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Autore: ferao    14/12/2021    3 recensioni
Prima di diventare Lucretia Prewett, Lucretia Black era fortemente contraria al matrimonio.
Scritta per l'iniziativa "Caffè sospeso" del gruppo "L'angolo di Madama Rosmerta"
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Molly Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Qualcosa in cui sei brava

Capitolo 3




 

Il mattino dopo, per una buona mezz’ora, Lucretia fu seriamente convinta di aver immaginato l’intera serata. Certo, la sua fantasia non era mai stata così vivace, eppure… in che altra maniera si poteva spiegare la serie di eventi inconsueti che avevano avuto luogo in casa Longbottom? Aveva parlato di leggende urbane di fronte a un’intera tavolata e non solo non era stata derisa o tacitata da tutti, ma era stata addirittura incoraggiata a parlarne di più; Padre si era espresso apertamente in suo favore e con parole meno tiepide del solito — il che era tutto dire — e Madre non aveva mai fatto il benché minimo accenno ad argomenti nuziali, pur trovandosi in presenza di un uomo perfettamente adatto al ruolo di Mago Scapolo da Convertire alle Gioie del Matrimonio. 

Infine, ed era l’aspetto che più la faceva propendere per il sogno lucido, lei stessa per la prima volta si era sentita interessata a qualcuno. Molto interessata. E non nella maniera adolescenziale in cui a Hogwarts osservava i giocatori di Quidditch, o in quella meno concreta — ma assai più appassionata — in cui fantasticava sui protagonisti dei romanzi desiderando che fossero reali: per la prima volta in vita sua avrebbe davvero voluto stare in compagnia di un uomo, dialogarci, conoscerlo e farsi conoscere da lui, e magari avere anche un incontro ravvicinato con le vigorose braccia di cui era dotato. 

Scombussolata da tutte quelle nuove esperienze, Lucretia trascorse il tempo tra il risveglio e la colazione in uno stato di trasognata svagatezza, da cui fu bruscamente riscossa nel momento in cui raggiunse a tavola Melania e Callidora.

«Ah!» trillò quest’ultima, facendo cenno all’elfo domestico di versarle il tè. «Ben svegliata, mia cara! Stavamo giusto commentando il tuo comportamento di ieri sera.»

Lucretia si bloccò molto poco signorilmente a metà nell’atto di sedersi. Oh, no. Allora non era stato un sogno: la serata aveva davvero avuto luogo così come la ricordava, e ora doveva pagarne le conseguenze. 

Trattenne un sospiro e si accomodò, preparandosi alla reprimenda di Madre. Chissà se la presenza di Callidora l’avrebbe rabbonita o se, invece, le due avrebbero fatto fronte comune nell’illustrarle esattamente quanto era stata inappropriata a rispondere a Berenice Burke e straparlare di ibridi? La curiosità era quasi più forte dell’imbarazzo.

«Non mi aspettavo lo avessi in te, a essere del tutto onesta,» Callidora agitò la bacchetta e una fetta di pane iniziò a imburrarsi a mezz’aria, «e invece a quanto pare sai proprio come conquistare un mago!»

Il sorso di tè che Lucretia stava trangugiando le andò di traverso. «C-cosa?!» tossicchiò.

«Modestia a parte, la mia bambina ha sempre posseduto delle spiccate doti sociali,» gongolò Madre, girando con eleganza il cucchiaino nel proprio tè. «Solo che le riserva alle occasioni giuste.»

Callidora gettò la testa indietro e rise. Sembrava piuttosto eccitata, al contrario di Melania che appariva quietamente compiaciuta. «Oh, ho visto! Per Salazar, sembrava che la vicina Berenice fosse stata colpita da una Fattura Pungente tanto era gonfia di rabbia, nemmeno lei se lo aspettava!» 

Si rivolse a Lucretia e ammiccò. «Allora, dimmi la verità: è stata tua madre a suggerirti di fare amicizia coi piccoli Prewett per attirare l’attenzione di Ignatius? Lei giura e spergiura di no, ma a me puoi dirlo se è così.» 

«Cosa?!» 

«Dai, è proprio un trucco da donna navigata! E non lo dico in senso negativo, anzi!» 

«Cugina, te l’ho già detto: è tutta pozione del suo calderone,» ribatté Melania, una risatina nascosta nella voce. «Cretia possiede un talento naturale — ereditato dal mio lato della famiglia, ovvio.»

Callidora ridacchiò di nuovo, mentre Lucretia fissava alternamente le due streghe. Talento naturale? Stavano dicendo che… che secondo loro era stata gentile con Fabian, Gideon e Molly solo per impressionare Ignatius? Era questo che pensavano di lei?!

«Ma… ma io non…»

«Sul serio, cugina, da come mi avevi prospettato la faccenda pensavo che avremmo dovuto fare tutto noi! E invece…»  

«Invece mia figlia non ha bisogno di nessun aiuto, checché ne pensi la signora Burke.» Melania le scoccò un’occhiata traboccante orgoglio. Orgoglio. Non la guardava così da quando aveva ripetuto per la prima volta l’intero albero dei Black a memoria senza sbagliare nemmeno un nome.

Aveva sei anni.

«Me ne compiaccio. E in ogni caso ha funzionato: hai visto come era interessato Ignatius? Di certo avrà visto in lei del potenziale materno, cosa che un vedovo con figli non può non apprezzare. E quando poi la giovane Molly ha…»

Lucretia non udì il resto. Le sue orecchie si chiusero mentre la sua mente vagava lontano, focalizzata quel tanto che bastava da permetterle i meccanici movimenti di masticazione e deglutizione. Circe e Morgana. Pensavano davvero quello di lei? Poteva capire Callidora, che non la conosceva, ma che anche Madre… eppure spiegava come mai, in tutta la serata, la sua genitrice non si fosse prodigata come al solito a tessere le sue — sproporzionate — lodi come una venditrice di manici di scopa che parli dell’ultimo modello di Comet. Era stato tutto un piano, secondo loro, il suo essere educata con quei poveri bambini e salvarli dallo stesso imbarazzo cui era costantemente sottoposta lei? Ma in nome di Salazar, che altro avrebbe dovuto fare? Si chiamava essere civili! Avrebbe voluto dirlo alle due streghe, spiegarsi, scrollarsi di dosso quella sensazione umiliante — oh cielo, anche gli altri a tavola avevano pensato lo stesso? Anche Ignatius?! — e far capire una volta per tutte a quelle donne navigate che esisteva una cosa chiamata gentilezza e che non tutto aveva un secondo fine… ma sapeva che sarebbe stato inutile. Aveva più di vent’anni di esperienza in merito.

Così ingoiò la vergogna col tè e restò in silenzio, come al solito.

«…anche subito! Vero, Cretia?» 

«Mh? Prego?» 

«Oh, sempre con la testa tra le nuvole. Callidora ha proposto di fare una passeggiata al confine est della tenuta! Va’ a cambiarti, forza, metti un…» Melania agitò una mano. «Beh, fatti prestare qualcosa da Cressida, lei avrà di sicuro degli abiti comodi che puoi riadattare.»  

Non era una proposta disinteressata, Lucretia lo capì ancora prima che sua madre finisse di parlare: i Prewett erano i vicini dei Longbottom dal lato est, e una passeggiata in quei luoghi poteva significare solo che Callidora e Melania progettavano di replicare l’incontro della sera precedente. Sulle prime fu tentata di inventarsi un’indisposizione, ritirarsi nella propria stanza e rimanervi chiusa per il resto della vita, in modo da non incontrare mai più neanche per sbaglio nessuno dei commensali alla cena — Padre aveva pensato che stesse cercando di sedurre Prewett? L’idea le diede la nausea — e tuttavia… 

Tuttavia, la prospettiva di rincontrare Ignatius le causava un piacevole pizzicore alla bocca dello stomaco. In fondo il soggiorno in Galles sarebbe finito presto e le occasioni di rivederlo e parlargli sarebbero state assai limitate, quindi… perché no? Magari avrebbe potuto approfittarne per fargli capire che no, non era stata gentile coi suoi figli solo per arrivare a lui.

Sì, tutto sommato non le sarebbe dispiaciuto fare due passi.

«Vado subito,» mormorò, alzandosi in fretta per defilarsi prima di vedere l’espressione trionfante di Madre.

Camminarono per oltre un’ora prima di arrivare al confine est della tenuta, Callidora in testa, Lucretia che le teneva dietro a fatica e Melania che arrancava fermandosi ogni cinque minuti a sventolarsi il viso e riposare i piedi. Se solo avesse seguito il proprio stesso consiglio e chiesto degli indumenti adeguati a una scarpinata, sarebbero giunte alla tenuta dei Prewett molto prima.

«Ci siamo,» annunciò Callidora appena misero piede nella faggeta che segnava il confine. «Da qui inizia la proprietà. Tutto bosco di latifoglie fino alla casa, dove hanno il giardino e l’orto.» 

«Producono legna per i fabbricanti di bacchette di tutta l’isola!» A quanto pareva, Melania aveva riguadagnato la consueta energia al solo fine di ripetere a Lucretia quanto appreso dalla cugina il giorno prima. «Partridge, O’Shea, Clearwater, un sacco di artigiani si riforniscono dai Prewett!» 

Ma non gli Ollivander né altri grossi nomi dell’industria, notò Lucretia. Evidentemente Ignatius non aveva agganci politici o sociali abbastanza in alto da assicurarsi clienti migliori dei piccoli e piccolissimi fabbricanti. 

Madre parve cogliere al volo i suoi pensieri, perché aggiunse in tutta fretta: «E inoltre coltivano erbe e piante per diversi apotecari gallesi! Tutto sommato possiedono una rendita piuttosto dignitosa, più che adatta a una famigliola con uno stile di vita semplice, e poi…» 

«È ammirevole che il signor Prewett riesca a occuparsi di tutto da solo,» la interruppe. Non era chiaro chi Melania stesse cercando di convincere che Ignatius fosse un buon partito nonostante le finanze non eccelse, se Lucretia o se stessa, ma nel dubbio era meglio fermarla.

Erano ormai passate le dieci quando giunsero nei pressi dell’abitazione. Lucretia si fermò a riprendere fiato e osservare la casa in pietra viva con la sua veranda di legno, circondata da quello che doveva essere il sogno di ogni apotecario: un ampio e profumatissimo prato di erbe aromatiche, medicinali e magiche, attraversato dal vialetto d’ingresso. E proprio nel prato stava Ignatius Prewett, accosciato accanto a un cespuglio a raccogliere delle strane bacche verdi e nere. Quando udì Callidora chiamarlo, alzò la testa e si tirò in piedi con tutta calma.

«Mie signore.» Le salutò con un cenno del capo mentre si sfilava i guanti da giardiniere; Lucretia ricambiò con un sorriso, e rimase non poco delusa nel constatare che Ignatius guardava ovunque tranne che nella sua direzione.

«Chiedo venia per le mie condizioni. Se avessi saputo che sareste capitate da queste parti, mi sarei fatto trovare in abiti più consoni,» soggiunse l’uomo, alludendo alla camicia macchiata e ai pantaloni lisi che tuttavia gli donavano quasi più dei vestiti eleganti. C’era di nuovo quella vena sardonica nella sua voce, e come la sera prima Madre la lasciò scivolare via con una risatina. 

«Via, via, signor Prewett, nessun bisogno di formalità. Siamo solo di passaggio. Callidora è stata così gentile da mostrarci i vostri magnifici dintorni, ma dovremo tornare indietro presto.» 

«Sarei comunque un pessimo padrone di casa se non vi invitassi a entrare almeno per un minuto. Prego.»

Le guidò lungo il vialetto alla porta d’ingresso. L’interno della casa rispecchiava alla perfezione l’esterno, con le sue mura in pietra, i vasi di piante e fiori secchi in ogni angolo e il mobilio semplice; il salotto era molto più piccolo di quello di casa Longbottom, tuttavia non mancava di alcuna comodità: le poltrone accanto al camino erano dotate di poggiapiedi imbottiti, un tappeto dai colori caldi ricopriva il pavimento di cotto, e ciascuna delle sedie attorno al piccolo tavolo disponeva di un cuscinetto ricamato a motivi floreali. Le foto sulla mensola del camino, una grande libreria a parete e un mucchio di giochi in legno abbandonati in un angolo completavano l’arredamento.

«Accomodatevi, fate come foste a casa vostra.» Con un velocissimo colpo di bacchetta, i giochi scomparvero. 

«Dove sono i bambini, Ignatius?»

«In giro per il bosco.» Al solo sentir nominare i figli, la sua fronte si distese. «Posso offrirvi un rinfresco? Purtroppo abbiamo terminato il tè, ma ho delle tisane di melissa e menta piperita preparate giusto ieri.»

«Oh, sono ottime, garantisco io. Harfang ne consuma quantità smodate,» Callidora ammiccò. Si muoveva nella stanza come se la conoscesse a menadito: si sfilò il cappellino e lo appese all’attaccapanni dietro l’uscio, poi si affrettò verso una porta che doveva condurre alla cucina. «Non preoccuparti, vicino, ci penso io: d’altronde è colpa mia se ti ritrovi con questo incomodo.» 

«Nessun incomodo, anzi.» 

In quella, Melania tossicchiò e chiese con discrezione dove fossero i servizi; non appena fu sparita a incipriarsi il naso, Callidora entrò con passo sicuro in cucina e ne accostò la porta, tenendo giusto una fessura aperta. Non serviva essere dei geni per capire che le due l’avevano fatto apposta a defilarsi nello stesso momento, in modo da lasciare Lucretia sola con Ignatius — cosa che Madre non si era mai sognata di fare a casa loro, mai, nemmeno col più appetibile dei possibili pretendenti. Per fortuna, il mago vanificò immediatamente il loro malefico piano dirigendosi rapido in cucina, con un «Mi scusi» borbottato tra i denti.

Quando anche lui si fu dileguato, socchiudendo la porta dietro di sé, Lucretia si concesse un sospiro. Circe e Morgana. Tra il trovarsi sola in un luogo completamente sconosciuto e il fatto che il tanto anticipato incontro fosse stato quanto di più lontano da ciò che aveva immaginato, tutto ciò che provava in quel momento era uno schiacciante imbarazzo. 

Forse avrebbe davvero dovuto chiudersi in camera fino alla fine della vita. O del soggiorno, quantomeno.

Beh, dato che ormai era lì, tanto valeva che si guardasse attorno. La sua attenzione fu subito attratta dalle foto sul camino, che occhieggiarono di rimando verso di lei. La buona creanza avrebbe imposto di trattenersi dall’osservarle da vicino in assenza del padrone di casa, per non rischiare un’invasione di spazio privato; d’altra parte, non c’era nessuno a fermarla… 

Eccetto un paio di fotografie di maghi e streghe piuttosto anziani — i genitori e i suoceri di Ignatius, presumibilmente — i soggetti più rappresentati erano i piccoli Prewett, che sorridevano in almeno una mezza dozzina di cornici da diverse fasi della loro vita. L’immagine che occupava il centro della mensola ritraeva quella che doveva essere stata Euterpe Prewett: una donna minuta, sulla trentina, con lunghi capelli biondo cenere e occhi scuri e gentili. Sorrise e agitò una mano quando Lucretia si sporse a guardarla bene, e lei sentì contemporaneamente un fiotto di simpatia e una stretta dolorosa al cuore.

Così… quella era la famosa Euterpe, morta troppo giovane soltanto due anni prima. Colei che era stata la padrona di quella bella casa, che se ne era occupata dal primo all’ultimo giorno e dal primo all’ultimo dettaglio, che doveva averne scelto il mobilio e ricamato i cuscinetti sulle sedie… Una delle poltrone davanti al camino doveva essere stata la sua, il posto adatto dove riposare dopo una giornata di lavoro distendendo le gambe sul poggiapiedi, e dove leggere una storia ai bambini la sera davanti al camino acceso. I bambini… 

Circe e Morgana, quei poveri bambini. Chissà quanto dovevano aver sofferto e quanto ancora soffrivano per la sua assenza, loro e Ignatius. Callidora l’aveva definita una donna rimarchevole, deliziosa e piena di energia, e già solo a guardarla in foto Lucretia era certa che la descrizione le si addicesse perfettamente: Euterpe aveva tutta l’aria di essere stata speciale.

Con un nodo alla gola, si allontanò in fretta dal camino e raggiunse la libreria accanto alla porta della cucina, su cui si ammassavano numerosi tomi consunti. La maggior parte riguardava le piante e la loro coltivazione, poi c’erano manuali di pozioni, libri sulle proprietà dei diversi legni e prontuari di incantesimi domestici. Lucretia si stava chiedendo dove fossero i romanzi — ammesso che un tipo come Ignatius ne leggesse — quando dalla cucina le arrivò la familiare voce baritonale che parlava in tono basso, frammezzo ai rumori di tazze spostate e acqua spillata nel bollitore.

«Ho incontrato tua sorella, l’altroieri. Faceva spesa in quel di Caerleon.»

Callidora sbuffò divertita. «Charis a Caerleon? A fare la spesa? Cos’è, l’elfa di Caspar è morta? Per Salazar, pagherei galeoni per vederla alzare un dito per un…» 

«Non parlo di Charis.»

Per qualche secondo si udì solo lo scrosciare dell’acqua. «Era insieme al figlio più piccolo, che ha all’incirca la stessa età della mia Molly.» Lo scroscio si interruppe. «Spiccicato a Septimus, ma gli occhi sono proprio quelli di Cedrella.»

Lucretia drizzò le orecchie. Cedrella… aveva già sentito quel nome, molti anni prima. Era una ragazzina all’epoca, e ricordava che per un periodo c’erano stati scambi di lettere preoccupati, un via vai di parenti dalle facce cupe, suo padre che si attardava presso la dimora di questo o quello zio in interminabili riunioni di famiglia, e poi… e poi tutto era finito così com’era iniziato. Alle curiosità e richieste di spiegazioni da parte sua e di Orion, Padre e Madre avevano opposto un garbato ma deciso silenzio, e soltanto l’intuizione di suo fratello di scrivere allo zio Regulus aveva permesso loro di svelare l’arcano: una delle figlie dei prozii Arcturus e Lysandra, genitori di Callidora, era stata rimossa dall’albero genealogico per via di un matrimonio sgradito ai genitori. E se la memoria non la ingannava — in fondo erano passati secoli da quando sapeva recitare tutto l’albero — quella figlia si chiamava proprio Cedrella.

«Un ragazzino davvero sveglio. Si chiama Arthur, suppongo in omaggio a vostro padre.» Il crepitio del fuoco sotto al bollitore non impediva di udire il sorriso nella voce di Ignatius. «È un peccato che il vecchio non abbia voluto conoscerlo prima di morire. Gli sarebbe piaciuto.»

Callidora seguitava a non rispondere. Doveva essere la prima volta che Lucretia la sentiva così silenziosa così a lungo. Ignatius attese ancora per qualche secondo, infine sospirò.

«So bene che i Black sono molto attaccati a certi… valori. Ma Callidora… i tempi stanno cambiando. E non sarà oggi, non sarà domani, ma un giorno potremmo aver bisogno delle nostre famiglie. Di tutte le nostre famiglie. Sono certo che anche tu te ne renda conto.» 

Lei emise un suono molto simile a un singulto spezzato. Ci fu uno scricchiolio, seguito dal rumore di ceramica contro un tavolo. 

«Cedrella ti manda i suoi saluti,» riprese Ignatius. «Tornerà a Caerleon tra due venerdì per rinnovare la scorta di ingredienti. Devo riferirle qualcosa da parte tua?»

«Dille…» Un altro singulto, poi Callidora tirò su col naso. «Dille che stiamo tutti bene, per favore.»

Lucretia udì Ignatius fare «Mh-mh», poi un suono di passi. Realizzando di essere pericolosamente vicina alla porta, afferrò un libro a caso e con un paio di balzi raggiunse l’altro lato della stanza, mettendosi accanto alla finestra con il volume aperto nel mezzo. Fece appena in tempo ad atteggiare il volto a un’assoluta concentrazione quando Ignatius uscì dalla cucina.

«Signorina Black,» lasciò la porta aperta di qualche centimetro, come decenza imponeva. «Perdoni la mia assenza.»

«Mh?» Finse di emergere dalla lettura più intrigante del mondo e alzò la testa. «Oh, non si preoccupi, ho trovato di che intrattenermi. La sua biblioteca è molto interessante,» commentò alzando il volume.  

Ignatius sbatté le palpebre e guardò prima il libro, poi lei. «Le interessano le… modalità di produzione dei concimi di origine animale?»

Toccò a Lucretia sbattere le palpebre. Oh. Avrebbe dovuto decisamente controllare quale libro stesse prendendo per la sua piccola messinscena.

Almeno non l’aveva aperto al contrario.

«A-anche,» riuscì a dire in tono abbastanza convincente. «Ho studiato Erbologia a Hogwarts, dopotutto. Non ero una studentessa eccelsa, ma rinfrescare la memoria non fa mai male, giusto?»

Proprio come aveva fatto durante la loro primissima interazione, Prewett alzò un sopracciglio sorpreso. «Erbologia? Davvero? Credevo che alle streghe di città non interessassero certe frivolezze superflue alla vita casalinga.»

Lucretia strinse le labbra. Il sarcasmo andava benissimo, la satira contro la vita di città anche, ma non era accettabile che questi elementi concorressero a offenderla.

«Lei presume un po’ troppo facilmente, signor Prewett. Mi chiedo se lo faccia con tutti o solo con le donne.»

La frase le uscì più brusca di quanto avesse preventivato, ma sortì l’effetto giusto: il mago perse subito l’aria provocatoria e incassò leggermente la testa tra le spalle. Quando parlò di nuovo, il tono caustico aveva lasciato il posto a un umorismo assai più gentile.

«Lo faccio con tutti. Per me donne e uomini sono alla pari.» Incurvò le labbra. «Ciò va a mio merito o a mio demerito, signorina Black?» 

Lucretia dovette mordersi la lingua, perché la sua prima reazione sarebbe stata mettersi a ridere. E non solo per quell’atteggiamento impertinente che solleticava più di una corda del suo animo, ma anche per il sollievo e la gioia di constatare che, nonostante l’accoglienza fredda, Ignatius non sembrasse disdegnare la sua presenza lì. Quantomeno non aveva l’aria di ritenerla una volgare manipolatrice, come Melania e Callidora avevano insinuato.

Stava pensando a una risposta adeguata, quando l’uscio sbatté con forza e uno scalpiccio di piedi annunciò l’ingresso di uno dei bambini.

«Papà! Papà!» Molly Prewett piombò in salotto come una saetta dai capelli rossi, le mani strette al petto. «Papà, guarda cosa ho…»

Si bloccò di colpo e serrò la bocca non appena vide Lucretia. Lei, dal canto suo, dovette raddoppiare gli sforzi per non sorridere. La bambina indossava pantaloni sporchi di terra che dovevano essere appartenuti ai suoi fratelli, una maglia lurida e aveva i riccioli pieni di foglie secche, come se vi si fosse rotolata in mezzo fino a un minuto prima. Somigliava più che mai alla Cattiva Signorina, e dentro di sé Lucretia provò un immenso moto di affetto.

«Molly!» esclamò invece Prewett. «Che succede? Va tutto bene?»  

Invece di rispondere, Molly alternò lo sguardo spaurito tra lui e Lucretia, e in quello stesso momento qualcosa si agitò tra le sue mani. Ignatius se ne accorse e sbiancò.

«Oh… no, no no no no.» Si fiondò dalla figlia per accovacciarsi davanti a lei. «Quante volte ti ho detto di non portare nulla in casa se abbiamo ospiti?»

Suonava agitato più che arrabbiato, e Molly reagì incassando la testa nelle spalle come aveva fatto lui poco prima.

«Non lo sapevo,» mormorò avvampando, lo sguardo chino. «Volevo mostrarti…»

«Non è il momento, buttalo fuori.»

«Ma sta male.» Ci fu un altro guizzo tra le sue mani. «Io volevo…» 

«Molly, non è il momento. Buttalo fuori prima che…» 

«Posso vedere?»

Padre e figlia sussultarono e si volsero a guardarla con un’identica espressione sorpresa. «Oh, ehm…» Ignatius si tirò in piedi e tossicchiò. «Mi dispiace, signorina Black, mia figlia non intendeva… sa come sono i bambini, o meglio, forse no, intendo dire…» 

Sì, non c’era alcun dubbio, era oltremodo agitato — e ripensando al trattamento che gli aveva riservato la signora Burke durante la cena, si poteva capire perché. Tra una vicina di casa col passatempo di insultare i figli altrui e un’intera società in cui persino i più moderati, come Callidora, non ritenevano un uomo in grado di badare da solo ai propri figli, quel povero mago non doveva avere una vita facile. Tutto cospirava a mettere in difficoltà quelli come lui, perennemente sottoposti alla critica e al giudizio.

«Va tutto bene, signor Prewett.» Chiuse il libro e lo posò sul tavolo, poi si avvicinò a Molly. «Posso vedere cos’hai in mano, per favore?»  

Incerta, la bambina guardò il padre, il quale annuì dopo una breve esitazione. Molly allora schiuse le dita, e stavolta Lucretia non riuscì a frenare il sorriso: era una lucertolina, priva di coda, che si dibatteva cercando di sfuggire alla presa.

«L’ho trovata nel bosco.» La voce squillante e infantile con cui aveva annunciato il proprio ingresso si era ridotta a un soffio. «Volevo curarla. Padre di solito usa la magia.»

Lucretia avvertì su di sé lo sguardo di Ignatius. Probabilmente si aspettava che strillasse e fuggisse via alla vista del rettile, l’illuso.

«Hai fatto benissimo. Occuparsi degli animali feriti è sempre una cosa buona.» Tese le mani a coppa e Molly vi depositò la lucertola. Questa si agitò di nuovo e spalancò la bocca in un sibilo minaccioso che fece ridacchiare Lucretia. «In questo caso però non c’è nulla da preoccuparsi, anche se non usi la magia la coda ricrescerà da sola tra un po’ di tempo.»

«Davvero?»

Annuì. «Dobbiamo soltanto lasciare questa piccolina in pace, la natura farà il resto.» 

Tenendo la lucertola ferma, le carezzò piano la testolina per placarla. «Sai, da bambini mio fratello Orion e io passavamo l’estate dai nonni materni nel Sussex, in una tenuta molto più grande della vostra. Un giorno il Kneazle di nonna portò in casa una lucertolina proprio uguale a questa, ma Orion la prese prima che potesse mangiarsela e per tutto il mese la tenne dentro una scatola in camera nostra per accudirla. La chiamavamo Sally e fingevamo che fosse il leggendario mostro di Serpeverde pronto ad attaccare i Babbani della città vicina.» 

Ora non solo gli occhi di Ignatius erano puntati su di lei, ma anche quelli enormi e curiosi di Molly. «Nostra madre non era contenta, diceva sempre che si sarebbe liberata di Sally alla prima occasione possibile. Un giorno però sono rientrata in camera all’improvviso, e indovina cosa ho visto?»

La bambina scosse la testa. «Ho visto Madre che dava da mangiare a Sally dalle proprie mani, parlandole amabilmente. Anche lei ci si era affezionata, sebbene non volesse ammetterlo.» 

Prewett lasciò andare uno sbuffo divertito, Molly invece distese le labbra in un sorrisino timido. Neanche a farlo apposta, proprio in quell’istante Melania fece ritorno dalla sua spedizione igienica. 

«Madre, guarda!» Lucretia sollevò la lucertola con un gran sorriso. «Ti ricordi di Sally? È proprio uguale, non è vero?»

Melania si arrestò a metà di un passo, vide l’animale e i suoi si sgranarono più che mai; aprì e richiuse la bocca, come volesse dire qualcosa ma non osasse davanti ai Prewett, e soltanto l’arrivo di Callidora col vassoio delle tisane la salvò dal rimanere per sempre in quello stallo tra indignazione e buone maniere.

Il resto della visita non fu altrettanto allegro per Lucretia. Salutata Molly, le toccò assistere allo spettacolo di Madre che sfoggiava tutte le proprie doti di conversatrice per complimentare la casa, e il giardino, e chiedere a Ignatius del suo lavoro e della vita in campagna in generale, e informarlo di quante e quali differenze ci fossero con la vita londinese; ogni tanto interveniva anche Callidora, il cui buonumore tuttavia era appannato rispetto al solito. Da parte sua Ignatius si comportò da perfetto padrone di casa, ascoltando e rispondendo col massimo garbo, ma a Lucretia non sfuggì che le sue spalle erano contratte e i suoi occhi verdissimi vagavano più spesso che no verso la finestra. 

Per Salazar, era così evidente che non vedesse l’ora di tornare al lavoro… evidente per lei, almeno, perché le altre due sembravano del tutto impermeabili a quei segnali di insofferenza. La consapevolezza di arrecargli disturbo mise a disagio Lucretia, privandola di qualsiasi gioia avesse provato nel rivederlo e parlargli; non aiutò il fatto che, ogni volta che alzava lo sguardo per osservarlo, intravedesse alle sue spalle il dolce sorriso di Euterpe dalla mensola del camino.

«Non hai aperto bocca per tutto il tempo,» la rimbrottò Madre quando finalmente furono tornate al di là della faggeta, nella tenuta dei Longbottom. «Eppure ti ho dato tantissime occasioni di inserirti nella conversazione! Dove hai la testa, Cretia?»

Persa nei propri pensieri, bofonchiò una scusa generica. La breve visita le aveva schiarito le idee e mostrato i suoi sentimenti per ciò che erano: stupidaggini belle e buone. Ignatius Prewett era un padre di famiglia, un vedovo, un uomo ancora in lutto. Come le era venuto in mente di perdersi in fantasticherie per lui? Aveva già avuto una moglie e non gliene serviva un’altra, visto l’impegno che profondeva nell’occuparsi di persona di casa e prole, e qualora avesse cambiato idea ne avrebbe di certo cercata una più simile possibile alla madre dei suoi figli, o che fosse disposta a diventarlo. Ed era improbabile che potesse mai considerare lei adatta al ruolo, pure se si fosse improvvisamente trasformata in una Perfetta Strega da Sposare.

Senza dimenticare il non trascurabile dettaglio che Lucretia Black non intendeva essere altri che se stessa. Poteva imparare a ricamare per Ignatius, e a cucinare, e qualsiasi altra scemenza si ritenesse indispensabile per una donna da marito, ma prendere il posto di qualcun’altra… quello no, non l’avrebbe fatto per nessuno al mondo.

Così, nei giorni successivi, Lucretia si dedicò a rimuovere da sé ogni pensiero riguardasse Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech. Impresa semplice, in teoria: si erano incontrati solo due volte e per un tempo risibile, non avevano scambiato nemmeno cinquanta parole e la reciproca conoscenza era rimasta eufemisticamente superficiale. 

In pratica, era come cercare di non pensare a un drago dopo averlo nominato. Appena la sua mente vagava lontano dalle chiacchiere di Madre, dai sospiri di Cressida per il brufoloso Greengrass e dagli altri impegni giornalieri, finiva nel giardino profumato di casa Prewett o alla tavolata dei Longbottom; le ripresentava i capelli indomabili di Ignatius, la sua voce pungente e il suo sorriso buono, il modo in cui si illuminava in presenza dei figli e il palpabile affetto che provava per loro; talvolta i suoi pensieri si soffermavano proprio sui piccoli Prewett, così interessanti ciascuno a modo proprio: le sarebbe tanto piaciuto parlare ancora di mostri con Fabian, riascoltare le parole irriverenti di Gideon e, soprattutto, rivedere Molly e scoprire cosa celava quel suo scudo di timidezza.

Non era ai bambini, comunque, che Lucretia stava pensando quella sera. Sdraiata nel suo letto, aveva terminato il più frustrante di tutti i romanzi della saga dell’Auror Smith — sembrava che l’eroe fosse finalmente sul punto di dichiararsi alla bella Auror Wesson e coronare il suo sogno d’amore, ma una nuova minaccia senza nome li aveva costretti fuori dal Quartier Generale e il tutto si era concluso con un “Continua…” che le aveva quasi fatto lanciare il libro dalla finestra — e si era poi persa in una delle involontarie fantasie che ormai, dopo quattro giorni di tentativi infruttuosi, non provava nemmeno più ad arginare, sperando che immaginarsi tra le braccia vigorose di un certo mago le conciliasse il sonno. L’indomani avrebbero preso i bagagli e sarebbero ripartiti via Passaporta alla volta di Londra, per il supremo scorno di Melania; poiché Callidora non era riuscita né a convincere Harfang a invitare i Prewett a cena, né a ripetere l’escursione verso il confine est — non senza dover accontentare anche Cressida e la sua assurda pretesa di visitare i Greengrass — Madre aveva insistito allo sfinimento affinché Padre rimandasse la loro partenza o quantomeno concedesse a lei e Lucretia di restare, ma lui non poteva rimandare oltre i propri affari e sarebbe inappropriato se mia moglie e mia figlia si trovassero altrove senza una valida giustificazione

Melania aveva obiettato che accasare la propria figlia più che nubile era una validissima giustificazione, al che Arcturus le aveva rivolto un’occhiata così fredda e penetrante che la strega non aveva più osato ribattere, e la partenza era stata fissata. E ora il suo tempo lì era agli sgoccioli.

Lucretia sospirò e si girò su un fianco. La tenda semiaperta lasciava filtrare la luce della luna piena; immaginò la campagna fuori, illuminata quasi a giorno, e fu assalita dalla malinconia al pensiero che di lì a poche ore avrebbe lasciato quel luogo e chissà quando, o se, vi sarebbe ritornata. Si era trovata così bene lì, nonostante qualche inciampo, e non soltanto per tutta la faccenda di Prewett: il Galles era più quieto di Londra e allo stesso tempo molto più allegro, e sebbene una come lei fosse un Plimpi fuor d’acqua sempre e dovunque, l’assenza di certe formalità tra i Purosangue di campagna aveva almeno il pregio di farla sentire un po’ più rilassata rispetto a quando si trovava a casa.

Sì, le sarebbe mancato quel posto. Il posto, la gente, la pace… e lui, ovviamente.

Si rigirò ancora e ancora in quel letto troppo comodo, infine rinunciò a trovare il sonno. La realtà della partenza imminente le smuoveva ondate di agitazione nello stomaco e solo una passeggiata avrebbe potuto placarla. Indossò gli abiti che aveva preparato per l’indomani, mise le scarpe da passeggio e prese la bacchetta; sapeva che le protezioni imposte di notte sulla casa le avrebbero permesso l’uscita e l’entrata in qualsiasi momento, e contava di stare fuori al massimo per un’ora, perciò non si disturbò nemmeno ad avvisare gli elfi o scendere fino all’ingresso: pensò intensamente alla pacifica radura in cui Cressida l’aveva portata due giorni prima e, pregustando la camminata al chiaro di luna che l’attendeva, si Smaterializzò dal bel mezzo della sua stanza.

Per ritrovarsi, sconcertata, davanti a un Ignatius Prewett ancora più sconcertato.









Note:

Mi dispiace non aver aggiornato prima, ma in questi giorni sono stata presa dalla follia natalizia e ho iniziato a pubblicare una serie di fanfiction a tema (che trovate qui).
Un paio di informazioni su questo capitolo: il dialogo tra Ignatius e Callidora è ispirato direttamente all'albero genealogico dei Black. In esso Callidora, figlia di Arcturus Black e Lysandra Yaxley, ha due sorelle: Charis, sposata a Caspar Crouch (nessuna informazione in merito alla parentela con Bartemius Crouch sr. e jr.), e Cedrella, rimossa dall'albero per aver sposato Septimus Weasley. Costei è proprio la mamma di Arthur Weasley, che in questo capitolo compare indirettamente ma fa comunque la sua bella figura, a mio non proprio modesto avviso.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Con ogni probabilità ci rivedremo dopo le feste (a meno che non riesca a compiere un miracolo, ma non ci conterei troppo), perciò... buone feste! :D


 

 

   
 
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