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Autore: FalbaLove    09/12/2021    1 recensioni
Raccolta di One shots con protagonisti Neji e Tenten e con la partecipazione di (quasi) tutti i personaggi del mondo di Naruto.
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[Dalla Prima Storia]
-Mi manca- e non ci fu bisogno di aggiungere altro perché Tenten sapeva benissimo di chi stesse parlando. Aumentò la stretta di quell’abbraccio, quasi cercasse di colmare le braccia muscolose del terzo componente del loro Team. Anche un semplice gesto non sarebbe più stato lo stesso, non dopo la sua morte.
-Anche a me- si lasciò sfuggire sentendosi egoista a condividere il suo dolore di fronte ad una persona che tanto, troppo stava soffrendo.
-Ma io ci sono ancora, Lee, e ti prometto che non ti lascerò mai- e Rock Lee sapeva che poteva fidarsi delle parole della castana. Oramai il loro Team era stato distrutto, la morte di Neji aveva causato un buco nei loro cuori che mai si sarebbe rimarginato, ma dovevano andare avanti e provare a vivere.
Ci avrebbero tentato insieme.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga, Rock Lee, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Quella mattina Konoha si era svegliata priva dei caldi raggi del sole: grosse e spesse nubi sovrastavano il Villaggio della Foglia, cariche d’acqua e tuoni, e una pioggia incessante batteva sulla città da poco ricostruita. I poveri malcapitati, costretti ad abbandonare le loro abitazioni per iniziare un’altra giornata lavorativa, correvano perdifiato alla ricerca del riparo più vicino mentre i più fortunati si godevano il tepore delle loro case. Solo una persona spiccava in mezzo a tutto quel caos: la figura si muoveva lenta, ma sicura, noncurante delle pozzanghere che avvolgevano le sue scarpe e facendosi bastare come riparo un piccolo ombrello rosa. I suoi capelli corvini, inspiegabilmente ancora asciutti, le ricadevano ordinati sulla spalla sinistra creando un singolare contrasto con il colore dei suoi occhi. Due iridi bianchi, quasi più trasparenti dell’acqua, guardavano decisi davanti a lei mentre i suoi piedi si alternavano sicuri, quasi sapessero a memoria quale fosse la meta finale.
Poi, ad un certo punto, la figura si fermò. Si passò una mano sulla fronte perlata e lo sguardo sfuggì ad analizzare il paesaggio che la circondava. Le sue palpebre si mossero rapide mentre una espressione sorpresa si insinuò tra le sue guance rosate. La pioggia continuò a cadere incessante, sbattendo violenta sull’ombrello, e la sconosciuta si prese alcuni secondi per prendere coscienza di dove fosse, quasi sorpresa di essere già arrivata alla sua destinazione talmente era persa nei suoi pensieri. Un vento gelido si insinuò al di sotto dei suoi abiti pesanti facendola rabbrividire: superò senza fiatare una grossa cancellata e si incamminò in direzione di uno dei tanti sentieri costeggiati da un bellissimo prato verde. Il brusio della città iniziò a farsi sempre più debole e lontano mentre un clima di solennità si fece sovrano di quel luogo. Solo il frastuono delle gocce intaccò il rumore dei suoi passi: la ghiaia scricchiolò flebile sotto il suo peso. Tutto intorno a lei si fece ben presto familiare, di una familiarità malinconica, e quasi si stupì nel constatare che fosse l’unica presente in quel luogo desolato. Evidentemente quel terribile tempo aveva offuscato il dolore e la memoria di molti.
Percorse gli ultimi metri di fretta, quasi si fosse accorta solo il quel momento delle pozzanghere che avevano inzuppato il bordo dei suoi pantaloni. Poi, finalmente, la vide: leggermente isolata rispetto alle altre una piccola lapide spiccava in mezzo a tutto quel verde. Dei fiori, ancora freschi, erano ricurvi su loro stessi e provati dalle incessanti gocce che martoriavano i petali mentre solo una scritta, due semplici parole, spiccavano sul bianco granito. Era semplice, minimale, così come era il proprietario.
Hinata strinse con decisione il manico dell’ombrello tra le sue dita: quel momento della giornata, oramai diventato una abitudine, faceva ancora male come la prima volta quando calde lacrime le avevano offuscato la vista andando a bloccare la loro corsa sui suoi abiti neri. Si chinò leggermente permettendo alla pioggia di bagnarle le caviglie e al suo cappotto di strisciare sul fango. Dolcemente allungò le dita per sfiorare la targa in metallo: i suoi polpastrelli ripassarono tremanti le lettere incise.
Erano oramai passati sei mesi da quel giorno, quando Konoha capì che niente sarebbe mai stato come prima: la Grande Guerra era arrivata silente e inaspettata per molti. Sangue, lacrime e grida, questo era il poco che la Hyuga riusciva a ricordare. Ben presto le immagini di morte e distruzioni avevano iniziato a farsi sempre più offuscate e irreali nella sua mente, come se fosse stato tutto un semplice incubo, mentre la sua città natia fece i conti con la distruzione che avrebbe segnato per anni le generazioni presenti e future.
Avevano vinto, Madara era stato sconfitto, ma a che prezzo? Troppe vite erano state strappate dal mondo dei vivi mentre dei semplici ragazzini avevano per sempre perduto la loro innocenza.
Ne erano usciti vincitori? Hinata non ne era sicura. E la morte di Neji ne era la prova. Il genio degli Hyuga era stato un semplice uno che si era unito al conteggio delle vittime lasciando una ferita che mai si sarebbe rimarginata nei cuori di chi l’aveva amato. Aveva deciso di sacrificarsi, di dare la sua vita per proteggerla e per essere finalmente libero di prendere le sue decisioni. Forse il suo terribile futuro era stato segnato nello stesso istante in cui il terribile sigillo dello Hyuga era stato stampato sulla sua fronte.
Una solitaria lacrima salata si unì alle gocce dolci della pioggia. L’aveva odiata, aveva provato ad ucciderla e infine l’aveva amata come una sorella: Neji Hyuga era stata una semplice pedina per il destino beffardo. Era cresciuto con l’odio e la rabbia che gli corrodevano il cuore, un bambino che si era ritrovato in balia della cattiveria degli adulti, per poi conoscere cosa fosse l’amore. Ma era durato tutto troppo poco e la vita gli era stata strappata via troppo presto.
Le sue labbra si strinsero con forza mentre due occhi, così simili ai suoi, si delinearono nella sua mente: il ricordo del volto sanguinante brillava ancora reale nella sua mente e un senso di dolore ardeva nelle sue vene. Avrebbe mai smesso di fare così male? Avrebbe mai smesso quella frase nascosta nei meandri del suo cuore, talmente terribile che non aveva osato neanche confessare a Naruto che aveva provato a farsi carico del dolore che la dilaniava, di tormentare i suoi pensieri?
Scosse la testa con decisione e la frangetta si inzuppò con le gocce di sudore che impregnavano la sua fronte: no, non voleva che tutto ciò smettesse. Forse era la sua punizione per essere ancora nel mondo dei vivi, per appartenere ad una casata che aveva portato alla morte di troppe vite innocenti.
Ad un certo punto lo scrosciare incessante della pioggia non fu più l’unico rumore che udì: dei passi lenti, ma decisi la fecero leggermente sussultare. La ghiaia scricchiolò sotto il peso della figura appena arrivata. Hinata si chinò leggermente in un segno di rispetto di fronte alla lapide e le gocce le sfiorarono violentemente le guance unendosi alle lacrime. Lasciò che i suoi occhi si soffermassero un’ultima volta sulla bianca lapide prima di rialzarsi.
-Posso tornare più tardi- la voce della nuova venuta fu come un lampo che squarciò il cielo costringendo Hinata a ritornare nella realtà. Un leggero brivido percosse veloce la sua schiena mentre si domandò da quanto tempo non sentisse più quella voce.
-No, tranquilla- mormorò costringendo il suo sguardo a soffermarsi sulla sconosciuta. Le sue iridi percorsero veloci il corpo allenato, ma completamente zuppo di Tenten. I caratteristici panini della castana erano flosci a causa della violenza della pioggia e la sua pelle, estremamente abbronzata, sembrava ingrigita. Quando i loro occhi si specchiarono gli uni negli altri percepì un alone di dolore dipingersi in quelli marroni: sapeva bene che le sue iridi ricordavano troppo quelle del suo compagno di team scomparso.
-Stavo per andare via- concluse lasciando che gli angoli delle sue labbra si alzassero impercettibilmente in un dolce sorriso. Si incamminò mentre un vento gelido circondò le due figure.
-Hinata, aspetta- la Hyuga non fu completamente sicura di aver udito correttamente il suo nome fuoriuscire dalle labbra carnose della castana.
-Io...- nuovamente le parole furono portate via con violenza dal vento risultando solo un flebile suono per la ragazza. Hinata si fermò mentre le goccioline di pioggia ritornarono a battere forti sul suo ombrello. Le nuvole si fecero più spesse in cielo e tutto parve ancora più grigio. Udì il respiro della castana farsi più irregolare e l’indecisione nel muovere nuovamente le sue labbra. Non aveva bisogno di attivare il Byakugan o di guardarla, sapeva perfettamente che il sentimento oscuro che aleggiava nel suo cuore era presente anche in quello di Tenten. Erano unite dallo stesso dolore per la perdita della stessa persona amata, ma era stata proprio quella morte che le aveva allontanate irrimediabilmente. Qualcosa tra di loro si era rotto e quella era la prima volta che si ritrovavano entrambe sole dopo il suo funerale.
-Mi dispiace- bisbigliò a labbra strette Hinata. Perché la verità era che sapeva che Tenten la incolpava per la sua morte, ma non la biasimava: non c’era giorno in cui lei stessa non si desse la colpa per aver causato la morte di quel cugino tanto amato. E a lei andava bene così perché sapere che in un altro universo le cose sarebbero potute andare diversamente faceva sentire meglio la Maestra delle Armi: perché quel giorno Hinata aveva perso suo cugino, ma Tenten l’uomo che amava.
-Mi dispiace per tutto Tenten- continuò mentre calde lacrime iniziarono a scivolare silenziose sulle sue guance ardenti. Violenti singhiozzi iniziarono a scuotere brutalmente il suo petto. La castana non si mosse reprimendo l’istinto di avvicinarsi a quella figura con cui avrebbe condiviso i demoni per tutta la vita: perché ogni volta che incontrava il suo sguardo così simile a quello dell’uomo che aveva sempre amato si sentiva morire, perché non riusciva a non rivivere nella sua mente la scena in cui lui si era sacrificato per lei regalandole un futuro felice che a lei invece era stato strappato. Si sentiva egoista e insensibile ad accusarla per la sua morte, perché era stato lui a prendere quella decisione, ma nell’angolo più remoto della sua mente ancora si domandava se le cose non sarebbero potute andare diversamente, se un lieto fine ci sarebbe stato anche per loro in un altro universo.
Poi i singhiozzi si fecero via via sempre più flebili e il respiro di Hinata sempre più regolare. Il ricordo di un’amicizia sincera che le legava venne spazzato via con violenza dalla pioggia e il vento le avvolse con forze ricordando ad entrambe che con i se e i ma non avrebbero mai cambiato il passato. Ed era inutile che si ripetessero che domani sarebbe andata meglio perché non lo avrebbe fatto.
-Dispiace anche a me- confessò Tenten abbassando lo sguardo mortificata, insicura che queste fossero le parole più giuste da dire. Un debole sorriso andò in contrasto con gli occhi ancora lucidi di Hinata: riprese a camminare silenziosa, sicura che questa volta non sarebbe più stata fermata. Sarebbe tornata il giorno dopo e lo stesso avrebbe fatto Tenten, ma quella tomba sarebbe stata l’unica cosa che le avrebbe unite.
   
 
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