
Daphne obbedisce lentamente, ma quel disegno non lo vede nemmeno – ha gli occhi che grondano lacrime e nemmeno riesce a rendersene conto.
E basta, mormora qualche ragazza dalle retrovie, non lo capite che non fa più ridere?
Ma quel coro di risate, Daphne lo sente ancora – Blaise, Nott, suo fratello e chissà chi altro: non solleva il capo. Se lo facesse, un fiume di lacrime le cancellerebbe anche le ultime tracce di trucco.
«Professoressa, mi scusi» le trema la voce, quando Alecto Carrow si volta a guardarla. «Potrei andare in bagno?».
La professoressa annuisce, senza interrompersi nella propria spiegazione, consentendole di uscire dall’aula – ma, anche mentre il rumore dei suoi passi spezza le parole, lei quelle risate continua a sentirle ovunque, anche se non dovrebbe. Anche nel silenzio o nei lamenti singhiozzanti di Mirtilla Malcontenta, Daphne li sente, tutti quanti.
«Daph?» il pigolio di sua sorella Astoria rimbalza tra i muri, facendola sobbalzare. «Mi è venuta a chiamare una tua compagna… Marianne, o qualcosa del genere».
Grazie, Mary Anne, grazie.
Daphne sospira, seduta sul pavimento del bagno, la gonna con un alone di caffè congelato e lacrime che le scivolano ancora dolcemente lungo i margini del viso.
«Non eri costretta a venire» le sussurra, passandosi una mano in viso, e scoprendola colorata di nero. «Sto bene».
Astoria sbuffa, scivolando sul pavimento accanto sua sorella maggiore – Daphne si domanda, con una parte di sé, come abbia fatto sua sorella a marinare la lezione di Difesa contro le Arti Oscure ma, quando vede una merendina uscire dalla sua tasca, sorride. Tipico, pensa distrattamente, Torrone Sanguinolento.
«Certo» commenta, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ascoltami, Daphne: io lo so che anche tu sai chi è stato e lo devi dire a Piton, non può lasciare correre questa faccenda, è il Preside!».
Daphne non glielo domanda – ma ti rendi conto in  che mondo stiamo vivendo? – perché Astoria è dolce come i sentimenti inespressi e, da quando Fred Weasley ha espresso qualcosa per lei, mormora solamente parole che sanno di zucchero filato. Fred le ha insegnato la speranza, a Daphne non ne è rimasta che un surrogato. E, quando Astoria la guarda e le domanda perché non vuoi, non sa risponderle: perché dovrei rovinarmi più di quanto io già non lo sia?
«Almeno, dillo a mamma e papà» sussurra Astoria, disperata. «Chiedi se puoi finire l’anno a Beauxbatons, fai qualcosa: non puoi lasciarti scivolare via in questo modo, ti prego».
Ma Daphne scuote il capo – c’è stato un momento della sua vita in cui, la Francia, pensava che l’avrebbe odiata: adesso, che è la bella di un ballo dove nessuno la invita a ballare, la desidera con tutta sé stessa (eppure non ha il coraggio di chiederla a nessuno).
«Non me ne posso andare» sussurra, poco convinta. «Alex…».
È il momento in cui Astoria scatta in piedi, stringendo i pugni, gli occhi sottili come fessure color dell’erba.
«Ma non lo hai ancora realizzato, Daphne?» sussurra, piena di rancore. «Ti ci ha gettato Alex, in tutta questa merda».
Daphne socchiude gli occhi su una lacrima, non comprende – non finché Astoria non le bacia la fronte (il bacio di Giuda) e le dice di non pensarci più, che l’ha detto senza pensarci: vai in Infermeria, le sussurra, riposati un po’. Mangia questo, ti farà uscire sangue dal naso, Madama Chips capirà.
Daphne sospira, dando un morso alla Merendina Marinara – sa di occasioni infrante e un ricordo, polveroso e insensato, che le invade la mente come il sapore di cioccolato del torrone.
Spalanca gli occhi.
Ti ci ha gettato Alex, in tutta questa merda.
E lei rivede suo fratello seduto tra i campi di lavanda della Provenza, con un foglio di pergamena sulle ginocchia e un’amica di sua madre china sul suo capo biondo, mentre si scioglie in complimenti: Daphne era vicina abbastanza da sentirli, mentre provava a buttar giù il proprio tema sugli Antidoti Complessi per Pozioni.
Ho sempre amato disegnare, aveva detto Alex con un sorriso affascinante, è da un bel po’ che lo faccio: mi piace fare i ritratti, catturare l’essenza delle persone con qualche tratto. Maman dice che è un bel sogno, non lo è?
Lo rivede nella sua stanza, a bruciare schizzi su schizzi, sempre insoddisfatto, sempre con le mani macchiate d’inchiostro. Alex.
Va in infermeria che non si regge sulle sue gambe e non solamente per il sangue che copiosamente le cola giù dal naso – Madama Chips la fa accomodare, senza una parola, dicendole di stendersi su un lettino mentre lei andava a cercare un ricostituente e una pozione antiemorragica.
Daphne obbedisce silenziosamente, ma niente riesce a cancellarle dalla pelle quella frase, lo sguardo pieno di rancore di Astoria.
Stupida, si dice, sei una stupida.
Ti ci ha gettato Alex, in tutta questa merda.
 
***
 
Rimane in infermeria per un paio di giorni.
Quando Madama Chips le dice che può alzarsi e tornare a lezione, che il suo naso sembra reggere, Daphne le dice la verità: non ci riesco e non posso, non è che potrei rimanere qui a riposare? Mi sento stanca e – scoppia a piangere.
L’Infermiera le carezza il capo, con dolcezza, mentre le fa cenno di tornare a letto: sono una Medimaga, le dice, è il mio lavoro curare le persone. Non so come ripararti il cuore ma, se vuoi riposare, riposa pure. Daphne sorride leggermente – sa che li deve aver visti anche lei, quei disegni, magari tra le mani di un quattordicenne brufoloso finito in Infermeria per un incidente di Quidditch o chissà che altro. Sa che li avrà visti ogni singolo professore della scuola (la McGrannitt dagli occhi addolorati, Vitious costernato) e nessuno dirà mai una singola parola.
L’ha fottuta – con un disegno, nel disegno, e nel senso più letterale del termine: le ha chiuso ogni via d’uscita e, adesso che altro non le rimane che la resa, Daphne si sente soffocare come il topolino nel vicolo cieco. Pochi minuti e inizieranno a gettare il veleno per topi.
Così, dice la verità: penso di non voler vedere nessuno per un paio di giorni, poi penserò a cosa fare – i miei non mi permetteranno mai di andar via e io non ho il coraggio per scappare: pensa che potrei fingere di essere diversa, potrei fingere che non m’importi?
Madama Chips sospira, le dice di riposare, che le servirà ogni briciolo di energia che ha in corpo per finire l’anno e fuggire via: mi raccomando, Greengrass, non si lasci abbattere – l’ho vista crescere e so che è più forte di così, lo so per davvero.
E Daphne rimane in infermeria per un paio di giorni, a curare le ferite in suppurazione che le rendono il cuore ancora più amaro di quanto normalmente non sia: e lo avrà ancora, un cuore, alla fine di tutto questo o saranno solamente brandelli di ricordi?
Se si assaggiasse, assaporando il proprio sangue (ancora puro, un po’ sporcato) con la punta della lingua, lo scoprirebbe amaro e con il sapore di un giorno lontano – il fantasma della Francia che incombe, avrà il coraggio di andar via?
Al terzo giorno, Alex viene a trovarla con le mani in tasca e un sorriso ironico sul bel volto: ha qualcosa che piace, quando sorride ed è più bel sorriso di Daphne, ha qualcosa che conquista quando ride ed ha una risata più bella di quella di Astoria. Ma, quando si siede sulla sponda del letto e le prende la mano, Daphne trema fin dentro le vene dei polsi.
«Ti trovo bene» commenta, passandole il dorso della mano sulla fronte. «Febbre non ne hai più. Madama Chips che dice?».
«Domani torno» sussurra Daphne, rassegnata. «Se stanotte non avrò febbre, domani posso tornare a lezione».
Alex sorride – un ghigno di un lupo che sgocciola sangue e speranze liquide sul pavimento: Daphne si forza a sorridere di rimando, ma è un movimento così forzato e innaturale che sembra solamente poterle dividere in due il volto.
«Era anche ora» commenta, quietamente. «Oggi la McGrannitt ha chiesto che fine avessi fatto, oggi a lezione».
Daphne si tira fuori un risolino costernato e non riesce a dirle che, alla fine dei giochi, non le importa un bel niente che la McGrannitt domandi di lei in classe – lei e tutti gli altri, quando poi quei disegni continuano a girare per tutta la scuola.
Ti ci ha gettata Alex, in tutta questa merda.
«Mi dispiace» si cava via dalla bocca, facendosi sanguinare l’anima. «Cosa mi sono persa?».
Suo fratello sorride, si mette una mano in tasca, ne ricava altri disegni ripiegati e glieli porge dolcemente – Daphne sospira, senza nemmeno guardarli.
«Immaginavo» commenta, non senza una vena di rancore che sorprende anche lei. «Altri disegni: non pensavo fossi ansioso di farmeli vedere».
«Meglio io che qualcun altro» commenta Alex, quietamente. «Che ci vuoi fare, Daph? È la vita: a volte si calpesta e, altre volte, si finisce sotto un grande scarpone».
Lei prende un respiro profondo – Alex in Provenza, Alex con le mani sporche di inchiostro, Alex in primavera che passava le notti in bianco sui ritratti di famiglia, Alex che diceva. Mi è sempre piaciuto disegnare.
E ancora Astoria con lo sguardo pieno d’odio, chissà cosa avrà detto a quel Weasley della nostra famiglia, chissà da quant’è che cova tutto questo rancore.
«Lo so, Alex» risponde Daphne, passandosi una mano tra i capelli sporchi, sfibrati. «A te è sempre piaciuto disegnare, non è vero?».
Lui avvicina il viso a quello di lei, sfiorandole il naso con il proprio – sorride.
«Non so di che parli» sussurra, sulle sue labbra. «Mi stai forse accusando di qualcosa?».
Ti ci ha gettata Alex, in tutta questa merda.
Daphne stringe i denti, facendosi scappare un sibilo – suo fratello la guarda, divertito da quella scena, mentre giocherella con un braccialetto (un regalo di compleanno di Blaise) che Daphne ancora si ostina a portare al polso. A tratti di matita, Alex ha disegnato il piano per la rovina della sua gemella e, adesso che Daphne Greengrass è sola e disperata, lui ride sia di quella solitudine sia di quella disperazione.
«Lo sai benissimo, di cosa sto parlando» sussurra. «Li fai tu, quei disegni: sa nostra madre lo sapesse, lei…».
«Non ti crederebbe, come non ti credo io» risponde Alex, angelicamente. «Penserebbe che sei impazzita, Daph, a pensare che tuo fratello potrebbe mai farti una cosa del genere».
«Sei stato tu!» sussurra, mentre le lacrime iniziano a colarle lungo gli occhi. «Io lo so che sei stato tu, e te lo giuro lo dirò…».
Alex si alza, divertito. «A chi lo dirai?» domanda, quieto. «Tu non ce l’hai, un Fred Weasley disposto a proteggerti: chi vuoi che ti creda, quando su quei disegni c’è la tua faccia?».
Daphne si lascia andare in una serie di singhiozzi isterici, mentre suo fratello volta il viso e s’allontana a grandi passi.
Ti ci ha gettata Alex, in tutta questa merda.


 
Chi mi conosce sa, che se esiste un avvertimento che mi infastidisce e che veramente detesto a morte, è l'incest. Ma, come ho detto in altre intro, mi sto imponendo di distaccarmi da Bessie e provare a sperimentare.
Quindi, eccomi a presentare una storia che ho odiato a morte e che, finalmente terminata, posterò ogni tre giorni.
Spero che, nonostante i mille tw, vi sia piaciuta.
Gaia
   
 
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