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Autore: Immortal Lady    03/01/2022    1 recensioni
Era ben noto a tutti gli abitanti di Privet Drive che la famiglia Dursley si vantava di essere perfettamente normale e non anelavano, in nessunissima maniera, a divergere dal loro stile di vita.
Quel martedì piovoso di circa dieci anni fa la signora Petunia Dursley, moglie di Vernon Dursley, madre di Dudley Dursley si alzò per andare a preparare la colazione. Mentre aspettava che le uova e la pancetta messe sul fuoco iniziassero a riscaldarsi, prese le bottiglie di vetro vuote e si diresse alla porta per lasciarle sul pianerottolo per il lattaio.
Non fa specie che i Dursley maledicono ancora quel giorno.
Perché il corso degli eventi deviò dall’ordinario.
Perché su quel pianerottolo non doveva trovarsi altro che l’anonimo zerbino verde comprato dalla signora Dursley.
Ma così non fu.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Note Immortal Lady del 28/03/2022: Capitolo rivisto e ripubblicato.

 

~ Capitolo I: Vita Quotidiana ~

 

«Su alzatevi! Immediatamente!»

Harry si svegliò di soprassalto. Zia Petunia tamburellò con le nocche ossute sulla porta.

 

«Sveglia!» urlò con la sua voce stridula. Harry sentì i suoi passi allontanarsi verso la cucina e poi il rumore di una padella che veniva messa sul fuoco. Si girò, dando le spalle alla porta, finendo con l’incontrare lo sguardo assonnato di Hazel.

Con un sospiro lieve Harry si mise fronte contro fronte con la gemella.

«… nel sogno… c’era una motocicletta?» bisbigliò piano Hazel. Harry mugugnò un assenso.

«Si, volava anche… bello» sbadigliò Harry e Hazel confermò con un piccolo cenno della testa.

«Non è la prima volta che lo facciamo-»

Ecco di nuovo la zia dietro la porta.

«Non vi siete ancora alzati?» chiese.

«Siamo quasi pronti» rispose Hazel stropicciandosi gli occhi con le mani.

«Be’, vedete di spicciarvi. C’è il bacon sul fuoco e le uova da preparare. Non vi azzardate a far bruciare qualcosa, deve essere tutto perfetto il giorno del compleanno di Duddy».

Sia Harry che Hazel non poterono trattenere un gemito.

«Cosa avete detto?» chiese aspra la zia da dietro la porta.

«Niente, niente…» risposero in coro i due.

 

L’occhiata esasperata che si scambiarono valse più di mille parole. Il compleanno di Dudley è sempre un giorno tutto fuorché da festeggiare.

I gemelli, con praticità e abitudine, si cambiarono i pigiami in quello spazio angusto che era il sottoscala della casa dei Dursley e, mentre Harry controllava e toglieva i ragni dai calzini di entrambi, Hazel puliva gli occhiali del fratello con la maglia smessa che aveva appena indossato.

Terminata la vestizione, uscirono nel corridoio d’ingresso per poi dirigersi in cucina.

 

Il tavolo che si trovava al centro della sala era ormai stato inglobato per la quasi totalità dai regali di Dudley, ma i gemelli la superarono senza farci troppo caso mettendosi poi ai fornelli. Mentre Hazel girava il bacon e Harry faceva le uova per tutti, entrò zio Vernon.

«Filate a pettinarvi!» sbraitò a mo’ di buongiorno.

L’alzata di occhi al cielo di Hazel fu fortunatamente notata solo da Harry, che le tributò un sorrisino veloce.

Sicuramente se l’avesse notata lo zio avrebbe tirato malamente le orecchie ad entrambi, perché quello che faceva uno era sempre colpa di entrambi.

 

Ma era una reazione motivata quella di Hazel, visto che tra tutti e due si erano tagliati i capelli più volte di tutti i loro compagni di classe; o forse dell’intera scuola visto che vedevano le forbici del parrucchiere o di zia Petunia almeno una volta a settimana.

Ma non c’era niente da fare, crescevano senza tregua e sicuramente non si curavano dell’opinione degli zii.

 

Quando Dudley e sua madre entrarono infine in cucina, Harry e Hazel stavano impiattando il bacon e le uova.

Zia Petunia abbracciava il figlio con fare amorevole mentre quest’ultimo appena vista la pila sul tavolo si era fatto subito serio, iniziando a contare i pacchi.

Quando arrivò il momento di posare i piatti sul tavolo Hazel ed Harry ebbero qualche difficoltà vista la poca porzione di spazio disponibile e, proprio in quel momento, Dudley terminò la sua conta rabbuiandosi immediatamente.

«Trentasei» disse con fare scandalizzato verso i genitori. «Due meno dell’anno scorso».

«Caro, non hai contato il regalo di zia Marge. Vedi, è qui, sotto questo regalone grosso grosso di mamma e papà» intervenne subito zia Petunia.

«D’accordo, trentasette» disse Dudley tutto paonazzo. Hazel percependo l’inizio di un terrificante capriccio alla Dudley diede il gomito a Harry e iniziò a trangugiare rapida il suo bacon, nel caso non remoto in cui il cugino buttasse il tavolo all’aria.

 

Benché zia Petunia dicesse, Dudley non ricordava neanche da lontano un angioletto. Assomigliava molto a zio Vernon. Aveva un gran faccione roseo, quasi per niente collo, occhi piccoli celeste acquoso e folti capelli biondi e lisci che gli pendevano su un gran testone. Come lo zio era scontroso, ignorante e amava picchiare i pugni grassocci contro i suoi Punching-ball preferiti, alias Harry e Hazel. Tutto presupponendo, ovviamente, che riuscisse ad acchiapparli vista la velocità con cui si muovevano.

 

Forse per il fatto che avevano passato buona parte della loro vita in un ripostiglio buio, ma Hazel e Harry erano sempre stati piccoli e mingherlini per la loro età. E lo sembravano ancor di più di quanto in realtà non fosse, perché non avevano altro da indossare che i vestiti smessi di Dudley, e Dudley era circa 4 volte più grosso di Hazel e Harry messi assieme.

Spudoratamente uguali e fieri di esserlo fin dal loro ingresso in casa Dursley; Hazel e Harry vantano lo stesso viso sottile, stesse ginocchia nodose, uguali capelli neri corti e disordinati sopra gli occhi di un verde intenso.

Portavano occhiali rotondi, tenuti insieme con un sacco di nastro adesivo per tutte le volte che Dudley li prendeva a pugni sul naso.

L’unica cosa che non li accomuna era la sottile cicatrice a forma di fulmine che aveva Harry sulla fronte e che, da che ne ricordassero entrambi, era lì da sempre.

La prima domanda che Hazel ricordava di aver mai rivolto a zia Petunia era stata come Harry se la fosse fatta.

«Nell’incidente d’auto dove sono morti i vostri genitori» gli aveva risposto lei «e non fate domande».

Non fate domande: questa era la prima regola per vivere in pace con i Dursley.

 

Tornando alla situazione corrente, zia Petunia, che evidentemente aveva annusato il pericolo, si affrettò a dire: «E oggi, mentre siamo fuori, ti compreremo altri due regali. Che ne dici, tesoruccio? Altri due regali. Va bene così?»

Dudley ci pensò su un attimo. Lo sforzo sembrò immenso e alla fine disse lentamente: «Così ne avrò trenta… trenta…»

«Trentanove, dolcezza mia» disse zia Petunia.

«Ah!» Dudley si lasciò cadere pesantemente su una sedia e afferrò il pacchetto più vicino «Allora va bene».

Zio Vernon ridacchiò sotto i baffi biondi.

«Questa piccola canaglia vuole avere tutto quel che gli spetta fino all’ultimo, proprio come papà. Bravo, Dudley!» E gli scompigliò i capelli.

In quel momento squillò il telefono e zia Petunia andò a rispondere mentre i gemelli e zio Vernon rimasero a guardare Dudley scartare una bicicletta da corsa - oggetto quanto mai  visto che Dudley era molto grasso e detestava fare moto - poi fu la volta di una cinepresa, un aeroplano telecomandato, sedici nuovi videogiochi e un videoregistratore. Stava strappando l’incarto di un orologio da polso d’oro quando zia Petunia tornò nella stanza con l’aria arrabbiata e preoccupata allo stesso tempo.

«Cattive notizie, Vernon» disse. «La signora Figg si è rotta una gamba. Non può prenderseli». E così dicendo, indicò nella direzione dei gemelli con un brusco cenno del capo.

Dudley spalancò la bocca inorridito, ma i cuori dei gemelli balzarono di gioia.

Ogni anno, per il compleanno di Dudley, i genitori portavano lui e un suo amico fuori per tutto il giorno, a fare scorpacciate di hamburger o al cinema, lasciando Hazel e Harry alle cure della signora Figg, un’anziana signora mezza matta che viveva due traverse più avanti. Odiavano quella casa, puzzava di cavolo e la signora Figg li costringeva a guardare le fotografie di tutti i gatti che aveva posseduto in vita sua.

«E ora che si fa?» chiese zia Petunia guardando furibonda prima l’uno poi l’altro nipote come se fosse colpa loro. I gemelli sapevano che avrebbero dovuto sentirsi dispiaciuti per l’infortunio della signora Figg, ma non gli fu facile quando ad entrambi balenò per la mente che per un intero anno non sarebbero stati costretti a vedere Lilli, Baffo, Mascherina e Pallina.

«Si potrebbe provare a telefonare a Marge» suggerì zio Vernon.

«Non dire sciocchezze, Vernon, lo sai benissimo che li detesta».

Il fatto che i Dursley parlassero spesso di Harry e Hazel come se non fossero presenti, o piuttosto come se fossero qualcosa di sgradevole o incapace di comprenderli (come delle lumache) faceva saltare i nervi ai gemelli.

Loro non erano tonti e men che meno sordi, però sapevano qual era il momento di parlare e quando non lo era. Per questo non dissero nulla, sperando che lo sviluppo inatteso che stava prendendo la giornata non finisse in catastrofe.

 

«Cosa ne dici di… come si chiama… la tua amica.. Yvonne?»

«È in vacanza a Maiorca» rimbeccò zia Petunia.

«Potreste lasciarci semplicemente qui» azzardò Harry speranzoso e con il supporto di Hazel che annuì concorde, la prospettiva di guardare quello che volevano alla TV o, persino, di provare il pc di Dudley gli faceva molta gola.

Zia Petunia fece una faccia come se avesse appena ingoiato un limone.

«Per trovare la casa in rovina quando torniamo?» ringhiò.

«Mica la facciamo saltare in aria!» replicarono in coro i gemelli offesi. Nessuno li prese in considerazione.

«Forse potremmo portarli allo zoo» disse Petunia «… e lasciarli in macchina»

«Non possono restare in macchina da soli. È nuova di zecca…»

Dudley cominciò a piangere forte. In realtà, non stava piangendo; erano anni che non piangeva sul serio, ma sapeva che se contorceva la faccia e si lagnava la madre gli avrebbe dato qualsiasi cosa lui avesse chiesto.

«Duddy tesorino caro, non piangere! Mammina non permetterà che quelli ti rovinino la festa!» esclamò stringendolo tra le braccia.

«N-n-non… voglio… che… vengano… pure loro!» gridò Dudley tra un finto singhiozzo e l’altro. «Loro rovinano sempre tutto» E lanciò ai cugini un'occhiata malevola attraverso lo spiraglio tra le braccia della madre. I gemelli lo fulminarono con gli occhi, nascondendo a malapena tutta l’ostilità che avevano in corpo.

In quel preciso momento suonò il campanello: «Santo cielo, sono arrivati!» esclamò zia Petunia frenetica e un attimo dopo, l’amico del cuore di Dudley, Piers Polkiss, entrò insieme alla madre.

Piers era un ragazzo tutto pelle e ossa, con una faccia da topo. Era lui che in genere immobilizzava le persone con le braccia dietro la schiena mentre Dudley le picchiava; inutile dire che era disprezzato quasi quanto Dudley dai gemelli. Dudley smise all’istante di piangere.

 

Mezz’ora più tardi Harry e Hazel non riuscivano a credere a tanta fortuna, si erano infilati (uno sopra l’altro, per mancanza di spazio) sul sedile posteriore della macchina dei Dursley insieme a Piers e a Dudley, diretti allo zoo per la prima volta in vita loro. Lo zio e la zia non erano riusciti a inventarsi niente di diverso per loro, ma, prima di uscire zio Vernon li prese da parte.

«Vi avverto» gli aveva detto piazzandoglisi davanti con il suo faccione paonazzo a un millimetro dal loro viso, «vi avverto una volta per tutte, ragazzini, niente cose strane, niente di niente, intesi? O resterete chiusi in quel ripostiglio fino a Natale»

«Non faremo proprio niente» disse Hazel «lo promettiamo» aggiunse Harry. Ma zio Vernon non gli credeva. Nessuno gli credeva mai.

 

Il punto è che attorno ai gemelli accadevano fatti strani, e non serviva a niente dire ai Dursley che loro non c’entravano.

Come quando presa da una crisi di nervi, causata dal vederli tornare dal barbiere come se non ci fossero proprio andati, zia Petunia, brandendo un paio di forbici da cucina, aveva tagliato quasi a zero i capelli di Harry: tranne per una frangetta che gli andava a coprire la cicatrice, che la ripugnava più del disordine dei suoi capelli.

Hazel fu trattenuta da Dudley fino alla fine del taglio e percossa più volte da quest’ultimo ogni volta che tentava di scattare verso zia Petunia per toglierle di mano quelle maledette forbici. Alla fine, quando Dudley era ormai troppo occupato a ridere sguaiatamente, Hazel a forza di strattoni riuscì a liberarsi e a raggiungere il fratello.

Harry piangeva silenzioso, umiliato e frustrato per il fatto che ancora una volta non aveva potuto ribellarsi; si lasciò andare nell’abbraccio della sorella dopo che lei lo ebbe strappato via dalle grinfie di zia Petunia, che osservava il suo operato soddisfatta.

Dopo aver scoccato un’occhiata piena di odio verso zia Petunia, Hazel portò via il fratello quasi di peso, chiudendosi con lui nel sottoscala nella speranza che il non stare in  compagnia dei Dursley gli desse un minimo di conforto.

Non uscirono nemmeno per cena e passarono la notte insonne in pensiero di come sarebbe andata l’indomani a scuola, dove la maggior parte già li prendeva in giro per i vestiti sformati e gli occhiali tenuti insieme dallo scotch e, chi rimaneva che non li prendeva in giro, li ignorava per paura di Dudley. 

Ma la mattina dopo, al loro risveglio, i capelli di Harry erano tornati esattamente come erano prima che zia Petunia glieli avesse rasati. Per questo finirono in punizione per una settimana, reclusi nel ripostiglio, perché non erano stati in grado di spiegare il motivo per cui i capelli di Harry fossero ricresciuti così in fretta.

 

Ci fu la volta in cui zia Petunia cercò di infilare a Hazel un orrendo maglione di Dudley (marrone con i pon pon arancioni), ma più cercava di infilarglielo dalla testa più questo si rimpiccioliva, fino a che diventò quasi delle dimensioni di un francobollo. Fortunatamente la zia diede la colpa alla lavatrice e non a loro.

Invece, il giorno in cui Harry si era ritrovato sul comignolo della scuola e Hazel esattamente dietro i bidoni ribaltati della cucina, passarono giorni infernali.

La banda di Dudley li stava rincorrendo, come al solito, quando, con immensa sorpresa di tutti Harry si era trovato seduto sul comignolo della scuola e là, dove poco prima si trovava insieme ad Hazel, c’era lei che guardava con occhi spalancati le pattumiere e il loro contenuto completamente ribaltato sulla banda di bulli. Ovviamente i bidoni erano pieni e grondanti dei rimasugli del pranzo.

I Dursley avevano ricevuto una lettera molto indignata della direttrice, la quale li informava che Harry si era dato alla scalata dell’edificio scolastico e di Hazel che ribaltava bidoni addosso agli ignari compagni di istituto nella pausa pranzo. Nulla era valso urlare, attraverso la porta sprangata del ripostiglio, che stavano solo cercando di saltare dietro i grossi bidoni della spazzatura fuori dalla cucina. E che credevano che a metà di quel salto una folata di vento avesse uno, sollevato in aria Harry portandolo sul comignolo e due, che avesse sbalzato i bidoni in avanti facendo cadere il loro contenuto sulle fantomatiche “vittime ignare”.

 

Ma quel giorno niente sarebbe andato storto, valeva persino la pena di passare la giornata insieme a Dudley e Piers, pur di passarla da qualche altra parte che non fosse la scuola, il ripostiglio o il salotto puzzolente di cavolo della signora Figg.

 

Durante il viaggio zio Vernon si lamentava con zia Petunia.

A lui piaceva lamentarsi di tutto, per esempio: i colleghi di lavoro, Harry, il consiglio, Hazel, la banca, Harry/Hazel erano solo alcuni dei suoi argomenti preferiti.

Quella mattina aveva scelto di lamentarsi delle motociclette.

«… corrono come pazzi, questi giovani teppisti!» esclamò mentre una moto li sorpassava.

«Anche in un sogno che ho fatto c’era una moto» disse Harry ricordando improvvisamente, «e volava» aggiunse sovrappensiero Hazel mentre guardava il panorama fuori dal finestrino, seduta sulle gambe del fratello e con le braccia di lui a fargli da cintura di sicurezza.

Per poco zio Vernon non tamponò la macchina che lo precedeva.

Solo i riflessi di Harry, che strinse il più possibile le braccia attorno alla vita della sorella, impedirono a Hazel di spaccarsi il naso contro il poggiatesta del sedile del guidatore.

Zio Vernon si voltò di scatto e urlò verso i nipoti (che si strinsero tra loro istintivamente), con la faccia che assomiglia a una gigantesca barbabietola con i baffi: «LE MOTOCICLETTE NON VOLANO».

Dudley e Piers repressero una risata.

«Lo sappiamo che non volano» rispose Harry, difendendo la sorella. «Era soltanto un sogno».

Entrambi si pentirono di aver parlato. Se c’era una cosa che i Dursley odiavano più delle domande era sentire parlare di cose che non si comportano come dovrebbero, anche se si trattava di un sogno o di cartoni animati.

 

Era un sabato assolato e lo zoo era pieno di famigliole felici.

All’ingresso, i Dursley comprarono a Dudley e a Piers due enormi gelati al cioccolato e poi, siccome la barista del baracchino aveva chiesto ai gemelli cosa volessero prima che gli zii potessero allontanarli, gli comprarono due economici ghiaccioli al limone.

Non male, si ritrovarono a pensare i Hazel e Harry leccando i ghiaccioli, mentre guardavano un gorilla che si grattava la testa e assomigliava terribilmente a Dudley, tranne per il fatto che il gorilla non era biondo.

Fu la mattinata più felice che Harry ed Hazel avessero passato da molto tempo.

Mano nella mano si scambiarono commenti tra una zona e l’altra che visitavano, avendo sempre cura di camminare a una certa distanza dai Dursley in modo che il festeggiato e l’amichetto, che per ora di pranzo già si stavano annoiando degli animali, non tornassero al loro passatempo preferito, prenderli a pugni. Pranzarono al ristorante dello zoo e, quando Dudley si lamentò perché il suo Trionfo di Gelato con Panna non era abbastanza grande, zio Vernon gliene comprò un altro e ai gemelli fu concesso di finire il primo.

 

Dopo pranzo andarono al rettilario. Il luogo era fresco e semibuio, con teche illuminate lungo tutte le pareti. Dietro ai vetri, lucertole e serpenti di ogni specie strisciavano e si arrampicavano su tronchi di legno e sassi. L’unico motivo per cui i due compagni di giochi si trovavano in quella zona era per vedere i giganteschi e velenosi cobra e i possenti pitoni capaci di stritolare un uomo.

Dudley fu estremamente veloce ad individuare il serpente più grosso di tutti, il quale avrebbe potuto avvolgersi attorno alla macchina di zio Vernon e ridurla alle dimensioni di un bidone della spazzatura, ma al momento non sembrava in vena. Anzi, se la stava dormendo alla grossa.

Dudley, impaziente, appiccicò il naso al vetro.

«Fallo muovere» chiese piagnucolando al padre. Zio Vernon picchiò sul vetro, ma il serpente non si mosse.

«Ancora!» ordinò Dudley. Zio Vernon tornò a bussare forte con le nocche sul vetro, ma il serpente continuò con nonchalance il suo pisolino facendo di conseguenza irritare Dudley.

«Che noia!» disse Dudley con voce lagnosa. E corse via inseguito dai genitori e Piers, lasciandosi i gemelli alle spalle.

Con calma Harry ed Hazel si spostarono davanti alla teca per osservare meglio il serpente, rimanendo però ad un metro di distanza per riuscire ad osservarne le spire brune e lucenti. Non si sarebbero stupiti se anche lui fosse morto di noia, senza altra compagnia che quegli stupidi che tamburellavano tutto il giorno le dita contro il vetro cercando di disturbarlo.

«Questa è peggio di un ripostiglio» commentò piano Hazel, rivolgendo uno sguardo triste alla teca fin troppo piccola e al serpente fin troppo grande che vi albergava. Almeno loro potevano girare per tutta la casa e l’unica che pestava alla porta era zia Petunia.

D’un tratto il serpente aprì gli occhi piccoli e luccicanti. Lentamente, molto lentamente, sollevò la testa finché poté guardare dritto negli occhi dei gemelli. E gli fece l’occhiolino.

Harry ed Hazel si guardarono stupiti. Poi sbirciarono rapidi in giro per vedere se qualcuno li osservava. Nessuno. Tornarono a guardare il serpente e ricambiarono la strizzata d'occhio.

Il serpente girò la testa di scatto verso zio Vernon e Dudley, poi alzò lo sguardo al cielo. Lanciò verso entrambi un’occhiata del tipo «Questo è quello che mi tocca sempre».

Un sorriso complice nacque sul viso dei gemelli. Harry ed Hazel si avvicinarono alla teca  e dissero piano, in tono cospiratorio, al serpente «Lo sappiamo. Deve essere davvero fastidioso».

Il serpente annuì energicamente.

«Ma tu da dove vieni?» gli chiese Harry. 

Il serpente colpì con la coda un cartellino accanto al vetro. Entrambi lo guardarono attentamente. Boa constrictor, Brasile.

«Era un bel posto?» chiese Harry curioso.

Il boa colpì di nuovo con la coda il cartellino e i gemelli lessero ancora: Questo esemplare è nato e cresciuto in cattività. «Ah, capisco, non sei mai stato in Basile, tu!» commentò  tristemente Hazel.

Il serpente scosse la testa e in quello stesso momento un grido assordante alle spalle dei gemelli li fece trasalire tutti e tre: «DUDLEY! SIGNOR DURSLEY! VENITE A VEDERE QUESTO SERPENTE! È INCREDIBILE QUEL CHE STA FACENDO!»

Piers.

Dudley caracollò verso di loro il più in fretta possibile.

«Fuori dai piedi, voi!» intimò mollando uno spintone ad Hazel, che colta di sorpresa perse l’equilibrio impattando contro il fratello finendo col far cadere entrambi a terra.

Quel che seguì avvenne così in fretta che nessuno si rese conto del come: un attimo prima Piers e Dudley erano chini vicinissimi al vetro, e un attimo dopo erano saltati all’indietro gridando terrorizzati.

Hazel si tirò su con un sospiro, aiutando il boccheggiante Harry che le aveva fatto da cuscinetto; i gemelli si girarono verso i due ragazzini urlanti notando che il vetro anteriore della teca del boa constrictor era scomparso. Il grosso serpente stava svolgendo rapidamente le sue spire e scivolando sul pavimento, mentre in tutto il rettilario la gente si metteva ad urlare e cominciava a correre verso le uscite.

Il boa ormai fuori dalla teca strisciò accanto ai gemelli a tutta velocità; Harry e Hazel avrebbero giurato di aver sentito una voce bassa e sibilante dire: «Brasile, sto arrivando… Grazzzie, amigos».

I gemelli si scambiarono un'occhiata frastornati, ma con una strana sensazione di soddisfazione interiore che non riuscivano a spiegarsi.

 

Il custode del rettilario, arrivato di corsa ma comunque in ritardo per recuperare il boa, era sotto shock. «Ma il vetro» continua a dire, «dov’è finito?».

Il direttore dello zoo in persona preparò a zia Petunia una tazza di tè molto forte e zuccherato, nel mentre non la finiva più di scusarsi. Piers e Dudley non riuscivano a far altro che farfugliare. Per quel che avevano visto Harry e Hazel, il serpente aveva soltanto dato un colpettino giocoso ai piedi di entrambi mentre passava, ma il tempo di tornare tutti alla macchina di zio Vernon e già Dudley raccontava di come il boa gli avesse quasi staccato una gamba a morsi, mentre Piers giurava che aveva cercato di soffocarlo nella sua stretta mortale, chiacchiere che causarono molteplici occhiate al cielo da parte di Hazel e risate mal trattenute di Harry. Ma il peggio, almeno per i gemelli, fu che Piers riuscì a calmarsi quanto basta da dire: «Harry e Hazel gli hanno parlato. Non è vero?»

Zio Vernon aspettò che Piers uscisse da casa Dursley prima di cominciare a prendersela con i nipoti. Era così arrabbiato che parlava a stento. Riuscì a malapena a farfugliare: «Andate… ripostiglio… state lì… niente cibo!» prima di crollare su una sedia, tanto che zia Petunia dovette correre a prendergli un grosso bicchiere di Brandy.

 

Molto più tardi Harry, steso al buio nel ripostiglio e fronte contro fronte con la sorella, desiderò avere un orologio. Non sapeva che ore fossero e non era sicuro che i Dursley dormissero. Fino a quel momento, non poteva rischiare di sgattaiolare in cucina insieme a Hazel per mangiare qualcosa.

Vivevano con i Dursley da quasi dieci anni, dieci anni di infelicità, per quanto potevano ricordare, fin quando erano piccoli e i loro genitori erano morti in quell’incidente d’auto.

 

Un fattore sconosciuto ai coniugi Dursley era che i gemelli condividevano, in modo quasi viscerale, i pensieri, le idee, l’atteggiamento ma soprattutto la memoria; quest’ultimo tratto era enormemente sviluppato per Hazel che, con certezza e precisione assoluta ricordava molti particolari e parole che normalmente le persone dimenticano.

Come i sogni che condivideva la notte insieme al fratello, il numero di ragni che popolavano il ripostiglio, i titoli del giornale che zio Vernon leggeva ogni mattina, il numero di pugni che Dudley aveva dato a lei e a Harry e, soprattutto, la sensazione che loro, nella macchina su cui erano morti i loro genitori, non c’erano e, anzi, se sforzava la memoria insieme a Harry, durante le lunghe ore trascorse nel ripostiglio, il ricordo più lontano che riuscivano a raggiungere era un lampo accecante di luce verde e un dolore bruciante alla fronte.

Se anche quel primo ricordo fosse stato l’incidente, non si riuscivano a spiegare da dove venisse la luce verde.

I loro genitori, per quanto si arrovellavano, non li ricordavano affatto. Gli zii non ne parlavano mai e, naturalmente, era proibito fare domande al riguardo.

In casa non c’era neanche una loro fotografia.

 

Quando erano più piccoli avevano sognato tante volte che qualche parente sconosciuto venisse a portarli via, ma questo non era mai accaduto; i loro unici familiari erano i Dursley. 

Eppure, talvolta gli sembrava (o forse speravano) che gli estranei per strada li riconoscessero. Ed erano estranei veramente strani. Una volta un ometto mingherlino col cilindro viola aveva fatto loro un inchino mentre erano a far spese con zia Petunia e Dudley. Furiosa, dopo aver chiesto ai gemelli se conoscessero quell’uomo, zia Petunia li aveva trascinati fuori dal negozio senza comprare niente. Un’altra volta, in autobus, un’anziana donna dall’aspetto stravagante, tutta vestita di verde, li aveva salutati allegramente. Qualche giorno prima, un uomo calvo, con indosso un mantello color porpora molto lungo, aveva stretto loro la mano per strada e poi si era allontanato senza dire una parola. La cosa più stramba di tutte è che quelle persone sembravano era che sembravano dileguarsi nel nulla nel nulla nel momento stesso in cui i gemelli cercavano di guardarli da vicino.

A scuola non avevano amici. Tutti sapevano che la gang di Dudley odiava quegli strani gemelli, infagottati nei loro vestiti smessi e con gli occhiali rotti, e a nessuno piaceva mettersi contro la gang di Dudley.



Note dell'autrice:


Buongiorno/Buonasera a tutti i lorsignori qui presenti a leggere le note!

Vorrei ringraziare chi:

Ha messo la storia tra le seguite: cris325

Ha messo la storia tra le preferite: magus79

L'avete notato, no? Si, ho riscritto quasi totalmente il primo capitolo del libro di HP. Ne sono consapevole.

Voglio mettere le mani avanti dicendo che questa storia è basata sul libro/libri (perchè ho intenzione di arrivare fino all'ultimo) e sarà la completa riscrittura dei manoscritti in chiave ipotetica con la presenza di Hazel ad accompagnare e combattere a fianco di Harry. Spero voi possiate apprezzare la presenza di Hazel, la quale piano piano crescerà e non sarà soltanto un ombra nel tutto.

Hazel ha il suo carattere e lo dimostrerà degnamente già dal prossimo capitolo. Per adesso è tutto e vi ringrazio nuovamente.

Saluti e ossequi,
Immortal Lady



La serie di Harry Potter e il suo contenuto sono di esclusiva proprietà di J. K. Rowling. Questa storia è scritta solo a scopo di intrattenimento e senza scopo di lucro.

   
 
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