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Autore: MadLucy    24/12/2021    1 recensioni
[Near/Mello | fem!Near | genderbend]
«Mello?» pronunciò a voce più alta.
Mello si fermò prima di uscire dalla porta. «Near.»
Riuscì a immaginare, anche senza vederle –le aveva viste tante volte– le sue mani piccole, come di burro, ricominciare a costruire. «Fai attenzione.»
Mello sorrise solo con un angolo della bocca. «Non lo faccio sempre?»
«No» rispose Near.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mello, Near | Coppie: Mello/Near
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Mello non era mai stato bravo a trovare le parole, né per se stesso, né per gli altri. Il suo atteggiamento corrispondeva più al ritrovarsi immerso in ciò che sentiva e annasparci, mandarlo giù come acqua di piscina fino a riuscire a dominarlo, a ritrovare il controllo. Eppure, si sentiva l’unica persona legittimata ad entrare nella stanza di qualcuno a lutto. Era il loro lutto, d’altronde –un lutto collettivo, ma in cui entrambi giocavano un ruolo speciale, perché quel giorno perdevano anche qualcos’altro, di vicino all’infanzia. 

«Quindi Roger te l’ha detto» esordì, in direzione della figuretta accucciata in fondo alla stanza, carponi sul proprio puzzle candido. Si componeva quella insolita stuoia sotto i piedi, con stoicismo. 

«Sì.»

Mello accartocciò la stagnola di una cioccolata nella tasca. «Come ti senti?»

Near ponderò per qualche istante. «Immagino di essere delusa» concluse, inespressivamente, come se quella delusione fosse una particella atomica e divisibile dal proprio stato emotivo. «Era il più grande detective del suo tempo. Avremmo dovuto guardare a lui come ad un modello.» 

Mello incrociò le braccia davanti al petto, come per respingere l’assalto del fallimento appena avvenuto. «Noi possiamo fare di meglio.» Ma c’era anche un filo di avidità nella sua voce –appena il brivido elettrico di una sfida.

Near trattenne un tassello tra le dita un istante in più prima di metterlo al suo posto. «È questo ciò che vuoi?» scandì attentamente. 

«È questo che deve essere» rispose Mello, con prontezza.

Near fissava il proprio puzzle, come fosse uno specchio da consultare per una visione lungimirante. «Il mondo là fuori è diverso. Siamo sempre vissuti qui, in un sistema chiuso.» E quando diceva qui, sembrava intendesse tra i confini del puzzle. 

Mello sogghignò. «Parla per te. Io sono scappato un sacco di volte.»

Non avevano ancora compiuto quindici anni.

 

Pochi minuti prima, Roger aveva detto: «Il successore di L dovrebbe essere Near, entrambi lo sappiamo» e Mello non aveva provato niente. Dove avrebbe dovuto esserci la mortificazione, c’era calma. «Anche L lo sapeva» aveva risposto, in piena padronanza delle proprie emozioni. 

«Ma ha detto una cosa diversa» proseguì Roger. «Ha detto che voleva che voi due foste insieme.»

Mello fissò la sua scrivania. Fino a pochi mesi prima, quelle parole avrebbero sancito la fine di tutto. Invece tra le braci della pira del loro mentore c’era un calore timido e strano. «Capisco.»

«Lo farai?» chiese Roger. «Rimarrai con Near?»

E quella domanda sembrava come quel giorno: riguardava tutti e riguardava loro, come se in un destino collettivo ne fosse contenuto uno più piccolo, una minuscola verità, una parentesi nell’oceano della storia. 

Mello si ascoltò parlare, come se fosse insieme due persone: il bambino di poco tempo prima, che avrebbe voluto essere da solo sul podio, e l’uomo che non era ancora, quello che riusciva a vedere attraverso al podio, verso qualcosa di oltre. «C’è troppo in gioco. Non possiamo permetterci che fallisca. Dico bene?»

Roger sorrise stanco e sollevato. «Sei cresciuto.»

Quello era uno di quei giorni in cui bisognava crescere, in cui si allungavano le ossa. 

 

Quattro anni più tardi, Mello varcò la soglia della base dell’SPK: uffici minimali, scatole di acciaio dalle pareti reticolate di schermi, un hangar che era lo scheletro echeggiante dell’efficienza americana. «Quindi questa sarebbe la nostra sede?» La sua voce aveva un’inflessione sprezzante, e Halle Lidner lo guardò con aria interrogativa. «Non va bene?»

Mello si guardò ancora intorno, con sufficienza critica. «Ci vorranno molti più giocattoli.»

 

 

***

 

«Near, Mello è tornato» annunciò Gevanni.

Near appoggiò a terra l’ultima bambola a cui aveva dipinto il volto: sulla porcellana era tracciata una N, in tintura bianca. Allineate al suo fianco, c’erano una bambola con una L e una con una K. «Fatelo entrare.»

Mello attraversò le porte automatiche. Aveva in mano un involto. «Eccoti il tuo quaderno.» Camminò con gli anfibi pesanti fino a Near. Era ancora seduta sul pavimento, come l’aveva lasciata, avvolta nel mantello di capelli diafani e selvatici come liane, rampicanti sulle spalle minute, afflosciati dal loro peso.  

«Non lo hai provato?» chiese. La voce era un po’ rauca, come se rinvenisse da una lunga malattia, o da un lunghissimo silenzio –e conservava una cantilena languida di cui l’orecchio di Mello sapeva cogliere l’ingenua ironia. «Non rientrava nel piano, o sbaglio?»

«Non mi aspettavo ti attenessi al piano alla lettera» rispose Near. 

Mello prese posto su una sedia girevole, allungando comodamente le gambe. «Ah no? E come mai, se non aveva difetti?»

Near cominciò ad erigere un labirinto di mattoncini di plastica in cui collocare i personaggi del gioco. «Ho accettato che ci sia qualcosa che non posso controllare, ma con cui tu sembri cavartela piuttosto bene.»

«Bingo.» Mello schioccò le dita, lanciando il quaderno su una scrivania. «L’ho provato. È autentico.»

Near non seguì con lo sguardo il suo atterraggio. «Rimarrà in tua custodia. Lo hai recuperato tu, d’altronde.»

Mello ghignò. «Che c’è, Near? Hai paura di vedere gli Shinigami?»

«No, sarei molto curiosa di vederli» replicò assorta. «Ma non sappiamo attualmente quali siano tutti gli effetti del contatto con il quaderno, e preferisco non farlo per poter confrontare i nostri casi.»

«Bel tentativo.» Mello scartò una tavoletta di cioccolato. «Come si è evoluta la percentuale della probabilità che il secondo Elle sia Kira?»

«Sette percento.»

Mello tossì una risata. «Non cambi mai.»

«Stavo per dire la stessa cosa» concordò Near, serafica.

«Le nostre fotografie sono già state tutte distrutte?»

Cavò un riquadro lucido dalle pieghe della propria camicia informe. «Questa era l’ultima.»

Mello la prese, la volta e inarcò le sopracciglia: sul retro una grafia ordinata aveva scritto Dear Mello. «Ti porti sempre una mia fotografia in tasca? Un po’ morboso.»

«L’hai lasciata in giro, così l’ho nascosta per te. Non dimenticare nient’altro.» Near appoggiò la bambola di L su un blocco rialzato. «Sei ancora in contatto con Matt?»

«Sì, perché?»

«Dovremo fare in modo di essere gli unici possibili custodi del quaderno, anche se uno di noi due morirà.» Dedicò all’ultima parola la stessa inflessione apatica, senza oscillazioni, delle altre. Mello si agitò sulla sedia. «Morirà? Parli sul serio?»

«Nessuno è al sicuro, siamo in prima linea e le nostre informazioni sono incomplete. Credevo lo sapessi bene.» Near posizionò le loro bambole lontane tra loro: una all’esterno, una all’interno di una casella di mattoni, simile a un pozzo in miniatura. Sotto di esse, una mappa stilizzata di Tokyo. 

Mello emise uno sbuffo di impazienza. «Siamo troppo bravi per morire.»

Near non rispose. Non sembrava stanca, ma lo stesso, in qualche modo, assopita, adulterata dalla luce che filtrava dal rosone di pietra di una cattedrale, in onore della divinità bambina e imperscrutabile dei giochi che lei e il suo mentore rappresentavano. Quella massa di capelli impossibili e streganti da elfo, che fluivano infestanti, tentacolari, tortuosi, e fra essi il viso mangiato via dagli occhi, pieni di fatalità. Era come se vedesse ogni cosa, e nessuna di queste le importasse. Più che una principessa sulla torre, una bambola di carta dentro il suo foglio, rinchiusa nella vanità autoindulgente della propria disfunzione. 

La mente brillante del più grande investigatore del loro tempo, ormai, apparteneva ad una ragazzina esangue, rachitica, rannicchiata come un uovo, troppo astratta per camminare, confitta, come un’ape nell’ambra, nella plasticità cromata della scatola nera di quella partita.

Quando la guardava, Mello avvertiva una dimenticanza, una casa vuota e chiusa da anni, e questo prevedeva, che Near potesse dimenticarsi di sé, abbandonarsi su quel pavimento nell’amnesia di se stessa, nell’evocazione spiritica di Elle senza rialzarsi mai più. Perché entrambi sapevano che nessun altro sarebbe venuto a cercarla.

«Sai cosa bisogna fare ora, vero?» domandò Near. 

Mello recuperò il quaderno che aveva lanciato e strinse gli occhi. «Non sono mica stupido. Tu, invece?»

«Il margine di improvvisazione lo rimetto a te. Io continuerò con il gioco pulito.»

«Divertiti a pulire, allora.»

Near contemplò le sue bambole. Dalla posizione privilegiata, quella di Elle sembrava osservare le altre, la rete intessuta sulla tavola da gioco. Il suo sguardo vitreo era, inesplicabilmente, di scherno. «Mello?» pronunciò a voce più alta.

Mello si fermò prima di uscire dalla porta. «Near.»

Riuscì a immaginare, anche senza vederle –le aveva viste tante volte– le sue mani piccole, come di burro, ricominciare a costruire. «Fai attenzione.»

Mello sorrise solo con un angolo della bocca. «Non lo faccio sempre?»

«No» rispose Near. 

«Allora credo proprio che non comincerò oggi» sentenziò Mello. Per qualche ragione, avrebbe voluto distruggere quell’ufficio, e forse addirittura piangere. A Near sarebbe piaciuto moltissimo. Adorava gli scoppi inavvertiti delle sue emozioni, che le confermavano le teorie su di lui. 

«Non puoi morire» osservò Near. «Altrimenti, io non potrei prendere più un aereo.»

Mello non l’aveva mai vista piangere, e nemmeno trattenere le lacrime. «Fanculo te e il tuo aereo.»

Near si accorse che aveva lasciato lì la propria fotografia, ancora. 

 

***

 

Un giorno prima dell’incontro, Mello scese nel quartier generale per guardare Tokyo immersa nella notte. 

Non farai stronzate, vero? gli aveva detto Matt. Devi vincere questa partita e devi proteggere Near. Queste cose, per certo, andavano insieme. Il suo destino, il destino del mondo, il destino di Near. 

Non è fragile quanto sembra, Mello aveva risposto a Matt. Ma la verità era che aveva paura. Near non era fragile, ma era evanescente. Era sempre stata sul ciglio del confine della realtà. Sarebbe bastato un soffio per farglielo traversare.  

Quando entrò nella stanza dalle pareti vetrate, Near era già lì. 

«Non riesci a dormire neanche tu?»

«Non ho mai dormito granché.» Near, a gambe incrociate, teneva la bambola di Kira posata davanti a sé, come un idolo votivo. «Ci conosciamo da tanti anni –da quando iniziano i miei ricordi. Un tempo eri arrabbiato con me. Poi qualcosa ti ha fatto cambiare idea.»

Lei che sembrava scolorata, senza memoria, e che gli stava dicendo di ricordarlo. 

«Non ero arrabbiato con te» ribatté Mello «ero arrabbiato con me.» Nemmeno lui sa cos’è, qualcosa. Sì, c’erano stati giorni in cui proiettava le proprie fatiche frustrate su quella bambina silenziosa e infallibile. Poi semplicemente non ci era più riuscito. L’odio era svanito. Forse, l’aver visto il suo destino fermo. La sua assenza da sé. I segni della matrice addosso a Near come sintomi di un male che sarebbe degenerato. Il modo in cui era sempre stata inerte, sospesa, disincarnata, ad un passo dalla vita vera, come se non le spettasse, a lei confinata nel castello di dadi. A quel punto gli era venuta voglia di prenderla in braccio, di considerare loro stessi un accordo, anziché due suoni distinti. Aveva provato a immaginare loro due fuori dal puzzle. 

«Facciamo come una volta» disse Near. Aveva in mano una piccola spazzola soffice. Mello la riconobbe. Tanto tempo indietro, anche allora nel buio della notte, come facessero qualcosa di male. Erano solo ragazzini, avevano perso una guida, si sentivano soli, erano soli. E avevano fatto quello che rimettevano in scena in quel momento. Mello lasciò la pistola in tasca e raccolse la spazzola. 

«Dovresti tagliarli» mormorò, mentre faceva scorrere le setole per la lunghezza prodigiosa e sinistra delle ciocche, arrotolate sul pavimento. Sul fondo non erano più folte, si sfibravano, diventavano bioccoli radi. 

Mentre Mello la pettinava, Near guardava negli occhi la bambola di Kira. «L seguiva il caso perché lo divertiva» bisbigliò a mezza voce. «Pensi che si sia divertito fino alla morte?»

Quella notte suonava tutto distorto, tutto un presagio. «Penso che non dovresti pensarci.»

Gli occhi della bambola di Kira sono come quelli di L, specchi del suo vuoto. «Non faccio altro.»

 

 

***

 

I movimenti della ventola scandivano i secondi spostando l’aria e la luce. Light scoppiò in una risata frammentata. «Quindi, ad aver allestito tutto questo ridicolo teatrino di maschere e pseudonimi… sareste voi due?! Un mafioso da due soldi e una specie di marionetta vivente?!» Il disprezzo aguzzo della sua voce non riusciva a coprire la disperazione. «Mi state dicendo che voi due vorreste chiudere il caso?!»

«Il caso è già chiuso» puntualizzò Near, lapidaria. «La polizia ha accerchiato l’edificio, ed è come se tu avessi ammesso ogni cosa. Arrenditi.»

Mello misurava con freddezza l’uomo scomposto che avevano davanti. Si chiese se negli ultimi momenti avrebbe invocato Dio, o la madre, come tutte le sue vittime. Si sarebbe preso volentieri la vita –le vite, con Matt– che Yagami gli doveva, ma aveva promesso a Near che l’arresto sarebbe filato liscio. 

Light fece un passo avanti. «Credete veramente di essere insieme qualcosa di vagamente paragonabile ad Elle?» Near non rispose. «Guardami.»

Prima che Mello potesse prevedere quel gesto, la mano di Light scattò, afferrò una ciocca dei capelli di Near sul pavimento e tirò, traendola a sé. Le puntò la pistola alla tempia, rivolto a Mello, che l’aveva subito puntata contro di lui. «Attento a quello che fai, da questo momento, Mihael Keehl. Una scelta sbagliata potrebbe chiudere il vostro, di caso.»

Near penzolò dalla sua presa senza emozione. «È una perdita di tempo» dichiarò annoiata. «Niente di più fastidioso e irrilevante di un perdente che nega la sconfitta.» E poi, inesorabile, mentre i suoi occhi si sovrapponevano ad altri, nella mente di Light: «Elle sarebbe rimasto molto deluso da questo comportamento da parte del suo antico avversario.»

«Elle è morto, e presto lo sarete anche voi due» sibilò. «Tu! Butta la pistola, accendi la ricetrasmittente e dì alla polizia di allontanarsi. Svelto!»

«Ormai è finita, Mello. Non assecondarlo» replicò Near, seccamente. «Ha dettato il buono e cattivo tempo fin troppo a lungo.»

Mello non fece nulla. Guardò Near. Di fronte alla sua fine, nel suo sguardo –gli occhi di Elle– c’era un vuoto, e Mello sapeva che era da quel vuoto che doveva difenderla, da quella malattia che la sua discendenza spirituale le aveva trasmesso, da quella consapevolezza remota, quella capacità di vedere il lato oscuro della realtà e non battere le palpebre, ma, in ultima istanza, permettere che si bruciassero.

«Yagami, lasciala andare» ordinò infine Mello, con voce salda, senza abbassare la pistola. «Fatti un favore e spara a te stesso. Non umiliarti oltre.»

A quel punto Light si voltò a guardare qualcosa, e seguendo il suo sguardo anche Mello lo vide. Lo Shinigami. Aveva un altro quaderno tra le mani, e stava scrivendo.

«Ci siamo divertiti, io e te, Light… Brutto debba finire in questo modo.»

Il volto di Yagami era quello di un altro, di un bambino scosso, subissato dall’incomprensione. «Ryuk…»

Poi, il dio della morte si rivolse a Mello.

«Tu hai usato il quaderno, ragazzo, e per chi lo fa il destino è già segnato. Però quello che voglio darti è un po’ più di tempo, perché tu e lei avete fatto un bel lavoro e mi sono divertito tanto.» La sua penna piumata si staccò dalla pagina. 

 

***

 

«Adesso è finita davvero» realizzò Mello. Nell’aria non c’era atmosfera di vittoria. Il cadavere di Yagami sotto il telo sembrava un monito tragico più che la ripartenza di una vita regolare. Quando il suo aggressore si era accasciato a terra, Near si era alzata sulle sue gambe, indifferente come prima. 

«Sei stato bravo a restare vivo» disse a Mello. Aveva le braccia allacciate al suo collo, e si stava facendo trasportare come una bambina. «Così adesso possiamo prendere l’aereo e andare a casa.»

Casa, pensò Mello, a Winchester. Si rese conto che da quel momento loro due erano Elle davvero. 

«Un salvatore non merita un bacio?» spezzò la tensione, facendo notare a Near la sua posizione remissiva. 

«Salvare?» Near inarcò un sopracciglio, dimostrando la sua consapevolezza, nonostante non avesse visto lo Shinigami. «L’ho trovato piuttosto formativo. Ha spezzato la routine.»

«Tu adori la routine» obiettò Mello «e se sei in grado di salvarti da sola, non hai più bisogno di me.»

Era un’evidente provocazione, e attese una risposta. 

Near invece divagò con il pensiero. «Quando un puzzle è terminato, lo si può sempre scomporre e rifare un’altra volta, almeno finché non si arriva al punto di ricordare la posizione dei pezzi a memoria.»

Mello scosse il capo. «In che modo questo sarebbe pertinente?»

«Kira ha composto il suo ultimo puzzle stanotte» commentò Near, con mitezza. «Noi invece distruggiamo il nostro e ricominciamo da capo.»

Mello prolungò il loro contatto visivo. C’era una cosa che lui sapeva e lei no, però –un po’ più tempo. Se lo sarebbe fatto bastare. 

Sull’aereo verso casa, la testa in grembo a Mello, Near si addormentò. 

  
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