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Autore: Ashla    26/12/2021    1 recensioni
Tooru, principe di Seijoh, è un omega.
Ushijima, erede di Shiratorizawa, un alfa.
Il matrimonio, segno d’alleanza tra i due regni, è il loro destino. Ma Tooru da tempo ha un segreto.
Un segreto che sa di lavanda e baci proibiti.
Un segreto che potrebbe portarlo alla rovina.
E poi c’è lui, Koushi, un umile servitore omega, che è passato dal non avere più niente all’avere tutto quello che poteva desiderare e ora rischia di perdere tutto di nuovo.
O forse no, perché alla corte di Shiratorizawa le cose non sempre sono come sembrano.
[Questa storia partecipa all’iniziativa “Secret Santa Challenge” indetta da Mari Lace e Sia sul forum “Ferisce la penna”]
Genere: Fantasy, Generale, Omegaverse | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koushi Sugawara, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E non ho da far guerra

 
 
Ushijima, principe di Shiratorizawa, attendeva in piedi sulle scale di pieta che portavano all’ingresso della reggia, un gradino dopo la regina, l’arrivo del suo futuro consorte: Tooru di Seijoh.
Fin da quando, la precedente estate, aveva compiuto diciotto anni, sapeva che sua madre stava prendendo accordi con il re del regno vicino, uno dei regni più potenti, secondo solo a Shiratorizawa, per un’alleanza che si sarebbe stipulata con il loro matrimonio eppure, fino a quel giorno, non aveva mai realizzato del tutto cosa gli sarebbe successo.
Ormai tutto era chiaro e lui era più che pronto per obbedire al volere della madre e a prendere per consorte un completo estraneo.
Le uniche cose che sapeva del principe Tooru erano che, fin alla sua presentazione come omega, era stato istruito per diventare re e che la sua intelligenza si univa ad un’abilità militare ai limiti della perfezione, tuttavia, con il suo rivelarsi omega, era caduto in disgrazia e il padre aveva nominato erede del regno di Seijoh il bambino, all’epoca non ancora nato, della figlia beta decidendo di usare il figlio come pedina politica per rafforzare il regno di Seijoh.
Il principe Tooru era passato da essere destinato ad essere un grande re e condottiero ad essere una semplice merce di scambio per un’alleanza, o almeno questo erano quello che pensava tutta la corte di Shiratorizawa tranne Ushijima.
Per il principe dell’aquila, quel giovane uomo caduto in disgrazia era degno di attenzione; lo avrebbe accolto come suo consorte e ne avrebbe utilizzato l’intelligenza e la potenza per far brillare il suo regno.
Uno squillo di tromba lo distolse dai suoi pensieri e un piccolo corteo dai colori del regno di Seijoh entrò nel cortile a passo d’uomo.
Subito la sua attenzione fu attirata da un ragazzo dai capelli chiari, quasi argentei alla luce del sole, che, con addosso la livrea dei servitori, avanzava su un ronzino, poco dietro un giovane su uno stallone, con un’espressione tranquilla in volto.
Lo guardò fermarsi e scendere da cavallo per andare ad aiutare il suo padrone smontare dal proprio e poté giurare di aver visto un piccolo, dolce, sorriso comparigli per qualche secondo sulle labbra.
Per un attimo non seppe chi guardare tra i due.
«Già incantato Ushijima?»
Sussurrò Tendo divertito dal suo posto dietro di lui; Ushijima lo ignorò rimanendo a fissare con sguardo pacato il corteo che, smontato da cavallo, si stava avvicinando a loro mentre la regina li salutava con voce solenne.
Il ragazzo dai capelli argentati stava poco dietro il suo principe e aveva un qualcosa di nobile nella postura e nei modi che mai Ushijima avrebbe pensato di trovare in un semplice servitore.
La madre lo chiamò e lui si affrettò a raggiungerla per salutare il principe e i suoi pochi seguaci.
Da quel giorno tutto cambiò.
Per un mese ne osservò i modi pacati durante le cene, la sua natura servizievole quando lo richiamava nei corridoi e la grande fedeltà che aveva nei confronti del suo principe quando, pur sapendo che Tooru non sarebbe stato nei suoi appartamenti, vi ci si recò.
A corte si cominciava a sussurrare che il principe di Seijoh avesse una relazione segreta con la sua giovane guardia del corpo, Iwaizumi Hajime, lui però li aveva osservati a lungo mentre si allenavano insieme nel cortile secondario ed era sicuro che non ci fosse niente tra i due anche se lo stesso non riusciva a dire, con la stessa certezza, di Tooru e Koushi.
Nei due omega c’era qualcosa di diverso da qualsiasi rapporto servo-padrone che il principe dell’aquila avesse mai visto e, forse per quello, era così attratto da loro.
Quella sera, durante la festa di fidanzamento tra lui e il principe di Seijoh, Tendo gli si avvicinò con un sorrisetto sulle labbra pregandolo di seguirlo.
«Lascialo andare!»
Ushijima non aveva fatto in tempo ad entrare nella sala delle udienze che il principe Tooru, scarmigliato e con gli abiti spiegazzati, gli si era lanciato contro, con il suo solito profumo di brezza marina in tempesta.
«Liberalo ho detto! Sei un bastardo! Lui non ha fatto niente!»
«Lui?»
Lanciò un’occhiata a Tendo che fece spallucce.
«Abbiamo beccato il principe Tooru qui presente con la lingua nella bocca del suo servitore omega».
Tooru, furioso, ringhiò contro Tendo che, finito di parlare, si limitò a ridacchiare e a fare qualche passo indietro.
Ushijima squadrò il principe omega.
«Dunque è vero…»
 
***
 
La cella era umida, scura e fredda.
Koushi si rannicchiò in un angolo nascondendo la testa tra le ginocchia.
Non sapeva da quanto era lì di preciso, sapeva solo che, se fossero stati fortunati, lui si sarebbe potuto prendere tutte le colpe e Tooru, il suo splendido Tooru, avrebbe potuto sposare quel principe e vivere ancora per molto tempo anche se non con lui.
Se solo la fortuna fosse stata dalla loro parte.
Ma non lo era mai stata, perché avrebbe dovuto esserlo adesso?
Perché poi incolpare la sorte quando, alla fine, se si ritrovano a quel punto la colpa era solo sua?
Se non fosse stato così stupido da non fare ciò che andava fatto, se avesse avuto il coraggio di allontanarsi da Tooru, non sarebbe successo nulla.
Invece, per la sua pazzia, aveva rovinato tutto.
Si strinse il più possibile tremando e chiuse gli occhi, stringendoli forte, per non guardare quella piccola stanza così buia che tanto gli ricordava il suo tremendo periodo prima della luce, prima di Tooru.
Di quello che c’era stato prima della sua presentazione come omega quasi non si ricordava più niente, il buio che l’aveva inghiottito subito dopo per due lunghissimi anni gli aveva portato via quasi tutto: solo la consapevolezza di un’altra corte dagli stendardi arancioni, il volto di un ragazzo buono come il pane ma, allo stesso tempo, deciso e forte e la grande consapevolezza che lì, come omega, dai suoi non era ben voluto.
Ricordava delle mani che lo avevano assalito, che lo avevano portato via e poi l’incubo: sballottato da un locale all’altro, usato dagli alfa, deriso dai beta, abbandonato nel buio per anni interi aveva vissuto come un’ombra e, quando ormai si era abituato ad essere tale, ecco che un cavaliere errante ne aveva avuto pietà e poi...e poi la corte.
Sembrava solo un sogno di un disperato.
Durante i suoi primi tempi a Seijoh spesso si svegliava nel cuore della notte tremando, e doveva mordersi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare per rendersi conto che quello che stava vivendo era reale, che era finalmente libero.
Quella volta un miracolo si era compiuto, salvandolo.
Non poteva compiersene un altro salvando Tooru?
Poi avrebbe accettato il suo destino in silenzio.
Dei passi lo riscossero dai suoi pensieri e Koushi alzò piano il capo proprio mentre la porta si apriva rivelando la possente figura del principe di Shiratorizawa.
Sì gettò a terra, senza preoccuparsi di mostrare contegno, prostrandosi alla ricerca di pietà.
«Mio principe, la prego non punisca Tooru. Faccia di me ciò che vuole ma lo prenda come suo sposo, non permetta che la rovina ricada su di lui. È stata solo una marachella, è solo un ragazzo».
«Come te…e me…mi ha già raccontato tutto».
Koushi alzò lo sguardo, terrorizzato all’idea di cosa Tooru potesse aver raccontato al principe che, a lume di candela lo scrutava freddo poi una risata ruppe il silenzio che si era creato.
«Liberalo, noi due ce ne andremo e tu potrai sposarti con un degno alleato».
La guardia dai capelli rossi entrò nella cella cercando di imitare la voce di Tooru e poi lanciò a Koushi un sorriso sghembo inconsapevole, o forse no, dei mille insulti silenziosi che il giovane omega stava lanciando al suo amato principe che sembrava proprio voler sfidare la sorte fino in fondo.
«Interessanti questi amori proibiti…due omega…tutti pensavamo che il principe Tooru se la facesse con quel cavaliere, Hajime».
«Tendo…»
Al richiamo monocorde del principe la guardia accennò ad un piccolo inchino con il capo e, dopo aver lanciato un ulteriore sorrisetto a Koushi, si spostò in un angolo vicino alla porta.
«Il posto di Tooru è Shiratorizawa…qui potrà splendere come non potrà mai fare a Seijoh o da qualunque altra parte con te».
«Me ne rendo conto, mio principe, lo accetti come suo sposo come io accetterò qualsiasi sua decisione».
«Come se tu avessi potere decisionale».
Il principe lanciò un’occhiata d’avvertimento alla guardia che alzò le mani in segno di resa.
Lo sguardo impassibile dell’erede di Shiratorizawa si posò nuovamente su Koushi e lui deglutì capendo che l’ora del verdetto era ormai giunta e che lui non aveva la minima idea di cosa aspettarsi.
«Sarai il mio servitore personale».
Tutto si sarebbe aspettato ma non quello e, a quanto pareva, neanche Tendo che fissava il principe come se avesse dichiarato di voler rinunciare alla corona.
Koushi sgranò gli occhi incapace di proferir parola.
«L’abbiamo perso, Ushijima».
La voce della guardia dai capelli rossi lo riscosse dai suoi pensieri e lui alzò lo sguardo fissando, per la prima volta, negli occhi l’erede al trono di Shiratorizawa.
«Io-io sono di Tooru».
«O me o il carcere a vita. Qualunque scelta tu faccia lui salirà al trono di Shiratorizawa».
Koushi si mordicchiò l’interno guancia: se Tooru era al sicuro, se quello che avevano fatto non lo aveva compromesso e se gli veniva data l’opportunità di uscire da quella prigione relativamente impunito perché non accettare?
Ma davvero Ushijima era così misericordioso da non punirlo neppure?
«Ma io…Tooru…»
Il principe scosse la testa e Koushi sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui.
«Non gli parlerai, non potrai farlo. Starai nei miei alloggi fino al matrimonio e poi deciderò».
L’omega chinò il capo serrando gli occhi per trattenere le lacrime che minacciavano di cadere.
Era dunque quello il suo destino: rimanere al fianco di chi gli aveva portato via il suo amore, vederlo prendersi quello che tanto aveva sognato e non poter far niente?
Tooru non lo avrebbe mai accettato, avrebbe fatto fuoco e fiamme pur di riaverlo indietro.
Proprio per quel motivo, comprese, che doveva accettare la proposta del principe: doveva farlo per vigilare di nascosto sul suo amore, per evitare che facesse cose di cui si sarebbe potuto pentire e, chissà, magari prima o poi avrebbe avuto l’occasione di parlargli.
Sospirò e annuì appena poi, dopo un secondo, alzò lo sguardo.
«Sarò il vostro servitore».
 
***
 
Ad un mese dalla scoperta del suo amore corrisposto, a Tooru non bastò più solo la presenza di Koushi, ma i suoi baci, il suo tocco, il suo amore divennero il suo nutrimento capace di donargli la forza necessaria per superare ogni giornata.
Per il giovane principe ogni momento era buono per sfiorarlo e guardarlo, ogni istante che passava lontano dalle sue labbra era sofferenza pura e così i due si nascondevano, sfuggivano ai pochi doveri di Tooru, per rintanarsi nei suoi appartamenti e rimanere soli, senza titoli o pensieri.
E lì, fra quelle quattro mura, ad un giro di chiave dal mondo esterno così malvagio nei loro confronti, Tooru lo amava libero, gli baciava ogni lembo di pelle candida che i vestiti lasciavano scoperto, gli carezzava quelle piume argentee che aveva al posto dei capelli e gli sussurrava le più dolci parole che gli venivano in mente.
Fino al successivo calore di Koushi, Tooru non osò toccarlo neanche con un dito in quel senso, già il solo poterlo baciare senza che lui si ritraesse, come aveva fatto per il primo mese a causa del suo passato, era meraviglioso.
Di Koushi tutto era meraviglioso, Tooru ne era consapevole.
Così come sapeva che quello che provavano l’uno per l’altro, se scoperto, avrebbe creato scandalo nella corte e, sicuramente, la condanna a morte di Koushi, per cui lo amava con cautela, resistendo agli istinti di baciarlo in mezzo ai corridoi per porre fine alle sue piccole prese in giro, di prenderlo per mano quando attraversavano i grossi saloni pieni di alfa o di sorridergli innamorato in presenza del padre.
Consumavano il loro amore ancora innocente in segreto, al sicuro da sguardi indiscreti e, per quanto Tooru volesse urlare che Koushi era solo suo, non lo avrebbe mai fatto.
Gli ultimi omega che si erano marchiati a vicenda nel regno di Seijoh erano stati impiccati nella piazza principale e lui, al solo pensiero, rabbrividiva ripromettendosi che mai quella sorte sarebbe toccata a Koushi, che l’avrebbe protetto in tutti i modi possibili.
Tooru non era più un ragazzino spaventato e dolorante durante la sua presentazione, né un giovane affranto per il suo stato, era diventato grande e con lui era cresciuto il desiderio di farsi valere nonostante tutti gli dicessero che, in quanto omega, era insignificante.
Avrebbe dimostrato il suo valore al padre, si ripeteva allenandosi con l’arco, avrebbe fatto vedere a tutti i nobili di Seijoh, anzi oltre, chi era lui veramente e, alla fine, avrebbe preso il suo posto come re e avrebbe migliorato la vita per quelli come lui e Koushi.
Non sarebbe stato una pedina nelle mani del padre e avrebbe fatto in modo di non doversi più nascondere per quello che era, per chi amava.
Però, fino a quando non ce l’avesse fatta, quel suo amore era destinato a rimanere nascosto.
E così, quando arrivò di nuovo il calore di Koushi, Tooru lo ospitò in ancora in camera sua, cacciando via le guardie con l’ordine di non disturbarlo, e chiuse la porta a chiave, separandosi dal resto del mondo per l’unica persona che, da sola, valeva più di qualsiasi corona.
Sul letto, strinse Koushi tra le sue braccia e lo baciò più e più volte, pieno di desiderio, poi, nascondendo l’incertezza, fece scivolare una mano sotto le coperte leggere per soddisfarlo almeno un po'.
«Tooru…»
Koushi, ansimante, lo guardava con gli occhi lucidi per il piacere che gli aveva dato e, per Tooru, non c’era niente di più bello.
«Ti voglio…»
Il principe non se lo fece ripetere. I vestiti vennero gettati via. Ogni timidezza sparì mentre i due finalmente si univano.
E Tooru capì: si era sbagliato, Koushi poteva essere ancora più bello e quella bellezza sarebbe stata solo sua, nessuno gliela avrebbe portata via.
 
 
 
Tooru continuava a sbagliarsi: aveva pensato di potersi opporre al padre, di poter farsi valere anche se omega e, soprattutto, di poter proteggere Koushi da tutto e da tutti.
Lanciò un’occhiata piena d’odio a quel suo riflesso che, in quel giorno di festa per i regni di Shiratorizawa e Seijoh, rappresentava per lui la prova della sua sconfitta.
Quell’abito da sposo gli sembrava la tunica di un condannato a morte, quei gioielli erano come catene e quel trucco unito ad un aspetto così curato parevano ferite e trasandatezza di un prigioniero.
Non vedeva lui, vedeva il Koushi dei suoi tormentati incubi, il Koushi scomparso da mesi e il cui destino gli era ignoto.
A nulla erano valsi i suoi ordini e le sue urla: Ushijima non gli aveva concesso neppure una volta di vedere Koushi o, almeno, di avere sue notizie.
Non importava quanto minacciasse, l’erede di Shiratorizawa lo guardava sempre in silenzio e, quando la voce di Tooru lo abbandonava, se ne andava.
Una volta, spinto dalla disperazione, aveva quasi pregato il principe dell’aquila per saper qualcosa, anche la più piccola, sulle condizioni di salute del suo amore, ma l’altro si era limitato a dirgli che, fino a quel momento, solo loro e le guardie che li avevano beccati a baciarsi sapevano del crimine di Koushi.
Semi Eita, la guardia beta che dal giorno della scomparsa di Koushi vigilava su di lui, annunciò che era il momento di andare e lo invitò a seguirlo.
Tooru obbedì come un burattino.
Si detestava
Se non avesse sfidato il padre comunicandogli la sua intenzione di andarsene, se, una volta in viaggio, avesse spronato il cavallo a correre via, se fosse fuggito quando l’aveva proposto a Koushi, allora…allora Koushi sarebbe stato al sicuro, ancora al suo fianco dove era giusto che stesse.
Invece, per colpa sua, aveva perso quanto più aveva di caro al mondo e lui non poteva perdonarselo.
Le porte della cappella si stagliarono, aperte, davanti a lui.
Ciò che a lungo aveva tentato d’ignorare stava per succedere, ma nulla era peggio dell’assenza di Koushi.
Avanzò in silenzio fino all’altare dove Ushijima lo attendeva.
Tooru, fermatosi di fronte al principe dell’aquila, gli scoccò un’occhiata piena d’odio e di risentimento.
Lo avrebbe sposato, sì, ma non si sarebbe arreso, avrebbe fatto di tutto per avere il suo amore indietro.
Con sguardo determinato accettò di diventare sposo di chi aveva contribuito a portargli via tutto e, nel baciarlo, gli morse appena il labbro inferiore in simbolo di sfida.
Durante tutta la festa i suoi occhi rimasero gelidi, le sue labbra chiuse e la sua fronte crucciata.
Solo a sera, mentre servi senza nome lo preparavano per la prima notte di nozze, si rilassò appena ripassando il piano.
Quella volta non aveva intenzione di piegarsi, non si sarebbe concesso ad Ushijima se prima l’alfa non avesse liberato Koushi indenne.
E, una volta liberato, sarebbero fuggiti via, insieme, come da tempo avrebbero dovuto fare.
Una volta pronto, scacciata la servitù, si avviò a passo di carica verso gli appartamenti dell’alfa, ignorando la tradizione che voleva che fosse l’altro ad andare da lui, e pronto a tutto spalancò le porte.
Una nota di lavanda lo accolse.
Tooru, non pronto proprio a tutto, si fermò e sgranò gli occhi accorgendosi dell’unica altra presenza nella stanza insieme al principe dell’aquila: Koushi era lì, immobile e stupito quanto lui.
«K-Koushi?»
Incurante dell’altro principe, Tooru si avvicinò con urgenza e, così preso com’era dal prendere nota delle condizioni fisiche dell’altro, non si accorse del segno d’assenso fatto dall’alfa al servo che, appena ricevutolo, si affrettò a corrergli incontro.
Colmarono quella poca distanza che li separava e Tooru lo strinse a sé inspirando a pieni polmoni il profumo dell’altro.
C’era qualcosa che non andava.
Si staccò appena dall’abbraccio e Koushi, colpevolmente, sfuggì dal suo sguardo.
«Perché sai anche di lui?»
Una terribile possibilità affiorò nella mente di Tooru appena pronunciò quelle parole e, non riuscendo ad incrociare lo sguardo con quello di Koushi, afferrò il bordo della casacca violacea e, infischiandosene delle fievoli proteste dell’altro, lo spostò liberando il collo.
Sbiancò.
Sulla pelle candida del suo amore c’era qualcosa che mai avrebbe dovuto esserci, a meno che non fosse il suo: un marchio.
«Co-cosa ti ha fatto? Cosa gli hai fatto, bastardo?!»
Ringhiò e, spostato un Koushi tremante, si diresse infuriato come mai prima verso quello che per tutti, tranne che per lui, era suo marito.
«Bastardo! Non avevi alcun diritto!»
Ushijima lo fissava in silenzio, sbottonandosi tranquillamente la camicia come se non fosse successo nulla e quello bastò a fargli perdere la ragione.
Alzò una mano e si avventò contro di lui e lo avrebbe anche colpito se Koushi, il suo Koushi, non lo avesse stretto per il busto da dietro urlando il suo nome.
Tooru si fermò, tremando per la rabbia, con il braccio ancora alzato e pronto.
«Non farlo! Tooru…l’ho voluto io».
 
***
 
La vita come servitore di Ushijima era ben diversa da quella che si aspettava e, sicuramente da quella che aveva vissuto fino a quel momento al fianco di Tooru.
Il principe dell’aquila era silenzioso e quando, dopo gli allenamenti e i tentativi di corteggiamento verso il recalcitrante principe di Seijoh, si ritirava nei suoi appartamenti personali, in cui era relegato Koushi durante il giorno, e passava il tempo a leggere limitandosi a parlargli solo per assicurarsi delle sue condizioni, dargli ordini, ringraziarlo e altre, poche, frasi di circostanza.
Fu proprio per quello che un giorno, quasi un mese dopo, sobbalzò alle sue parole.
«Ti manca?»
Anche se non avevano più parlato di Tooru, non c’era bisogno di specificare e Koushi, intento ad apparecchiare per la cena, si morse l’interno guancia esitando per qualche secondo.
«Sì…tantissimo».
Non avrebbe voluto ma la sua voce vacillò attirando l’attenzione del principe dell’aquila su di lui.
L’erede al trono lo guardò apparendo per un attimo sorpreso da quella reazione e l’omega inspirò profondamente cercando di calmarsi per poter svolgere al meglio gli ultimi compiti della serata.
Le sue mani tremavano all’idea che, da lì a qualche giorno, Tooru non sarebbe più stato il suo amore ma lo sposo di quell’alfa per cui, da settimane, lavorava senza fermarsi per cercare di colmare quel vuoto che gli lasciava l’assenza del suo principe.
«Perdonami, sono stato indiscreto. Hai la serata libera».
Koushi, confuso, alzò lo sguardo e, quando incrociò quello dell’erede di Shiratorizawa, subito si affrettò ad abbassarlo annuendo e, con un inchino, si allontanò di fretta dalla stanza passandosi una mano sugli occhi per cancellare le lacrime che minacciavano di cadere.
L’indomani, appena fuori dalla porta della sua nuova camera da letto, trovò un mazzo di margherite e Koushi, seppur confuso, le prese portandole al suo comodino.
Così fu anche le mattine seguenti e lui, ogni volta, prendeva i fiori sorridendo con dolcezza.
I giorni passarono e con essi arrivarono le novità: Tooru era andato in calore e per questo il matrimonio era stato spostato di un mese in modo da permettere al principe di riprendersi e di poter essere in perfetta forma per il momento in cui si sarebbe dovuto legare all’erede di Shiratorizawa.
Koushi, al sentirlo dire dalle guardie fuori dalla porta degli appartamenti reali, scivolò a terra affranto all’idea di non essere con il suo principe per la prima volta da sempre.
Si passò una mano tra i capelli lasciandosi sfuggire un singhiozzo, mai da quando Tooru si era presentato come omega era rimasto da solo durante un calore.
In quel momento doveva essere così infelice e dolorante e lui non poteva farci niente se non pensare a lui.
«Stai andando in calore anche tu?»
Koushi sussultò e alzò lo sguardo per osservare il suo nuovo padrone, appena tornato dagli allenamenti con la spada: Ushijima lo guardava con un’espressione vagamente preoccupata su quel volto normalmente tranquillo.
Koushi scosse il capo in segno di diniego e, tirando su con il naso, si affrettò ad asciugarsi le lacrime che gli bagnavano gli occhi.
Il principe sorprendendolo si inginocchiò davanti a lui e gli posò un mazzo di margherite sulle ginocchia prima di alzarsi e, come se nulla fosse, dirigersi nella stanza da bagno.
Koushi osservò confuso i fiori, carezzandone piano i petali: quindi era lui che da giorni glieli faceva comparire davanti alla sua camera. E lui che aveva sperato che fosse Tooru.
Rimase immobile ad osservare il bouquet.
Come poteva odiare o anche solo provare antipatia per un uomo del genere?
Fin dall’inizio della sua permanenza a Shiratorizawa, quando era ancora al fianco di Tooru, aveva più volte discusso con il suo principe riguardo a Ushijima perché Koushi non riusciva proprio a ritenerlo un mostro e vedeva in lui un grosso senso di responsabilità e una capacità ad accettare il suo destino per il bene del regno mentre Tooru lo incolpava, quasi fosse lui, e non i loro genitori, l’artefice di quel matrimonio.
L’erede di Shiratorizawa non lo aveva mai guardato con aria di superiorità e, anzi, lo aveva sempre trattato bene, ringraziandolo ogni volta che, durante una cena, gli riempiva la coppa o gli portava il cibo e quando si incontravano nei corridoi gli rivolgeva sempre un saluto, pur essendogli superiore di grado.
Quando poi Koushi era passato al suo servizio, l’alfa aveva continuato a trattarlo con rispetto, pur potendo Durante i suoi primi giorni come servitore del principe dell’aquila, così drammatici per lui che era ormai poco abituato alla presenza costante di alfa nella sua vita quotidiana e scosso dal suo passato precedente alla corte di Seijoh, Ushijima si era dimostrato pietoso e gli aveva concesso di prendersi pause per allontanarsi da lui, insieme ad un Tendo molto più simpatico di quanto non credesse inizialmente, quando la sua presenza diventava troppo difficile da gestire.
Il principe dell’aquila era stato quasi premuroso nei suoi confronti dandogli perfino una stanza tutta per lui, anche se forse era solo per diminuirgli le possibilità di fuga o di comunicazione di Tooru.
Alla fine Ushijima lo aveva sempre trattato bene, forse fin troppo visto la diversa importanza sociale, e lui dubitava che lo facesse con tutti i suoi servitori, non perché fosse cattivo ma perché, semplicemente, era come se gli volesse bene, in qualche modo.
Perché poi mandargli tutti quei fiori?
Se il primo mazzo poteva essere considerato come una tacita richiesta di perdono, che cos’erano quelli dopo?
L’unico che, a sua memoria, gli aveva mai mandato dei fiori con tale costanza era stato Tooru ad inizio della loro relazione.
Improvvisamente capì, comprese ogni singola piccola e insignificante premura di Ushijima nei suoi confronti.
«Koushi».
A quel richiamo, scattò in piedi e si affrettò a raggiungere il principe, già immerso nella vasca da bagno, cercando di mantenere a bada il suo cuore che batteva furioso.
Prese a lavargli la schiena in silenzio controllandosi per non far emergere il caos interiore.
Non poteva essere quello che pensava, si stava sbagliando.
«Koushi».
La mano bagnata del principe dell’aquila gli cinse il polso e lui alzò lo sguardo: i suoi occhi incontrarono quelli dell’erede di Shiratorizawa.
Un brivido lo percorse.
Una nuova consapevolezza lo colpì: certo, era rimasto deluso al sapere che quei fiori venivano da Ushijima ma la cosa non lo aveva poi affranto quanto avrebbe dovuto e, anzi, sentiva un leggero rossore riscaldargli le guance al pensiero che l’altro, in tutto quel tempo, lo avesse trattato bene, si fosse preso cura di lui perché…
L’altra mano del principe gli perse il mento e, con una delicatezza che mai avrebbe ritenuto possibile, lo tirò a sé.
Le loro labbra si toccarono.
Ushijima, principe dell’aquila, erede di Shiratorizawa, aveva dei sentimenti nei suoi confronti.
Quasi come percorso da una scarica elettrica il corpo di Koushi tremò.
Si affrettò ad allontanarsi e, schizzato indietro, si inchinò prima di sfuggire dalla stanza confuso per quanto era accaduto.
Corso in camera, si rannicchiò sul letto lasciando cadere le lacrime che troppe volte negli ultimi tempi aveva frenato.
Quel bacio rubato aveva sgretolato tutte le sue, poche, certezze.
Lui amava Tooru, gli mancava terribilmente e avrebbe fatto di tutto pur di stare nuovamente con il suo amore eppure c’era qualcosa in lui a cui non erano dispiaciute le attenzioni e i sentimenti di Ushijima.
Si ritrovò a pensare a come si sentiva sorridere quando, in quei giorni, parlavano anche per poco tempo, a come lo avesse trovato dolce quando si era preoccupato per lui o quando gli aveva chiesto di cantare per lui mentre faceva le faccende domestiche.
Ushijima avrebbe potuto prendersi quello che voleva a forza eppure non lo aveva fatto e, anzi, lo aveva trattato rispetto, dimostrandogli affetto e dandogli attenzioni.
E a lui, anche se non se ne era accorto subito, era piaciuto ricevere tutte quelle attenzioni e quella gentilezza.
Quello che non capiva era perché proprio lui, dopotutto era un signor nessuno, un povero servitore omega colpevole pure di aver avuto una relazione clandestina con il promesso sposo del principe.
Qualcuno bussò alla porta e Koushi, con gli occhi arrossati, andò ad aprire.
Ushijima gli stava davanti con il mazzo di fiori che lui si era dimenticato; glielo porse.
«Mi dispiace, prenditi tutto il tempo che desideri».
Senza aspettare una sua risposta, appena Koushi prese i fiori, il principe dell’aquila si voltò e se ne andò lasciandolo imbambolato a fissare il vuoto.
Avrebbe potuto punirlo per essere fuggito o quanto meno sgridarlo invece si era scusato concedendogli una pausa dal servizio.
Koushi deglutì. Nella sua mente tutto taceva mentre il suo cuore sembrava volergli sfuggire dal petto.
Chiuse la porta, si gettò sul letto e, confuso ed infelice, pianse fino ad addormentarsi.
Sognò Tooru e Ushijima intenti a duellare per lui che, seduto su un trono, li lasciava fare senza fiatare.
Dopo una lotta che sembrava destinata a non finire mai, il principe dell’aquila alzò la spada per battere definitivamente Tooru.
Koushi si svegliò con un urlo mentre, fuori dalla finestrella, il sole cominciava a sorgere.
Quella mattina si presentò da Ushijima e, silenzioso come mai prima, riprese a svolgere i suoi doveri e così per tutta la settimana successiva.
«Potresti vederlo».
Koushi, intento a preparare il letto per la notte, sobbalzò e si girò guardando il principe dell’aquila che, a sua volta, lo fissava dalla poltrona vicino al caminetto.
«C-cosa, mio signore?»
Era dalla sera del bacio che non si rivolgevano parole che non fossero di circostanza.
Ushijima si alzò e lo raggiunse sfiorandogli, leggermente impacciato, con la punta delle dita una guancia e Koushi si irrigidì appena. Subito la mano cadde.
«Se tu fossi mio potresti vederlo. A Shiratorizawa accettiamo i concubini».
Koushi sgranò gli occhi a quella proposta così schietta e inaspettata.
«N-non posso».
Ushijima rimase in silenzio e, nella quiete della stanza, Koushi temette che l’alfa potesse sentire il battito furioso del suo cuore.
«È la scelta migliore. Avrai lui e avrai me».
«Senza offesa…io non voglio lei».
Appena lo disse, Koushi ne percepì la bugia e abbassò la testa. Due dita sotto il mento lo costrinsero, con estrema delicatezza, ad alzarla di nuovo.
«Dillo guardandomi negli occhi».
Koushi aprì le labbra ma le parole non uscirono, la bocca gli si seccò.
Ushijima lo guardava silenzioso in attesa.
«Posso parlarne con lui?»
L’alfa scosse il capo e Koushi sbiancò sentendo su di sé il peso di quella decisione così gravosa.
Se aveva avuto una sicurezza nella sua vita era quella del suo amore per Tooru e poi era arrivato Ushijima e qualunque cosa fosse quella che provava per lui.
Se avesse accettato la proposta del principe di Shiratorizawa avrebbe potuto rivedere Tooru, ma a che prezzo?
Certo, Ushijima non gli era indifferente, provava qualcosa di grande per lui ma Tooru avrebbe capito? Si sarebbe sentito di certo tradito e lui non voleva che questo accadesse.
Ma Tooru, ad averlo al suo fianco di nuovo, lo avrebbe ben presto perdonato e lui avrebbe potuto aiutarlo nella sua burrascosa relazione con Ushijima più di quanto non avrebbe fatto come amante.
Non ci sarebbero stati più pericoli per loro, sarebbero stati protetti dalle leggi di Shiratorizawa.
Glielo stava concedendo il principe in persona quindi forse…
Strinse i pugni.
Ushijima lo fissava in silenzio attendendo una risposta.
«Mi prometti che potrò vederlo anche da solo?»
Il principe annuì.
«Negli alloggi privati potrete fare quello che vorrete».
«Perché lo fai?»
Ushijima rimase in silenzio, ma gli posò una mano su una guancia dandogli così la risposta.
Il cuore di Koushi perse un battito per poi cominciare a battere furiosamente.
Si umettò le labbra.
Era una scelta pericolosa ma Ushijima gli aveva dato prova di quello che provava per lui e gli stava concedendo quanto di più prezioso aveva: Tooru.
«Sì…»
E Koushi, concedendosi a lui, facendosi marchiare, fece una cosa che mai avrebbe pensato di fare eppure non se ne pentì né gli venne dato motivo per farlo.
 

 
 
La primavera seguente al matrimonio di Ushijima e Tooru, Koushi stava steso su un fianco nel grande letto dell’erede al trono di Shiratorizawa e, sorridendo, ascoltava i respiri degli altri due presenti nella grande stanza buia.
Tooru, rannicchiato fin quanto gli concedeva la sua condizione, dormiva con la testa all’altezza del cuore di Koushi che lo tirò leggermente a sé dopo essersi sistemato meglio contro l’ampio petto del principe dell’aquila che, da dietro di lui, cingeva le vite di entrambi con le sue possenti braccia.
Chinando il capo tra i capelli di Tooru ne inspirò profondamente il profumo che già da tempo non era più né il suo originale né quello che aveva acquisito con il legame con Ushijima.
Quante cose erano cambiate in così poco tempo.
Koushi, in situazioni tranquille come quella, faceva ancora fatica a crederci; dormire con loro due, farsi le coccole a vicenda oppure il semplice stare insieme davanti al fuoco, erano cose che, ad inizio di quella convivenza, quando Tooru insultava Ushijima e si rifiutava anche solo di stare nella stessa stanza, mai avrebbe ritenuto possibili.
Dopo l’arrivo rocambolesco di Tooru nella stanza del principe dell’aquila la sera delle loro nozze e la confessione di Koushi riguardo al marchio, ci era voluta tutta la capacità persuasoria dell’omega per convincere il nuovo consorte di Shiratorizawa a non ammazzare il marito che, per l’altro, era l’unico vero colpevole della faccenda e poco importava ciò che diceva Koushi.
Solo le lacrime di quest’ultimo lo avevano calmato ma Tooru aveva rifiutato di concedersi a Ushijima e, prendendo con sé l’amore ritrovato, era scomparso nelle sue stanze.
Koushi si ricordava della profonda vergogna che aveva provato quella notte nel raccontargli l’accaduto e di come il suo Tooru, contro le sue aspettative, non lo avesse incolpato di nulla e, anzi, dopo averlo rassicurato, lo avesse amato fino al sorgere del sole con passione.
Koushi ci aveva messo una settimana a convincerlo a consumare il matrimonio con Ushijima e Tooru aveva acconsentito con la sola condizione che lui non lo lasciasse per un secondo e così, mentre Tooru riposava dopo il legame, aveva avuto modo di stringerlo tra le sue braccia sussurrando ad Ushijima, intento a giochicchiare con i capelli argentei, cosa ordinare per la colazione seguente.
Da quel giorno le cose cominciarono ad andare meglio e Tooru riusciva sopportare l’idea di condividere la camera e, di tanto in tanto il letto con Ushijima che, per quanto Koushi ci provasse, rimaneva l’unico colpevole di quel marchio in eccesso.
Tutto però era crollato con il calore di Koushi che, ancora una volta, aveva allontanato Tooru e quella volta Koushi aveva avuto veramente paura di perderlo.
Strinse piano a sé il suo primo amore e rimase fermo a sentire il respiro dei due cercando di scacciare via l’angoscia che ancora provava se ci ripensava.
Il legame con Ushijima aveva modificato il suo calore e lui aveva passato tre giorni interi a cercare solo le attenzioni dell’alfa mentre Tooru, dapprima allontanato a suon di ringhi da parte di un erede di Shiratorizawa preso dalla potenza dei feromoni di Koushi, non aveva potuto far altro che osservare in silenzio per poi, stanco e frustrato, andarsene via.
Riemerso dal calore Koushi lo aveva chiamato ma lui, rinchiusosi nella sua stanza, non era venuto.
«Perché vieni da me? Io non ti soddisferò mai come fa lui…vai da lui».
Koushi, serrando gli occhi, strofinò la punta del naso sui capelli di Tooru dormiente al ricordo di quella voce carica d’astio e, allo stesso tempo, d’amarezza.
Koushi ci aveva messo due giorni, le ventiquattro ore più lunghe della sua vita, a farsi aprire e una settimana a farlo uscire ma poi, di Ushijima, Tooru non ne volle più sentir parlare per mesi.
Durante il giorno l’omega di sangue reale spariva portandosi via Koushi e poi, ogni sera, lo prendeva per mano conducendolo nei suoi appartamenti dove, chiusosi la porta a chiave, facevano l’amore fino a crollare esausti, quasi come se quella fosse una rassicurazione per Tooru.
Koushi si ricordava come, in quelle settimane, il segno del legame con Ushijima, normalmente quasi inesistente, pizzicasse lasciando trasparire una sorta di tristezza dovuta alla loro mancanza e come, pure lui, ad un certo punto avesse cominciato a provare nostalgia per il suo abbraccio, porto sicuro, durante le tenebre della notte.
Se Tooru avesse mai sentito lo stato in cui si trova Ushijima in quel periodo, Koushi non lo sapeva perché ogni volta che provava a farlo ragionare o, anche solo a nominare l’erede di Shiratorizawa, l’altro si rabbuiava e cambiava argomento.
Forse Tooru lo sapeva ma lo ignorava o forse non lo sentiva, troppo preso nella sua vana impresa di cacciare via il profumo dell’altro da loro, di eliminare ogni possibile traccia del principe dell’aquila.
E poi era successo: Tooru era andato in calore e, alla fine, aveva capito che Ushijima, come del resto loro, non aveva nessuna colpa mentre Koushi aveva trovato il modo per approcciarsi all’alfa possessivo per stare anche lui con Tooru.
Da quel momento le cose erano notevolmente migliorate, ogni giorno di più e finalmente Koushi, quando Tooru e Ushijima si guardavano, poteva vedere nei loro sguardi affetto e lui, dal canto suo, si sentiva al sicuro, protetto da entrambi.
Ma per quello, Koushi non aveva nessun merito, no.
L’omega carezzò piano il ventre rigonfio di Tooru con un dito e sorrise.
Era bastato un solo calore del principe per concedere al regno il suo futuro erede.
Era stata una creatura non ancora nata a portare concordia tra i due consorti.
Lui, per primo, si era accorto del profumo più dolce del solito di Tooru e da quel momento non aveva potuto far altro che voler bene al piccolo essere umano che vi stava crescendo dentro e guardare Ushijima e Tooru imparare a convivere e ad amarsi lentamente.
Ushijima mugugnò nel sonno e strinse appena i due a sé.
Koushi sorrise. Non aveva mai capito perché, nonostante la fine dell’ostilità di Tooru, toccasse ancora a lui a stare in mezzo tra i due ma, di certo, non se ne lamentava: si sentiva protetto, amato.
Da lì a poche settimane Ushijima e Tooru sarebbero diventati re e lui sarebbe stato definitivamente liberato, diventando membro onorario della corte, non che gli importasse più di tanto il titolo ma era felice di riacquistare la sua libertà per poterla vivere con i suoi due amori.
Tooru, addormentato, si spostò e una mano sfiorò il ventre, ancora più gonfio, di Koushi che sorrise dolce.
Dopo anni, finalmente, non c’era più da lottare contro nulla, niente da nascondere.
Non era più tempo di lotte e sofferenze, ma di pace e amore.
Koushi chiuse gli occhi: il suo posto era lì, con loro.
 
Fine
 
Se qualcuno è arrivato fin qua...complimenti: hai coraggio.
No, dai, grazie.
Spero che sia piaciuta anche se penso di aver leggermente corso sul finale maa...ups.
L'unica cosa che so per certo è che Petrarca starà battendo la testa contro qualcosa per averlo citato in questa fic (Pace non trovo et non ò da far guerra).
Bene, non posso far altro che augurare ancora buone feste a chi è arrivato fin qui!
Buone feste, ciao!
Aiko

 
   
 
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