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Autore: EleWar    25/12/2021    6 recensioni
Si fa presto a dire "E' una maledizione!" ma stavolta credo proprio che qualcosa di strano sia successo veramente. Quali altri guai pioveranno sui nostri eroi? E come se ne tireranno fuori? Ennesima avventura per gli sweepers più belli e innamorati di sempre.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Mick Angel, Miki, Ryo Saeba, Umibozu/Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Scusate il ritardo, ma visto il periodo è scontato che la RL abbia la precedenza su tutto! E infatti ne approfitto per augurarvi un Natale sereno e in salute, e che vi possa regalare attimi di pura felicità , malgrado tutto.
Buona lettura e grazie per le bellissime rec *.* vi adoro!
Eleonora

 
 
 
 
 
Ma quel bacio di sfuggita, dato quasi per finta, ebbe il potere di far vacillare il grande Ryo Saeba, il Monaco di Shinjuku, e le labbra di Kaori gli bruciarono la pelle e l’anima fino a farlo fremere.
Un potente brivido si riverberò lungo la schiena e il cuore parve balzargli nel petto.
Sgranati gli occhi per la sorpresa, rimase senza fiato con un unico pensiero in testa:
“Ancora!”
 
 
 
Cap. 15 To paradise and back
 
 
 
 
Non appena Ryo fu in grado di parlare, iniziò dicendo:
 
“Kaori, io…”
 
Ma fu bloccato dall’arrivo di Misaki che proruppe con:
 
“Ho forse interrotto qualcosa? No-o? Bene, ne sono lieta” e gli rivolse un sorriso smagliante e compiaciuto.
 
In realtà il suo arrivo era stato tempestivo e, malignamente, li aveva interrotti di proposito, qualunque cosa stessero facendo o per fare.
S’infilò nel divanetto dietro al tavolo, dove erano seduti i due sweeper, ovviamente dalla parte di Ryo e quasi gli finì addosso con l’impeto dell’entusiasmo.
 
“Allora? Vi state divertendo?” chiese gaia, mentre Kaori, ancora sottosopra a causa della sua timida audacia e degli effetti dirompenti che aveva avuto anche su di lei quel bacio furtivo, cercava di riprendersi.
 
Divertirsi era una parola grossa, pensò Kaori, ma non voleva essere scortese.
Scelse di tacere, in fondo non era così tanto sicura che la signorina Aijin desiderasse veramente conoscere il suo parere: era a Ryo che puntava, se ne sarebbe accorto anche un cieco, e chissà che proprio lei non sarebbe riuscita a sciogliere il socio e farlo tornare quello di un tempo?
Non seppe se tale prospettiva le facesse piacere oppure no.
Ma Ryo rispose per entrambi e precisò:
 
“Siamo qui per lavoro”
 
“Vero, ma nulla vi impedisce di approfittarne” ribatté la donna, per nulla scoraggiata dalla risposta laconica dell’uomo, e anzi gli rivolse uno sguardo malizioso e si strinse di più a lui.
 
Ryo, dal canto suo, era quasi arrivato al limite; una donna, una donna come Misaki, che gli si strusciava addosso, era troppo per lui!
E poi, poco prima, aveva provato un’emozione intensa e sconosciuta accanto alla sua partner che avrebbe tanto voluto approfondire, e quell’importuna della Aijin si era materializzata quasi all’improvviso.
Non poteva mandarla via, né essere maleducato con lei, in fondo era la loro cliente, colei che li aveva ingaggiati e che, in ultima analisi, li avrebbe pagati; lui era pur sempre un professionista, e abbozzò.
 
Misaki tornò alla carica, senza considerare Kaori minimanente:
 
“Senta, signor Saeba, se non ha niente in contrario, vorrei mostrale alcune cose in giro per il locale, così da avere un’idea degli spazi e del personale; vuol venire con me?” e già si era alzata tendendogli la mano.
 
Inaspettatamente Ryo si volse a guardare Kaori, come se necessitasse del suo consenso: lei annuì impercettibilmente, e solo allora l’uomo si alzò dal suo posto, ignorando discretamente la mano tesa dell’altra.
 
“Io vi aspetto qui” disse la sweeper, indecisa se lasciarsi andare alla gelosia più struggente, o frenarsi convincendosi che quello era solo lavoro.
 
Sospirò e si abbandonò sullo schienale; si augurò che il giro turistico non durasse troppo, perché era stanca di quel posto e di tutto il resto, e non vedeva l’ora di tornarsene a casa e magari dormire.
 
Non fece in tempo a perdersi in tali ragionamenti che fu subito raggiunta dai soci di Kenzo Maro: Takeshi Zumo e Hato Miwa.
 
“Ma come si fa a lasciare da sola una ragazza carina come te!?” proruppe Hato Miwa, avvicinandosi al tavolo.
 
Kaori si raddrizzò all’istante.
 
Quei due erano i famigerati soci cospiratori, e magari farsi abbordare da loro avrebbe significato scoprire qualcosa di più su di loro.
Si sforzò di sorridere a suo agio.
 
“Come vedi si fa, e molto presto!” rispose a tono Kaori, suscitando una sincera risata nei due.
 
“E anche molto simpatica!” aggiunse Takeshi.
 
Kaori si strinse nelle spalle sorridendo divertita.
Se da lontano non le erano sembrati i loschi figuri che i soprannomi lasciavano intendere, da vicino avevano tutta l’aria di essere due amiconi simpatici e divertenti; forse un po’ infantili e goliardici ma, in fondo, perché no?
Parevano anche più giovani di Kenzo, e se il sorriso gioviale di Takeshi trasformava il suo viso in qualcosa di accattivante, bizzarro ma piacevole, Hato era davvero affascinante, sicuramente l’idolo della sua scuola e di tutte le ragazze che avevano a che fare con lui.
 
Fu proprio Hato a parlare:
 
“Scusa la nostra sfacciataggine, ma davvero vederti qui da sola ci ha incuriosito. Mi presento: io sono Hato Miwa e questa sottospecie di bestia a due zampe è Takeshi Zumo, non a caso soprannominato La Mangusta”.
 
“Zitto tu” lo rimbrottò l’altro dandogli una spinta che lo fece vacillare; se Hato possedeva una speciale bellezza androgina, Takeshi era decisamente più massiccio e virile, non corpulento, quello no, ma sicuramente più ben piazzato dell’efebico Miwa: “Comunque lui è Lo sfregiato” puntualizzò con malcelata malignità.
 
Kaori pensò che avrebbe tanto voluto dirgli che già lo sapeva, ma era troppo divertente ascoltarli bisticciare e, per un attimo, dimenticò Ryo e la bella Misaki in giro per il Dirty Talk.
 
“Sì, mi chiamano lo sfregiato perché mi sono fatta questa” e con una mano scoprì la cicatrice sulla fronte “durante il campionato di motocross a Dubai, a causa di una brutta caduta: ero in prima posizione e stavo vincendo, poi purtroppo mi è scoppiata una ruota e…”
 
“Ancora con questa storia!” l’interruppe l’amico, e poi chinandosi verso Kaori e abbassando il tono della voce, le disse, facendosi schermo con la mano: “È una balla colossale, e la racconta sempre per impressionare le ragazze. In realtà se l’è fatta sbattendo la testa nella veranda di casa, mentre inseguiva un gatto che gli aveva rubato una fettina di Tonkatsu[1]” e, detto questo, scoppiò in una colossale risata.
 
“Sei sempre il solito animale!” borbottò Hato, sferrando un cazzotto alla spalla dell’amico che non si scompose.
 
Kaori, di fronte a quel teatrino, scoppiò a ridere divertita e si sentì il cuore finalmente leggero.
Forse quei due volevano veramente far fuori il loro socio, anche se il suo sesto senso le diceva di no, ma erano davvero spassosi e avevano avuto il potere di distrarla: era la prima vera risata della serata, ma, a pensarci bene, anche dopo parecchi giorni.
 
Decise che poteva fidarsi di loro e, quando l’invitarono a ballare una hit pop dance molto in voga in quel momento, accettò senza riserve: in pista c’erano altre ragazze che avevano tutta l’aria di conoscerli bene, e gli avevano fatto cenno di raggiungerle.
Sembravano far parte di una stessa comitiva, e anche loro non apparivano come le belle e pretenziose escort che punteggiavano il locale.
Probabilmente si riunivano lì solo per ballare e frequentavano i due amici senza altri fini… o forse erano anche loro in pianta stabile nel locale, altre dipendenti che offrivano un diverso tipo di svago a chi cercava ragazze allegre e briose, piuttosto che voluttuose donne di mondo… chissà?
A lei poco importava: era lì per lavoro e, come suggerito da Misaki, ne approfittava.
In ogni caso era in compagnia dei cosiddetti sospettati, e Ryo era ancora lì, dentro il locale, quindi non correva nessun tipo di pericolo.
 
Il ritmo della musica le penetrò nelle gambe e nelle braccia e cominciò a ballare a tempo, in mezzo agli altri ragazzi.
Pareva una di loro: per una sera poteva ancora essere la spensierata giovane donna di nemmeno trent’anni, che in realtà era.
Non faceva nulla di male, e poteva starci.
 
Un ballo dietro l’altro, perse il conto di quante canzoni passarono e di quanto tempo trascorse lì, in pista, con Hato e Takeshi, fino a quando un leggero indolenzimento ai piedi le ricordò che forse era il caso di smettere.
Gridando per farsi sentire dai due disse:
 
“Ragazzi, io vado!”
 
“Cosa?” urlò di rimando La Mangusta, con quel suo musetto affusolato.
 
“Ho detto che io vado!” reiterò Kaori.
 
“Vuoi già andare via?” chiese Hato facendosi più vicino per sentire meglio.
 
“Sì, si è fatto tardi” e nel dirlo cercava di guadagnare il bordo pista.
 
“Torna a trovarci!!!” le urlò una delle ragazze, e tutti si sbracciarono nel salutarla, senza smettere di ballare.
 
La sweeper si allontanò scuotendo la testa, allegra e divertita: sì, si era proprio divertita, e questo non poteva negarlo.
Almeno non aveva trascorso il tempo lì da sola a rimuginare su dove fosse andato il socio con la bella tenutaria, col rischio di farsi abbordare da uomini spiacevoli ed invadenti.
 
Si guardò intorno alla ricerca di Ryo, e non seppe dire se fu più scocciata o dispiaciuta di non poterlo avvistare.
Sospirando, si disse che sarebbe andata a cercarlo: non aveva più voglia di restare al Dirty Talk.
 
Recuperata la borsetta, iniziò a perlustrare quella parte del locale che le era sconosciuta.
Girellando qua e là, seguì una coppietta che se ne andava a braccetto seguendo un corridoio in fondo alla sala principale; ridacchiavano, e si vedeva che erano parecchio affiatati.
Non si soffermò su che tipo di coppia fosse, se ufficiale o mercenaria, d’altronde non era così bacchettona e moralista da scandalizzarsi per una cosa del genere; inoltre in quel momento era dentro un night, e il suo amato socio frequentava quel mondo; quindi niente di nuovo sotto il sole.
Comunque sia, stando dietro a quei due, che evidentemente sapevano molto bene dove andare, si ritrovò ai piedi di una scala interna, anch’essa ricoperta di moquette: il vano si apriva sulla parete e sembrava scomparire dietro un muro subito dopo la prima rampa.
Sulla parete un’insegna al neon, elegantemente forgiata in caratteri occidentali e in corsivo, recitava: “To paradise” e questo nome evocativo la diceva lunga su cosa si potesse trovare al piano di sopra.
 
Kaori salì le scale.
 
Il night vero e proprio, con tutte le sue sale, salette e privè, bar e pista da ballo, era sovrastato da un piano che sembrava in tutto e per tutto quello di un albergo stellato, elegante e raffinato; e su di un lungo corridoio si aprivano svariate porte, che davano adito ad altrettante camere.
La musica del piano di sotto giungeva smorzata, ovattata, ma lì, in compenso, era più forte il sentore quasi speziato che si respirava anche negli ambienti sottostanti.
 
Quasi in punta di piedi, per non farsi scoprire, Kaori percorse l’intero corridoio calpestando la costosa passatoia, utilissima per coprire il rumore dei suoi passi; e si congratulò con sé stessa per la scelta delle scarpe che, seppure con il tacco alto, erano comunque molto comode: affondavano un po’ nel tappeto, ma tutto sommato il passo era abbastanza agile.
Il motivo per cui non voleva farsi vedere era semplice, e cioè perché era da sola e cioè non in coppia, poiché era scontato che in un posto come quello vi si accedesse perlomeno in due; che fosse lì in incognito e in perlustrazione, non faceva alcuna differenza, anzi!
 
A mano a mano che si allontanava dall’imbocco della scala che si era lasciata alle spalle, e quindi dalla musica, riusciva a percepire i rumori all’interno delle stanze, che a volte erano inequivocabili: sospiri, gemiti, risatine maliziose e smorzate, mormorii e voci maschili, gutturali, baritonali, risate sguaiate.
Non ci voleva tanto ad immaginare cosa stesse accadendo dietro quelle porte, e alla smania di ritrovare il suo socio, si sostituì presto l’angoscia di saperlo impegnato in tali attività magari proprio con la bella Misaki.
Cercò di non immaginarsi la scena e comunque, apparentemente, in quell’ultimo periodo Ryo sembrava non apprezzare più la compagnia delle donne… ma se la signorina Aijin fosse riuscita in qualche modo a sbloccarlo?
Aveva subito notato che la tipa era irrimediabilmente attratta da lui, del resto come poteva biasimarla?
In un certo senso era fatta della stessa sostanza dello Stallone di Shinjuku: entrambi cosa avevano da spartire con una novellina come lei, così digiuna in fatto di sesso e dintorni?
Kaori si scoraggiò, ma avanzò lo stesso lungo il corridoio, con la paura di trovarseli davanti, abbracciati, mentre uscivano da una di quelle camere che promettevano il paradiso, o di riconoscerne le voci dietro la porta.
 
Allo stesso tempo l’animava un’inconfessabile curiosità su quel mondo disinibito e godereccio, che non condivideva ma che l’intrigava parecchio.
Quante volte si era domandata come sarebbe stato essere una donna di un certo tipo, navigata, usa alle avventure amorose senza pensieri e remore…
Una donna come Ryo, come lo erano state Rose Mary o Sonia: donne che prendevano ciò che volevano, e che con la stessa facilità si liberavano di ciò che non gli andava più.
Lei non si sarebbe mai cambiata con una di esse, eppure Kaori si era interrogata spesso sulla loro vita, sulla loro morale, e aveva fatto un paragone.
 
Che le donne al di là di quelle porte lo facessero per mestiere oppure no, erano comunque più disinibite di lei, che giusto quella sera stessa, non era stata capace nemmeno di dare un bacio vero al suo amore di una vita, perché proprio all’ultimo le era mancato il coraggio e si era accontentata di baciarlo accanto alla bocca, anche se ci aveva messo tutta sé stessa.
Il bacio attraverso il vetro sulla nave di Kaibara contava poi davvero, alla fine?
 
Scacciò quei pensieri contorti e velenosi che le stavano ammorbando il cervello: non era il luogo ideale per fare certi confronti.
Se si fosse lasciata sopraffare sarebbe scappata via a gambe levate, invece lei era in missione, stava lavorando, ed era lì solo per osservare e carpire informazioni, nulla di più.
 
Ad un certo punto scorse una porta socchiusa da cui proveniva una voce femminile; ma dal tono non sembrava un linguaggio amoroso o sensuale, semplicemente un semplice dialogo con un ipotetico interlocutore, anche se era fatto a bassa voce.
Riconobbe la voce di Misaki.
Aguzzò le orecchie e cercò di identificare l’eventuale voce di Ryo, ma l’uomo con cui parlava era uno sconosciuto e, apparentemente, del suo socio non c’era traccia.
La donna stava giusto dicendo:
 
“Mi sto occupando io della questione. Ho trovato il modo perfetto. Tu aspetta nuovi ordini e poi vedrai…”
 
Kaori sentì in risposta solo un basso mormorio e, anche se la sua mente di sweeper immagazzinò l’informazione, sul momento non si soffermò sul significato di quelle parole.
Sembrava comunque, a tutta prima, lo scambio di frasi fra soci in affari, qualcosa che riguardasse il lavoro… magari la stessa gestione del locale; in fondo anche lei era una socia del Dirty Talk, anche se di minoranza e con compiti diversi dagli altri.
 
Quando Kaori fu sicura che Ryo non si trovasse lì con lei, fece dietrofront e rifece la strada al contrario ma, a pochi passi dall’imbocco della scala, si aprì una porta all’improvviso e comparve Kenzo Maro, leggermente spettinato, senza giacca e con la camicia fuori dai pantaloni e sbottonata.
Istintivamente la sweeper buttò un occhio al di là del fisico possente dell’uomo e vide, semi distesa su un grande letto disfatto, una ragazza discinta, più precisamente nuda e avvolta per metà nelle lenzuola di seta.
Pareva assonnata, lo sguardo annebbiato, si passava stancamente e languidamente la mano fra i riccioli biondi scomposti.
Al centro della stanza una sorta di incensiere, più simile ad un narghilè che ad un braciere, ancora fumante, spandeva nell’aria un profumo greve e stordente, mille volte più forte di quello che aleggiava in tutto il locale.
Per un attimo a Kaori vennero in mente quelle storie sulle fumerie d’oppio dell’800, la società bohémien, l’assenzio dei circoli esclusivi francesi… e si ricordò che tutto era partito da lì, dall’oriente, e che certe abitudini non morivano mai.
 
Colse tutti questi particolari con una sola occhiata, da brava professionista qual era, e quando riportò lo sguardo su Kenzo, che si era appoggiato allo stipite con un braccio sopra la testa, si accorse che lui la stava guardando maliziosamente, in un misto di divertimento e desiderio.
Passandosi una mano sul ciuffo ribelle che gli cadeva sul viso, le chiese:
 
“Vuoi unirti a noi?” accennando all’interno della stanza con il capo.
 
Kaori sobbalzò e, fissandolo come un cervo abbagliato dai fari di una macchina, balbettando rispose:
 
“No-no, ti ringrazio” e fuggì via, lasciandosi dietro la risata divertita di Maro.
 
Si precipitò lungo le scale.
Sì, era proprio giunta al limite, non ne poteva più di quel dannato posto; si sentiva ancora addosso tutto l’odore dell’oppio, o di quello che era… le girava la testa, era stanca, voleva andare a casa.
S’imbatté in Ryo finendogli letteralmente contro: lui la bloccò per le spalle non appena gli fu addosso.
Preoccupato, la guardò interrogativamente.
 
“Oh, Ryo, finalmente ti ho trovato!” disse con voce lamentosa Kaori “Ti prego andiamo via!”
 
“Kaori, ma che succede?” le chiese allarmato.
 
“Niente, niente, è che sono stanca di questo posto”
 
Ma subito dopo si ricordò che, di solito, era lui che decideva come portare avanti i casi, e l’ultima parola spettava sempre a lui, se andare o rimanere nei posti per fare indagini, pedinamenti ecc.
Tecnicamente non era una valida scusa per interrompere il loro lavoro, ma le era venuto così, d’istinto, e si affrettò a scusarsi:
 
“Cioè…volevo dire… Abbiamo fatto qui?”
 
Ryo, rinfrancato, le scompigliò i capelli, come non faceva da giorni, e sorridendole teneramente le rispose:
 
“Sì, socia, andiamo. Per stasera abbiamo fatto tanto”
 
Si avviò verso l’uscita, ma Kaori, stupita da quel gesto affettuoso, non si mosse subito, fino a quando lui si voltò a guardarla leggermente stupito e, mostrandole il braccio, l’invitò a farsi prendere a braccetto, sorridendole.
Allora la ragazza non se lo fece ripetere due volte e, sollevata, lo raggiunse: più che felice lo prese a braccetto, contenta di uscire da lì e poter finalmente respirare l’aria fresca e pura della notte.
 
 
   
 
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