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Autore: Schwarzfreiheit    03/09/2009    2 recensioni
Non sono brava con i colpi di scena, quindi non ce ne saranno. E' una storia. Dolce, triste, dolorosa. Una storia in cui i protagonisti dovranno crescere, maturare, scoprendo che non sempre è facile, che può essere doloroso, che può fare male. Male da piangere.Che dovranno prendere delle decisioni che, inevitabilmente, coinvolgeranno anche altri. Ma impareranno anche che si può imparare a sorridere di nuovo, anche attraverso alle lacrime che bruciano il viso.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 16 E' BREVE, LO SO, ME NE RENDO CONTO, MA QUESTO E'... RINGRAZIO CHI STA SEGUENDO QUESTA STORIA MA, ADESSO NON SAPREI COSA DIRVI... LA MALATTIA MENTALE HA PRESO IL SOPRAVVENTO E RILEGGERE QUESTO CAPITOLO PER POSTARLO E' STATO UN PO'...  DOLOROSO ...  A PRESTO ...


… Tom si chiese da quanto tempo la ragazza non toccasse cibo e soprattutto, cercò di ricordare quanto tempo fosse passato dall’ ultima volta che l’ aveva vista piangere …
Non lo ricordò.
Anche la sua mente non era al massimo della lucidità.
Averla rivista, la sera prima, solo di sfuggita, mentre si recava a casa di sua madre per la solita cena settimanale assieme a Georg Gustav e Diane, lo aveva spiazzato.
Erano passati quattro anni e troppe cose lo legavano a quella figuretta smunta e pallida che stava ferma accanto a sua nonna, gli occhi bassi, l’ espressione spenta sul viso incredibilmente magro e pallido che creava un insopportabile contrasto con gli insolitamente lunghi capelli corvini che la ricoprivano fino a metà schiena come un oscuro sudario.
Era rimasto immobile, indeciso se scendere o meno dalla macchina di Georg, insicuro di sé, della sua capacità di affrontare quel fantasma che sembrava essere riapparso dal nulla al solo scopo di tormentarlo, con quella valanga di ricordi legati ad ogni minimo particolare del suo corpo che lui stava osservando, travolgendolo impietosa.
Quel profilo dolce, il collo esile, le mani piccole ma dalle dita affusolate, la pelle chiara …
E quegli occhi blu che lui ricordava perfettamente in ogni minima sfumatura.
-  … Non può essere lei … E’ in Italia, non può essere tornata … Nic … Nicola perché sei tornata? …  -.
Si chiese disperato Tom.
Vederla lo stava dilaniando dentro, riportando in superficie sentimenti che credeva di aver dimenticato.
In quegli anni in cui erano sfumati nel dolore della solitudine, aveva quasi creduto di non averli nemmeno mai provati, e adesso …
Adesso erano lì davanti a lui ed avevano un viso, pallido e chino, avevano un corpo esile eppure dolce come ricordava, avevano delle labbra morbide come lui sapeva essere seppure le avesse sfiorate una sola volta, avevano due occhi luminosi che adesso non lo guardavano, avevano un nome dolce che non sfiorava le sue labbra da così tanto tempo … Nicola …
-  …  Fa male Nic … Fa male e io non posso sopportarlo …  -.
Lei non poteva udire quella domanda inespressa, quella preghiera struggente, ma qualcosa dovette sentirlo perché, in quel preciso istante, alzò gli occhi spenti e vuoti su di lui, solo su di lui, per una breve frazione di secondo, tornando immediatamente ad osservare quel “wilkommen” sullo zerbino davanti alla porta della casa di sua madre.
E Tom perse il filo dei suoi pensieri, rimanendo sgomento davanti al vuoto che aveva intravisto dentro quegli occhi che lui sapeva bene, essere stati pieni di sentimenti.
Rabbia, gioia, dolore, ironia, passione, tenerezza, furia … Vita.
Adesso erano vuoti.
Osservandola attentamente le parve che tutto il corpo della ragazza fosse vuoto, privo di volontà.
Un fantoccio senza anima.
Un burattino mosso da un diabolico burattinaio che traeva piacere dalla loro sofferenza tirando quei fili avvinti, stretti, attorno ai loro cuori.
Il ragazzo deglutì a fatica.
Lui non era stato il solo ad averla perduta, dopotutto, quell’ Anima.

Adesso salì sulla sua auto, rinunciando all’ idea di ricordare, dato che sembrava del tutto inutile sforzarsi.
Spense come ogni giorno il cervello per un po’ ed iniziò a fare tutti quei gesti ormai automatici : mani cacciate infondo alle tasche, alla ricerca della fottuta chiave che non trovava mai, salire in macchina, posizionare la cintura di sicurezza, mettere in moto, accelerare …
La stessa strada, percorsa ogni maledetto giorno da quattro anni …
Avrebbe potuto percorrerla ad occhi chiusi, ma seppure la tentazione a volte fosse grande, decise di non sfidare la sorte …
Per l’ ennesima volta si chiese cosa lo trattenesse, cosa lo tenesse ancora maledettamente attaccato alla vita, quando la parte migliore di sé non c’ era più …
Pensava spesso a questo, a come potesse sopravvivere giorno dopo giorno, dopo giorno, dopo giorno …
Anni che gli si erano trascinati addosso, anni vissuti per inerzia, anni privi di scopo e volontà.
Forse lo aveva fatto per sua madre …
Forse semplicemente era stato troppo vigliacco …
Adesso, con l’ immagine di Nic che faticava ad abbandonare i suoi ricordi, si chiese vigliaccamente se non l’ avesse fatto anche per lei …
Se fosse stato così avrebbe dovuto provare schifo per sé stesso …
Come aveva potuto custodire quella speranza, la speranza di rivederla tornare, tornare da lui, quando la speranza aveva abbandonato suo fratello e tutti loro, anni prima? …
Viale, ghiaia che rimbalzava sui parafanghi mentre frenava, un mazzo di fiori comprato sempre alla solita, vecchia bancarella, più per abitudine che altro.
Poi quello stretto corridoio tra le lapidi che i suoi occhi non vedevano.
Non erano importanti per lui.
A volte, una piccola voce dentro di sé, gli diceva che era uno stronzo egoista, che avrebbe dovuto avere più rispetto per quel luogo, che avrebbe dovuto vergognarsi.
Ma ricacciava quella voce da dove era venuta, da un posto impreciso dentro di lui, un posto che lui non ricordava di avere.
Il suo sguardo era fisso in quel punto lontano, quello più in disparte, riparato da un grande salice piangente le cui fronde sfioravano il prato della zona più selvaggia di quel piccolo anonimo cimitero.
Osservava quella lapide ingrandirsi di più ad ogni passo e deglutì a fatica.
Spesso la notte faceva quell’ incubo …
Si ritrovava a camminare su quello stesso vialetto, si avvicinava passo dopo passo e la lapide diventava ad ogni passo più grande, in maniera innaturale.
Quando alla fine la raggiungeva, si rendeva conto che era immensa : copriva il sole, il cielo, ogni cosa intorno spariva inghiottita da quel nero lucido, l’ aria diventava fredda e pesante ed opprimeva i suoi polmoni …
Un terremoto improvviso squassava la terra e la lapide crollava schiacciandolo inesorabilmente …
Si risvegliava di soprassalto, un urlo di puro terrore stretto nella gola, sudato e tremante, ed ogni volta si accorgeva che, a schiacciarlo a terra, a togliergli il respiro, non era quella lapide ma la morte di Bill.
Era la semplice consapevolezza che non avrebbe mai più sentito la sua voce melodiosa e la sua risata cristallina, che non lo avrebbe rivisto mai più.
E in quelle notti, desiderando ardentemente la morte, la fine di quel dolore straziante che lo lacerava, ripeteva un gesto che era stato del suo gemello.
Prendeva fiato, premeva il viso contro il cuscino ed iniziava ad urlare, più forte che poteva, sentendo la gola in fiamme, sentendosi il cuore in frantumi, l’ anima spezzata ed ormai incompleta, e desiderando con tutto sé stesso di poterseli strappare dal petto.
Entrambi.
Le lacrime inondavano la federa candida e la voce diventava roca, e lui rimaneva stremato, inerme prostrato ai piedi di quel dolore che stringeva, stringeva forte le sue viscere in una morsa gelida che gli procurava dei continui conati di vomito, con gli occhi chiusi ed una preghiera chiusa in fondo alla gola …
O forse era una bestemmia …
In ogni caso non raggiungeva mai le sue labbra.
Ogni notte, con la testa che gli scoppiava, allungava la mano al buio fino ad incontrare quelle piccole pillole che gli avrebbero permesso di riposare e si addormentava sfinito, pensando che da quel maledetto giorno, lui aveva perso non solo suo fratello, ma la sua metà perfetta, la sua anima gemella, il suo amico e confidente, l’ unica persona che lo accettasse sempre e comunque, nonostante i suoi infiniti difetti …
Aveva perso la sua ragione di vita.
Quell’ incubo, quelle notti, la feroce consapevolezza della stanza vuota accanto alla sua che lo assaliva con freddi artigli di ghiaccio tagliente, lo stavano facendo impazzire …

Tornò al presente.
Era arrivato di fronte alla lapide e questa non era enorme, era sempre la stessa : nera, di vetro spesso e, come sempre, vi si sedette di fronte a gambe incrociate, lo sguardo fisso sull’ immagine che gli sorrideva serena.
Non gli importava se c’ era il sole o piovesse, non gli importava se poi i sedili della sua macchina erano uno schifo, non gli importava se la gente lo credeva pazzo.
Lui, ogni giorno, si sedeva esattamente come si era seduto migliaia di volte nella loro camera, sul letto di Bill che era diventato il loro posto preferito dove parlare, confidarsi e chiacchierare, di fronte a suo fratello, sin da quando erano bambini.
Lo fece anche quel giorno.
Posò i fiori in modo che non coprissero l’ immagine di Bill, si sedette incrociando le lunghe gambe e, proprio come quando erano bambini, iniziò a raccontargli quello che gli era successo in quelle ultime ventidue ore lontano da lui : da quello che aveva sognato la notte precedente all’ aver notato una nuova pianta nella bancarella davanti al cimitero.
Sorrise ripensando a quando aveva davanti Bill, vivo, con quel ciuffo ribelle sugli occhi, i capelli cortissimi sulla nuca, che sbuffando a metà tra lo spazientito ed il divertito, lo apostrofava :

… <<  Sai Tomi ? Non c’è alcun bisogno che tu mi descriva che faccia aveva la prof di lettere.
C’ ero anche io in classe, se non lo hai dimenticato … >>.
A quel punto, in genere, il ragazzino biondo si zittiva, metteva un po’ di broncio.
<<  Già, è vero … Allora ti lascio in pace e me ne vado nel mio letto … >>.
E allora, Bill lo afferrava per un braccio, lo trascinava sul letto assieme a lui e incominciava a pizzicarlo e a fargli il solletico, chiedendogli di restare con una tenera espressione da cucciolo mortificato.
<<  E’ vero che ero lì, ma mi fai morire dal ridere quando lo racconti … Nessuno imita la professoressa meglio di te ! >>.
E finivano, puntualmente, a rotolarsi dalle risate.
Più di una volta caddero dal letto, facendo un casino infernale e costringendo la povera Simone ad accorrere nella stanza per accertarsi che, anche per quella volta, nessuno di quei due terribili piccoli uragani che erano i suoi figli, si fosse rotto qualcosa.
E lui, Tom, per fare ridere la madre e non farli sgridare, si esibiva in quella sua perfetta imitazione, causa delle risate e della successiva caduta dal letto e la serata finiva sempre in maniera piacevole, con la madre che, dopo averli baciati entrambi con un‘ espressione orgogliosa trattenuta a stento in fondo ai suoi occhi di mamma, dava loro la buonanotte e sbuffava alzando gli occhi al cielo sorridendo a Gordon che li osservava fiero e sornione sulla soglia della stanza …

Di ritorno da quel flashback, lo fece anche lui, adesso.
Alzò gli occhi al cielo alla ricerca di qualcosa o forse solo per ricacciare indietro quelle lacrime che erano salite ai suoi occhi e chiedevano di avere libero sfogo.
Quando si sentì più tranquillo, tornò a posare gli occhi sull’ immagine sorridente del fratello, aveva qualcosa da raccontargli oggi, qualcosa che non fossero le sue giornate vuote di lui e dei sogni che erano stati i loro
Qualcosa che non poteva tacergli.
<<  Sai ? Ieri ho rivisto Nic … E’ cambiata, non è più la ragazzina di quattro anni fa … Nessuno di noi lo è più, in effetti … Ma non vedendola per tutto questo tempo mi ha fatto uno strano effetto … E’ dimagrita tanto … Troppo … Porta i capelli neri lunghissimi a coprirle il viso quasi per intero. Veste di nero dalla testa ai piedi e parla pochissimo … Ci ha a malapena salutati, sfuggendo i nostri sguardi e … Non sorride. Non sorride mai … A dire la verità, questo me lo ha detto la mamma, lei e la nonna di Nic hanno parlato molto e credo che quella simpatica vecchina le abbia confidato tutte le sue preoccupazioni su Nic … Pare che non mangi decentemente da un sacco di tempo e che non abbia mai pianto …  Mai … Sembra assurdo … O almeno lo sembra a me … >>.
Disse Tom abbassando lo sguardo e la voce.
Certo, per lui era una cosa assurda il comportamento della ragazza, per lui, a cui sembrava di non aver fatto altro in quegli ultimi quattro anni.
Quattro anni …
Forse non erano molti ma erano sembrati eterni e forse lo erano stati.
Almeno per lui.
Adesso ne aveva ventiquattro, ma si sentiva terribilmente vecchio …
No.
Non vecchio.
Stanco.
<<  Sai?  >> .
Riprese volgendo nuovamente gli occhi a quelli identici che lo fissavano immobili eppure così …
Vivi.
<<  Venendo qui, questa mattina, stavo cercando di ricordare l’ ultima volta che la ho vista piangere, ma non mi è venuto in mente … >>.
Il ragazzo smise immediatamente di parlare e di respirare …
Il ricordo si affacciò improvvisamente  alla sua memoria, straziandolo.
Tom rivide quella scena come se l’ avesse davanti agli occhi in quello stesso istante …

… Lei stava seduta sul letto di Bill, la schiena appoggiata al muro di quella maledetta stanza bianca e asettica, dove avevano dovuto riportarlo.
Ormai sconvolto dalla polmonite, il ragazzo riusciva sempre meno a respirare da solo, aveva bisogno di quelle cure.
Non appena entrato, con passo reso incerto dalla paura e dal dolore per ciò che avrebbe visto, si rese conto che era l’ amore a regnare in quella stanza.
Bill aveva la testa appoggiata sul grembo della ragazza, e la guardava con infinito amore.
Aveva mandato a chiamare loro tre, aveva già parlato con i loro genitori, con Gordon e David … Loro aveva voluto vederli per ultimi.
Quando entrarono nella stanza e si fermarono sulla soglia, Nic alzò lo sguardo su di loro, uno sguardo sperduto, ferito, lo sguardo di chi non sapeva più come affrontare la disperazione che le attanagliava il cuore e l’ anima.
I tre ragazzi si avvicinarono quando Bill si accorse di loro e voltò il viso, fissandoli.
<<  Gustav … Georg .. Vi ringrazio per quello che avete fatto per me … Non solo avete permesso che il nostro sogno si realizzasse, ma mi siete stati Amici ed io sono orgoglioso di esserlo stato per voi, vi ho avuti sempre al mio fianco … E di questo vi sono molto grato … Vorrei che le vostre vite fossero felici, sempre …  >>.
Fece un sorriso stanco.
<<  Potete promettermelo, ragazzi ?  >>.
I due giovani erano sconvolti dal dolore e dall’ amore e dall’ ingiustizia della vita …
Gli sorrisero tra le lacrime che premevano loro agli occhi, che vi sfuggivano incontrollabili.
<<  Si Bill … Non è proprio una promessa, ma ti assicuro che ci proveremo … Davvero …  >>.
Georg.
Fu il primo ad abbracciarlo.
Lo strinse forte a sé.
<<  Ti voglio bene …  >>.
Subito dopo fu il turno di Gustav che lo abbracciò forte.
<<  Ti voglio bene …  >>.
<<  Anche io vi voglio bene …  >>.
Quella stessa frase nacque spontanea anche dalle labbra del batterista, che poco dopo, aveva raggiunto Georg pochi passi indietro, senza distogliere lo sguardo dall’ amico.
Avere avuto fra le braccia quel fragile fiore spezzato sembrava aver esaurito tutto il loro coraggio.
Bill spostò gli occhi su Tom.
La vista di quel ragazzo dall’ aria scontrosa, il cappellino calcato sugli occhi tempestosi, identico a quello che era stato da piccolo, gli strinse il cuore.
-  … Non lo vedrò mai più …  -.
Il dolore era assordante, inibiva ogni altra sensazione, rimanendo la sola cosa che lui riuscisse a percepire.
Tom.
 Bill non temeva la morte.
Era il non vivere a spaventarlo.
Era l’ idea di perderli e di perdere la possibilità di avere del tempo con loro.
<<  Tom … Tomi … Non ti avvicini nemmeno ? …  >>.
Chiese Bill, un tremito nella voce che tradiva il suo dolore.
<<  Non farmi questo, Tom … Non avercela con me, ti prego …  >>.
Nic, che non aveva spostato gli occhi da Bill per un solo istante, li alzò improvvisamente su di lui.
E lui li sentì.
Su di sé, dentro di sé, quegli occhi blu così profondi e così disperati, persi, terrorizzati.
Lo stava implorando con lo sguardo, lo stava supplicando di non farsi pregare da suo fratello, gli stava dicendo silenziosamente che quello non era il momento per il suo stupido orgoglio …
-  Orgoglio!  -.  Pensò il biondo in un impeto di rabbia.
-  Ma cosa cazzo ne sanno loro … !  -.
Sentiva la furia montargli dentro, le lacrime riempirgli gli occhi, ma le ricacciò.
<<  Avercela con te ? … Non dovrei avercela con te?!? Cristo Bill! Mi stai lasciando! Te ne stai andando senza di me, dove io non posso seguirti!  >>.
<<  E mai vorrei che tu lo facessi Tom …  >>.
Rispose il ragazzo stancamente.
<<  Tu … Tu non puoi farlo ecco!  >> Esclamò il biondo, cocciuto.
Come se dire quelle parole potesse in qualche modo renderle reali, possibili …  
<<  Io non sarò più nulla senza di Te! … Io e Te siamo una cosa sola, non mi puoi lasciare qui da solo … La notte mi porterà via …  >>.
La voce del giovane rasta si incrinò.
<<  Ma non sarai solo … Loro saranno con te, e la mamma, Gordon e papà, a modo suo…  >> Sorrise stancamente.
<< … Non sarai solo, Tom …  >>.
Tom si era avvicinato ed era caduto sulle ginocchia, accanto al letto di Bill, lo abbracciò, nascondendo il viso e la sua debolezza sul petto del fratello, lasciandosi cullare dal suo debole respiro.
<<  No, sarà peggio che essere solo … Sarò … Sarò senza di Te …  >>.
Il corpo del ragazzo era scosso da violenti singhiozzi, la voce gli tremava forte.
Bill gli posò una mano sui capelli, accecato dal dolore e dall’ amore per quel suo forte ed insieme fragile fratello, gli alzò il viso, accarezzandolo.
<<  No, Tom, tu sei tutto quello che sono io, tutto quello che mi scorre nelle vene … Non te lo dimenticare, mai … Non sarai solo, Tom … Te lo prometto … Io sarò sempre accanto a te, dentro di te, in tutto ciò che farai, in tutto ciò che sarai, in tutto ciò che diventerai … Te lo prometto, devi fidarti di me …  >>.
Voleva consolare il suo gemello e …
Sé stesso.
Sapere che qualcosa di lui sarebbe rimasto in vita attraverso suo fratello era terribilmente, dolorosamente consolante.
Tom alzò gli occhi sul viso del gemello , aveva l’ aria stanca, l’ aveva sempre avuta, ma non aveva mai smesso di lottare, lo aveva fatto anche per lui, perché sapeva che non era pronto.
Tom si sentì un egoista.
Doveva lasciarlo andare.
<<  No, Bill, non ce l’ ho con te … Perdonami per quello che ti ho detto … Ti prego …  >>.
<<  Ho già dimenticato …  >>.
Gli sorrise, un sorriso dolcissimo.
Lacrime amare e ardenti ardevano sulla pelle dei tre ragazzi che, silenti, assistevano a qualcosa di così grande, di così vero, di così intenso da non poterlo quasi sopportare.
Ma per Tom, gli occhi asciutti di suo fratello, la sua calma, furono un duro colpo.
Proprio lui che avrebbe avuto il diritto di avere paura era l’ unico a non aver versato una sola lacrima, seppure i suoi dolcissimi occhi di quel caldo nocciola ambrato fossero lucidi.
Tom era orgoglioso di lui … E lo amava.
Il cuore sembrava scoppiargli nel petto.
<<  Ti voglio bene Tomi …  >>.
<<  Ti voglio bene Billie …  >>.
Lo dissero insieme e si sorrisero il loro identico sorriso, guardandosi in quei loro identici occhi nocciola, caldi e intensi.
Bill avvicinò nuovamente il volto a quello del fratello, sfiorandogli l’ orecchio, in un sussurro solo per lui.
<<  Stalle accanto … Non lasciarla sola, ti prego …  >>.
Una preghiera.
Tom sollevò gli occhi stupiti in quelli del fratello.
Si sentì maledettamente in colpa, ebbe paura che …
Ma quello che si trovò davanti era uno sguardo sereno, un sorriso celato all‘ interno di esso, pienamente consapevole di quello che aveva detto, sincero.
Tom si alzò e si avvicinò agli altri che erano rimasti accanto al letto.
Nessuno di loro aveva il coraggio di staccare lo sguardo dal quel ragazzo inerme tra le lenzuola.

Bill voltò lo sguardo, e lo posò su Nic.
Qualcuno aveva acceso lo stereo, “Don’t Cry” avvolse quel momento con le sue note di pura struggente malinconia, ferendolo eppure, stranamente, consolandolo.
La loro canzone.
Bill allungò una mano, sfiorò con la punta delle dita l’ ennesima lacrima che era scesa dagli occhi di lei, chiedendosi come qualcosa di così fragile e delicato potesse essere la manifestazione di un sentimento così forte e intenso e grande, come quella semplice goccia d’ acqua salata, così facile da dissolvere con un semplice gesto lieve, potesse ferire e fare così male e gli sembrò assurdo, inconcepibile.
Si chiese come potesse rigarle così delicatamente la pelle bruciandola al suo passaggio e come potesse qualcosa che nemmeno gli apparteneva, straziargli l’ anima con quel dolore insopportabile …
-  Ma forse mi sbaglio  -.  Pensò tristemente il ragazzo sentendosi colpevole e vigliacco.
-  … Quella lacrima mi appartiene e pesa così tanto perché porta con sé i miei errori i miei sbagli, le mie colpe, il dolore che io ho inflitto …  -.
Strinse gli occhi forte, come quando, da bambino, non voleva rendere reale quello che non gli piaceva, sperando di farlo sparire semplicemente impedendosi di vederlo …
Non riusciva a sopportare la vista di quella innocua goccia d’ acqua che gli ricordava tutti i suoi fallimenti …
-  Non voglio vederla … Non voglio che lei pianga …  -.
E, forse solo in quel momento, si rese conto che non lo faceva per lei ma per sé stesso …
-  Egoista sino alla fine … Non riesci proprio a riscattarti …  -.
<<  … Bill …  >>.
Un sospiro.
<<  Apri gli occhi, ti prego … Ho bisogno di vederli …  >>.

Forse anche lei era un po’ egoista …
E Tom, che non voleva lasciarlo andare via, e Georg e Gustav, che non riuscivano a fargli quella semplice promessa …
Forse, alla fine, tutti loro lo erano.

Ma loro …
Loro avrebbero avuto il tempo per riscattarsi, mentre lui, lui no …
Lui aveva terminato il suo tempo.
<<  Bill … Ti prego …  >>.
Di nuovo la sua voce, la sua supplica, il suo devastante dolore così tangibile da togliergli il respiro con la sua sola presenza, il suo bisogno che rispecchiava così perfettamente il proprio … Aprì gli occhi e lo vide.
Vide il dolore, la sofferenza, la disperazione, i sogni infranti, la speranza che, combattendo anche contro l’ ineluttabilità della verità, lei aveva sempre conservato e protetto e nutrito in fondo al suo cuore, l’ incredulità, le lacrime e, al di sopra di tutto questo, vide l’ Amore …
Il suo Amore per lui …
Vide il suo sorriso dolce che le tremava sulle labbra morbide, vide il riflesso della felicità che avevano condiviso e seppe che qualcosa di buono lo aveva fatto anche lui, per lei …

E lì, in quegli occhi che riflettevano la sua sconfitta più grande ma anche la sua più importante e dolce vittoria, trovò il suo riscatto …

<<  Non piangere piccola … Ti prego, non piangere …  >>.
E, nell’ istante in cui quelle parole sfiorarono le sue labbra, fu lui a non riuscire a trattenere le lacrime.
Calde e incontrollabili nacquero dai suoi occhi accarezzandogli lentamente il viso sottile e pallido, posandosi leggere sulle sue labbra.
La strinse forte a sé, affondando il viso nel suo corpo caldo.
<<  Credimi … Domani starai meglio, te lo prometto … Fidati di me, Nicola …  >>.
Un sospiro, faticava a parlare tanto.
<<  Mi dispiace Nicola … Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto … Per quello che ti sto facendo …  >>.
Lei sorrise, quel sorriso che sapeva lui amava, bagnandolo di calde lacrime.
<<  Cucciolo … Ti dispiace di avermi fatta stare bene? Di avermi regalato la felicità, di avermi fatta sentire innamorata e amata e felice e viva? Di avermi regalato il tuo Amore? Credi che ci sia qualcosa di meglio che avrei potuto desiderare? … Non c’è, Bill … Io volevo te … E ti ho avuto … Qualsiasi sia il mio destino, non mi importa, non potrei davvero chiedere di più alla vita …  >>.
Bill, con le lacrime che ancora scendevano sul viso, la guardò negli occhi, quei meravigliosi occhi blu che lui amava.
<<  Ti amo, Nicola … Ti amo tanto … Ti amerò per sempre …  >>.

I loro respiri si fusero in uno, le loro labbra si unirono.
Le loro lingue si sfiorarono cercandosi.
Non era un bacio.
Non era un addio.
Non era un arrivederci.
Era solo l’ espressione dell’ Amore che sentivano dentro.
Erano solo Loro.

Stava finendo.
Il tempo a sua disposizione si stava esaurendo …
Bill sapeva di averlo consumato, bruciato, correndo …
Correndo per raggiungere il suo sogno, il Loro sogno, correndo per renderlo reale, correndo per cogliere ogni singolo istante e vivendolo fino in fondo …
Aveva corso ed aveva raggiunto tutto quello che desiderava …
E poi …
Aveva raggiunto lei …
Il suo tempo stava finendo, quei secondi li sentiva sfuggire via, scivolare tra le sue dita come i capelli di seta di quella ragazza, la sua ragazza, la sua Nic … Nicola …
-  … Ho vissuto … E ho avuto il suo Amore … Sono felice, solo … Ho freddo e paura …  -.

<<  Abbracciami, Nicola, per favore …. Non lasciarmi solo … Fa così … Freddo …  >>.
La voce rotta dal pianto di Bill fu una pugnalata per quei quattro cuori già messi a dura prova.
<<  Restate tutti … Vi prego …  >>.
I tre ragazzi si avvicinarono e si sistemarono attorno a lui sul letto, abbracciando il suo corpo, cercando di dargli forza e coraggio, di trasmettergli il loro calore e di fargli sentire che erano lì con lui …
Nic, il cuore gonfio d’ amore per quei ragazzi, grata fino a starne male, per la loro presenza, per il loro stesso amore nei confronti di Bill …
Strinse sul suo seno la testa del ragazzo, il respiro nei suoi capelli.
<<  … Ti amo Bill …  >>.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo viso, quel viso che l’ aveva  benedetta e maledetta insieme e che l’ avrebbe torturata  per il resto della sua vita.
<<  … Ti amo Nicola …  >>.
Bill la strinse un po’ di più a sé, assorbendo il calore del suo corpo morbido, strinse la mano a suo fratello, li accarezzò ancora una volta tutti con lo sguardo, sorrise.
<<  … Vi amo tutti …  >>.
Un sospiro.
L’ ultimo.
Bill chiuse gli occhi, per non riaprirli mai più.

Rimasero fermi così ancora per qualche minuto, poi Tom si alzò, uscì in fretta dalla stanza, corse nel parco della clinica e urlò.
Il viso rivolto al cielo, la pioggia che si confondeva alle sue lacrime, che lo bagnava inzuppandogli i vestiti.
Non c’era una preghiera in quell’ urlo, nemmeno una domanda.
Solo dolore.
Pochi istanti dopo si trovò a terra, la ghiaia che feriva le sue ginocchia, stretto tra le braccia di Nic, sentiva il suo profumo, il suo calore, la sua voce dolce che pronunciava il suo nome.
Ma soprattutto, attraverso la fitta cortina del suo dolore poteva ancora sentire il dolore della ragazza, le sue lacrime, il suo respiro affannato.
-  … Nic … Nicola …  -.
Nascose il viso sul suo collo e pianse.
Georg e Gustav stavano ai loro lati, due statue di sale, pietrificati, distrutti e sconfitti dal dolore.

Tom tornò improvvisamente alla realtà.
Il cuore gli batteva nel petto come impazzito.
L’ aria faticava ad entrare ed uscire dai polmoni.
Sudava freddo …
Erano quattro anni, quattro interminabili anni, che non pensava a quel giorno.
Non voleva ricordare il giorno in cui suo fratello, il suo gemello, gli aveva detto addio, aveva detto addio a tutti loro, aveva detto addio a Nic.
E quello era il motivo per cui non ricordava quando Nic avesse pianto l’ ultima volta …
Era stato quel giorno, con Bill stretto tra le braccia e quel <<  Ti Amo  >> lieve  che bruciava sulle labbra …
Quella era stata l’ ultima volta che Nic aveva pianto.
E improvvisamente il solo ricordo di quelle lacrime, bruciò sulla sua pelle e nel suo cuore quasi più delle proprie.
Si alzò da terra e si spolverò la ghiaia dai pantaloni, barcollando leggermente.
Quel ricordo lo aveva spiazzato, così improvviso ed inaspettato …
Non era pronto ad affrontarlo e tanto meno a sopportarlo.
Lo aveva evitato per così tanto tempo …
Riviverlo, gli aveva chiuso lo stomaco in una morsa d’ acciaio e fatto venire nausea.
Osservò ancora qualche istante l’ immagine sorridente del fratello.
<<  Ciao Bill, a domani …  >>. Disse piano.
Poi si voltò ed allontanò in silenzio, salutò distrattamente l’ anziano alla bancarella dei fiori, salì in macchina e si diresse verso casa.
   
 
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